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Breve storia dell’economia europea in età moderna: Risorse della terra e lavoro dell'uomo dalla peste nera alla prima rivoluzione industriale
Breve storia dell’economia europea in età moderna: Risorse della terra e lavoro dell'uomo dalla peste nera alla prima rivoluzione industriale
Breve storia dell’economia europea in età moderna: Risorse della terra e lavoro dell'uomo dalla peste nera alla prima rivoluzione industriale
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Breve storia dell’economia europea in età moderna: Risorse della terra e lavoro dell'uomo dalla peste nera alla prima rivoluzione industriale

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Il volume vuole essere un’agile storia dell’economia in età moderna. Partendo dalla Peste Nera per giungere agli albori della società industriale, avendo come epicentro l’Europa ma sin dal Cinquecento allargando lo sguardo a comprendere l’intero pianeta, raccontare le vicende economiche europee anteriori all’industrializzazione vuole essere un modo per ricordare, oggi che il mondo della produzione sembra mosso da attori senza volto che dominano le nostre vite attraverso i consumi, che alla base dei movimenti economici vi è il lavoro dell’uomo, la fatica delle braccia, l’impegno dell’intelletto e le decisioni, personali e politiche, in un continuo e appassionante dialogo con le risorse e le possibilità offerte dall’ambiente.
LanguageItaliano
PublisherSette Città
Release dateFeb 20, 2020
ISBN9788878536951
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    Breve storia dell’economia europea in età moderna - Nicoletta Bazzano

    GLOSSARIO

    CAPITOLO I FRA TRE E QUATTROCENTO

    Dalla crescita demografica al crollo

    Popolazione e risorse. A partire dalla fine del X secolo ha inizio, in Europa, una fase di crescita demografica ininterrotta, che conduce al raddoppio della popolazione iniziale, e che tocca il suo apice ai primi del Trecento. Impossibile ricondurre a un’unica causa tale crescita: essa è il prodotto di fattori molteplici quali l’incremento della natalità e il decremento della mortalità; la mitezza del clima; la diffusione di nuove tecniche agricole e quindi l’aumento delle risorse alimentari. La progressiva crescita demografica non è però uniforme, in quanto essa è strettamente legata ai complessi mutamenti che interessano le singole regioni europee. In alcuni territori essa lascia segni indelebili: l’allargamento delle mura cittadine, la creazione di nuovi centri, la modifica del paesaggio rurale, l’ampliamento dei terreni messi a coltura, la moltiplicazione, riportata dai documenti, delle compravendite di terra. Inoltre essa è difficile da quantificare esattamente per la difficoltà di reperire fonti certe, con l’eccezione dell’Inghilterra dove viene compilato nel 1086 il Domesday Book, un accurato censimento della popolazione del regno. All’apice della curva demografica, nella prima metà del Trecento, il continente europeo, presumibilmente, arriva a ospitare fra i 70 e gli 80 milioni di abitanti, raggiungendo la soglia della sovrappopolazione. La maggioranza della popolazione vive e lavora nelle campagne.

    Il cambiamento climatico. A partire dal 1314 una serie di cattive annate rompe l’equilibrio fra popolazione e risorse e innesca una crisi che dal mondo rurale si trasmette all’intero assetto economico europeo. Un fattore scatenante è il peggioramento delle condizioni climatiche. Inverni rigidi e freddi si alternano ad estati umide e piovose, con conseguenze negative sulla produzione agricola. In Inghilterra non è più possibile la coltivazione della vite, attestata fino alla fine del Duecento; il grano non giunge a maturazione in gran parte dell’Europa del Nord, dalle regioni scandinave a quelle prealpine; le temperature si raffreddano sensibilmente nel bacino del mar Baltico, dando luogo a glaciazioni nei territori che vi si affacciano. Il forte aumento del prezzo del frumento, base dell’alimentazione del tempo, mette in forte difficoltà la popolazione europea. Soprattutto la Francia, teatro della guerra dei Cent’anni (1339-1453) contro l’Inghilterra, e le zone settentrionali dell’Europa sono colpite da frequenti carestie in grado, secondo le stime, di provocare la morte del 10 per cento degli abitanti.

    La peste. La congiuntura negativa viene aggravata dal diffondersi di un’epidemia di peste, passata alla storia con il nome di Peste nera, che falcidia la popolazione e che ha conseguenze demografiche estremamente importanti. La malattia, che si presenta con rigonfiamenti scuri, i bubboni, sotto le ascelle, all’inguine e al collo e con vomito, convulsioni e febbre, giunge in Europa dall’Oriente nel 1347. Una nave di mercanti genovesi, che aveva contratto il morbo da alcuni mongoli impegnati nell’assedio di Caffa, trasmette il contagio in tutti i porti di attracco, prima a Costantinopoli e Trebisonda, poi a Messina e infine a Genova. Un anno dopo l’epidemia dilaga in tutta Europa, contagiando la Penisola italiana, la Francia, la Penisola iberica e la Germania, arrivando nel 1349 nella Penisola scandinava e nel 1351 nelle steppe russe. Il morbo è tanto più violento in quanto si abbatte su una popolazione provata dalla sottoalimentazione, e quindi in condizioni di fragilità immunitaria, e si diffonde con facilità a causa della scarsa igiene, della promiscuità con gli animali e dell’incompetenza medica e sanitaria.

    Il calo demografico. In un primo momento la pandemia colpisce con più virulenza le città poiché la popolazione è molto più densa che nelle campagne: a Londra e Brema, per esempio, muoiono rispettivamente il 30 e il 50 per cento degli abitanti. Nelle zone poco urbanizzate, infatti, l’isolamento protegge dal contagio. Per questo, l’intera Penisola italiana, caratterizzata da una forte presenza di città, è fra le zone più colpite. Nella città di Firenze, per esempio, scompare la metà della popolazione. Ben presto, però, ci si attrezza per limitare gli effetti devastanti dell’epidemia: vengono costruiti appositi lazzaretti per il ricovero degli appestati e messi a punto protocolli di quarantena in grado di isolare i malati e prevenire il contagio; tuttavia, la malattia continua a serpeggiare per gran parte dell’Europa, con nuovi focolai particolarmente pericolosi tra il 1360 e il 1390 e tra il 1397 e il 1402. Le ripercussioni sono notevoli: la popolazione europea, infatti, si dimezza in poco più cento anni, arrivando a metà Quattrocento a contare circa 35 milioni di abitanti. A causa del riproporsi dell’epidemia il vuoto demografico non si colma che in maniera lentissima, torna ai livelli raggiunti prima della peste nera solo ai primi del Cinquecento.

    Il mondo rurale prima e dopo la crisi del Trecento

    Le proprietà rurali. Nell’Europa tardomedievale, dal punto di vista economico, campagne e città sono complementari. L’equilibrio affonda le sue radici nel IX-X secolo, quando il territorio europeo non sembra ancora essere definito dalla presenza di centri urbani di rilievo. In quel periodo, infatti, gli europei vivono in gran parte nelle campagne. Le prime (V-VI secolo) e, soprattutto, le seconde invasioni barbariche (IX secolo) hanno favorito la nascita di un paesaggio rurale punteggiato da monasteri e castelli, roccaforti dei feudatari ecclesiastici o laici. Tali costruzioni dominano insiemi – al tempo stesso giuridici ed economici – chiamate in latino curtes, proprietà o feudi concessi dal sovrano a nobili, laici ed ecclesiastici, i signori feudali. Costoro sia che abbiano ricevuto le terre in concessione dal sovrano, sia che, essendone già in possesso, siano stati autorizzati a esercitarvi la giurisdizione, le amministrano grazie alle prestazioni di lavoro gratuito, le corvées, di contadini, ridotti al rango di servi della gleba. All’interno della curtis, il signore feudale, sia esso un abate, alla guida di una delle tante ricche abbazie del tempo, o un signore laico, e dotato del potere di far ereditare le facoltà giurisdizionali al proprio erede ( Constitutio de feudis, 1032), esercita la giurisdizione civile e criminale. La curtis è generalmente caratterizzata dalle possenti strutture difensive e dall’articolata divisione in spazi residenziali e locali di servizio (laboratori artigiani, magazzini e così via), e le basse casupole dei contadini che li circondano e che formano un vero e proprio villaggio.

    I contadini liberi. Anche i contadini possono essere proprietari, generalmente di piccoli appezzamenti di terra. Questo tipo di proprietà, detta allodiale (da allodio) è sottoposta a una serie di obblighi, in natura o in denaro che il proprietario deve fornire al signore che detiene la giurisdizione sull’area in cui insiste la proprietà. Il signore inoltre detiene il diritto esclusivo su alcuni servizi (la difesa contro eventuali nemici esterni, l’amministrazione delle macine dei mulini, la manutenzione di strade e ponti), che vengono utilizzati dal contadino dietro un tributo. Vi sono infine le proprietà delle comunità contadine: appezzamenti di terreno all’interno dei quali tutti i componenti la comunità di villaggio possono godere di alcuni diritti: il legnatico, la raccolta di legna da ardere; il pascolo; la raccolta di ghiande da destinare ai maiali; la spigolatura del grano dopo il raccolto e così via.

    Dominico e massaricio. La condizione interna della curtis può essere variabile: il dominico, la parte signorile, può appartenere a colui che esercita in loco il potere giurisdizionale, ma anche a un altro signore, residente magari in un altro luogo; il massaricio, destinato ai contadini, è diviso in piccoli poderi, assegnati dal signore a coloni dietro il pagamento di un censo fisso in denaro o in natura, o proprietà allodiale dei contadini stessi. Spesso fanno parte della curtis anche pascoli e boschi, sui quali i contadini godono di un diritto d’uso regolato dalle consuetudini.

    Le servitù curtensi. A fronte della possibilità di essere difesi all’interno delle mura fortificate in caso di pericolo, i contadini, sia i servi che lavorano il dominico sia i coloni del massaricio, spesso ridotti alla condizione di servi della gleba poiché non possono abbandonare la curtis senza il permesso del signore, sono costretti ad obbedire ai cosiddetti poteri di banno del signore. Devono per esempio macinare i cereali nel mulino del signore, usare le sue botti per il vino e così via, versandogli una quota per l’utilizzo delle strutture. I contadini sono, inoltre, obbligati a fornire al signore tributi in prodotti agricoli nonché prestazioni lavorative gratuite, le opere o corvées (in francese), in occasione di particolari occasioni (l’aratura, la semina, il raccolto, la vendemmia e così via). Il lavoro nei campi è spesso effettuato in maniera collettiva, senza tener conto dei confini fra un appezzamento e l’altro, con il ricorso ad attrezzature estremamente rudimentali, che solo lentamente divengono oggetto di migliorie.

    Il paesaggio agrario. Nell’Europa medievale sono presenti due tipi principali di paesaggio agrario, corrispondenti a due modi di organizzare il lavoro agricolo: il sistema a campi aperti, in inglese open field, e il sistema a campi chiusi, in francese bocage (dal termine che indica il terrapieno dove sono piantati alberi o cespugli da recinzione). Il sistema a campi aperti è caratterizzato dalla presenza di villaggi, generalmente vicini al castello signorile. Il lavoro agricolo si svolge fuori dall’abitato e, poiché il terreno viene coltivato in comune e non sono presenti segni di demarcazione fra la terra signorile e le proprietà allodiali contadine, presuppone un forte accordo fra i lavoratori. Al momento dell’aratura, della semina e del raccolto i contadini stabiliscono, sulla base delle proprie forze comunitarie, la divisione della terra in porzioni da lavorare e procedono di comune accordo. Il bocage è un modello di insediamento sparso. I contadini vivono in fattorie edificate proprio sui terreni loro affidati: ciò rende molto più stretto il loro legame con la terra.

    Le manifatture curtensi. Nelle campagne, all’interno della curtis, si svolge spesso anche il lavoro manifatturiero: nei laboratori presenti nel dominico si producono i tessuti, in lana d’inverno e in lino d’estate, necessari all’abbigliamento, nonché gli strumenti in legno e metallo utili al lavoro dei campi. Malgrado la tendenza all’ autoconsumo, però, il sistema curtense è un sistema economico aperto. Da un lato, a causa del fatto che spesso possiedono più proprietà, i signori feudali tendono a integrare le produzioni delle singole curtes; dall’altro, grazie alle eccedenze agricole che in parte vengono stipate nei magazzini e in parte sono destinate ai mercati cittadini, la curtis si inserisce nei circuiti commerciali che fanno capo alle città.

    Gli aumenti produttivi. Il funzionamento delle aziende curtensi, il costante ampliamento delle aree da mettere a coltura, grazie a dissodamenti e a bonifiche, e la comparsa di mulini ad acqua e a vento, consentono e accompagnano la crescita della popolazione a partire dal X secolo fino ai primi del Trecento. Tuttavia, poiché è soprattutto l’aumento della superficie coltivata a consentire l’aumento della produzione, ben presto vengono raggiunti i limiti naturali di sviluppo agricolo: l’espansione dell’arativo può compiersi solo a spese di boschi e prati; in questo modo però si contrae l’allevamento e ci si priva della forza motrice per gli aratri, generalmente costituita dai bovini, e del concime animale, necessario a fertilizzare la terra.

    L’agricoltura in crisi. Ai primi del Trecento, quando si susseguono una serie di inverni molto freddi e assai piovosi, il peggioramento climatico causa una sorta di collasso dell’agricoltura europea. Le frequenti carestie innalzano notevolmente la mortalità e se dagli anni Venti del secolo al 1339 il vuoto demografico viene colmato, nel 1339 si apre un nuovo ciclo di carestie, destinato a concludersi solo nel 1348. Le difficoltà dei contadini si traducono in fragilità per l’intero sistema economico, poiché essi, gravati anche da decime e imposizioni fiscali di varia natura, non solo vedono diminuire i propri redditi ma non riescono a garantire affitti e rendite ai signori. Anche il potere d’acquisto di questi ultimi si viene riducendo, perché la congiuntura negativa inaugura un processo di svalutazione del valore della moneta: i censi corrisposti in denaro non sono più sufficienti all’acquisto dei beni prodotti dalle manifatture cittadine, dove il calo demografico e la mancanza di lavoratori, causa un aumento dei prezzi dei manufatti; i tributi corrisposti in derrate non servono a riequilibrare la situazione, poiché la mancanza di domanda, sempre dovuta alla diminuzione della popolazione, fa calare i prezzi. In questo modo, il mondo rurale nel suo complesso è costretto a contenere la spesa in beni manifatturieri provenienti dalle città, che vengono a loro

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