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Black Star
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Ebook189 pages2 hours

Black Star

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About this ebook


Rufo si muove in una dimensione che va oltre la sinestesia. Comprende presto che il suo modo di sentire è fuori del comune e impara a tacere per tenersi al riparo dai guai. Cresce solo, ma la luce che nasconde è un coefficiente unico, troppo ingombrante perché passi inosservato. Qualcuno si accorge del suo scintillio, mentre travalica indenne gli anni dolorosi della guerra, poi quelli della ricostruzione, spingendosi sino alle soglie di un tempo mutevole, lungo il quale spargere semi di una realtà stupefacente, fino alla Black Star che dalla sua Villa, diffonde luce sui mondi possibili.
 
LanguageItaliano
Release dateFeb 21, 2020
ISBN9788835375418
Black Star

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    Black Star - Ambra Mattioli

    BOWIE

    Introduzione

    Ho scritto di un mondo interiore e di sogni che sono parte dell’essere e del divenire; di scoperte, intenzioni, casualità e nessi dimensionali, di un risveglio di coscienza che radicalizza e ci trasforma.

    Questa è Fantascienza, perché altrimenti non può essere etichettata. Ho preso spunto dai diari di mio nonno Olimpio, per l’ambiente storico, nonché per aver scomodato personaggi realmente esistiti citati col loro vero nome, ma divenuti personaggi di mia invenzione nel romanzo. Olimpio iniziò a lavorare in Italcable nel 1927 all’età di 15 anni, e terminò la sua lunga e brillante carriera ai vertici della stessa azienda nel 1969.

    Il riferimento a Orte e al suo bombardamento viene dai suoi diari, così come quello a Joseph Blake (Black nel romanzo), realmente ufficiale maltese durante la guerra, che divenne poi suo amico fraterno. La mia curiosità nel visitare i luoghi alla ricerca di tracce ancora vive di questi accadimenti, sommati alla mia immaginazione, hanno fatto il resto.

    Non è tuttavia un testo storico, né ha pretesa di esserlo. È un romanzo di fantascienza che nasce per raccontare il mondo visto con gli occhi estesi di un sinestetico molto fuori dagli schemi, e che narra di un contesto le cui vicende subiscono la conversione romanzata propria della mia penna e della mia indole fantasiosa.

    Nel racconto ci sono a parer mio alcuni aspetti interessanti.

    Il primo verte sui ricorrenti crolli di edifici e di strutture descritti nel romanzo ma riferiti al più esteso crollo di una intera società, che ancora per decenni soffrirà degli esiti nefasti di una guerra non vinta. Terremoti emotivi, dubbi, salti nel buio che segnano un’epoca ma anche l’indole intima del protagonista e degli altri personaggi.

    Il secondo si intreccia al primo: il crollo fisico e la sequenza di eventi che ne consegue, sono metafora del crollo degli archetipi 'causa-effetto' presenti nella cultura occidentale e generalmente considerati pilastri del pensiero aristotelico. La moderna analisi quantistica invece, ci suggerisce che il solo atto di osservare altera il prodotto finale dell’equazione. Addentrandoci nella trama della vicenda scopriamo il protagonista alludere a un pensiero non lineare che da un punto centrale si irradia in ogni direzione.

    Il terzo riguarda la tecnologia intesa come deus ex machina, totem moderno e al contempo utopia umana: il desiderio che giunga qualcosa dall’esterno che ci salvi è pericoloso.

    E infine, ce n’è un altro di natura squisitamente letteraria. Si intrecciano due dimensioni parallele che in realtà fanno parte di contesti nettamente separati. Il tempo sgretola la proverbiale consequenzialità e si riavvolge, cambiando il significato stesso dell’azione in un dato contesto. Dal punto di vista della scrittura, trasmettere questa immagine inusuale contenuta nel testo, non è stato semplice. L’andamento è evidente nei dialoghi, espressi dal punto di vista grammaticale al passato, ma che si riferiscono al tempo futuro; frasi che provocano un certo grado di separazione nel lettore e tuttavia sono necessarie, per penetrare nel pensiero a tratti dicotomico del protagonista Rufo.

    Ambra Mattioli

    Presentazione

    Quando un interesse diventa passione? Quando la passione diventa ossessione? Quando l’ossessione si eleva ad arte?

    Ho sposato Ambra nel '90 e so riconoscere i segnali di quando qualcosa bolle in pentola. L’interesse si sposta e lo sguardo cambia; come se le idee, affastellate nella sua testa, decidessero prepotentemente di uscirne. Era l’8 gennaio del 2016. Bowie pubblicò Blackstar. Due giorni dopo lasciò questo mondo per la Villa di Ormen, (la citta di tutti gli uomini). Ambra ci andò centinaia di volte, notte dopo notte, tornando la mattina con una quantità stupefacente di dati, collegamenti e idee.

    Ricordo quale fu il suo disagio interiore. Non tanto chiarire perché avvenisse un contatto ma accettare di porre in essere tutta una serie di comportamenti sussurrati da qualcun altro… e per giunta nei suoi sogni!

    E la passione diventa ossessione. Al risveglio Ambra mi raccontava dettagliatamente quello che le era stato detto e mostrato. Prendeva appunti di continuo, poi cominciò a scrivere, il suo Black Star. Scriveva, componeva e si disperava anche. Per tre anni, fino al 19 gennaio del 2019, giorno in cui è cessato improvvisamente il contatto onirico, così come anche si è conclusa la stesura del romanzo.

    Ambra mi ha detto: Le coincidenze, i déjà-vu, sono orme che mettono in relazione il mondo reale dall’onirico, in cui i sogni rappresentano l’unico collante coerente e rassicurante.

    Gennaro Troiso

    Capitolo 1

    Il bimbo non sa della sua pazzia.

    Si guarda intorno. Nel cortile assolato lui è solo. Fa un passo, due. Corre, salta, rotea su se stesso. Poi si ferma d’improvviso e inizia a ciondolare con la testa, e alza le braccia come a voler imitare un battito d’ali e picchia a terra coi piedi tanto da capire quanto polverone potrà sollevare. Ma in realtà è un imbroglio. Si tratta di un rituale non precisato, di un impulso casuale, che non rappresenta altro se non la reale attestazione di quell’istante. Perché lo fa? Qual è lo stimolo che spinge il bimbo a dimenare le sue estremità, a sperimentare i limiti imposti dalla pesantezza dell’aria al suo moto? Perché si agita nel vano tentativo di addizionare margini di potenzialità al suo giovane corpo? Perché piuttosto non resta fermo, a riflettere sul percorso che il futuro potrà serbargli, o sui compromessi che dovrà accettare una volta adulto, alle scelte che si imporranno alla sua vita?

    Perché è un bimbo!

    Il suo cervello è immaturo ma acquisisce conoscenze a velocità sorprendente. Con il movimento, impara a relazionarsi con l’ambiente esterno. I vincoli che gli impone la gravità, il suo grado di agilità e i tempi di reazione, delineano i marker della sua natura e favoriscono in lui lo sbocciare dell’artista o dell’assassino; ma per il momento è solo un bambino che sperimenta, gioca e mentre lo fa, raffina le qualità del suo sentire. Interconnette la centralità del suo essere, con le infinite periferie del creato e impara a spingersi ben oltre - a volte senza ritorno - gli schemi sociali che ancora non sa riconoscere.

    Perché è un bimbo!

    Nessuno si accorge della sua pazzia. La pazzia nell’infanzia è irrilevante. Un comportamento tollerato, ammantato da un velo di sacrale impunità. Gli adulti sono geneticamente programmati a non farci caso. Se poi nell’adolescenza perdurasse una simile condotta… nessun problema! Diranno che è solo una stravaganza passeggera, tranne poi affannarsi inutilmente quando, una volta giunto alla maturità, il giovane non ripudi spontaneamente ogni posa infantile.

    E all’improvviso, cade.

    Sempre lo stesso bimbo che un attimo prima saltava, correva e si contorceva in quella giostra di atti inconsulti… ecco che sperimenta l’imprevisto! La percezione del dolore innesca combinazioni bizzarre che si fondono e si ricombinano dando luogo a una realtà sensoriale alternativa. I suoi occhi colgono per la prima volta le invisibili proprietà racchiuse nella forma degli oggetti. L’orecchio ascolta e identifica le armoniche sonore di gioia, paura, dubbio. Attraverso le narici lo raggiunge inesorabile l’odore dell’ingiustizia e della falsificazione. Dai polpastrelli, come da potenti radici avvinghiate al sistema nervoso del mondo, può seguire la scia di cicatrici mal sanate e residui di colpi inferti o ricevuti, che emergono da sotto pelle, solo un po’ sbiancati dal tempo.

    Ma il bimbo ancora non sa della sua pazzia.

    E non se ne curerà ancora per molto tempo, a partire da quel cortile assolato; desertico palcoscenico, teatro dell’assurdo, ma fondamentale per la prova generale col mondo. Alla maniera dei bimbi, anche lui assorbirà il nuovo ordine. E non v’è disciplina, neanche un misero suggerimento che potrà indicargli una via alternativa. Senza una guida, egli completerà al pari degli altri, la sua personale danza d’iniziazione, nell’illusione che anche gli altri… tutti gli altri, sentano come lui sente. Ma non è così, perché c’è una trappola dormiente nella sua mente e scatterà quando meno se l’aspetta!

    Capitolo 2

    - È facile da capire. È il vento che scuote i rami secchi di gelo. Poi li batte. Guarda… che li batte! Fino a che la scorza di brina ghiacciata, che sta su da mesi, non si sbriciola di botto e va a cader giù, nel bosco, in mezzo a ciò che già s’è perso col freddo. È il vento che fa ondeggiare le fronde, quando la linfa riprende quel viaggio dalle radici fino alla cima dell’albero. È sempre lui che gioca a scompigliare i primi germogli rossi di fine inverno, che si gonfiano, si gonfiano… in un’esplosione di foglie profumate e succulente a primavera.

    - Nonno, ma il vento lo sa che noi di nascosto siamo qui a spiarlo?

    - Quando i tuoi amichetti ti vengono a cercare a nascondino… hai capito? seguono le impronte che tu hai lasciato sull’erba. Lo sanno che te non stai più lì sopra. Ma loro che son du’ furbacchioni, lo stesso seguono i segni che tu hai lasciato e alla fine… ci stai te. E uguale fa il vento.

    Si siedono uno accanto all’altro; il vecchio e la bambina, su un ceppo grigio messo lì dal sogno proprio per sedersi e guardare il vento. Sotto di loro serpeggia come sempre la grande vallata, ma gli antichi borghi non esistono più. Sono divenuti città. E le città somigliano ad agglomerati cresciuti a dismisura, tanto che il loro sguardo si perde tra le ciminiere delle industrie e le torri scintillanti in vetro e acciaio. Tutte svettano contro un cielo bianco, reso ancor più accecante dall’afa persistente. Più in lontananza, ai margini della periferia, centinaia di edifici si intravedono appena, sbiaditi dall’aria carica di fumi e smog.

    - Convinci il vento a soffiare, così da ripulire il mondo.

    - Ci vorrà un vento davvero tanto forte, eh nòno?

    - Scappa vento, scappa, che la putea te ciapa!

    - Nòno… calchedùn che l’va a ciapar el vento, poi a che bòn doparàr? [1]

    * * *

    Babbo fradicio di sudore, spalancò l’uscio di casa. Con gli occhi fuori dalle orbite annunciò - Ce ne andiamo!

    Mamma non si voltò dal letto posto in fondo alla stanza. Dalla penombra si udì solo un sospiro.

    - Iole, alzati non c’è più tempo.

    - Non gridare in malo modo, Lario, o sveglierai anche il Padreterno.

    - È proprio Lui che mi manda. Rispose l’uomo segnandosi frettolosamente.

    - Dobbiamo abbandonare casa e andar su per le colline… nel bosco!

    Ma per lei, che aveva già avuto due figli ed era pronta a scodellarne un terzo a momenti, la sirena col suo carico di minacce, non rappresentava che l’ultimo dei suoi problemi.

    - Iole, il carro è pronto. Ci ho messo su tutto. Coperte, fasce, vettovaglie e ogni ben di Dio. È roba che tornerà utile, che possiamo barattare. Ora te sali su quel maledetto carro con noialtri e senza far tante storie!

    Solo il tono della sua voce era brusco, perché tutti sapevano che era un uomo mite, dall’animo gentile, che non intimoriva nessuno.

    Difatti mamma non si scompose - Portati via i figli, se credi. Indicò col braccio un punto imprecisato fuori casa, - ma a me, lasciami qui che c’ho da partorire in santa pace.

    - Te…, sei la solita testa dura! Pronunciò l’uomo alzando il pugno in aria - ma io non ci torno qua, a fare il funerale a voi due. Poi aggiunse con ruvida dolcezza - Suvvia, Iole… fatti coraggio, ci penso io a portarti fuori.

    Lei non rispose. Nascose il volto col lenzuolo e questo significava che la questione per lei era conclusa; aveva altro a cui pensare che non alla guerra o alla sirena che annunciava il bombardamento. Da giorni gli abitanti di Orte erano in fermento. Tutti vociferavano sull’eventualità di un attacco aereo sulla stazione, nodo nevralgico della dorsale ferroviaria del Centro Italia. Le doglie erano ricominciate e quel senso di urgenza e la paura, che contagiava l’intero paese in quella mattina di Agosto, stranamente fresca dopo una notte di temporali, non interessava la puerpera. Lei si apprestava a mettere al mondo una nuova vita nell’unico modo a cui era avvezza.

    - Nasce, Lario. Tuo figlio sta nascendo. Ma tu ora va’… va’, che io c’ho premura.

    - Porto i figlioli e quelli dei nostri vicini, su al querceto, col carro. Poi torno a prenderti.

    - Andrà tutto bene - rassicurò la donna, - va’, che tra un po’ ci sarà anche tuo figlio qui ad aspettarti.

    - Te… non far scherzi, eh Iole…?

    Era con la mano già sul pomo dell’uscio ma ci pensò su e tornò indietro per darle un bacio sulla fronte che in quel momento era accaldata ma, come sempre, odorava di pulito.

    Per la seconda volta insistentemente, la sirena dell’antiaerea squarciò l’aria. Lui con lo sguardo supplicò la moglie, ancora indeciso sul da farsi, poi afferrò la lampada a petrolio e richiuse la porta dietro di sé.

    Io sbucai dall’armadio, quando ormai non c’era più tempo. Mamma non si era accorta che mi ero nascosto là dentro; troppo impegnata nei preparativi del parto. Avevo sette anni ed ero uno scricciolo esile, con le ginocchia ossute e grandi occhi scuri spalancati sul mondo. Avevo già visto nascere i vitelli l’anno prima ed ero rimasto perché sapevo che il tempo non le sarebbe bastato.

    Così incitai il nascituro, " sbrigati a uscire!" bisbigliai nella sua testa, e siccome era già una tipa sveglia, lei obbedì. Difatti mamma l’attimo dopo, gridò nel modo giusto.

    - Vergine Santa! Ecco che arriva!

    Tirò via il lenzuolo dal grembo e solo allora mi vide che la fissavo da piedi del letto e non sembrò affatto sorpresa.

    Aveva il viso gonfio per lo sforzo ma nonostante il momento mi sorrise - Tu, di’… tuo padre sa che sei rimasto qua? Ti starà cercando e poi si arrabbierà con me.

    Non sarebbe mai successo. Non glielo dissi. Lei si aggrappò al materasso e spinse

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