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Che figura di merda
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Ebook122 pages1 hour

Che figura di merda

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“Che figura di merda”. Una frase pronunciata in un fuorionda del 2003 da Emilio Fede, conduttore del Tg4. Un’esclamazione con cui chiunque nella vita si è trovato a fare i conti: per onnipotenza, superficialità, convinzione di poterla fare franca, invidia. Sentimenti, tutti, con cui Emilio Fede si è confrontato nella solitudine degli arresti domiciliari vissuti nella sua casa di Milano e terminati a primavera 2020 per l’accusa di favoreggiamento alla prostituzione nel caso Ruby bis. In questo libro, che ha la forza della rivendicazione e l’immanenza del congedo, Emilio Fede ripercorre la sua esistenza. L’infanzia, l’amore per l’informazione, il vizio del gioco, l’incontro con Berlusconi, il successo, il Bunga Bunga, la caduta, l’emarginazione, i ricordi, che possono lenire o possono bruciare. Emilio Fede, in queste pagine, immagina il suo funerale. Chi non lo ha fatto? Cerca negli altri la traccia da lui lasciata come professionista e come uomo. Non si discolpa, non chiede pietà, accetta l’ingratitudine, che tuttavia lo ferisce. Parla di perdono, implorato, concesso, auto concesso, auspicato. Conosce e riconosce le sue debolezze, la sua imperfezione, che per un naturale istinto di provocazione diventano vanto. Non vuole piacere, il ruolo di personaggio scomodo e antipatico ai più non lo fa sentire a disagio. Vuole solo essere creduto. Rammenta il forte legame con Silvio Berlusconi. Tra orgoglio e nostalgia, rivela aneddoti della sua lunga carriera, raccontando così l’Italia del Novecento, quella del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro, quella della morte del piccolo Alfredo nel pozzo di Vermicino. Racconta la Tv prima del sensazionalismo. Vagheggia, lascia volutamente punti oscuri, confonde. Un po’ per incuriosire il lettore, un po’ perché nella dimensione del ricordo l’esistenza di chiunque subisce alterazioni. Emilio Fede sa di essere sulla via del tramonto, perché a non mentire è l’età, che rende sinceri.

 
LanguageItaliano
Release dateApr 10, 2020
ISBN9788861558250
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    Che figura di merda - Emilio Fede

    Emilio Fede

    CHE FIGURA DI MERDA

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

    info@giraldieditore.it

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    ISBN 978-88-6155-825-0

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2020

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Saper perdonare...

    Introduzione

    Quando ero ragazzo, per racimolare pochi centesimi per comprare i dolci dall’unica pasticceria del paesello, San Piero Patti sulle montagne in provincia di Messina, andavo a piangere i defunti. Era, infatti, usanza dalle mie parti aggiungere al coro del dolore dei familiari anche il pianto di altri che non conoscevano il defunto. Tutto per qualche spicciolo che poi i parenti ti regalavano e che puntualmente andavo a spendere prima del calar del sole. Erano però poi scapaccioni sonori da parte del nonno perché rientravo tardi. Ed io per scusarmi: Nonno, non ho sentito le campane dell’Ave Maria, che era il richiamo del tardo pomeriggio. Dopo quell’ora, dovevo rientrare. Allora sentenziava burbero ma affettuoso: La prossima volta presta più attenzione.

    Così ai primi rintocchi, la corsa per rientrare attraverso i vicoli. Badando bene a salutare la figlia dell’unico calzolaio, Peppina, della quale ero invaghito.

    Quando hanno deciso di spedirmi dai nonni materni a Barcellona Pozzo di Gotto, con Peppina fu un addio fra le lacrime.

    Ricordo i miei compagni che mi dicevano: …ora che diventi cittadino, mandaci una cartolina.

    Ancora lacrime mentre il pullman un po’ sgangherato affrontava la curva stretta con l’immagine del mio paese che si allontanava e riuscivo a stento a vedere lo sventolio dei fazzoletti di chi era rimasto.

    A casa, a San Piero Patti, ci sono poi tornato quando mio padre ci ha lasciati per sempre. Quella morte mi ha segnato. Ricordo la banda che suonava la marcia, la bandiera del circolo operaio, le preghiere oltre il mortorio. Queste immagini rimangono impresse nel mio sguardo.

    Da quel giorno è cresciuta in me la curiosità di sapere che cosa avrebbero detto ai miei funerali. Come mi avrebbero ricordato? E ho riflettuto sul fatto che molti vorrebbero sapere cosa si dirà di noi quando saremo passati a miglior vita.

    Lo stesso vale per me.

    Una curiosità mista a paura che ha ispirato questo libro.

    Io assisto al mio addio e nell’immaginario leggo e interpreto cosa si dice sull’uomo e sul giornalista Emilio Fede. Immagino di osservare un corteo affollato di personaggi, noti e meno noti, che dovrebbero ricordarmi. Ricordarmi non soltanto per il Bunga Bunga, ma per le centinaia di esperienze che ho vissuto, per i grandi nomi che ho incontrato sul mio cammino professionale, per il lavoro che ho fatto. Non per il Bunga Bunga.

    E tento di costruire un incontro con quanti si sono riuniti e sfilano per darmi l’ultimo saluto. Racconto di persone, di amici, di lacrime anche vere, mentre il corteo si muove, si unisce, si disunisce. Racconto di un passato che ha dato la mano al presente che vive in vicende storiche. Da San Piero Patti a Barcellona Pozzo di Gotto. Poi a Roma. Poi a Torino. Infine a Milano.

    Cambiata l’età. Cambiata la scena.

    Tutto è diventato il racconto di questo libro. Forse anche l’ultimo. Ho scritto dodici volumi per Mondadori. Uno per Marsilio, uno per Bietti. E l’addio con Giraldi Editore.

    Queste pagine si muovono fra polemiche, accuse, difese, amori. E soprattutto raccontano dei tanti anni con lui. Con il Presidente. Con Silvio. Cene. Feste. Natali. Capodanni.

    La prima domanda che mi sento fare quando vado in giro è:

    Ma tu, con lui, ti senti ancora?

    Lo vedi ancora?

    E il tormento si replica.

    Ti ha cercato? Lo hai chiamato?

    Per favore...!

    Sono stato interrogato a Palermo per ore da Nino Di Matteo, un accorto Pm con fascicoli di centinaia di pagine davanti.

    Dove era il giorno tale all’ora tale? Non ricordo.

    Non mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Piuttosto, considerata l’età, di non ricordare.

    In questo libro – che forse sarà l’ultimo della mia fatica di giornalista – c’è innanzitutto impegno ed onestà contro la malvagità. La lotta all’invidia e ai rancori. E c’è, soprattutto, tanto amore. C’è la sfida al tempo inesorabile che giorno dopo giorno tenta di ricordarti il percorso che è uguale per tutti. Come il traguardo.

    Quanto ai misteri non c’è che l’imbarazzo della scelta. Così come le cene eleganti. Un grande salone, tavolo ovale. Menù rigorosamente patriottico, tra cui antipasto mozzarella, pomodoro e basilico.

    Scorrono qui le più importanti pagine di storia del giornalismo italiano e internazionale. Il rapimento di Aldo Moro, il 16 marzo del 1978, da parte delle Brigate Rosse, e la strage di via Fani. I miei viaggi con Moro in Israele, ricevuti dall’allora ministro degli Esteri Abba Eban e il ministro della Difesa Moshe Dayan. L’incontro sull’isola di Djerba quando, parlando del futuro governo allargato alla sinistra, Moro mi disse sottovoce: …mi fermeranno prima.

    C’è la visita nel deserto del Neghev e l’albero a me dedicato piantato nel bosco in cui vengono ricordati gli amici di Israele.

    C’è la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino, il 13 giugno del 1981.

    Vedo, riconosco, racconto. Ci sono un po’ tutti. Mancano quelli che, stremati, mortificati nella loro onestà, per scelta si sono tolti la vita nella cella di isolamento. O in casa con un colpo di pistola. O in carcere in attesa del primo interrogatorio, con la testa chiusa in un sacchetto di plastica, come Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni dal 1989 al 1993, che si suicidò nelle docce del carcere di San Vittore. E un breve messaggio: "Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non

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