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Gioie medievali: racconti e note
Gioie medievali: racconti e note
Gioie medievali: racconti e note
Ebook134 pages1 hour

Gioie medievali: racconti e note

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About this ebook

Nei racconti sono narrate gioie medievali: contemplazione, guarigione, lotta dell’amore contro il potere.
Ma è nelle note che avviene l’apocalisse: i cieli si arrotolano, le terre si spalancano. Il lettore stenta a credere. Se il Medioevo fosse un film, è in queste “Gioie medievali” che troverebbe la sua scenografia.
Con due mappe disegnate a mano dall’autrice.
LanguageItaliano
Release dateFeb 27, 2020
ISBN9788869244841
Gioie medievali: racconti e note

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    Gioie medievali - Liana Maccari

    Gioie medievali

    Racconti & Note

    Liana Maccari

    Gioie medievali

    EDIZIONI SIMPLE

    Via Trento, 14

    62100 Macerata

    info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it

    ISBN: 978-88-6924-484-1

    Realizzato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand

    Via Trento, 14 - 62100 Macerata

    Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.

    Prima edizione: febbraio 2020

    Copyright © Liana Maccari

    Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.

    INDICE

    GIOIE DELL’ANNO 800

    Contemplazione d’Irene

    Festa di San Martino

    Deformitas segno di Dio

    La vera icona

    L’elefante di Carlo Magno

    GIOIE DELL’ANNO MILLE

    Il sano Ubaldo

    La gran Costanza d’Altavilla a Jesi

    Il Delfino bizantino prigioniero a Treia

    RACCONTO DELL’APOCALISSE

    La vendetta della Montagna

    NOTE MEDIEVALI

    Contemplazione d’Irene

    Irene

    Territori bizantini

    Festa di San Martino

    Pollentia

    Burgo Monticle, Trea Jana

    Pitino

    Festa di San Martino

    Carlo Magno

    Albino Aboricum

    Deformitas segno di Dio

    Pipino il Gobbo

    Ludovico il Pio

    Angilberto

    Italia

    I nomi geografici medievali

    Il fiume Rhenum

    Il clima del Medioevo

    Vita di Angilberto

    Milano

    Ragazza di Novana

    I Franchi

    Franchi Salii

    Franchi Ripuari

    Faramondo

    I Merovingi

    Altitudine di Troyes

    I Goti

    La vera icona

    La rotta

    Santa Chiara

    L’elefante di Carlo Magno

    L’elefante di Carlomagno

    Gli elefanti di Annibale

    Il coccodrillo

    Parigi come Milano

    Belgium et Ricina

    Il delfino di Costantinopoli prigioniero a Treia

    Corrado d’Antiochia

    Antiochia

    Il sano Ubaldo

    Sant’Ubaldo

    Federico Barbarossa

    I re taumaturghi

    Milano 2

    Porto

    Cassero

    Urbe

    I terremoti

    Dante

    Cistercensi da Cisterna

    Napoleone a Tolentino

    La gran Costanza d’Altavilla a Jesi

    Federico II

    La vendetta della Montagna

    L’Apocalisse

    Sparare particelle ovvero il Bosone di Higgs

    Storia del laboratorio del Gran Sasso

    E a nessuno gliene fregò un cazzo

    Gioie dell’anno 800

    Contemplazione d’Irene

    Si chiamava Irene, che voleva dire Pace, ma tutti la chiamavano Irene, nel secondo significato del termine, per dire giovane, e questo fino ai venti anni.

    A sedici anni lasciò Atene per andare sposa a Leone IV, che divenne Imperatore, a Bisanzio, e lei dovette abiurare il culto delle immagini.

    Era giovane, aveva meno di venti anni. E pace!

    Quando rimase vedova aveva ventotto anni e dovette usare ogni energia, per reggere lo scettro, stretta nelle dorate fasce imperiali insieme al figlio Costantino VI, bambino, di cui era reggente.

    Lo aveva partorito nella sala del trono del palazzo imperiale, perché fosse chiaro che si trattava di un imperatore. Era cresciuto religioso, cristiano, devoto come lei.

    Eppure tra Costantino e la madre le cose cominciarono ad andare male, quando Irene che era nata ad Atene si accorse che il figlio disprezzava le fondamenta classiche dell’impero bizantino, il culto dei valori e delle virtù greco-romane.

    Ogni immagine dell’antichità: Sofia la Saggezza, venerata nella più grande chiesa mai costruita al mondo, Irene la Pace, e poi la Verità, la Filosofia, le statue di Aristotele, il grande pensatore, e Platone, il grande politico, Esculapio dio della Medicina, portavano in sé il significato di un’evoluzione umana, di cui il Cristianesimo era il compimento, il vertice, la cupola di copertura, il collegamento con il cielo, con l’unico e grande Dio, che aveva scritto infinite parole nel libro della natura e della storia.

    Nell’anno 800, in nome di suo figlio, combatteva per frenare l’avanzata degli arabi guidati da Maometto, che erano diventati un popolo inarrestabile.

    Quei cammellieri e beduini si erano dati una religione nuova e uno stile di vita.

    Essi erano ora monoteisti e dicevano di venerare il solo Dio. Nessun idolo tolleravano, nessuna immagine, neanche quei quadri o quelle statue che invece a Bisanzio si veneravano, dicendo che fossero immagini del solo Dio.

    In realtà, come tutti sapevano, erano antiche statue di dei.

    Essi dicevano che il paganesimo non era stato estirpato dal cristianesimo, aveva solo travestito le sue immagini, per cui ora tutte le immagini di idoli maschili come Zeus, erano spacciate per immagini di Dio, tutte le immagini di giovani dei, come Esculapio, erano venerate come immagini di Cristo, tutte le immagini femminili, come la dea Iside, con in braccio il piccolo dio Horus, erano considerate delle madonne, ma in realtà si trattava di antichi idoli che ridevano diabolicamente dei nuovi nomi falsi.

    Così l’imperatore Costantino, provocato dai musulmani, ragazzo com’era, cadde nella trappola della loro austerità senza segni e senza storia, senza idee e senza icone e volle obbligare i cristiani al culto di un Dio invisibile e impensabile, proibendo tutte le immagini. Le statue e i quadri vennero distrutti in enorme quantità. Tutta l’arte antica fu abbattuta, bruciata e frantumata. Si salvarono solo rari oggetti che presero la via dei clandestini. Col furore di un ragazzo si diede all’Iconoclastia, la distruzione delle immagini, destinata a prevalere nei secoli.

    Irene, con profonda fede e autentica gioia, venerava invece le più sacre immagini della Madonna, tra cui l’Icona, che era stata disegnata in Siria, da San Luca, davanti alla stessa Madonna, dopo che aveva patito a morte la crocifissione e la resurrezione del Figlio, dopo la stupefacente sorpresa della Pentecoste, e dopo che i suoi occhi si erano alzati a seguire l’Ascensione al cielo.

    Irene con gioia contemplava la sacra icona, vedendola muovere gli occhi da Dio al mondo e si rappresentava la vita di quell’incomparabile creatura, negli anni successivi ai vangeli, quelli vissuti appoggiandosi al nuovo figlio Giovanni, che Gesù stesso le aveva raccomandato sulla Croce.

    Ora la reggia risuonava di ordini distruttivi, dove sentiva solo l’acuta crudeltà del ragazzo.

    La santa immagine dipinta dal vero, di Maria, quella avrebbe dovuto distruggere?

    Attorno a lei, nella corte, si riunirono tutti i fedeli delle immagini, sbalorditi, temendo per l’anima e per la vita.

    Il complotto fu presto realizzato. Le sue guardie arrestarono Costantino. La madre lo fece condurre nella sala dove lo aveva partorito e gli disse: Gli occhi di chi non vuole più vedere il vero volto della Madonna, non vogliono vedere più niente. Lì lo accecò.

    E di nuovo gli parlò e gli disse: Così anche ti accontenterò. Tu potrai salvare la tua anima, poiché d’ora in poi crederai, senza vedere le immagini, proprio come hai desiderato.

    Nessun altro poteva regnare al posto di suo figlio, così, per carità di madre, regnò lei, la prima e sola imperatrice donna. I più saggi e sofisti del suo impero avrebbero potuto trovarci da ridire ma non lo fecero.

    Lo fece però uno zotico, barbaro, ignorante re di Franchi, là in occidente: il figlio di Pipino, colui che aveva rubato il trono al suo re.

    Si diceva che il nonno, Carlo Martello, avesse preso accordi con gli arabi, e persino che questo Carlo Magno fosse musulmano egli stesso, travestito da Franco. Ignorava la lingua della ragione e della fede, il greco, e quando parlava il suo latino germanico, gutturale e scempiato, nessuno lo capiva. Non sapeva né leggere né scrivere. Tuttavia aveva un maestro di latino per le figlie femmine, chissà perché. Comunque, non capiva nulla di Greco!

    Di lui non esistevano immagini, se non una con lunga barba bianca, ma doveva avere solo una trentina di anni. O una cinquantina? Le notizie impiegavano decenni per arrivare. Era certamente un musulmano travestito.

    Informato e consigliato dai suoi sofisti aveva detto: Una donna imperatore, ma fammi ridere! Mica siamo bambini che diamo retta alla mamma. Qua, vorrà dire che comando io. Dammi il papa, come non si piglia? Gli stucco le mani, gli stucco. Non mi sente? Le orecchie gli stucco. Gli puzza la cosa? Senti, stucchiamogli pure il naso. Così mi potrà proclamare imperatore. Purché lo faccia di idea sua, che gli imperatori mi hanno sempre scocciato.

    L’imperatrice Irene non gli riconosceva diritto di critica, né tanto meno di futuro impero, con matrimoni dei reciproci figli, ma Carlo era corso a Venezia e l’aveva assediata, sloggiando i barbari.

    Irene allora lo riconobbe re di tutti i popoli occidentali, e anche patrizio romano, e perché no? anche re di Roma, che tanto era perduta, per farsi lasciare Venezia bizantina, che valeva molto di più, un grande negozio aperto in Europa e Carlo Magno ci andava tutti gli anni a comprare qualcosa e gli fu venduto di tutto, di tutto, di tutto, dodici elefanti, trenta reliquie di santi e martiri, un sacco di libri che tanto a Bisanzio si bruciavano. Chissà perché li comprava se non li capiva.

    Toccata da questo amore per la saggezza dei libri, in un uomo che da solo stava salvando metà dell’impero dai Sassoni e dagli Arabi e dagli Unni, Irene gli promise infine la figlia.

    Non potendo mandare un ritratto che metà della corte non avrebbe permesso, la inviò per nave, e la seguì da lontano, con attenzione materna: la credevano una principessa albina, (non era anche lui albino?), tutta bianca, chi diceva che non avesse nessun pelo sul corpo, come i maschi ( i Bizantini usavano così), e chi diceva che ce li avesse ma tutti bianchi come la luna. Peccato che quando parlava aveva la voce da uomo. Perciò pensavano che fosse stata data al germanico, che tanto non se ne accorgeva. In ogni cosa coglievano solo l’aspetto manchevole della bellezza, cioè del bene, cioè del significato. Forse perché i Franchi erano del ceppo di Faramondo, l’unico sopravvissuto ai suoi tempi. Era uscito dal crollo del mondo unico illeso, qualche secolo prima. Uno solo si era salvato, ed era Faramondo.

    Irene aveva guardato a lungo il ritratto famoso di quell’uomo: un vagabondo, un allegro mendicante, un epico residuo d’altri tempi, con la cappa tagliata a

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