Albert Camus: A sessant’anni dalla morte
By Massimo Borghesi and Simone Bocchetta
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Book preview
Albert Camus - Massimo Borghesi
Massimo Borghesi – Simone Bocchetta (edd.)
Albert Camus
A sessant’anni dalla morte
«Studium» è una Rivista bimestrale
Direttori emeriti: Vincenzo Cappelletti, Franco Casavola
Direttore responsabile: Vincenzo Cappelletti
Comitato di direzione: Francesco Bonini, Matteo Negro, Fabio Pierangeli
Coordinatore sezione on-line di Storia: Francesco Bonini
Coordinatori sezione on-line di Letteratura: Emilia Di Rocco, Giuseppe Leonelli, Fabio Pierangeli
Coordinatori sezione on-line di Filosofia: Massimo Borghesi, Calogero Caltagirone, Matteo Negro
Coordinamento collana ebook Biblioteca della Rivista «Studium»: Simone Bocchetta, Anna Augusta Aglitti
Copyright © 2020 by Edizioni Studium – Roma
ISBN 978-88-382-4897-9
ISBN: 9788838248979
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
La colpevole innocenza del mondo
Albert Camus, MORALISTA
Storia e trascendenza
Camus e la Toscana
1. Il volto, la vita
2. L’arte toscana, la religione del corpo
3. Le dénuement
: i fiori, la morte
4. Il ritorno, le lacrime
5. Dall’esilio
al regno
: l’ultimo addio
La carezza della sfinge
Il tempo come problema religioso
BIBLIOTECA DELLA RIVISTA «STUDIUM» / 5.
FILOSOFIA / 3.
Massimo Borghesi – Simone Bocchetta (edd.)
Albert Camus
A sessant’anni dalla morte
La colpevole innocenza del mondo
Ricordo di Albert Camus
Massimo Borghesi
Il 14 gennaio 1960 l’automobile guidata da Michel Gallimard si schiantava contro un albero lungo la Nazionale 5, nel tratto Sens-Parigi. Nella vettura, una potente Vacel Vega sportiva, viaggiava anche Albert Camus il quale moriva sul colpo. Si concludeva così, tragicamente, l’esistenza di uno scrittore la cui opera filosofico-letteraria aveva permeato profondamente e fatto discutere a lungo la generazione del secondo dopoguerra. Poco tempo prima di morire, nel dicembre del ’57, aveva ricevuto a Stoccolma il Premio Nobel per la letteratura.
Camus era nato il 7 novembre 1913 a Mondovi in Algeria da una famiglia di modeste condizioni. Il padre, Lucien, morirà nel 1914 nel corso della Grande Guerra; il piccolo Albert rimase con la madre e con la nonna. L’infanzia trascorre tra i quartieri popolari di Algeri, dove la famiglia allora abitava, in un clima di povertà ma anche di spensieratezza e di gioco. Più tardi, ricordando quel periodo, dirà che la povertà «non è mai stata una disgrazia per me: la luce vi spandeva le sue ricchezze» e poi «mare e sole in Africa non costano niente» [¹] . La lezione che ne aveva tratto era quella di una vita posta a metà strada tra la miseria e il sole: «La miseria mi impedì di credere che tutto sia bene sotto il sole e nella storia; il sole mi insegnò che la storia non è tutto» [²] . In questa duplicità, nell’oscillare tra i due poli dell’esistenza, è già prefigurato il motivo che sarà al centro di tutta l’opera di Camus: il sì alla vita nella consapevolezza del limite definitivo rappresentato dalla morte. Su questo connubio, teso e drammatico, di felicità e di morte, peseranno certamente le letture giovanili: il Gide di Les Nourritures terrestres , Jean Grenier di Les Iles , così vicino a Gide, e poi Malraux e Nietzsche con la loro stoica accettazione di un’esistenza in sé priva di senso. Questi autori non solo lo inizieranno alla letteratura ma lo influenzeranno anche in un modo decisivo. È mediante quelle letture che la «religione della felicità» – la quale guarda al mare, al sole e, miticamente, all’Ellade –, si afferma come orizzonte ultimo. La nostalgia della Grecia, confusa con l’ideale mediterraneo
ove la natura benigna conferisce agli uomini l’idea di limite e di misura, è ben presente nella riflessione di Camus. Per questo pagano che ama la terra come la patria definitiva, l’amore alla vita non viene meno neppure dopo l’attacco di tubercolosi che lo colpisce per la prima volta nel dicembre 1930 e lo porrà, drammaticamente, di fronte alla possibilità della sua morte. La malattia, che lo accompagnerà sempre, acuisce anzi in lui la percezione della bellezza, fugace ma splendida, che illumina l’esistere in attimi che paiono eterni.
«Ho desiderato di essere felice, come se non avessi altro da fare»: «Ormai tutto il mio regno è di questo mondo» [³], così scriverà nel 1932. A quegli anni appartiene la stesura de Il rovescio e il dritto e Nozze pubblicati, rispettivamente, nel 1937 e 1939. Nel secondo scritto, un insieme di saggi pervasi da un’ebrezza solare e panica, la felicità risiede per intero in «un giorno di nozze con il mondo» [⁴]. Nello stupendo paesaggio intorno al mare a Tipasa l’incontro tra uomo e natura pare assoluto:
«A Tipasa, io vedo corrisponde a io credo» [⁵], qui «oltre al sole, ai baci e ai profumi selvatici tutto ci sembra futile» [⁶]. È la gioia del sole e del mare, degli odori, del sapore di sale sui corpi cui la natura pare offrirsi nella sua pienezza. La gioventù di Algeri «questo popolo, gettato tutto nel presente, vive senza miti, senza consolazione. Ha messo tutti i suoi beni su questa terra e rimane così senza difesa contro la morte» [⁷]. L’accettazione dell’attimo presente come della «sola volontà che ci sia data in sovrappiù» consegue al rifiuto di una «felicità sovrumana»: «Non vi è eternità fuori del giro dei giorni» [⁸] . Al peccato contro Dio il giovane Camus sostituisce, nietzschianamente, quello contro la vita: esso è dato dallo «sperare un’altra vita» [⁹] , dal sottrarsi all’implacabile grandezza di questa. La curvatura
del destino, cui egli piega l’esistenza, non è per altro l’esito semplice e lineare di una posizione meramente sensualistica. La giustificazione estetica
del mondo presuppone, sulla scia de La nascita della tragedia di Nietzsche, il contrasto tra spirito apollineo e dionisiaco, tra l’assurdità di un mondo senza significato, votato alla morte, e il desiderio inestirpabile di amore e felicità propri del cuore. Il plastico dir di sì alla vita non è allora a tutto tondo ma presuppone un’ascesi, l’accoglimento dell’essere anche nelle sue ombre. C’è sicuramente in questo voler rinchiudersi nel finito, e quindi nel rifiuto camusiano di Dio, non solo un ostacolo di tipo sensistico-razionalistico, ma anche una ribellione metafisica, una rivolta contro la creazione. MaxPol Fouchet ha raccontato che un giorno, passeggiando lui e Camus sul lungomare (avevano 15-17 anni), si imbatterono in un assembramento attorno a un ragazzo arabo ucciso da un autobus. Camus indicando il cielo avrebbe detto: « Vedete, lui tace» [¹⁰] . Molti anni dopo scriverà nei diari: