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Un anno in Russia con l’Armir. Aprile 1942- Aprile 1943
Un anno in Russia con l’Armir. Aprile 1942- Aprile 1943
Un anno in Russia con l’Armir. Aprile 1942- Aprile 1943
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Un anno in Russia con l’Armir. Aprile 1942- Aprile 1943

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Manlio Monticelli fu direttore dell'Ospedale Militare da Campo 837 in Russia dall'aprile del 1942 all'aprile del 1943. Durante tutto il periodo tenne un "Diario di guerra" nel quale registrò in modo scrupoloso le vicende della sua unità al seguito delle truppe italiane, prima del CSIR e poi dell'ARMIR, da Sugres fino a Millerovo. L'estate, l'autunno e poi a dicembre lo sfondamento sovietico della linea del fronte con il lungo assedio di Millerovo e le dolorose tappe della ritirata. Il racconto dettagliato di quel periodo termina il 6 aprile del 1943, giorno del suo ricovero, per congelamento alle gambe, nell'Ospedale di riserva n° 10 di Leopoli. Qui ebbe modo di completare il suo scritto con le ultime notizie dal fronte, alcune considerazioni e un commento finale sulla Campagna di Russia. Un documento inedito che entra nel dolore quotidiano dei soldati italiani di fronte alla battaglia, lo sbandamento, la ritirata, la fuga.
LanguageItaliano
Release dateMar 16, 2020
ISBN9788832281231
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    Un anno in Russia con l’Armir. Aprile 1942- Aprile 1943 - Manlio Monticelli

    Breve introduzione storica

    Vittorio Zincone, nell’introduzione al testo Hitler e Mussolini. Lettere e documenti (Rizzoli – 1945), cerca di spiegare perché l’Italia di Mussolini ha partecipato alla Seconda guerra Mondiale a fianco della Germania. Secondo Zincone il rapido assoggettamento della politica estera italiana a quella tedesca non si può comprendere se non si tiene conto che per l’Italia una interruzione o soltanto un forte rallentamento dei rapporti economici con la Germania sarebbe stato un disastro nazionale dal momento che tra i due paesi, Italia e Germania, esisteva una profonda complementarietà di produzioni e di scambi economici che si era sviluppata quando i grandi imperi territoriali, Russia, Stati Uniti, Francia e Impero Britannico, si erano chiusi dentro altissime barriere protezionistiche, cementate da sanzioni.

    Mussolini e Hitler avevano poi tra loro un punto di contatto: entrambi avevano il desiderio di fare cose grandi, la tendenza a vedere i problemi politici come lotte di ideologie più che fra potenze, e a sentire quindi la guerra come un fatto rivoluzionario.

    Nell’agosto del 1939, con l’annessione improvvisa dell’Austria e della Cecoslovacchia da parte di Hitler, l’egemonia tedesca comincia a disegnarsi con contorni molto preoccupanti ed è in questa atmosfera di larvata tensione tra i due paesi che nasce a Milano l’alleanza militare del Patto d’Acciaio. Per Mussolini il Patto rafforzava la sua determinazione rivoluzionaria che lo portava a schierarsi contro i governi e le classi dirigenti delle democrazie borghesi occidentali verso le quali nutriva una feroce avversione.

    Un mese dopo, l’attacco attuato da Hitler con la Russia alla Polonia spinge Francia e Inghilterra a dichiarare guerra alla Germania. È l’inizio della Seconda guerra Mondiale

    Mussolini dice di non essere pronto e chiede all’alleato un periodo di neutralità.

    Tutte le forze politiche italiane erano contrarie ad un intervento del nostro paese a fianco della Germania. Era contraria la Chiesa, la Casa Savoia, lo erano i grandi industriali e gli intellettuali, lo era la borghesia in genere. Ma erano contrari anche alti gerarchi fascisti e i capi responsabili delle forze armate che non si nascondevano le disastrose conseguenze cui l’Italia sarebbe stata esposta priva com’era di ogni armamento moderno.

    Hitler intanto non si ferma e dopo aver occupata la Norvegia occupa il Belgio, l’Olanda e la Francia. Il suo scopo è la conquista di tutta l’Europa per unificarla sotto il dominio tedesco, prospettiva che toglieva il sonno a molti italiani e anche a Mussolini che teme che, una Germania legata alla Russia, possa gravitare presto, pericolosamente, verso il sud del continente.

    L’ossessionante desiderio di tenere i tedeschi lontani dal Mediterraneo lo spingono così ad iniziare azioni di guerra isolate prima in Albania, poi in Grecia, in Iugoslavia e in Africa. Guerre disastrose per l’Italia che segnarono la fine dell’Impero e l’asservimento dell’esercito italiano a quello tedesco.

    Nel giugno del 1941 Hitler attacca i sovietici e Mussolini deve pagare il conto per l’aiuto che gli è stato dato in Grecia e in Africa.

    Invia le sue truppe in Russia ma l’esercito italiano non è una forza militare in grado di combattere una guerra moderna. Non ha carri armati di tipo pesante, non armi anticarro di calibro discreto, pochissime artiglierie moderne, insufficienti mezzi di trasporto. Noi facciamo una guerra da proletari scrive Mussolini a Hitler.

    La conseguenza di questo è che … all’esercito italiano vengono affidati compiti secondari di occupazione e di rastrellamento dei territori occupati e, dove italiani e tedeschi si trovano insieme sui campi di battaglia, ai primi tocca sempre la parte del fante medioevale, adoperato e all’occorrenza sacrificato in funzione delle esigenze del prezioso e corazzato cavaliere.

    Il Prof. Manlio Monticelli, direttore dell’Ospedale da Campo 837 in Russia dall’aprile del 1942 all’aprile del 1943, nel suo Diario di guerra registra in modo scrupoloso le vicende, del suo Ospedale al seguito delle nostre truppe da Sugres fino a Millerovo, il lungo assedio di questa città, le dolorose tappe della ritirata.

    Il racconto dettagliato di quel periodo termina il 6 aprile del 1943, giorno del suo ricovero, per congelamento alle gambe, nell’Ospedale di riserva n° 10 di Leopoli.

    Qui lo completerà con ultime notizie dal fronte, alcune considerazioni e un commento finale sulla Campagna di Russia 1942-43.

    LA PARTENZA

    28 marzo 1942

    Ricevo l'ordine di richiamo per mobilitazione.

    29/31 marzo 1942

    Mi presento all'Ospedale militare di Bologna dove mi si comunica di essere stato assegnato a dirigere in Russia l'Ospedale da Campo n.837.

    1/6 aprile 1942

    Trascorro le Feste di Pasqua in famiglia nei preparativi per un viaggio così nuovo e importante per me e per i miei cari.

    Saluto parenti e amici.

    7 aprile 1942

    Lascio Rimini.

    8/10 aprile 1942

    Sosto a Bologna per gli ultimi preparativi militari.

    11 aprile 1942

    Parto per la Russia.

    VERSO IL FRONTE

    12 - 22 aprile 1942

    Il giorno dodici lascio l’Italia.

    Sono con me il Capitano medico Ortolani di Ferrara, già mio compagno di studi all'ospedale Gozzadini di Bologna, il Sottotenente farmacista Nannini di Bologna, i Sottotenenti d’artiglieria della Torino Samolla di Rimini e Narducci di Torino. Si canta e si scherza tra noi: sembra di essere tornati studenti. Il viaggio in treno è ottimo per allegria e cameratismo.

    Si passa per Tarvisio. Le Alpi meravigliose risplendono al sole.

    Attraversiamo l’Austria che, fino a Vienna è piena di montagne, di boschi e di piccoli paesi pulitissimi. Le case austriache sono variopinte, con molto legno e con il tetto spiovente: sono proprio belle da vedere.

    Comincia a scomparire la neve.

    A Vienna dormo in un grande albergo, il Continental, che sicuramente ha ospitato nei decenni passati tanti nemici dell'Italia.

    Il giorno dopo visito la città in compagnia di piccoli uccelli che camminano nei viali, indisturbati, a passeggio con i cittadini.

    Vedo il Ring, il Belvedere, il Prater con la grande ruota, le montagne russe e gli altri divertimenti, costeggio il Danubio, il famoso Danubio blu con il grande e maestoso ponte di ferro, attraverso la piazza dedicata al Principe Eugenio di Savoia, un eroe italiano, e vedo il monumento all'Ammiraglio Teghetoff, artefice della nostra disfatta di Lissa. Visito anche la meravigliosa cattedrale di S.Stefano.

    Vienna deve essere stata un tempo una bella città ma ora mi viene da paragonarla ad una famiglia nobile, decaduta che mostra molta dignità nel far fronte alle difficoltà del momento. Molti sono gli ebrei che vanno in giro con una targa sul petto su cui è scritto Jude.

    Si riparte per la Russia. Attraversiamo l’Austria, la Slovacchia e la Polonia in zone poco abitate e poco fertili con grandi boschi e varie miniere e giungiamo a Cracovia.

    La Polonia è una nazione talmente devastata dalla guerra da offrire spettacoli così penosi da renderci subito tristi e pensierosi.

    La città di Cracovia ha i segni delle distruzioni causate dai bombardamenti e la sua popolazione ha uno sguardo atterrito, tragico. Molti sono gli ebrei che vediamo per strada, poveri, e con bracciali di riconoscimento. Un odio feroce contro i tedeschi qui è palese.

    Andiamo ad ascoltare la Messa della domenica dopo Pasqua in Cattedrale. La funzione è molto commovente: i Polacchi presenti, tutti vestiti a lutto, mostravano di aggrapparsi alla religione come all’ultima ancora di salvezza nella loro Patria distrutta.

    Cantava una donna e faceva piangere anche noi con il suo canto.

    Anche a Leopoli lo stato di miseria è evidente. Ovunque incontriamo mendicanti, moribondi per fame o scorbuto, bambini che invocano pane, ragazze di tredici o quattordici anni che battono il marciapiede.

    Vado a vedere il ghetto ebraico. Qui ogni notte vengono deportati o fucilati ebrei e non ebrei. L'odio contro i tedeschi è feroce.

    I tedeschi in Polonia stanno commettendo delle stragi orribili, su popolazioni inermi, per puro odio di razza. Tutti gli italiani presenti a Leopoli parlano molto male di loro e aiutano i polacchi come possono. Mi dicono anche che i russi, quando due anni fa occuparono la Polonia, furono molto indulgenti verso le classi più povere ma deportarono tutti i ricchi e si accanirono contro i cattolici.

    Nevica e fa freddo. Le grandi stufe polacche, i pavimenti di legno, le doppie finestre sono qui proprio di grande utilità durante l'inverno.

    Riprendiamo il nostro viaggio.

    Vediamo tracce di neve nei campi e distruzioni di guerra nei centri abitati. Passiamo per Przemysl, famosa città fortificata.

    Fastow è il primo paese russo che incontriamo. E' un piccolo paese sporco, senza strade, con case piccole di terra e paglia: le isbe. La popolazione sembra di indole buona e i bambini sono belli anche qui, come in tutte le parti del mondo.

    Dormiamo nella stazione e prendo parte qui ad un formidabile concerto di russatori dato da duecento militari in una sala d'aspetto di terza classe!

    Il giorno seguente attraversiamo l’Ucraina e arriviamo a Dniepropetrowsk. Lastroni di ghiaccio galleggiano sul Dnieper, un fiume più grande del Danubio.

    Mentre di notte siamo ancora in stazione, ci coglie qui il primo allarme aereo e il primo bombardamento. Ognuno di noi reagisce a modo suo di fronte al pericolo, a me assale un brivido nervoso e un forte malessere, come un mal di mare. Andiamo poi tutti a dormire in baracche situate appena fuori dalla stazione con il pericolo di essere presi in pieno dalle bombe.

    Al mattino seguente vado in giro per questa importante città industriale con centinaia di case e decine di fabbriche completamente distrutte e visito il cimitero di guerra italo-tedesco.

    Il primo nucleo importante di italiani che incontriamo dopo la partenza dall'Italia è presso l'Ospedale di riserva n°1, un Ospedale, completo di tutti i servizi. Il morale è ottimo in tutti loro. Apprendo di stragi compiute dai tedeschi contro gli ebrei e specialmente contro i vecchi, le donne e i bambini che obbligavano a scavarsi da soli la fossa, prima di fucilarli !

    Mi dicono che qui si trova l'Ospedale da Campo 874 e mi ci reco per salutare il Cap. Cristiani di Modena e il Tenente Sarti di Cesena che mi accolgono fraternamente. Credevo che gli Ospedali da Campo fossero tutti in prima linea e in pericolo continuo, sotto le tende o nelle caverne invece ne trovo uno a più di 500 chilometri dal fronte e sistemato nel bel fabbricato di una scuola.

    Saluto il sottotenente farmacista Nannini, che aveva l'assegnazione per quel reparto, e proseguo il viaggio con il Capitano Ortolani di Ferrara e i Sottotenenti Samolla di Rimini e Narducci di Torino.

    23 Aprile 1942

    Un treno ospedale tedesco, diretto al fronte per prendere i feriti, ci ha portati oggi fino a Jassinovatoia.

    Il viaggio è stato lungo ma ottimo. Abbiamo attraversato immense distese di territorio coltivato a grano e a girasoli, con molti mulini a vento e visti tanti i treni, durante tutto il percorso, pieni di reparti organici completi, di soldati che andavano a casa o che venivano dalla licenza, di feriti, di ammalati, di prigionieri, di donne deportate in Germania, di operai. C’erano Italiani, Tedeschi, Polacchi, Rumeni, Ungheresi, Slovacchi e Russi su quei treni.

    Subito dopo il mio arrivo mi presento alla Direzione di Sanità del Corpo di Spedizione

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