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Come un Lupo nell'ombra 1: il tradimento di Smir
Come un Lupo nell'ombra 1: il tradimento di Smir
Come un Lupo nell'ombra 1: il tradimento di Smir
Ebook332 pages4 hours

Come un Lupo nell'ombra 1: il tradimento di Smir

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About this ebook

Il Nemico è un predatore paziente a cui il tempo non manca e Candia è troppo sicura di sè sotto copertura di umile insegnante. Commette un piccolo fatale errore che la rende vittima, coi suoi studenti, di una caccia mortale dove solo l’uomo che più detesta al mondo potrebbe aiutarla, sempre che sia disposto a farlo e non diventi anch’ egli preda. Sarà Smir, una donna ricca di fascino e mistero, a condurli verso una possibile salvezza celando il tradimento.
Una corsa contro il tempo dal Tirreno alla Alpi dove niente è come appare in una sottile ma feroce guerra che si combatte da secoli per il dominio dell’Umanità.
LanguageItaliano
Release dateMar 18, 2020
ISBN9788835389750
Come un Lupo nell'ombra 1: il tradimento di Smir

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    Come un Lupo nell'ombra 1 - Manfredi Venturini

    ringraziamenti

    COME UN LUPO NELL'OMBRA

    Il tradimento di Smir

    A Val, la mia 0 Δ f

    Il lupo sa quando il pastore dorme

    Krell

    da Il Libro delle Scelte

    Potessi tornare indietro resterei a casa quel giorno?

    Purtroppo la risposta è no.

    Lo rifarei, perché c’è un mondo nel mondo,

    una guerra nascosta e senza fine

    che qualcuno deve combattere

    e quel giorno io, noi, eravamo lì.

    In quella mattina calda, luminosa, felice, c’eravamo tutti.

    E tutti restammo coinvolti.

    Darell

    da Il Codice delle Potenze

    PROLOGO

    Oggi

    Mi dispiace, tantissimo! si rammaricò con se stessa Smir Non avevo scelta.

    Il volto però non tradiva tali pensieri perché la donna si sentiva costretta a mostrare una solida sicurezza e una ferma determinazione, solo una leggera linea di tensione le attraversava la fronte, il pensiero rivolto a chi con fiducia la stava seguendo pochi passi più indietro.

    Ciaris, nonostante sia tu la causa di tutto non meriti questo destino. È quanto di meglio son riuscita a escogitare, ma tu mi hai costretta a condannarvi tutti. Spero che quando te ne renderai conto riuscirai a capirmi, per quanto sarà del tutto superfluo.

    Con la mano si deterse il sudore che in lucide gocce le scendeva sul viso. Malgrado la giornata fresca lo sforzo le aveva provate, ma l’adrenalina scivolava nel suo organismo preparandola all’azione. Conosceva quella sensazione e vi si abbandonò grata. Avrebbe accettato tutto pur di non pensare al domani, ma doveva trovare il suo uomo e aveva un pessimo presentimento.

    Niente sarebbe più stato come prima, di questo ne era certa.

    PARTE PRIMA – ARIA

    Un anno addietro

    capitolo 1

    I Guardiani sognano, come tutti. Ma quando nella stessa notte, benchè lontani tra loro, s’immergono nello stesso sogno, questo prende sostanza nella nostra realtà.

    E la comune visione è uno sciame di luci che fluttua disordinato ma libero nello spazio fintanto che un improvviso vento abbagliante e vorticoso se ne appropria. Nel vuoto lo spostamento è rapido e si arresta appena oltre il nostro cielo. Lì le scintille si raggruppano e assumono la forma vaga di un bambino.

    Prima che la volontà dei Guardiani possa completarne i dettagli sopraggiunge il mattino e una delle menti si desta spezzando il legame onirico. Ma il Bimbo incompleto, scaturito dall’essenza dell’universo e plasmato da menti umane, non si dissolve assieme al sogno. Resta in solitudine a osservare la Terra.

    È un embrione di potere e per molto tempo aspetterà che qualcuno gli indichi la via.

    capitolo 2

    Il fastidioso ticchettio la distolse dai suoi studenti. La professoressa Candia Flesi guardò oltre la ringhiera: sul marciapiede il corvo, incurante del traffico, becchettava un grumo informe. Lei l’osservò con disgusto quasi percependo sul proprio palato il viscido di quei brandelli di carne strappati con violenza. Stava per distogliere l’attenzione quando quello si fermò come se intuisse di essere spiato, quindi lentamente voltò il capo e la fissò per un lungo istante già indifferente al pasto trattenuto tra gli artigli e, come in risposta a un intimo comando, lanciò il suo ruvido grido spiegando con forza le ali. Colta da una vaga inquietudine Candia ne seguì il volo con la mano tesa sulla fronte per ripararsi dai raggi del sole di giugno. L’uccello volteggiò in cerchi sempre più ampi, finché con un ultimo sgraziato richiamo si dileguò scivolando d’ala verso il golfo. Nonostante l’afa la donna provò un brivido. Non credeva nei presagi, ma collegò quell’insolito incontro con il ronzio sordo e basso che da due giorni accoglieva il suo risveglio. Non era un suono, piuttosto una sensazione che non avvertiva da molto tempo. Si persuase che fosse solo l’avvisaglia di un’incipiente emicrania, così come fu certa che quella bestia fosse soltanto affamata e che la propria ansia nascesse dalla tensione dell’ultimo giorno di scuola.

    La mattina, cominciata male, non sembrava voler prendere il verso giusto. Provò allora a spostare l’attenzione sui suoi ragazzi raccolti nel cortile della scuola media di Cordara, piccola comunità arrampicata sulle colline affacciate sul Tirreno del sud. Erano del secondo anno, i suoi preferiti, camminavano e parlavano in gruppetti. L’odore dei panini e dei cibi confezionati mangiati in fretta si mescolava al profumo dei limoni in fiore, presenti nel giardino di ogni casa attorno e che sin dall’infanzia accompagnavano dolcemente l’estate. Cercò di concentrarsi su quella fragranza e socchiuse gli occhi rivivendo i tempi lontani fatti di cors e felici tra l’erba nella luce accecante del sole. Si sentì presto rinvigorita e pronta ad affrontare le ore finali, rapita da quei giovani sull’orlo di quel cambiamento che li avrebbe trasformati in uomini e donne, ognuno con un proprio percorso di vita.

    La mente indugiava in questi pensieri quando una voce interruppe il momento «Le ho portato un tè freddo.»

    Con un leggero sussulto tornò al mondo concreto e, riconoscendo la persona che le si era avvicinata, la ringraziò riconoscente «Grazie Lara! Ci voleva proprio» allungò la mano verso il bicchiere di plastica che la collega le stava porgendo. «E chiamami pure Candia, sono settimane che te lo dico.»

    «Scusa, da ultima arrivata e per di più alla fine della mio unico mese di supplenza, ho ancora addosso la soggezione del primo giorno» spiegò con una punta di disagio nella voce.

    La Flesi le sorrise: come darle torto? Ricordava i propri inizi e sapeva quanto un apprezzamento potesse essere incoraggiante, così, con uno studiato sospiro di soddisfazione, rincarò "Ancora grazie per il tè, ne avevo davvero bisogno.» Lo portò alle labbra e con sorsi lenti ne assaporò la sensazione di fresco, poi lo fece scivolare dolce in gola godendo dello zucchero che le avrebbe ripristinato le energie che quella calura consumava in fretta.

    «Come ti trovi con gli alunni?» chiese cercando di dimostrarle ulteriormente la propria disponibilità

    «Bene, bene. Non posso lamentarmi» assicurò con lo sguardo basso. Il ruotare imbarazzato della punta della scarpa sull’erba fece intuire a Candia altre verità.

    «È difficile tenerli in riga vero?» una domanda con cui voleva comunicarle empatia e che portò la neo professoressa a liberarsi di un malessere trattenuto «Sì, è proprio così, non c’è verso, sono scatenati» sbottò di getto come una diga che cede alla pressione del lago «Temo di non essere adatta per questo mestiere. Non riuscirò mai a essere come te. Persino quelli di seconda non mi danno retta. Con te invece hanno un rapporto splendido, si nota subito. Sei bravissima tu!»

    «Sarà perché la tua materia è matematica. A quanti piace la matematica? Io come insegnante di riferimento di italiano e geografia ho gioco facile" cercò di consolarla.

    «Magari fosse solo una questione di materie! Accetterei perfino le insinuazioni maligne delle colleghe che ti rivolgi a poteri oscuri per ammaliarli. Scusa, forse non avrei dovuto dirlo.»

    «Ma figurati! Le loro opinioni non mi toccano. Per quanto riguarda invece le tue difficoltà, ho avuto anch’io molti momenti amari in cui ero convinta di non farcela, notti passate pensando di mollare tutto, però vedrai che l’esperienza ti porterà a toccare le corde giuste di quei ragazzi. Sono come strumenti che devono essere accordati. Datti a fare in questo senso e scoprirai che possono creare sinfonie uniche.»

    «Messa così sembra facile. È che non son sicura di esserci portata, anzi, sento proprio di essere negata. Neanche urlando mi ascoltano. Tu instauri invece un rapporto naturale, motivo per cui ti invidiano tutti".

    «È vero, con il tempo si è creato un legame speciale, improntato sul reciproco rispetto e che va al di là del rapporto insegnate-studente. La prima cosa da fare è cogliere dentro in ognuno l’adulto che diverrà, cercare di immaginarne il futuro a seconda delle specifiche peculiarità. In alcuni casi, come per me con questa classe, è persino semplice.»

    «Come mai?»

    «Percepisco delle potenzialità rare in questi giovani, pronte a emergere solo se qualcuno, giorno per giorno, ha la costanza di suggerire loro la direzione giusta.»

    « Qualcuno tu?»

    «Me lo auguro. Conto di sfruttare l’ultimo anno per inculcare in loro quei valori che mancano nei libri di testo, pesanti di fredde nozioni senz’anima. Vorrei farne persone in gamba e responsabili, uomini e donne che possano fare la differenza

    «Ce la farai, lo so» esclamò Lara con un tale entusiasmo da strappare a entrambe una risata.

    La Flesi però non era così allegra quanto mostrava. Rimuginava sulla possibilità di aver già dato troppo di se stessa, sacrificando la propria vita anno dopo anno. A quante cose aveva rinunciato? Stava per essere assalita di nuovo dal dubbio se quella sua scelta fosse giusta quando il corvo parve gridarle nella mente, come ad assecondarne i pensieri cupi, mentre le sensazioni positive evocate dai profumi di fiori e agrumi sembravano svanite.

    «Lara… ora faresti bene a tornare dalla tua classe prima che qualcuno si rompa una gamba.» suggerì poi all’altra indicando due studenti arrampicati sull’alta inferriata di recinzione.

    «Oddio, ci mancherebbe… Ehi, voi due!» gridò la supplente allontanandosi in fretta sbracciandosi verso gli improvvisati scalatori.

    Si farà mormorò tra sé Candia. Sarà faticoso, ma si farà.

    Il lato comico della situazione dissipò la nebbia della malinconia e la luce del suo sorriso si riversò sui suoi studenti nell’intima promessa che avrebbe continuato ad accompagnarli seppur col solo pensiero nelle lunghe giornate fatte di sole, mare e momenti sull’erba sdraiati a guardare il cielo.

    L’afa si era fatta più opprimente quindi si spostò all’ombra dell’unico albero nel cortile per alleviare la calura e concedersi un po’ di brezza fresca. Un vento leggero si alzò improvviso scompigliandole i lunghi capelli scuri dandole un momentaneo ristoro quando il refrigerio fu rovinato dal verso stridulo del corvo. Dalla nota di trionfo che le sembrò di intuire dedusse che forse aveva scovato una vittima: un altro capitolo dell’eterna lotta del cacciatore con la preda, della legge del più forte. Intanto il tempo scorreva e di lì a poco avrebbe chiamato i ragazzi per salutarli uno a uno sapendo che nella lunga vacanza tutti le sarebbero mancati. La solita precoce nostalgia di ogni fine anno.

    Si stava preparando a radunarli quando una forte fitta al capo la fece vacillare. Fu un attimo doloroso ma breve che le lasciò però uno strascico di inquietudine. Lo attribuì a un tratto del proprio carattere di cui avrebbe volentieri fatto a meno: sempre tesa come se all’improvviso qualcosa di spiacevole potesse accadere e in quel caso a stimolare la sua apprensione c’era lo sgradevole richiamo del corvo. Appoggiata al tronco dell’albero si lisciò un’inesistente grinza della maglietta azzurro cielo, leggera e aderente che le scolpiva la figura minuta. «Ancora un po’ di brezza, leggera. Non sarà pericolosa» sollecitò tra sé sentendo che il calore e la tensione le stavano facendo sudare copiosamente. Era un normale giorno di inizio giugno sulle pendici della costiera amalfitana: rovente, terso, con quel sottile sentore di salsedine che la gente di mare non sembra mai avvertire, una giornata così normale che niente poteva far pensare che nel giro di pochi minuti la vita di qualcuno sarebbe cambiata per sempre.

    Un soffio d’aria rinfrescò la Flesi che ne percepì il piacere sulla pelle. Stava sorridendo a occhi chiusi quando il corvo gridò con una nota nuova che la professoressa non colse.

    Come ad un segnale dalle crepe nelle pendici del monte qualcosa di oscuro si liberò filtrando lentamente dal terreno fino in superficie. Esili fili di tenebra emersero indisturbati dalle fessure rocciose nei boschi alti, si allargarono tra fusti e cespugli serpeggiando in silenzio giù a valle. Lentamente s’infittirono, divennero più densi. Nere esalazioni si contorsero tra i massi per fondersi una con l’altra e poi dividersi in due scie: una diretta verso i pianori attorno al paese, l’altra verso il mare, come se seguissero una bene precisa strategia, dopodiché si sollevarono verso l’alto togliendo luce alla foresta e al golfo. Fino a quel momento nessuno si era accorto di cosa stesse accadendo, solo Andrea, un ragazzo della seconda classe, notò qualcosa d’insolito che lo distolse dai festeggiamenti in una postura strana che colpì l’attenzione di Candia. Con la capacità acquisita in anni di esperienza, ne colse l’insolita fissità e subito gli si avvicinò rapidamente.

    «Andrea…» gli sussurrò simulando tranquillità.

    «Prof! Guardi il mare, è …è scomparso!» balbettò con occhi colmi di stupore.

    Lei si voltò incuriosita e vide che il golfo era avvolto da una cappa oscura, la distesa d’acqua lucente e azzurra era stata cancellata da un denso strato di nubi che non riflettevano la luce.

    «Deve esserci un temporale veramente grosso in arrivo, ma non c’è da preoccuparsi, è lontano, e comunque tra poco rientriamo» lo rassicurò con un sorriso confortata dalla notevole distanza.

    Nel controllare che qualche studente non si fosse allontanato, lo sguardo le cadde sul pendio della montagna anch’essa ammantata da una coltre nera che inarrestabile si allargava nei prati alzando in vortici l’erba appena falciata mescolandola alla polvere dei sentieri. Un odore di ozono acre e penetrante pervase l’aria annientando i profumi della prima estate. Gli uccelli smisero il loro canto sovrastati dal fruscio della massa che avanzava.

    Un brivido trafisse la schiena della professoressa. Si arrese alla spiacevole constatazione : quella vibrazione alla testa, avvertita appena sveglia era l’allarme del Guardiano. Purtroppo aveva commesso un errore: non avrebbe dovuto evocare la brezza, per quanto fosse leggera.

    Il nemico l’aveva trovata!

    «Ragazzi venite qua.» ordinò mostrandosi calma mentre con un rapido sguardo contava i propri studenti per assicurarsi di averli tutti vicini. L’intero cortile sembrava ormai essersi reso conto dello strano fenomeno.

    «Non preoccupatevi, va tutto bene.» mentì per mantenerli calmi «È un temporale, forse un po’ più grosso del solito»

    Nutriva ancora la remota speranza di sbagliarsi, ma la sensazione di pericolo si faceva sempre più intensa. Come anche la consapevolezza di essere stata localizzata, nonostante la lunga copertura come insegnante. Si era sentita al sicuro e non era preparata a questo sviluppo. Troppi anni di relativa calma l’avevano rilassata fin quasi a farle dimenticare chi lei realmente fosse e ciò che rappresentava.

    Nel frattempo l’intero golfo era stato inghiottito dalle nubi, così come il porto, le colline e il Vesuvio. L’odore pungente di cui ormai l’aria era satura le si insinuò nel naso provocandole una costrizione dolorosa che sfociò in spasmi di tosse, seguiti, in un coro di sofferenza, da quella dei ragazzi. Durò pochi istanti poi sembrò che i bronchi si adattassero al pizzicore e uno stupefatto silenzio si fece strada mentre la tenebra, in progressiva avanzata verso Cordara, immobilizzava qualsiasi cosa sfiorasse. Gli uccelli appena raggiunti cadevano al suolo fissi nell’ultimo frullare d’ali in fuga, i gatti, congelati nell’atto di balzare in cerca di salvezza, così come i cani, bloccati nell’ultimo guaito con la lingua pendente. Le persone, rapite e paralizzate dal fascino arcano dalle ombre incombenti s’irrigidivano nelle più svariate posizioni: fermi in un passo mai concluso, nel gesto di richiamare qualcuno o abbracciati nell’ultimo addio. Tutto era ormai completamente avvolto dalla tenebra, ancora pochi minuti e Cordara sarebbe del tutto scomparsa. Solo l’edificio scolastico non era stato ancora raggiunto.

    Insegnati e ragazzi, superato lo sbigottimento dell’anello minaccioso che li circondava, caddero in un panico incontrollato.

    capitolo 3

    Candia, consapevole di essere la causa di quanto stava accadendo, avrebbe voluto poter fuggire trascinandosi dietro la minaccia, qualunque conseguenza personale potesse derivarne, ma era troppo tardi, erano circondati. Il Nemico voleva lei: le altre persone erano solo strumenti per raggiungere il suo scopo, pedine innocue e marginali di un piano più vasto.

    La Flesi, disperata, si sforzò di escogitare una strategia difensiva, ma senza risultati, inoltre doveva concentrarsi sui suoi ragazzi e grazie all’apparente calma che ancora simulava, riuscì a tenerli calmi; quelli delle altre sezioni, invece, spinti dal panico, scappavano disordinatamente, seguiti dalle loro insegnanti che, benché sconvolte, tentavano di radunarli, finché furono tutti inghiottiti dall’oscurità, immobilizzati come statue, molti abbracciati nell’ultimo istante di terrore. Candia vide Lara avvolta dal buio mentre stringeva sé una ragazzina di prima media che le affondava il viso nel petto e lo sguardo impotente e rassegnato che le rivolse prima di cadere vittima dell’oscurità le spezzò il cuore. Quando le volute scivolarono inesorabili all’interno degli edifici scolastici, capì che rifugiarsi tra quattro mura sarebbe stato come chiudersi in una trappola mortale, così incitò gli studenti a correre verso il campo di calcio, dove ordinò «Statemi vicino, nessuno si allontani!»

    «Ma cos’è quel buio Prof?» le chiese Andrea affannato.

    In quel momento cruciale Candia non poteva dilungarsi nel segreto che nascondeva da tanto tempo perciò semplificò: "È una forza malvagia che avanza, una manifestazione del Male, ma voi siete con me e non permetterò che ci catturi.»

    «Non lo voglio qui! Non voglio che ci prenda! Facciamo qualcosa!» strepitò l’esile Cinzia stringendo i pugni e affatto intimorita.

    «Hai ragione piccola, purtroppo però il Male esiste e va tenuto a bada. A volte è vicino a noi e sembra vincere, ma c’è sempre qualcuno che si alza per lottare, come tenteremo di fare anche noi.

    «E come prof?» continuò Cinzia, gli occhi castani fermi e fissi in quelli neri di lei come a volerla sfidare.

    Candia, pur scossa da quell’insolita aria indagatrice, prese spunto da quella domanda per rivolgersi a tutti «Ascoltami bene: c’è ancora una possibilità! Ma dovete essere forti, coraggiosi e avere fiducia in me. Farete esattamente ciò che vi chiederò?»

    «Sì prof, sì!» risposero in coro con una disponibilità che in altre circostanze l’avrebbe spinta ad abbracciarli commossa uno a uno.

    «Allora, presto, in cerchio attorno a me!»

    «Un girotondo? Ci vuoi distrarre con un gioco?» chiese Cinzia perplessa e piuttosto indispettita.

    «Cara, il cerchio è una figura di potere: è la forma della vita. Fai come dico senza esitare» quindi, mentre i ragazzi si disponevano rapidamente in tondo, si mise al centro e aggiunse: "Ora non fissate l’oscurità, tenete lo sguardo su di me finché non vi darò altre istruzioni. Dovrete essere ben saldi perciò a braccia tese afferrate il polso dei vostri due compagni a lato.»

    Una rapida occhiata confermò che tutti avevano seguito l’ordine.

    «Ecco, ora che la doppia presa è solida non mollatela per nessuna ragione finchè non ve lo dirò io. Non abbiate paura e continuate a guardare me!»

    L’anello scuro si avvicinava restringendosi inesorabile, in pochi attimi sarebbe stato loro addosso. Candia inspirò, era arrivato il momento, doveva farlo.

    «Adesso dovrete pronunciare una cosa speciale.»

    «Come una frase magica?» domandò sconcertato Kino, il più minuto.

    «Una parola. Una sola parola che può bloccare le ombre se usata correttamente e inizierai proprio tu, » e poi continuando con la ragazzina accanto «poi tu e poi tu e tu... Ognuno di voi dovrà esclamarla un po’ più forte finché l’ultimo la urlerà con tutta la sua voce. Capito? Quando tutti avrete fatto la vostra parte, al mio cenno dovrete concentrarvi sull’oscurità oltre il compagno di fronte a voi. Succederà qualcosa, ma non spaventatevi.

    «Che succederà poi?" volle sapere Kino perplesso sfregandosi con due dita il lobo l’orecchio con una smorfia.

    «Mantieni la presa!» lo riprese subito Candia allarmata «Ciò che farò allontanerà la minaccia, spero, ma è una cosa che non può essere anticipata o suggerita, deve venire dal cuore. Un giorno capirai. Ma non perdiamo tempo, terminata la sequenza con MaryJo, dovrete tendere le mani con i palmi rivolti verso di me: così...» e mostrò il modo

    «Siamo pronti prof.»

    "Kino, la parola è: NO!»

    «No!» cominciò lui un po’ stupito dalla semplicità del comando.

    «No!» continuò l’alunna a fianco.

    «No!» fu il turno di un altro.

    «No!» fece eco Cinzia stringendo con forza i polsi degli amici ai lati trasferendo in modo inconscio il proprio coraggio.

    Il No corse rapido sempre più sicuro a sfidare il Buio. Dapprima lentamente le nubi rallentarono la loro avanzata, fino ad arrestarsi quando ormai stavano per sfiorare le schiene dei ragazzi. Poi con un movimento appena percettibile iniziarono a ruotare lungo il senso dei no per proseguire, sempre più velocemente e diventare un turbine nero che in breve sferzò violento attorno agli studenti, costretto a scorrere senza toccarli. L’odore di ozono e il vento irritavano gli occhi e le mucose, ma il momento critico richiedeva la massima concentrazione, così con inusuale responsabilità nessuno spezzò la presa. In mezzo al cerchio, a gambe leggermente divaricate, stava ritta la loro insegnante con le palpebre socchiuse in strette fessure.

    Mi hai trovato, ma forse sono io che ho trovato te. pensò con un’espressione dura scolpita sul viso mentre il mantra dei ragazzi proseguiva sicuro.

    Quando infine fu il turno di MaryJo, lei con tutta la sua voce, i riccioli scompigliati dal vento impetuoso e con un coraggio che sorprese persino se stessa, urlò oltre il fragore «NO!»

    Il circuito venne finalmente chiuso e la Flesi ripeté «Guardate il buio di fronte a voi! Adesso! E ora allungate le mani nella mia direzione!»

    Tutti allora fissarono l’ammasso di nebbia scura con un’incredibile sicurezza, quindi sciolsero la stretta ai polsi e protesero con decisione i palmi. La presenza ostile fu così svincolata dalla rotazione e spinta contro Candia mentre il gruppo strillava spaventato ma risoluto. La minaccia si avventò sulla Flesi.

    Lei, sorridendo, allargò le braccia e i lunghi capelli corvini le si scostarono dal viso scossi insieme al resto del corpo da una brutale violenza. E più il vento infuriava, più lei irremovibile e serena, girando adagio su se stessa, lo accoglieva facendosi avvolgere. Per un istante sembrò che la tenebra la inghiottisse. Il suo sguardo era mutato, ora ferino e sicuro, del tutto diverso da quello della tranquilla professoressa conosciuto dai suoi studenti. Poi con un movimento fluido, abbassò i gomiti i lungo i fianchi e girò le mani all’insù; le dita distese e la fronte aggrottata per l’intensa concentrazione. Trascorsi alcuni secondi in quella posizione, spinse con vigore i palmi verso l’alto con un unico lacerante grido a fendere le ombre compatte: «SÌ!»

    Il nemico si contorse in un risucchio che lo ridusse a un fusto turbinate. La sua energia, imprigionata in uno spazio troppo ristretto, prese allora a pulsare in scariche azzurrine sempre più frenetiche, finché il precario equilibrio interno si ruppe scatenando un assordante boato. Gli alunni, tappandosi le orecchie, si chinarono su se stessi in cerca di sollievo da quel fragore insopportabile. In quel momento il terreno ebbe un sussulto violento e improvviso che li scagliò sull’erba in posizioni scomposte. Poi la colonna nera si squarciò esplodendo contro il cielo in minuscoli frammenti.

    capitolo 4

    E il Bambino di luce apre gli occhi: la Necessità si è risvegliata, un vincolo si è formato, adesso sa cosa fare. Con il suo potere infinito accoglie l’oscurità sfrecciante verso di sè. Le sue piccole braccia fatte di bagliori si fanno immense e l’accolgono, la schiacciano riducendola a un granello sospeso nella mano e, con un sorriso luminosissimo, la scaglia nelle più remote profondità degli abissi del Nulla.

    Il Bambino Onnipotente ha imparato qualcosa. Molto altro lo apprenderà crescendo, ma il tempo non gli manca e il filo luminoso che lo lega alla Guardiana, sua Creatrice, lo sorregge sicuro.

    capitolo 5

    Il chiarore si fece strada dove prima era solo tenebra e la vita riprese dall’attimo in cui si era interrotta, come se niente fosse accaduto. Qualcuno si stupì per l’orologio che segnava l’ora sbagliata, marinai e pescatori si sorpresero di essere all’improvviso in un altro tratto di mare. Nessuno ricordava nulla e per imbarazzo, per timore o per incredulità, tutti preferirono non approfondire gli strani eventi. Il giorno dopo qualche giornale avrebbe relegato la notizia nelle pagine interne attribuendo i discordanti racconti al caldo e alle allucinazioni di massa. Solo i ragazzi della professoressa Flesi, avrebbero tenuto per sempre nella memoria ciò che successe esattamente quel mattino, ma rimase un loro segreto. Turbati e ammaccati si alzarono

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