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Di vita e di morte: Dark Aura 3
Di vita e di morte: Dark Aura 3
Di vita e di morte: Dark Aura 3
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Di vita e di morte: Dark Aura 3

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About this ebook

Romance - romanzo (323 pagine) - Per Aura è giunto il momento di incontrare il suo nemico, la potente creatura oscura che le ha strappato l'adolescenza e i suoi più cari affetti. Ormai è pronta ad affrontare ogni pericolo, ma non l’amara verità che le verrà svelata. E se chi le è stato accanto fin dall’inizio non fosse stato del tutto sincero?


Appena apre gli occhi, Aura sa che deve ritrovare il suo ragazzo, Logan, misteriosamente scomparso in battaglia. Scontrandosi con le idee del gruppo, lotta per raggiungere il suo obiettivo, ricevendo l’aiuto inaspettato di una vecchia sovrannaturale conoscenza. Questo è solo il primo degli ostacoli che Aura dovrà superare, mentre cerca al contempo di equilibrare gli animi del gruppo, scossi da tradimenti e gelosie. L’amore che Efrem, il suo alleato immortale, prova per lei, è rassicurante ma causa di attriti. Dopo aver scoperto dove si trova il suo nemico, Aura decide di offrirsi come esca, entrando nel suo covo accompagnata da Efrem e Logan. I due rivali saranno costretti a una collaborazione forzata, dalla quale dipenderà la riuscita dell’impresa, il destino di Aura e del mondo intero. – Il terzo capitlo della saga Dark Aura, composto dai romanzi Di tenebra e speranza (Book 1 – Odissea Romantica 35), e Di dolore e devozione (Book 2 – Odissea Romantica 36).


Angela Volpe è nata a Verona, dove attualmente risiede. Laureata in Scienze della Comunicazione, è un’accanita lettrice, appassionata di cinema e narrativa fantasy in tutte le sue sfaccettature e di musica rock. Appena può, spicca il volo verso gli Stati Uniti. Il suo primo romanzo pubblicato, di genere urban fantasy, è stato Darkness and Hope, al quale ha fatto seguito Sorrow and Devotion, che a differenza del primo è stato pubblicato in formato digitale.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMar 24, 2020
ISBN9788825411706
Di vita e di morte: Dark Aura 3

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    Book preview

    Di vita e di morte - Angela Volpe

    9788825411089

    Parte I

    Abbraccia questo momento

    Ricorda

    Noi siamo eterni

    Tutto questo dolore è un'illusione

    Tool, Parabola

    Prologo

    Come un ramo secco nel quale non scorre più linfa e arrivato al culmine del peso che può sopportare, stavo per spezzarmi. Quello che avevo appena appreso aveva annientato l’ultima scintilla di vita che avrebbe potuto rianimare il mio corpo, imbrigliato nella morsa incorporea quanto implacabile del mostro che stava per spedirmi all’aldilà. Avevo lottato tanto per questo? Per arrendermi a faccia in giù al male primordiale? Avevo affrontato ostacoli inimmaginabili, ero sopravvissuta al dolore di lutti strazianti, ma ero riuscita ad andare avanti, appoggiandomi alle persone che mi amavano, che mi sostenevano e che mi avevano dato un motivo per andare fino in fondo. Peccato che non tutte quelle persone fossero state pienamente sincere con me.

    Questa nuova e amara scoperta mi urtava dentro come un ago conficcato in profondità negli organi vitali e mi privava della forza d’animo necessaria per reagire. Il mio cuore scricchiolava dopo il duro colpo che aveva incassato, e il battito perdeva consistenza a ogni respiro. Cercavo di mettere in fila tutti gli eventi che si erano susseguiti da quando avevo incontrato Efrem, ma era come tentare di creare una collana di perle infilandole in un capello: il filo era troppo sottile e si rompeva in continuazione.

    Guardando indietro vedevo solo uno schermo bianco, non riuscivo a ricostruire i fatti. Possibile che fossi stata così cieca o ingenua da non rendermi conto di quello che stava veramente accadendo attorno a me? Solo adesso realizzavo quanto la scomparsa del mio mentore mi avesse frastornata, togliendomi la lucidità mentale e la razionalità. Senza la sua lungimirante guida ero uscita dai binari, mi ero concentrata troppo sulla mia interiorità, affidandomi a sensazioni e sentimenti che mi avevano condotta sulla strada sbagliata.

    Una domanda risuonava nella mia testa come un disco rotto: se avessi avuto fin da subito queste informazioni, avrei agito diversamente? Probabilmente sì, avrei preso decisioni diverse, ma il risultato sarebbe cambiato? Schiacciata sul pavimento corpo e anima, avvertivo una certezza imprescindibile: sentivo che ero esattamente nel posto in cui dovevo essere. Ero destinata a finire così.

    Capitolo 1

    Ho sognato che non eri più al mio fianco, non c’era più il tuo calore.

    E anche se avevi bisogno di me, non potevo fare nulla.

    Pink Floyd

    Ancor prima di aprire gli occhi, intuii di essere in un posto diverso, estraneo ma confortevole. Aria squisitamente tiepida mi entrava nelle narici, riscaldandomi il corpo dall’interno. Sopra di me non avvertivo il peso delle coperte. Avevo le braccia nude a contatto con la superficie liscia del materasso. C’era un profumo esotico nell’aria, di sole e brezza marina. L’unico rumore che sentivo era il fruscio delle fronde delle palme e le onde che accarezzavano la spiaggia.

    Sorrisi a labbra serrate e aprii gli occhi. Avevo riposato beatamente in un letto a baldacchino; scostai la sottilissima rete trasparente che lo proteggeva per vedere meglio il cesto di frutta colorata appoggiato su un mobile in bambù. La grande porta a vetri era spalancata e di là da essa si adagiava una distesa di sabbia fine e bianca, che conduceva a un mare cristallino. Mi sedetti sul letto, gustando quella sensazione di serenità e leggerezza. Inspirai a occhi chiusi l'aria salmastra e quando li riaprii espirando, una figura familiare e statuaria comparve sulla porta.

    La pelle di Efrem era traslucida sotto la luce del sole non ancora del tutto alto nel cielo terso. Indossava solo dei pantaloni morbidi in lino bianco; il suo torace nudo e liscio sembrava fatto di madreperla. I suoi occhi erano due zaffiri incastonati nel viso senza età e brillavano mentre allungava una mano verso di me.

    Lo seguii in spiaggia, affondando dolcemente nella sabbia, assaporando ogni passo fino a quando i miei piedi furono immersi nell’acqua calda e trasparente. C’era la bassa marea e volendo avremmo potuto camminare per miglia in direzione dell’orizzonte, dove la linea dell’acqua si confondeva con il cielo.

    – È l’oceano indiano – sussurrò Efrem con voce vellutata, continuando a tenermi per mano.

    Ruotai lo sguardo tutto attorno a me, incantata da quel panorama mozzafiato: i colori erano spettacolari. Verde di ogni sfumatura proveniva da piante che avevo visto solo nei documentari, la sabbia era impalpabile e candida come farina, l’oceano aveva dei toni azzurri e verdi che il pittore più talentuoso di tutta la storia dell’uomo non avrebbe saputo riprodurre, né imitare. Sagome di nuvole passeggere scorrevano sullo specchio d'acqua creando meravigliosi giochi di luci e ombre. Poche alghe naturali disegnavano tratti d’inchiostro nero sul bagnasciuga. Efrem mi tirò delicatamente verso di sé.

    – Sei al sicuro, qui.

    Attorno a noi tutto era calmo e in pace. Sembrava un luogo astratto, distaccato dal mondo freddo e crudele dal quale provenivo eppure contenuto in esso. Era l’Eden. Nell’esatto momento in cui feci questa constatazione, qualcosa cambiò. Un’inquietudine fosca iniziò a serpeggiare dentro di me. C'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che non era al suo posto. Mancava qualcosa di essenziale. Non poteva essere il Paradiso, perché ne mancava una parte fondamentale. Quando capii cosa, o meglio, chi mancava, una mano invisibile mi strinse la gola fino a rendermi difficile respirare.

    La serenità di poco prima era evaporata in un soffio. Mi guardai intorno disperatamente, nella vana speranza di scorgere i suoi capelli selvaggi, le sue iridi grigie e nocciola, ma i miei occhi erano diventati armi distruttive e ogni cosa su cui li posavo, moriva. Il dolore che mi portavo dentro, più sconfinato dell’oceano che avevo davanti, era così forte da uscire dal mio corpo e devastare tutto quello che mi circondava.

    Sotto il mio sguardo le palme avvizzirono finché di loro rimasero solo tronchi rinsecchiti, la sabbia divenne fango e l’acqua si trasformò in un liquido nero e viscoso come il petrolio. Lasciai la mano di Efrem, urlandogli di andarsene, ma al contrario lui si mise proprio davanti a me, pronto a farsi incenerire.

    Mi sollevò il mento obbligandomi a guardarlo e quando lo feci, svanì in una polvere simile a cenere di sigaretta. Ero rimasta sola, il paradiso era diventando un inferno e stava collassando, mi stava inghiottendo.

    Logan. Urlai il suo nome al cielo, come fosse una preghiera. Appena lo feci, una voragine si aprì dentro di me e sotto i miei piedi, trascinandomi giù, in un abisso tetro dal quale nessuno avrebbe potuto tirarmi fuori. Continuai a chiamare il suo nome, finché la bocca si riempì di fango e soffocai.

    Emersi a fatica dall’incubo; mille martelli picchiavano contro le mie tempie dandomi la nausea. Sentivo le labbra tanto aride che temevo che se le avessi schiuse si sarebbero spaccate. Avvertivo una dolorosa rigidità muscolare che dalla base della nuca s’irradiava fino alla spalla sinistra, sembrava che i miei muscoli fossero in tensione come la corda di un arco prima che la freccia venga scoccata. Tutto il mio corpo era pesante, schiacciato contro il materasso. Mi sembrava di essere sotto l’effetto di qualche droga creata in laboratorio per mettermi ko.

    La prima immagine che vidi quando aprii gli occhi era sfocata, ma riconobbi subito la postura impeccabile dell’immortale, come una statua di marmo liscio e candido. Efrem era seduto sul bordo del letto e mi porse prontamente una cannuccia infilata in un lungo bicchiere di vetro contenente un liquido arancione. La spremuta d'arancia era esageratamente zuccherata. Bevvi quanto bastava per idratare la gola. Appena fui in grado di articolare dei suoni rantolai un’accusa.

    – Sei stato tu?

    I suoi capelli sottili, resi argentei dalla luce grigia che filtrava dalla finestra, ondeggiarono sulla sua fronte quando la scosse per negare.

    Thiago, in veste da medico con lo stetoscopio attorno al collo, intervenne in sua difesa.

    – Hai avuto un attacco di panico, Taylor ti ha buttata a terra per tenerti ferma, forse ha un po' esagerato.

    Con movimenti impacciati e sofferenti sollevai il collo quanto bastava per lanciare un'occhiataccia a Taylor, che stava appoggiato alla porta in evidente imbarazzo. Tolse dalla bocca l'unghia che stava mordicchiando e si scusò. – Mi spiace davvero di averti fatto male, ma eri così fuori di testa… non ti sei calmata finché Thiago non ti ha iniettato qualcosa.

    Il mio sguardo infuocato si posò sul dottore. Digrignai i denti in un’espressione di rabbia. – Perché mai avete fatto una stronzata del genere?

    Questa volta la risposta provenne da una voce più vicina al mio orecchio, diversa da qualsiasi altra per timbro e accento. Una voce che secondo l’umore poteva sembrare un canto angelico o un ringhio diabolico, la voce dell'unica persona nella stanza che non doveva preoccuparsi di invecchiare.

    – Siamo stati costretti a farlo, Aura. Quasi non respiravi.

    La drammaticità che Efrem espresse con quelle poche parole risvegliò il ricordo recente e funesto. Il momento in cui mi ero resa conto che Logan era sparito. Il solo pensiero mi provocò una fitta al centro del petto che mi destabilizzò. Un'altra ondata di panico mi stava per travolgere e per evitare di affogarci dentro tentai con poca grazia di sollevarmi sui gomiti, inutilmente. Il mio corpo pesava una tonnellata e uno spasmo mi attraversò il lato sinistro del collo fino alla spalla, costringendomi a tornare sdraiata. Cacciai un grido di dolore e frustrazione. Sentivo già gli occhi inumidirsi mentre Efrem mi sistemava il cuscino sotto il collo. Protestai, piagnucolando. – Devo alzarmi, devo andare… aiutami ad alzarmi!

    Lui non si mosse. Lo guardai torva per un lungo istante, poi chiesi la stessa cosa a Thiago cercando complicità ma anche lui mi tradì. – Hai una contrattura muscolare piuttosto grave, dovrai stare a riposo per un po'.

    Ruggii, furiosa: – Ho già perso troppo tempo! Dammi qualcosa di forte per il dolore e usciamo!

    Thiago sostenne il mio sguardo, irremovibile. A quel punto mi rimaneva un'unica speranza. Puntai al ragazzo sulla porta. – Taylor, me lo devi. Sei stato tu a ridurmi così.

    Lui abbassò lo sguardo senza rispondere. Il nodo alla gola iniziò a stringere tanto da farmi male. Tutti erano indifferenti alla mia disperazione? A nessuno importava di Logan? I miei singhiozzi imbarazzarono i ragazzi e catturarono l'attenzione di qualcuno che aveva origliato dietro la porta per tutto quel tempo.

    Joy si fece largo sgomitando tra i due palestrati. Efrem si allontanò da me, scendendo dal letto per lasciare posto alla ragazza, la quale tentò subito di sollevarmi la schiena, ma il dolore era insopportabile. Stringendo stoicamente i denti, trovai una posizione più dignitosa appoggiandomi alla spalliera del letto.

    Thiago bloccò la ragazza stringendole un braccio. – Non dovrebbe muoversi, rischia di peggiorare.

    Lei si divincolò dalla stretta e lo fulminò con gli occhi oltre che con le parole. – Sei un dottore o no? Sai fare qualcosa oltre che stare lì impalato?

    Lui inspirò per digerire la stoccata, poi si rivolse a lei con condiscendenza. – La curerò nel migliore dei modi, ma per queste cose serve tempo e se il paziente non collabora, anziché guarire, aggraverà la situazione.

    Joy lo ignorò, stizzita. – Uscite tutti da qui! Adesso!

    Taylor ed Efrem furono i primi a obbedire. Thiago sbuffò, ma poi si arrese e ci lasciò sole. Appena la porta si chiuse, smisi di trattenere le lacrime. Joy si piegò su di me, tentando di consolarmi come non aveva mai fatto prima. Piagnucolavo tra i singhiozzi senza quasi rendermene conto. – Non posso sopravvivere anche a questo, prima Ally e ora Logan…

    Joy attese in silenzio che il picco d’isteria passasse, poi mi chiese gentilmente. – Vuoi provare ad alzarti?

    Mi accesi di speranza. – Mi aiuti a scappare?

    Fece spallucce. – Purtroppo non c'è modo di uscire da qui senza che quegli scimmioni se ne accorgano. Però c'è una cosa che posso fare per te.

    La guardai fiduciosa e la lasciai proseguire. – Devo sistemarti i capelli. Sono inguardabili.

    Per quanto fossi sicura che uno shampoo non sarebbe bastato a farmi sentire meglio, era una singolare dimostrazione d’affetto da parte sua, perciò lasciai che Joy si prendesse cura di me alla sua maniera.

    La luce indecisa di un’alba triste si trascinava timida nella stanza. Guardavo bieca la finestra, sfidando il Sole. Non sarebbe dovuto sorgere quel giorno, non avrebbe dovuto permettersi di sorgere più, finché Logan non fosse tornato.

    Avere i capelli puliti non aveva migliorato di certo il mio umore, del resto non mi sarei sentita diversamente finché sarei stata costretta a restare inchiodata a letto, senza poter fare nulla. Ero arrabbiata con tutto e con tutti, persino con me stessa per essere così vulnerabile. Alla rabbia indomabile si mescolava la disperazione per la sorte del mio ragazzo, che mi trascinava sempre più a fondo in un tunnel di penosa tristezza, dal quale non c’era modo di risalire. Sprofondavo nel fango, proprio come nel sogno della spiaggia, nelle sabbie mobili del mio dolore.

    L’ambiente circostante era intriso della sua presenza. Sul cuscino c'era ancora il suo profumo, sul comò la tuta che indossava prima della battaglia. Quelle silenziose testimonianze a tratti mi confortavano e a tratti mi gettavano nella disperazione. Lui mi aveva sorretto fisicamente e psicologicamente quando quell’orribile mostro di nome Wayne aveva tolto la vita alla piccola Allison sotto i miei occhi.

    Il suo amore costante, paziente e incondizionato aveva valicato il muro del mio silenzio, connettendosi con la fiamma vacillante nella mia anima e riaccendendola. Senza di lui, non erano sopravvissute nemmeno le braci. Ero al buio. Avrei voluto qualcosa da mordere per soffocare la necessità di urlare. I miei neuroni impazziti prendevano in considerazione piani di fuga impraticabili e suicidi. Valutai l’idea di calarmi dalla finestra, scartandola subito dopo. Una gamba rotta avrebbe impiegato mesi a guarire. Mentre ordivo le mie trame diaboliche e irrazionali per scappare, la maniglia d’ottone della porta scese lentamente verso il basso. Sapevo già chi era, poiché non avevo avvertito lo scricchiolio dei suoi passi sulla scala di legno. Appena varcò la soglia, i miei sentimenti lo investirono violentemente. Questo era uno di quei casi in cui avrebbe odiato il suo straordinario potere sovrannaturale.

    Efrem parve quasi arretrare, come se fosse stato colpito da un pugno nello stomaco, e ne fui sadicamente compiaciuta. Volevo che si rendesse conto di come mi sentivo. Gli ci volle qualche secondo per riprendersi e assumere un’espressione neutra. Si sedette accanto a me tenendo le gambe giù dal letto e mi accarezzò il capo. Anche volendo, non sarei riuscita ad appoggiarmi alla sua spalla, mi sentivo rigida dentro e fuori. Nel silenzio, stava ponderando cosa dirmi o che domande rivolgermi, sapeva che sarei scattata come una furia se avesse scelto le parole sbagliate.

    Infine parlò. – Mi dispiace che tu stia soffrendo. – Attese per qualche istante un mio cenno, che non arrivò. Si piegò per farsi più vicino. – Mi credi?

    Mi resi conto che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata sbagliata, anche se le sue intenzioni erano buone. Avevo troppa rabbia dentro per rispondere gentilmente, perciò replicai con asprezza, persino peggio di quanto sapeva fare Joy. – Oh, sì, ti credo, ma non ti importa nulla del motivo per cui sto male. Tu hai tutto l’interesse che Logan non torni.

    Mi avvolse i bicipiti con le lunghe dita fredde, mettendosi davanti a me in modo che lo guardassi negli occhi. – Io ho tutto l’interesse che tu ti riprenda.

    Commisi l'errore di non filtrare i miei pensieri, che vagliavano senza sosta le più assurde opzioni di fuga. La sua voce divenne più severa, le sue dita strinsero più forte. – Non permetterò che tu te ne vada.

    Provai a liberarmi, lui non allentò la stretta. Ci provai di nuovo, incurante delle fitte pungenti che mi percorrevano le scapole a ogni movimento. Quando finalmente Efrem lasciò la presa, con uno slancio maldestro sgusciai fuori dal piumino. Avevo udito passi veloci e pesanti sulle scale che annunciavano l'arrivo di Thiago. Le mie possibilità di fuga erano pari a zero. Appoggiai un piede sul pavimento, ma il ginocchio mi cedette e caddi in avanti.

    Con un tempismo perfetto, Thiago entrò in camera e mi afferrò al volo. – Ferma, ferma, dove vai? Che succede?

    Esclamò allarmato mentre mi rimetteva a sedere sul letto. Efrem era rimasto a osservare la scena in disparte, ammutolito dal mio scatto e soprattutto dalle intenzioni che l’avevano scatenato. Non mi presi il disturbo di trattenere le lacrime che urtavano contro le palpebre. – Devo andare da Logan.

    Le grandi braccia di Thiago mi avvolsero e il suo calore ebbe un effetto calmante, così come le sue parole. – Andremo a riprendercelo Aura, ci andremo insieme, appena starai meglio.

    – Stiamo perdendo tempo.

    Una smorfia di dolore mi contrasse involontariamente il volto.

    – Sii realista, piccola, non saresti in grado di combattere in queste condizioni. Ascolta, devi riposare e riprendere le forze. Appena possibile andremo a cercare Logan, te lo prometto.

    Mi asciugai le lacrime con entrambe le mani e lasciai che Thiago mi aiutasse a sdraiarmi. Eravamo rimasti solo noi due nella stanza. Non l'avevo visto né sentito uscire, ma Efrem non c'era più. Thiago sembrava non avere alcuna intenzione di seguire il suo esempio, al contrario, si mise comodo. Si sistemò sulla poltrona, tolse le scarpe e allungò le gambe fino ad appoggiare i talloni sul letto. Sorrise al mio sopracciglio alzato.

    – Credevi che ti avrei lasciata a crogiolarti nella solitudine e nell’angoscia? D’ora in poi sarò la tua ombra. Se non ti sta bene, puoi sempre alzarti e mandarmi via con la forza.

    Sapeva benissimo che non riuscivo a muovere un muscolo. L’ultimo tentativo di ribellione mi era costato caro, mi sentivo rigida come una lastra di ferro. Sfinita e sopraffatta da un dolore ingestibile, scivolai in un sonno pesante.

    Non avevo idea di che ora fosse, notte, mattina presto o pomeriggio inoltrato. Thiago era accasciato sulla poltrona con gli occhi chiusi, ma appena udì il fruscio del piumino si mosse.

    Si strofinò gli occhi. – Ehi, sei sveglia?

    Sbadigliando, riempì mezzo bicchiere d’acqua e mi porse una pasticca bianca tondeggiante. – Avrei dovuto dartela prima che ti addormentassi. Come ti senti? La verità…

    A quel punto, era controproducente mentire al mio medico. – Sempre peggio.

    – Ho scoperto che Megan è una massaggiatrice professionista. Ha studiato molto, me ne sono assicurato. Le ho chiesto di venire. Per te va bene?

    – Non ti chiederò come l’hai scoperto… ok.

    Vidi Thiago imbarazzato per qualche attimo, prima di riprendere il tono da generale militare – Devi mangiare! – esclamò porgendomi un pacchetto di cracker. Divenne severo davanti alla mia riluttanza. – T’imboccherò se necessario.

    Ero certa che l’avrebbe fatto veramente, perciò preferii servirmi da sola.

    Sdraiata a pancia in giù sul materasso, ascoltavo Thiago e Megan parlare tra loro. La ragazza sfoggiava un buon linguaggio medico, rispose con sicurezza alla diagnosi già fatta dal dottore, ma con una sorta di tremolio nella voce, come se fosse interrogata da un professore a scuola. Non mi stupiva che potesse sentirsi in soggezione, la mole di Thiago faceva questo effetto a chi non lo conosceva abbastanza bene da rendersi conto che era innocuo.

    – Devo sciogliere queste aderenze fasciali, praticherò un rilascio mio fasciale per contrastare la retrazione cicatriziale.

    – Perfetto! Allora ti lascio lavorare. Aura, sei in ottime mani!

    Ebbi l’impressione che avrebbe voluto esserci lui, sotto queste mani. Lo salutai mugugnando. Le dita corte e lisce di Megan disegnavano cerchi sulla parte sinistra del collo, premendo con forza calcolata, muovendo la pelle e quello che ci stava sotto. Ogni tanto sentivo qualcosa spostarsi, non sapevo se fossero nervi, muscoli o altro; in ogni caso, non era piacevole. Per non pensare al dolore decisi di interagire con la massaggiatrice.

    – Quanto pensi che mi ci vorrà per tornare come prima?

    – Giorni, settimane.

    Tentai di sollevare il busto in segno di protesta, ma lei mi spinse giù con forza.

    – Dopo quattro o cinque dei miei massaggi il dolore si sarà già attenuato, certo non potrai riprendere a combattere, ma riuscirai a muoverti.

    – Quanti massaggi faremo al giorno? Voglio dire, non potresti intensificarli per velocizzare il processo?

    Alzò la voce in un picco indignato. – No! Devo lasciare ai muscoli il tempo di reagire. Pensavo di farne uno ogni tre giorni.

    – Cosa? No, no! Devo guarire più velocemente possibile!

    – Calmati, la tensione peggiora le cose.

    – Mi calmerò quando mi lascerete uscire da questa casa.

    Megan sbuffò. – In ogni caso non potresti fare nulla. Steven e Keith stanno scandagliando la zona in cerca del tuo ragazzo, dobbiamo attendere le loro istruzioni e fidarci di loro.

    Mi uscì involontariamente una risatina strafottente. – Questo metodo non fa per me.

    Lei recitò come un libro stampato. – I risultati che si ottengono seguendo procedimenti scientifici sono sempre migliori di quelli derivati da azioni istintive. Ti confesso che mi sorprende questo vostro spirito ribelle, in fondo, tu sei laureata in legge, dovresti avere un certo rispetto per l’autorità e Logan è laureato in chimica, giusto? Non esiste materia più rigida e razionale!

    Sorrisi tra me e me. – Al contrario, Logan dice che c’è della magia nella chimica. Quello che succede quando si uniscono due elementi diversi è imprevedibile e affascinante.

    Ricordavo nitidamente quando me ne aveva parlato, seduti sul dondolo della veranda, e mi sorpresi a ripetere con precisione le sue parole, più per me stessa che per Megan.

    – A volte si distruggono a vicenda, a volte si fondono, altre volte si rinforzano l’un l’altro e diventano qualcosa di più grande. – Sotto le palpebre chiuse, rividi l’immagine del sorriso raggiante di Logan mentre concludeva il suo discorso. – Noi apparteniamo all’ultima categoria.

    Strizzai gli occhi per la fitta che mi provocò quel ricordo e schiacciai il naso contro il materasso. O meglio, ci provai.

    Megan mi rimproverò. – Ferma! Resisti ancora un po', ho quasi finito.

    Non ero sofferente per il massaggio. Il dolore fisico non era niente. Restai immobile mentre mi ungeva con abbondanti strati di crema.

    – Tu e Logan non vi conoscete da molto, o sbaglio?

    Se il suo tono fosse stato freddo o inquisitore, sarei andata su tutte le furie. Da una simile domanda potevo supporre che lei pensasse che ci conoscevamo da troppo poco tempo per essere così legati, ma Megan era dolce e colsi nel suo tono solo genuina curiosità e candido stupore. Un amaro sorriso contrasse le mie labbra. Lasciai trascorrere qualche secondo, mentre pensavo a come descrivere un sentimento indescrivibile.

    – La differenza tra passato, presente e futuro è solo un’illusione. È come se Logan e io fossimo stati sposati, avuto dei figli, divorziati, rincontrati dopo un periodo di separazione, sposati di nuovo e avuto altri figli.

    Le mani di Megan si fermarono. Non vedevo il suo viso, ma percepii che ne fu colpita. Le parole le tornarono dopo qualche attimo. – Wow. Credo di non aver mai sentito nulla del genere.

    Si schiarì la voce, sembrava a disagio. – Qui ho finito, se non hai troppo freddo dovresti stare così fino a che la crema si assorbe. Dico a Beth di venire fra cinque minuti così ti aiuterà a vestirti.

    – Ok. Grazie.

    Non sentivo freddo, la mia pelle era tutta un formicolio, in fermento come la mia anima, infestata da un brulichio irrequieto di pensieri ed emozioni. Mi assopii fino a che Beth bussò alla porta. Appena mi vide con la schiena mezza nuda si preoccupò.

    – Ti ha lasciato così? Ti verrà un accidente! Credevo almeno avesse acceso il camino o che ti avesse coperta!

    In quel momento più che mai, avevo bisogno che qualcuno si prendesse cura di me; mi sentivo piccola, incapace di sostenermi e senza un appiglio da cui trarre forza. Beth mi passò un reggiseno a fascia. Lo feci scorrere sotto il seno senza muovermi più di tanto e lei lo agganciò sulla schiena. Ero immobile a pancia in giù, non ero certa di riuscire a girarmi senza provare dolore.

    Beth lo capì. – Ti aiuto?

    – No, aspetta, ci provo da sola.

    Puntellai il palmo destro e mi lasciai rotolare dalla parte opposta. Fu più semplice del previsto, il massaggio di Megan aveva già dato i suoi frutti. Beth era in piedi e teneva in mano una camicia blu scuro della mia taglia che non avevo mai visto prima.

    – L’ha comprata Efrem per te, assieme a un cardigan morbidissimo. In questo modo non dovrai alzare le braccia per infilare t shirt o maglioni chiusi.

    Bel pensiero. Tipico di Efrem. Potevo respingerlo, trattarlo male e insultarlo, ma lui non smetteva di pensare alle piccole cose che mi avrebbero reso la vita un po' più semplice. Con l’aiuto di Beth indossai la camicia e il cardigan, mi stavano a pennello, i tessuti pregiati erano caldi e confortevoli. Scostai le coperte per uscire dal letto, sotto indossavo i pantaloni della tuta grigio chiaro.

    Beth non mi fermò, ma mi chiese di essere prudente. – Non sono sicura che tu possa ancora alzarti, insomma, Thiago non ha detto… Forse è meglio se aspetti lui.

    Ero già in piedi. – Betty, devo andare in bagno. E poi ora riesco a muovermi, anzi, voglio scendere.

    Non obiettò, ma sapevo che sarebbe corsa a chiamare una delle mie guardie carcerarie non appena avessi chiuso la porta del bagno. Mi lavai viso e denti, spazzolai i capelli con molta calma e quando riaprii la porta, Efrem mi stava già aspettando seduto sul bordo del letto. Aveva acceso il camino da poco e giovani fiamme vi danzavano, donando al suo incarnato trasparente dei leggeri riflessi aranciati, illuminando gli zigomi e valorizzando i lineamenti perfetti. Le sue labbra s’incurvarono leggermente mentre indicava gli abiti che mi aveva regalato. – Ti stanno bene.

    Chiusi il primo bottone del cardigan color corda, lo ringraziai e mi sedetti accanto a lui per mettere le scarpe da ginnastica. Si gettò ai miei piedi prima che udissi le sue parole.

    – Faccio io.

    – No, ti prego, è troppo umiliante, ce la faccio da sola.

    Avevo alzato la voce più del necessario. Efrem si raddrizzò lentamente, deluso dal mio rifiuto. Mi osservò in silenzio mentre infilavo le scarpe senza slacciarle.

    – Mi permetti almeno di aiutarti ad alzarti?

    Annuii appena, ma per lui fu sufficiente. Mi cinse i fianchi e mi ritrovai in piedi in pochi secondi senza muovere un muscolo. Sembrava che non volesse più lasciarmi, così scherzai.

    – Guarda che sono bloccata solo da metà schiena in su, le gambe mi funzionano!

    Tolse il braccio ma non si spostò, mantenendo il contatto fianco a fianco. – Devi sapere una cosa. Non è stata colpa di Taylor se ti sei presa questo strappo. Sono stato io. Prima che lui ti buttasse a terra, ti stavo trattenendo con troppa forza, e l’ho fatto anche ieri. In entrambe le occasioni, avrei dovuto assecondare i tuoi movimenti invece di oppormi.

    Il tocco leggero della sua mano al centro della schiena mi accompagnava a ogni passo.

    – Da come ne parlate, sembra che fossi indemoniata.

    Con la coda dell'occhio, vidi il suo volto oscurarsi. Doveva essere stato tremendo assistere all’effetto che la sparizione di Logan aveva avuto su di me, eppure era stata solo una misera manifestazione fisica della devastazione che provavo dentro. Lui lo percepiva, ma questo non significava che lo capisse. Camminava piegato su di me. Non avrei mai sentito il suo respiro sulla pelle, ma brividi leggeri mi solleticavano il collo quando lui era così vicino. La sua fredda presenza accanto a me era solida e rassicurante come una colonna di marmo inscalfibile dall’esterno, ma con un’anima vulnerabile. Ero consapevole di avere potere su quell’anima e pur senza volerlo, la stavo torturando.

    A parole ero sempre stata chiara con Efrem: io volevo stare con Logan, ma forse i fatti e i miei sentimenti più reconditi mi avevano tradita. Avevo avuto bisogno di aggrapparmi a lui quando stavo affondando nella depressione, lo volevo vicino quando la situazione si faceva tesa e avevo bisogno di lui anche per sopportare la mancanza di Logan. In sostanza, lo respingevo pregandolo di non abbandonarmi. Lui aveva imparato a vivere in quest’antinomia, incassando i miei momenti di nevrosi e facendo tesoro degli attimi di quiete in cui la nostra intesa s’intensificava. Anche a me piacevano quelle occasioni; stare con Efrem era semplice, non inebriante e appassionante come con Logan, ma naturale e gradevole. Almeno, questo era quello che sentivo io. Le sue emozioni erano altalenanti. Non avevo il potere di carpire quello che effettivamente provava, ma interpretavo la sua gestualità e i suoi sguardi. Sorrisi radiosi come arcobaleni apparivano sul suo volto per essere spazzati via subito dopo da nubi temporalesche. Ero certa che questi cambiamenti fossero collegati alle mie sensazioni; ogni volta che pensavo a Logan lui si rabbuiava. Per questo motivo sapevo che lo stavo torturando. Riuscivo a distrarmi appena per qualche minuto, ma Logan era il mio chiodo fisso e pensare a lui mi scatenava emozioni travolgenti. I miei sentimenti erano così vividi e concreti da rendere tangibile la presenza di Logan tra di noi.

    Il silenzio mentre uscivamo a piccoli passi dalla camera era scomodo, ero stata ingiustamente scontrosa con Efrem l’ultima volta che c’eravamo parlati, così decisi di sciogliere quel nodo.

    – Mi spiace di essere stata così acida.

    Lui aveva la risposta pronta, come se ci avesse rimuginato sopra tutta la notte e un giorno intero.

    – Dispiace a me di essere stato così severo e inflessibile. Do sempre l’impressione sbagliata, non è che voglia imprigionarti, ma vorrei che accettassi i miei consigli, almeno per una volta.

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