Che figura di merda
By Emilio Fede
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Che figura di merda - Emilio Fede
Emilio Fede
CHE FIGURA DI MERDA
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ISBN 978-88-6155-825-0
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2020
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Saper perdonare...
Introduzione
Quando ero ragazzo, per racimolare pochi centesimi per comprare i dolci dall’unica pasticceria del paesello, San Piero Patti sulle montagne in provincia di Messina, andavo a piangere i defunti
. Era, infatti, usanza dalle mie parti aggiungere al coro del dolore dei familiari anche il pianto
di altri che non conoscevano il defunto. Tutto per qualche spicciolo che poi i parenti ti regalavano e che puntualmente andavo a spendere prima del calar del sole. Erano però poi scapaccioni sonori da parte del nonno perché rientravo tardi. Ed io per scusarmi: Nonno, non ho sentito le campane dell’Ave Maria
, che era il richiamo del tardo pomeriggio. Dopo quell’ora, dovevo rientrare. Allora sentenziava burbero ma affettuoso: La prossima volta presta più attenzione
.
Così ai primi rintocchi, la corsa per rientrare attraverso i vicoli. Badando bene a salutare la figlia dell’unico calzolaio, Peppina, della quale ero invaghito.
Quando hanno deciso di spedirmi dai nonni materni a Barcellona Pozzo di Gotto, con Peppina fu un addio fra le lacrime.
Ricordo i miei compagni che mi dicevano: …ora che diventi cittadino, mandaci una cartolina
.
Ancora lacrime mentre il pullman un po’ sgangherato affrontava la curva stretta con l’immagine del mio paese che si allontanava e riuscivo a stento a vedere lo sventolio dei fazzoletti di chi era rimasto.
A casa, a San Piero Patti, ci sono poi tornato quando mio padre ci ha lasciati per sempre. Quella morte mi ha segnato. Ricordo la banda che suonava la marcia, la bandiera del circolo operaio, le preghiere oltre il mortorio. Queste immagini rimangono impresse nel mio sguardo.
Da quel giorno è cresciuta in me la curiosità di sapere che cosa avrebbero detto ai miei funerali. Come mi avrebbero ricordato? E ho riflettuto sul fatto che molti vorrebbero sapere cosa si dirà di noi quando saremo passati a miglior vita.
Lo stesso vale per me.
Una curiosità mista a paura che ha ispirato questo libro.
Io assisto al mio addio e nell’immaginario leggo e interpreto cosa si dice sull’uomo e sul giornalista Emilio Fede. Immagino di osservare un corteo affollato di personaggi, noti e meno noti, che dovrebbero ricordarmi. Ricordarmi non soltanto per il Bunga Bunga
, ma per le centinaia di esperienze che ho vissuto, per i grandi nomi che ho incontrato sul mio cammino professionale, per il lavoro che ho fatto. Non per il Bunga Bunga
.
E tento di costruire un incontro con quanti si sono riuniti e sfilano per darmi l’ultimo saluto. Racconto di persone, di amici, di lacrime anche vere, mentre il corteo si muove, si unisce, si disunisce. Racconto di un passato che ha dato la mano al presente che vive in vicende storiche. Da San Piero Patti a Barcellona Pozzo di Gotto. Poi a Roma. Poi a Torino. Infine a Milano.
Cambiata l’età. Cambiata la scena.
Tutto è diventato il racconto di questo libro. Forse anche l’ultimo. Ho scritto dodici volumi per Mondadori. Uno per Marsilio, uno per Bietti. E l’addio con Giraldi Editore.
Queste pagine si muovono fra polemiche, accuse, difese, amori. E soprattutto raccontano dei tanti anni con lui. Con il Presidente. Con Silvio. Cene. Feste. Natali. Capodanni.
La prima domanda che mi sento fare quando vado in giro è:
Ma tu, con lui, ti senti ancora?
Lo vedi ancora?
E il tormento si replica.
Ti ha cercato? Lo hai chiamato?
Per favore...!
Sono stato interrogato a Palermo per ore da Nino Di Matteo, un accorto Pm con fascicoli di centinaia di pagine davanti.
Dove era il giorno tale all’ora tale? Non ricordo.
Non mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Piuttosto, considerata l’età, di non ricordare.
In questo libro – che forse sarà l’ultimo della mia fatica di giornalista – c’è innanzitutto impegno ed onestà contro la malvagità. La lotta all’invidia e ai rancori. E c’è, soprattutto, tanto amore. C’è la sfida al tempo inesorabile che giorno dopo giorno tenta di ricordarti il percorso che è uguale per tutti. Come il traguardo.
Quanto ai misteri non c’è che l’imbarazzo della scelta. Così come le cene eleganti. Un grande salone, tavolo ovale. Menù rigorosamente patriottico, tra cui antipasto mozzarella, pomodoro e basilico.
Scorrono qui le più importanti pagine di storia del giornalismo italiano e internazionale. Il rapimento di Aldo Moro, il 16 marzo del 1978, da parte delle Brigate Rosse, e la strage di via Fani. I miei viaggi con Moro in Israele, ricevuti dall’allora ministro degli Esteri Abba Eban e il ministro della Difesa Moshe Dayan. L’incontro sull’isola di Djerba quando, parlando del futuro governo allargato alla sinistra, Moro mi disse sottovoce: …mi fermeranno prima
.
C’è la visita nel deserto del Neghev e l’albero a me dedicato piantato nel bosco in cui vengono ricordati gli amici di Israele.
C’è la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino, il 13 giugno del 1981.
Vedo, riconosco, racconto. Ci sono un po’ tutti. Mancano quelli che, stremati, mortificati nella loro onestà, per scelta si sono tolti la vita nella cella di isolamento. O in casa con un colpo di pistola. O in carcere in attesa del primo interrogatorio, con la testa chiusa in un sacchetto di plastica, come Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni dal 1989 al 1993, che si suicidò nelle docce del carcere di San Vittore. E un breve messaggio: "Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non