Mose ed io
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Book preview
Mose ed io - Cristina Bobbio
parte
Prefazione
Una matura scrittrice s’invaghisce di un giovane e affascinante pianista, suo occasionale vicino di casa. I romanzi che la donna scrive narrano storie di musicisti, un modo per sublimare il fallimento di un sogno infantile, diventare cantante lirica. Da una situazione apparentemente senza prospettive Cristina Bobbio trae spunti originali per parlare di memoria e straniamento dal proprio mondo; dell’eterno connubio libertà/egoismo e ricerca dell’equilibrio attraverso il cammino spirituale, che porta a scelte inusuali davanti alle occasioni inaspettate della vita.
Il libro, strutturato come un diario, è anche un luogo per raccontare come nasce un romanzo, sulla scia di On Writing
di Stephen King. Alla domanda «Che cos'è On Writing
?» Stephen King ha risposto: «È il romanzo della mia vita, non perché la mia vita sia un romanzo, ma perché la mia vita è scrivere». Per King le storie esistono già dentro di noi e il compito dello scrittore è quello di liberarle.
Ugualmente l’autrice, attingendo a verità e finzione, coglie l’opportunità per evocare una storia che è di Lucia, la sua protagonista, di se stessa e di tante altre donne che capita d’incontrare nel mondo.
Così Genova, Pallenc di Ayas e Milano offrono i luoghi reali in cui ambientare le vicissitudini di un amore fuori dal comune - che farebbe la felicità di un altro Stephen, Vicinzcey - raccontato per contrasti interiori, esplosioni emotive e tentennamenti che creano una tensione narrativa degna di un giallo, fino all’imprevedibile finale.
Maria Luperini
Omnia vincit amor et nos cedamus amori
Virgilio, Bucoliche X, 69
Premessa
Un diario retrospettivo
Genova, lunedì 13 agosto 2018
Pensando a Mose non posso fare a meno di rivedere il lampo dei suoi occhi verdi da gatto in agguato, leggermente socchiusi. Quando se ne stava immobile pareva un felino sul punto di scattare: questa è la prima immagine che mi balena in mente. Poi vedo una selva di capelli biondo scuro, mossi come la criniera di un leone al soffio della brezza. E la sua bocca, mi piace troppo disegnarla col pensiero. Appena dischiusa lasciava intravedere il biancore dei denti; carnoso il labbro inferiore, più sottile e ben delineato il superiore. Un gatto soriano, visto di fronte; di profilo un leone; un grande orso dalle spalle in giù. Così mi appare nel ricordo. Non posso impedirmi di rievocare le spalle, le braccia, le gambe muscolose di Mose e tutta la sua figura imponente. Ogni tanto ripenso alle mani di lui sulla tastiera del pianoforte, benché ciò mi conduca su un terreno minato. Oggi ho sentito più forte il desiderio di raccontare questa storia, che non ho mai confidato a nessuno. Sei anni fa, esattamente il 13 agosto e proprio di lunedì, è accaduto un fatto che ha cambiato la mia vita. Mi emoziona l’idea di scrivere un diario retrospettivo. Potrei cambiare nomi e luoghi, se in futuro volessi trarne un romanzo; ma in verità non ne ho la minima intenzione. Anzi cercherò di tenere Moscati, il mio editor, totalmente all’oscuro della cosa.
Sono contenta che il bilocale occupato da Mose nel 2012 sia rimasto vuoto in questi sei anni, nonostante le aspettative della mia padrona di casa. Da allora nessuno ha più toccato il vecchio Schulze Pollman. Non c’è dubbio che la presenza di un pianoforte avesse attirato Mose al numero cinque di Vico del Dragone, inducendolo a scalare novantotto gradini alti e stretti per quattro mesi; due rampe di sette scalini per sette piani. Sarò eternamente grata allo Schulze. E’ inoltre probabile che l’assenza di vicini perturbatori della quiete lo avesse ulteriormente convinto a ignorare la fatica dell’ascesa. Una scrittrice over cinquanta e per di più single doveva essergli sembrata del tutto innocua, rassicurante. Per fortuna le cose non sono quasi mai come appaiono.
Mi sento attratta irresistibilmente da quello che secondo la morale comune non andrebbe fatto, o anche solo detto. La mia natura è trasgressiva e refrattaria alle regole, tuttavia lo devo ammettere, difficilmente avrei potuto assecondarla senza un adeguato conto in banca. Col tempo ho preso le distanze dalla sana e laboriosa borghesia che si realizza in un’attività socialmente utile. Le mie origini aristocratiche potrebbero spiegare in parte la fastidiosa sensazione che ogni tanto mi coglie, di essere un pesce fuor d’acqua o vivere nel secolo sbagliato. Niente figli, divorzio a novembre del 2002, lasciato senza rimpianti un lussuoso appartamento vista mare e infine approdata nell’ombra dei caruggi: ecco in sintesi la scheda biografica dei miei primi sessant’anni. Non mi sono più mossa da Vico del Dragone. A un passo dal cielo, tra tetti di ardesia e gerani rossi è cresciuta la passione per la scrittura. E continuo tutt’oggi a narrare storie, malgrado gli alti e bassi e le bufere. Questo diario lo scriverò esclusivamente per te, Mose. Due o tre settimane, un mese, mi prenderò il tempo che occorre. I miei lettori dovranno pazientare fino al prossimo romanzo e il Moscati si rassegnerà. Domani si comincia.
18 agosto
Oggi alla Fiera del Mare i funerali per le vittime del Ponte. Ci sono cresciuta nel quartiere della Foce e ripenso ai morti del 1970, alla furia spaventosa del Bisagno uscito dagli argini. A dodici anni contemplavo da un balcone di Corso Torino l’avanzare dell’acqua e del fango; a sessant’anni mi ritrovo testimone di altre morti. Qui ci si guarda l’un l’altro con facce smarrite. In via Ravecca, alla Sciamadda dove compro la farinata, al mercatino di Piazza Sarzano s’improvvisano conferenze, ognuno dice la sua. Succede quando capita una disgrazia, ma stavolta è peggio, ne siamo tutti consapevoli. E allôa mi penso ancon de ritornâ a pösâ e osse dove ho mæ madonnâ
, dice il canto del vecchio emigrato. Il pensiero di posare le ossa dove ho mia nonna
, nel cimitero di Staglieno, in un momento come questo è addirittura confortante.
Solo cinque giorni fa ero pronta a iniziare, con l’euforia che mi procura sempre la prospettiva di un foglio bianco e di una penna che scorre. Alle dodici di martedì 14 agosto ho sentito gelarsi il cuore e la penna. Soltanto cinque giorni fa. Adesso il bisogno di esorcizzare il pensiero della morte sovrasta ogni altra emozione, e il desiderio di rievocare un capitolo prezioso della mia esistenza diventa ancora più urgente. Voglio mostrarti l’altra parte della luna: non solo i fatti, ma i pensieri e i moti dell’anima. Tutto ciò che finora ho tenuto segreto lo leggerai in questo diario.
Uno
Il vicino di casa
Genova, domenica 19 agosto 2018
C’era un’aria fresca di tramontana quel mattino di marzo del 2012, e cielo terso. Un temporale notturno aveva spazzato via la macaia dei giorni precedenti. Lo ricordo perché mi ero decisa ad affrontare gli ultimi dieci gradini, i più ripidi, per stendere il bucato in terrazza; e al ritorno, con la cesta vuota sotto il braccio, ero quasi finita addosso alla signora Rosina che mi stava cercando. Del tutto insolito che la mia padrona di casa si avventurasse ai piani alti, visto che per raggiungere casa sua al primo piano già faticava e sbuffava. Una ragione forte l’aveva indotta a rinunciare all’uso del telefono. La notizia meritava quell’immane fatica: qualcuno avrebbe occupato il bilocale accanto al mio appartamento, che fino ad allora lei aveva tenuto sfitto per ammucchiarci dei ravatti, cioè mobili vecchi e ogni genere di cianfrusaglie. Unica eccezione il benedetto pianoforte che suo figlio Riccardo non si era mai sognato di aprire. Peccato davvero per quel bel pianoforte. Adesso invece qualcuno lo avrebbe suonato. La signora Rosina aveva abbassato la voce, confidenziale: amici di Riccardo, gente sulla cui onestà sarebbe stata pronta a mettere le mani sul fuoco, l’avevano pregata di affittare il bilocale, in via amichevole, a un professore del Paganini; pianista, compositore o qualcosa di simile, non aveva capito