CONCERTO una notte come questa
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CONCERTO una notte come questa - Laura Zoe Pace
LP
PRESENTAZIONE
Non ci si deve mai illudere di aver dato alla propria vita delle solide fondamenta, perché la vita in un attimo si può prendere tutto. Uscita da una brutta esperienza, Laura si ritrova circondata da affetti e situazioni che non sono più quelli di un tempo. Le persone che la circondano sembrano cambiate, il mondo stesso sembra cambiato. L’unico appiglio è la sua creatività, alla quale si aggrappa per ritornare a vivere. Ma a sbarrarle la strada si presentano dubbi provenienti dal passato, insicurezze mai superate, vicende governate da chi si sta approfittando della situazione per il proprio tornaconto.
Attorno a lei, Paola, la sua compagna, Mary, amica e amante di un tempo, Emma, fondatrice del suo fan club affrontano i propri fantasmi, inseguono i propri sogni, combattono per se stesse e per lei. Ma nessuna di loro, compresa Laura, potrà mai vincere la battaglia se non lascerà andare qualcosa, se non sarà disposta a perdere tutto.
È questa una storia di donne che parla alle donne: un concerto di musica generata dal suono della loro fragile e coraggiosa esistenza.
LZP
CAPITOLO 1
RUMORE FORTE E INDISTINTO
1.
Verso la fine di giugno, dopo quasi un mese di caldo torrido, sopraggiunsero i primi temporali estivi. La calda stagione era arrivata in anticipo, con la sua appiccicosa umidità, e la pioggia anziché rinfrescare non fece che peggiorare la situazione. Quando Paola tornò da New York, dopo sei mesi di assenza, fu accolta da una calura soffocante e da esuberanti zanzare di cui non aveva mai, neppure per un attimo, sentito la mancanza. Appena mise il naso fuori dall’aeroporto, si rifugiò nella sua auto e anche se stanchissima si mise alla guida. Non era tanto per la sua innata attitudine a esercitare un attento controllo su tutto, ma solo per avere la priorità sulla regolazione del condizionatore. Lo mise infatti al massimo e partì per tornare a casa.
Al suo fianco, un uomo dall’aspetto robusto, e per certi versi bello e virile, stava a braccia conserte tentando di ripararsi lo stomaco dal freddo ed evitare così una congestione.
«Hai freddo Mike?»
«No, cosa te lo fa pensare? Solo perché qui ci sono dieci gradi e io sono in maniche corte?»
«Hai sentito che caldo c’è fuori?»
«Sì, appunto… fuori. Comunque è estate. Capita a volte che ci sia caldo.»
«Non così.»
«Sì, ma non è che devi raffreddare l’intera città con la tua macchina.»
«Quanto esageri…»
Paola guardò dallo specchietto la figlia che riposava nei sedili posteriori. La ragazzina stava dormendo riparata da una coperta di cotone leggero. Nel vederla tranquilla, proseguì mantenendo costante la temperatura dell’abitacolo.
Come parcheggiò nel giardino di casa, sentì provenire dalla sua destra un grande sospiro di sollievo. Lasciò però correre, ormai del tutto catturata dalla felicità di essere arrivata. Spense l’auto e una volta scesa si avviò stancamente verso il baule.
Lo sguardo a terra concentrato sui suoi passi pesanti le impedì di accorgersi della gran quantità di begonie rosse e gialle che, rigogliose, ostentavano la propria vanità dai portavasi appesi ai davanzali. L’erba, verde come pittura fresca brillante, era stata tagliata da poco. Era stato Mike a dare disposizioni al giardiniere. Il prato dava la sensazione di essere morbido e di potersi stendere per abbandonarsi a un benefico riposo; cosa che Paola avrebbe fatto volentieri. Invece, completamente assorta nel prendere dalla macchina le numerose valigie, non si accorse di nulla e non diede alcuna soddisfazione all’uomo che si era prodigato nell’allestire il lussureggiante benvenuto.
Un paio di timidi colpetti sui finestrini la fece sobbalzare. Alzò lo sguardo quel tanto che bastava per vedere Flora all’interno dell’auto. Sua figlia era rimasta immobile, con l’espressione di una che si sente in colpa per essere di peso, in attesa che qualcuno l’aiutasse a scendere. Paola la osservò allibita: com’era possibile che si fosse dimenticata della figlia?
Si rese conto che pure Mike, intento ad aiutarla con le valigie, si era scordato che i sedili posteriori dell’auto ospitavano il motivo della loro lontananza da questo paese. Appena si accorse della situazione, l’uomo si precipitò ad aprire la portiera, affannandosi in scuse, come se quell’incombenza fosse di sua responsabilità.
Paola lo lasciò fare, era così spossata da non trovare nell’immediato la forza di reagire. Nella battaglia contro la malattia di Flora era stata un’incrollabile guerriera, ma ora sentiva il peso dell’armatura che non era ancora riuscita a togliersi. Tutto il dannato mondo era di nuovo sulle sue spalle. O almeno, questa era la sua sensazione.
Lo stato di prostrazione in cui si trovava non le impedì, tuttavia, di cogliere lo sguardo della figlia che era rimasto incollato al suo, anche quando Mike le aveva fatto segno di aggrapparsi al braccio per scendere. Era uno sguardo di richiesta quello di Flora. Desiderava che sua madre, ora che erano tornate, non smettesse di occuparsi di lei, che non la lasciasse sola. Paola ci mise un po’ a decifrarlo. Quando colse quel muto ma eloquente dialogo, andò da Mike e si rivolse a lui con gentilezza.
«Grazie Mike, l’accompagno io. È un momento importante per noi.»
Eccome, se lo era. Quando erano partite per New York, avevano lasciato tra quelle quattro mura mucchi di sogni improvvisamente infranti, tanta angoscia e preoccupazione per l’avvenire. Madre e figlia, dopo aver scoperto che quest’ultima soffriva di una rara malattia cardiaca, avevano passato un periodo in cui all’orizzonte non compariva mai il loro futuro. Avevano vissuto concentrate nel difficile compito di addomesticare i pensieri, in modo che fossero sempre ancorati al presente o al massimo al giorno dopo. Ora quella brutta parentesi della loro vita era finita.
Paola realizzò che se non ci fosse stata Laura con loro a regalare momenti di caritatevole svago, sarebbero morte di crepacuore. Malgrado la notizia della malattia di Flora l’avesse distrutta, la sua compagna aveva completamente messo da parte se stessa e passando sopra al proprio dolore si era dedicata a tirar su di morale tutta la famiglia.
Mentre avanzava con Flora sottobraccio, a passi lenti, Paola sentì una stretta di nostalgia e le venne da piangere. Aveva pensato a Laura ogni secondo del suo lungo viaggio di ritorno. Non le sembrava vero che fosse arrivato il momento di rivederla.
Tentando di trattenere le lacrime, cercò istintivamente Mike. In quei mesi era stato il solido fusto su cui si era aggrappato il suo corpo quando dal pianto si faceva fragile. La sensazione era che lui, in qualche modo, potesse rifornirla di forza. Era stato il suo personale distributore di serenità.
Adesso, però, era un’altra situazione. Ce l’avrebbe fatta a fare a meno di lui?
Paola lo guardò di sfuggita, percependo anche da lontano la sua delusione per essere stato messo in disparte in un’occasione così importante. Doveva però essersi rassegnato, oppure nutrire una forte speranza, perché dai suoi movimenti e dalla sua espressione appariva triste, ma determinato a proseguire in ciò che stava facendo.
2.
Paola si chiese se non stesse tirando troppo la corda con lui. Forse doveva concedergli qualcosa di più. Durante il soggiorno americano si era più volte posta la questione e solo in questo momento si rese conto di non averla ancora risolta: era rimasta impigliata tra le sue cose e se l’era portata con sé, assieme alle valigie.
Ora che si trovava finalmente a casa, prossima a rivedere la sua compagna di vita, la situazione le apparve però molto chiara: Mike andava tenuto al suo posto. A New York si era aggrappata a lui senza alcuno scrupolo, ben consapevole che trattandosi di una condizione temporanea non stava mettendo le basi per nessuna vita futura. In fondo era stato un reciproco scambio: lui era stato accanto alla donna che amava e lei aveva avuto un sostegno costante.
Tuttavia, adesso, doveva porre maggior cautela nel loro rapporto. Le abitudini iniziali si sarebbero potute protrarre per sempre, come una specie di imprinting che poi sarebbe stato doloroso rinnegare. Era una lezione che Paola aveva imparato a sue spese. Il rischio era di trovarsi, senza volerlo, su una strada voluta da altri, magari contraria al proprio senso di marcia. E mai come in questo momento la donna non voleva correre un simile rischio.
Procedendo a testa bassa, con Flora a braccetto che a sua volta la sosteneva, Paola ebbe la sensazione di calpestare la freccia che indicava il percorso voluto dal destino. Quello cioè che l’avrebbe portata ad allontanarsi da Mike per ricongiungersi a Laura.
Pochi passi ed entrarono in casa. Flora iniziava ad ansimare, perciò Paola la fece accomodare sul divano e si sedette lì accanto, sfinita. Mike le raggiunse subito dopo con le prime valigie.
«Mi ero dimenticato del profumo di questa casa,» disse l’uomo, una volta entrato, respirando a pieni polmoni.
Paola lo guardò sorpresa, perché quello era stato anche il suo primo pensiero. Provò pure un certo fastidio, e ci volle un attimo per capire a cosa fosse dovuto. Il suo timore più grande era che Mike, una volta a casa, si comportasse come se loro fossero compagni di vita. Si rese conto che l’uomo l’aveva appena fatto, impadronendosi di una sensazione che non spettava di diritto a un ospite di passaggio. Che ne sapeva lui del profumo della loro famiglia?
Ebbe però la lucidità, malgrado la stanchezza, di trattenersi dal ribattere. Prima di allora Mike non era mai stato di troppo, i suoi commenti non erano mai sembrati fuori posto. Realizzò, in un momento di sincera introspezione, di non aver mai provato per lui alcun sentimento di avversione finché le era servito. Neanche quando oltrepassando i limiti dell’amicizia aveva sfiorato quelli dell’invadenza. Paola gli aveva lasciato credere che quell’intimità fosse gradita. Ma non era così. L’aveva capito solo adesso. Perciò avrebbe voluto pagare il conto e liberarsi in fretta di chi le aveva elargito la prestazione.
Allo stesso tempo, non poteva negare che Mike era stato importante per la sua stabilità psichica e fisica. Era stato grazie alla sua presenza se era riuscita a dormire per qualche ora di fila, consapevole che se fosse successo qualcosa a Flora lui l’avrebbe svegliata. Oppure a concedersi qualche bagno rilassante nella vasca con l’idromassaggio presente nell’appartamento in cui avevano convissuto. Ora, però, il piatto della bilancia carico dei sentimenti ostili che provava per lui pendeva rovinosamente verso il basso.
Non fece neppure in tempo a realizzarlo che Mike le si avvicinò con un bicchiere d’acqua per Flora. Paola non era riuscita ad alzarsi per prenderlo ed era proprio ciò che serviva a sua figlia, in quel momento di affanno.
«Grazie Mike,» disse soltanto.
La stanchezza. La stanchezza è nemica dei sentimenti e della sincerità. In preda alla stanchezza si accetta a volte di non combattere, di non dire, di non esporsi. Si teme di non avere le forze per sostenere l’onda d’urto dei sentimenti altrui, i quali, esplodendo, potrebbero andare in mille pezzi. Per tener fede a ciò che provava, Paola avrebbe dovuto congedarlo, seppure con gentilezza. Sarebbe stata la cosa più corretta e onesta anche se avrebbe infranto, almeno al momento, i sogni del suo fedele accompagnatore.
Invece lei, che si sentiva ammaccata come se fosse stata travolta da uno schiacciasassi, appena Mike ebbe finito con le valigie gli disse:
«Ti fermi ancora con noi vero? C’è la dependance pronta per te. Non sentirti in obbligo, ma se rimani ci fa davvero piacere».
Paola ci aveva messo tanta convinzione nel dirlo. Non per convincere lui, ma per convincere se stessa che stava facendo la cosa giusta. All’improvviso, Mike che si avvicinava con il bicchiere d’acqua le era sembrato, ancora una volta, la salvezza di tutti i suoi mali, passati e futuri, ed ebbe paura di perderlo.
«Lo farò volentieri, Paola. Rimarrò fino a quando avrete bisogno di me.»
3.
Il rapporto tra Paola e Mike aveva avuto uno sviluppo importante durante il loro soggiorno americano. Anche se all’inizio la donna aveva accettato che Mike la raggiungesse oltreoceano per sola convenienza, con il tempo si ritrovò ad ammettere di sentirsi bene accanto a un uomo che si prendeva cura di lei.
Paola era andata a New York per sottoporre sua figlia Flora a un delicato intervento al cuore. La ragazza soffriva di una rara patologia di cui erano venute a conoscenza casualmente. Nessun sintomo si era mai manifestato in lei e se la preadolescenza con la sua ventata di ribellione interiore non l’avesse spinta a insistere con sua madre per iscriversi a calcio, nessuno l’avrebbe mai scoperta. I controlli accurati a cui si sottoponevano le giovani calciatrici avevano individuato l’anomalia elettrica del cuore e le avevano permesso di curarsi e di vivere.
Dopo questa triste scoperta, avevano passato un periodo relativamente tranquillo. Flora, non potendo più dedicarsi ad attività sportive intense, si era limitata a tirar calci al pallone contro il muro o a palleggiare con Laura, quando quest’ultima non era in tournee. In quei momenti Paola amava sedersi sugli scalini che davano sul giardino a osservarle, crogiolandosi nel piacere di avere accanto quelle due splendide creature e felice di provare per loro un amore che, sorprendendola, le sembrava costante e inesauribile. Non poteva certo sospettare quello che sarebbe accaduto più tardi.
Un repentino aggravarsi delle condizioni di Flora l’aveva fatta partire d’urgenza, nel gennaio di quell’anno. Laura stava finendo il tour e Paola aveva insistito che rimanesse in Europa, per tener fede ai suoi impegni professionali. Erano da poco venute fuori da un periodo artistico un po’ grigio, per via della condotta irregolare di Laura, dedita più al bere che al cantare. Di conseguenza, in quel momento, per non rischiare di buttare all’aria tutti gli sforzi era fondamentale che non facesse saltare alcun concerto.
La malattia di Flora non era tuttavia l’unica sventura che Paola si sarebbe ritrova ad affrontare in quel periodo. Dopo quasi un mese di soggiorno in America, ricevette infatti una chiamata che le avrebbe cambiato non poco la vita.
Era il 12 febbraio dell’anno in corso. A New York nevicava senza sosta da quasi una settimana. Quel giorno però aveva smesso. Paola uscì dall’ospedale incamminandosi sulla strada ricoperta di neve, alla ricerca di un locale dove poter mangiare qualcosa di diverso dal solito snack. La situazione e il trambusto di quella trasferta forzata le avevano tolto l’appetito ed era dimagrita non poco. Qualche sera prima, davanti allo specchio, si era preoccupata. Si era accorta che il seno svuotato era leggermente caduto e qualche ruga di troppo si era impadronita del suo viso, come un avvoltoio affamato di giovinezza, togliendole un bel po’ di quella freschezza che le abbonava almeno dieci anni. Nessuno le aveva mai dato la sua vera età e tutti si stupivano quando diceva di avere quarantatré anni. Adesso però non poteva più vantarsi del bonus che senza alcuno sforzo le era sempre stato concesso dalla vita. Le preoccupazioni e il dimagrimento l’avevano fatta invecchiare. Per questo si era imposta di non saltare più nemmeno un pasto.
Prima di ricevere la chiamata, Paola stava sorridendo alla cameriera intenta a prepararle un sandwich con patatine fritte. Avrebbe poi cercato un tavolo tranquillo dove sistemarsi per collegarsi ai social e seguire il concerto di Laura, come faceva sempre quando dall’altra parte dell’oceano la sua compagna si esibiva. Quel pomeriggio però, degli amici di famiglia di Laura l’avevano riconosciuta e l’avevano trattenuta per parlare dell’affermazione della ragazza in Europa. Paola non se l’era sentita di tagliare corto. Erano due persone gentili, inoltre le procurava non poco piacere discutere del successo di Laura, di cui lei stessa era artefice, e sfruttare l’occasione per far notare (ormai lo faceva con chiunque) che negli Stati Uniti nessuno si era degnato di prenderla in considerazione.
«Comunque verremo a New York abbastanza presto, tutte assieme. Flora sarà seguita da un cardiologo in Italia, ma Dave vorrà di sicuro rivederla.»
Paola aveva concluso così, rivolgendosi a Stephany, fidanzata di Nathan, una specie di cugino di Laura, nipote della nuova compagna di suo padre. Viso acqua e sapone, di una bellezza semplice ma forse troppo comune, Paola aveva capito subito che nutriva per la cantante un profondo affetto. In quei pochi minuti in piedi, la ragazza era riuscita a raccontarle del periodo in cui aveva lavorato con lei nello studio di Dave. Così le aveva confidato che Laura era regolarmente in ritardo, ma a parte quello, l’allegria che portava laddove la gente spesso piangeva e l’impegno che ci metteva nel portare a termine qualsiasi compito le venisse dato le avevano fatto guadagnare la sua profonda stima. Mentre l’ascoltava, Paola si era ritrovata a pensare che se Stephany avesse avuto più tempo e anche un po’ più di coraggio sarebbe arrivata a confidarle di essersene perfino innamorata. Quando le aveva riferito del loro futuro viaggio negli States, infatti, la ragazza si era illuminata e si era raccomandata di essere avvisata per avere il tempo di darle una degna accoglienza e magari organizzare un party in suo onore. Ma questo bellissimo sogno rimase sul ciglio di una porta socchiusa, incapace di muovere un passo verso il mondo. Ciò che accadde in quell’istante non lasciò alcuna speranza di realizzarlo. Almeno, non subito.
Paola appoggiò con delicatezza una mano sul braccio di Stephany, scusandosi di doverla interrompere. Aveva sentito il telefono suonare e aveva buttato un occhio per capire chi la stava chiamando, pronta a non rispondere, per non mancare di rispetto ai suoi amici. Il nome del tour manager di Laura che chiamava a quell’ora però le fece scattare un campanello d’allarme.
Phil era un omone di colore, dall’aria bonaria. Paola l’aveva scelto oltre che per le referenze notevoli anche per la stazza che sembrava in grado di proteggere il mondo senza troppa fatica. E se riusciva a difendere il mondo, figuriamoci Laura, esile come un giunco e alta forse la metà di lui. Con Phil si sentiva di solito a fine concerto, per il resoconto della serata. Paola si aspettava sempre che qualcosa andasse storto, ormai certa di non potersi fidare di nessuno. Finora, però, Phil si era comportato egregiamente. Cosa poteva essere accaduto per chiamarla a neanche metà serata?
«Scusatemi…» disse Paola, con i brividi che scendevano e salivano sulla schiena in blocco, come fossero su un ascensore impazzito, «dev’essere successo qualcosa».
Come rispose, Paola dovette scostare il telefono dalle orecchie perché le urla in sottofondo sembravano volerle trapanare il timpano. Una voce che pareva lontanissima cercava di trasmettere delle informazioni con parole convulse e incomprensibili.
«Phil! Phil! Cristo! Calmati! Non sento niente. Ti vuoi spostare e dirmi che succede?»
Con voce stridula, continuamente interrotta dal respiro in affanno, il grande Phil riuscì a riferirle cosa stava accadendo.
«Sparano, sparano… alla gente… oddio… devo trovarla… non vedo Laura… Non la vedo, Paola!»
Poi doveva essergli caduto a terra il telefono ancora acceso, mentre scappava. Paola non sentì più la sua voce, ma solo grida e parole reiterate in francese, inglese e italiano, segnali inequivocabili di una situazione completamente fuori controllo.
Paola rimase attaccata al microfono, sperando che Phil tornasse a recuperare il telefono. Ma non accadde.
Nell’istante in cui la linea si interruppe, e con essa anche le poche speranze di avere subito qualche notizia, Paola si buttò tra le braccia dei suoi amici. Scoppiò a piangere, sentendo per la prima volta nella vita quanto inutile potesse diventare in un attimo l’essere umano. Pensò che pure Phil, con quella corazza di bonaria competenza ed efficienza non aveva potuto far nulla. Anche lui era stato inutile di fronte a un male così inaspettato. All’improvviso le si pararono davanti le migliaia di chilometri che la separavano da un evento mostruoso, già ormai appartenente alla storia della sua vita. Le salì una rabbia mai provata prima. Come si permetteva il destino di stravolgerle l’esistenza mentre era dall’altro capo del mondo? Com’era possibile che lei non potesse fare niente per la persona che amava?
Fu grazie a queste domande senza risposta che quando vide la chiamata di Mike, un numero imprecisato di minuti dopo, associò immediatamente il suo nome a una sensazione di liberazione. Se era vivo lui, doveva esserlo anche Laura. Mike non avrebbe mai permesso che le accadesse qualcosa.
Quella percezione intensa e positiva, in un tale momento di disperazione, tracciò un solco permanente nel suo cuore, all’interno del quale rimase incastrato il nome di Mike, da quell’istante legato per sempre alla fine di un incubo. Non cambiò aspetto neppure quando l’uomo le diede la brutta notizia:
«È viva, Paola. Ma è caduta dal palco, sembra che abbia sbattuto la testa; ha perso conoscenza e l’hanno portata in ospedale d’urgenza. Potrebbe esserci qualche problema serio, ora non ce lo sanno dire».
«Stai con lei per favore, come se fossi io. Non posso venire via di qui,» l’aveva pregato Paola.
Mike aveva tenuto fede per un po’ all’impegno, mentre a New York Paola era stata accudita da Stephany e Nathan.
La notizia del coma di Laura divenne ben presto ufficiale, mentre lo stato d’animo di Paola si fece sempre più prossimo alla disperazione. Ad aggravare la situazione, c’era il fatto che sua figlia non era ancora fuori pericolo. Diverse complicanze si erano presentate senza fare sconti, come se il suo caso fosse un esempio da riportare nel manuale delle avversità.
Dave si fece carico della sorella, prendendo contatto con i medici che l’avevano in cura e inviando a più riprese specialisti da vari paesi d’Europa. Chiese a Paola di potersene occupare e in breve tempo la situazione ebbe qualche piccolo risvolto positivo.
Fu in quel momento che Mike prese la decisione di raggiungere Paola a New York.
Dal giorno dell’attentato, il chitarrista della band di Laura viveva in uno stato di urgente necessità di vivere. Scampato alla morte grazie all’intervento della polizia che aveva neutralizzato l’uomo armato, Mike aveva deciso di andare a prendersi ciò che mancava alla sua esistenza per poter affermare di averla vissuta pienamente. Quando prese atto che la vita è una sola e che la sua si sarebbe potuta concludere senza mai aver baciato la donna di cui era da tempo innamorato, decise che quello era un sogno da realizzare al più presto. Per prima cosa, però, avrebbe dovuto trovare il modo di starle vicino senza la presenza della sua compagna. Aveva perciò approfittato del coma in cui era disgraziatamente caduta Laura, per raggiungere Paola oltreoceano.
Il giorno del trasferimento di Laura alla clinica del risveglio in Italia, Mike telefonò all’amica discografica.
«Ora che Laura verrà trasferita, io vengo a New York.»
Paola però non si era mostrata d’accordo.
«Preferirei che rimanessi con lei.»
«Posso cercarti qualcuno che stia con lei. Non cambia molto che ci sia io o qualcun altro. Se le manchi tu, Paola, a lei manca il mondo.»
Sprofondata in un pozzo di disperazione, Paola non aveva percepito il dolore provocato da quelle parole. Il suo cuore era ormai paccottiglia informe, anestetizzato solo da un unico pensiero: peggio di questo poteva esserci solo la morte e a quel punto sarebbe stata un sollievo. Paola sentì l’esigenza di avere qualcuno accanto. E Mike, il suo nome, la sua voce e la sua presenza le diedero una parvenza di serenità; lieve, soffocata dal dolore, non desiderata, ma c’era.
«Va bene Mike. Vieni. Ho bisogno di te.»
In nessun altro modo e in nessun’altra circostanza, Mike sarebbe potuto entrare così intimamente nella vita della donna.
4.
Incamminandosi verso l’ospedale, Paola respirò a fondo l’aria fresca del mattino. Sulla pelle, il caldo tepore dei primi raggi di sole le procurava un insolito piacere. Le cellule del suo corpo sembravano risvegliarsi ad una ad una da un lungo sonno. E i sensi, rinvigoriti dall’improvvisa percezione di