Mosca, abbiamo un problema
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Book preview
Mosca, abbiamo un problema - Silvano Dragonieri
SpazioTempo
Collana di Narrativa e Poesia/36
curata da
Alessandro Lattarulo
SILVANO DRAGONIERI
MOSCA, ABBIAMO UN PROBLEMA
Prima edizione: marzo 2020
ISBN 978-88-8459-563-8
WIP Edizioni Srl
Via Capaldi, 37/A - 70125 Bari
tel. 080.5576003 - fax 080.5523055
www.wipedizioni.it - info@wipedizioni.it
In copertina
Isolated Ambulance Icon With The Communist Symbol
di Jpgon. Diritti acquisiti da canstockphoto.com
è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, senza l’autorizzazione dell’Autore e dell’Editore.
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Alla Draghessa e ai Draghetti
Indice
8 AGOSTO 1991, MATTINA
8 AGOSTO 1991, SERA
9 AGOSTO 1991
10 - 11 AGOSTO 1991
12 AGOSTO 1991
13 AGOSTO 1991
14 AGOSTO 1991
15 AGOSTO 1991
16 AGOSTO 1991
17 - 18 - 19 AGOSTO 1991
20 AGOSTO 1991
21 AGOSTO 1991
22 AGOSTO 1991
23 AGOSTO 1991
24 AGOSTO 1991
25 AGOSTO 1991
31 AGOSTO 1991
Note dell’autore
8 AGOSTO 1991, MATTINA
Le immagini normalmente non hanno odore. Quella invece che si visualizzava davanti agli occhi di Erjon ce l’aveva, anche robusto e acuminato. Un odore acre e allo stesso momento dolce che impregnava l’aria calda di agosto e che si riproponeva a intervalli ciclici sotto forma di zaffate. Il porto che si avvicinava, la banchina che diventava sempre più nitida così come la speranza di avercela fatta a raggiungere la terra promessa, l’Italia, nella fattispecie l’adriatica e dirimpettaia Bari.
L’emozione iniziava a prendere il sopravvento e per cercare di calmarsi Erjon ripensò ai burrascosi eventi che l’avevano portato a essere lì un po’ per caso.
Tra le migliaia e migliaia di persone stipate su quella nave c’era anche lui, un giovane ventenne di Durazzo. La nave Vlora era arrivata da Cuba e aveva trasportato un carico di zucchero. C’erano ancora dei residui che con il caldo si scioglievano, appiccicandosi dappertutto. Quella mattina non avrebbe mai immaginato che la sua vita sarebbe cambiata di punto in bianco. Si era recato al porto di Durazzo con suo cugino, per salutare lo zio, uno dei marinai della Vlora. Arrivati davanti alla nave, una scena apocalittica: non aveva mai visto così tante persone su un’imbarcazione, al punto da ricoprire addirittura il fumaiolo. Era bastato uno sguardo con suo cugino: l’occasione per cambiare le loro vite era a portata di mano e non poteva essere assolutamente sprecata. Le scale erano completamente intasate da persone, pertanto, senza nemmeno pensarci, usarono le cime per arrampicarsi. Appena riuscirono con molta fatica a trovare un pertugio sul ponte dove infilarsi, la nave partì. Una volta salpati, Erjon si guardò intorno rendendosi conto che di suo cugino non c’era traccia, impilato chissà dove, ma non ebbe la minima paura. In fondo aveva solo vent’anni e nulla da perdere. Quella notte fu per tutti impossibile chiudere occhio. Erano ammassati gli uni sugli altri e l’afa bloccava il respiro.
Nel carnaio della Vlora, uno dei pochi argomenti di discussione era l’entità dei passeggeri: diecimila? quindicimila? addirittura ventimila? Una massa brulicante di disperati stremati dall’inedia e dal caldo ma col cuore gonfio di speranza per una vita migliore. All’alba, il comandante tentò lo sbarco a Brindisi, ma questo gli venne negato in favore di Bari e le sette lunghissime ore per coprire le cinquantacinque miglia nautiche di distanza tra i due porti sembrarono infinite.
Il molo del porto del capoluogo pugliese era ormai a portata di mano e molte persone iniziarono a buttarsi in acqua per raggiungere a nuoto la banchina. Anche Erjon avrebbe voluto farlo, ma era ancora impossibilitato a muoversi. Tutti avevano gli sguardi puntati verso il molo d’attracco. L’attenzione di Erjon era invece riservata a un uomo di mezza età, appoggiato sul parapetto del ponte, che non aveva proferito parola per tutto il viaggio e dall’aspetto tutt’altro che salubre. Non appena quelli delle prime file si furono buttati in acqua, Erjon riuscì a compiere dei passi verso lo strano passeggero. Lo toccò per destare la sua attenzione ma non ottenne risposta. Si avvicinò per osservare il suo volto e dal bianco della sclera capì rapidamente che vi era un’emergenza medica sulla nave.
«Një mjek urgjent!»
8 AGOSTO 1991, SERA
Non era una notte buia e tempestosa, anzi. Nel cielo punteggiato di stelle, brillava la luna, che si rifletteva gagliarda sul mare. Era una di quelle belle serate baresi di inizio agosto in cui regalarsi un momento di estasi culinaria gustando un panzerotto fumente accompagnato da una Peroni in formato famiglia al cospetto del gigante liquido che abbraccia la città. Una delle peggiori punizioni che potessero capitare consisteva invece in un turno notturno di guardia ospedaliera, peggio se presso Cardiochirurgia al Policlinico.
Nonostante le premesse nefaste, quella notte il reparto si presentava dominato da un’inconsueta tranquillità. I pazienti sonnecchiavano placidamente e i monitor emettevano ritmici e rassicuranti bip bip.
Le due infermiere in servizio avevano approfittato della calma per concedersi una piccola pausa nel cucinino attiguo alla medicheria.
Le immagini della nave Vlora completamente ricoperta di esseri umani hanno fatto rapidamente il giro del mondo. Si stima che ventimila albanesi abbiano rapidamente trasformato il molo del porto di Bari in una mattonella umana. La gestione di un flusso così cospicuo e inaspettato di migranti, per di più in pieno agosto, ha completamente spiazzato le istituzioni italiane, prive di strutture e procedure adeguate a un’emergenza di tale portata…
Laura, la più anziana ed esperta tra le infermiere professionali di Cardiochirurgia, girò il sintonizzatore della radio mentre versava del caffè nero bollente nella tazzina retta da Sara, la nuova arrivata.
Sotto questo sole bello pedalare sì, ma c’è da sudare…
«Basta, non ce la faccio più! È tutto il giorno che parlano di questi albanesi.»
«Mamma mia che casino. Ma dove li metteranno?»
«Di certo rinchiuderli nello stadio vecchio non è la soluzione.»
«Infatti. Senti, ma in questo reparto sono tutte così tranquille le notti?»
«Non farci troppo l’abitudine, è solo calma apparente» disse Laura.
«Peccato. Però finora non è volata una mosca. Il medico non si è neanche affacciato. A proposito, chi c’è stanotte di guardia?» chiese Sara.
«Sai che non ho neanche controllato? Vediamo sul foglio dei turni. Vediamo, vediamo… 8 agosto… di guardia c’è Martinelli e come reperibile… cazzo, c’è Fiorello.»
«Oddio, il famigerato figlio del professore? Ho sentito parlare di lui ma in realtà non l’ho ancora conosciuto. Che tipo è?»
«Non basterebbe una settimana per raccontarti di lui. È il figlio unico del professor Lombardi Ajmone, che, come ben sai, è il primario del reparto ed è forse uno dei più famosi cardiochirurghi non solo d’Italia ma del mondo. Ha lavorato fianco a fianco con Christian Barnard, quello del primo trapianto di cuore della storia. I pazienti si muovono da tutta Italia per essere visitati e operati da lui.»
Laura sorseggiò il caffè, si schiarì la voce e riprese:
«Suo figlio lo conosco da quando era un bambino: Carlo è sempre stato lavativo e viziato fino al midollo. Auto di lusso, discoteche, donne, viaggi ai Caraibi. All’Università non credo abbia mai sfogliato un libro manco per sbaglio. Bastava che aprisse il libretto, i professori facevano l’inchino e gli mettevano trenta e lode. Figurati, il figlio di Lombardi Ajmone. Inoltre, dopo la laurea il padre l’ha mandato in America per tre anni, a Miami, per specializzarsi in Cardiochirurgia e Dio solo sa che cosa ha combinato laggiù. Carlo il ribelle
a Miami, nel tempio della perdizione. Pensa che è pure finito in galera perché l’hanno beccato a sniffare cocaina in auto con una prostituta. Per questo è stato espulso dagli Stati Uniti. Insomma, è tornato e il giorno dopo il padre lo ha fatto assumere qui come cardiochirurgo.»
«Quindi c’è poco da stare sicuri con lui?»
«Guarda, preferirei farmi operare da Pinuccio il portantino»