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Sistemi educativi e politiche culturali dal mondo antico al contemporaneo: Studi offerti a Gabriella Ciampi
Sistemi educativi e politiche culturali dal mondo antico al contemporaneo: Studi offerti a Gabriella Ciampi
Sistemi educativi e politiche culturali dal mondo antico al contemporaneo: Studi offerti a Gabriella Ciampi
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Sistemi educativi e politiche culturali dal mondo antico al contemporaneo: Studi offerti a Gabriella Ciampi

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DAIDALOS è una collana di studi scientifici nell’ambito delle scienze dell’antichità. I volumi ospitano gli esiti di indagini condotte su documenti di natura diversa (archeologici, filologici, epigrafici e di storia antica) dispiegati in un ambito cronologico che dalla preistoria giunge fino alla tarda antichità e al medioevo, esteso geograficamente al mondo greco-romano, a quello europeo e al Vicino Oriente.
L’iniziativa editoriale, che nasce nel 1999 in seno all’Università degli Studi della Tuscia – Viterbo, fa propri il nome e la figura dell’artifex per eccellenza, Daidalos, personaggio della mitologia greca considerato architetto, scultore ed inventore. Il richiamo a tale straordinaria figura vuole sottolineare la versatilità e l’estensione del ventaglio della collana stessa, concepita come flessibile contenitore di tutti i settori della Altertumswissenschaft. 
Dal 2019 si inaugura la collaborazione editoriale congiunta tra l’Università della Tuscia e la casa editrice Sette Città di Viterbo per la cura, la promozione e la distribuzione della collana.
LanguageItaliano
PublisherSette Città
Release dateFeb 20, 2020
ISBN9788878536852
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    Book preview

    Sistemi educativi e politiche culturali dal mondo antico al contemporaneo - Gian Maria Di Nocera

    Novecento

    PREMESSA

    Ho accettato con molto piacere l’opportunità di scrivere una breve introduzione per questo volume dedicato a Gabriella Ciampi.

    Non intendo delineare il profilo scientifico che si evince dalla carriera di Gabriella, rischierei una brutta figura, ed altri potranno farlo molto meglio di me; vorrei piuttosto soffermarmi su quanto Gabriella ha fatto per l’Ateneo negli anni del suo servizio.

    Professoressa di Storia Contemporanea, Coordinatrice del Dottorato di «Storia d’Europa: società, politica, istituzioni (XIX-XX sec.)», Direttrice del Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali, in un periodo non facile, componente del Consiglio d’indirizzo della Fondazione Carivit: incarichi che ha svolto sempre con impegno, serietà e un garbo istituzionale che purtroppo, ahimè, si nota sempre più raramente nell’Accademia.

    Ho avuto modo di conoscere bene Gabriella in questi ultimi anni, e voglio sottolineare lo straordinario attaccamento all’Istituzione e l’attenzione per gli studenti, che denota una passione autentica per l’Università.

    Ho particolarmente apprezzato il suo stile gioioso e disincantato, complementare al suo rigore e alla serietà con cui ha svolto i suoi compiti istituzionali. Ha saputo trasmettere queste qualità umane e professionali a chi le è stato vicino; non nascondo che è riuscita, in diversi momenti, a sdrammatizzare situazioni difficili con buon senso e ironia.

    Ma Gabriella ha anche portato avanti, con passione e costanza, la testimonianza culturale di un mondo umanistico che attraversa, non solo nel nostro Ateneo, un momento delicato, confrontandosi con coraggio con la comunità scientifica.

    Mi riesce difficile pensare a un Ateneo e a un Dipartimento senza la presenza rassicurante di Gabriella, il suo spessore culturale, il suo stile, la sua serietà, la sua attenzione alle persone, e voglio ringraziarla per quanto ha fatto per l’Università, prima e durante il mio mandato rettorale.

    Ritengo che la dedica di una pubblicazione alla prof.ssa Ciampi sia la migliore testimonianza della stima e dell’affetto della Comunità Accademica, e anche mia personale.

    Alessandro Ruggieri

    INTRODUZIONE

    Dedichiamo a Gabriella Ciampi il volume 18 della collana «Daidalos ». E’ una scelta che riteniamo significativa per vari aspetti. La collana nasce infatti in seno all’allora Dipartimento di Scienze del Mondo Antico, ma ha continuato la sua vita fertile e tenace nella cornice sia del Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali sia dei corsi afferenti all’area dei Beni Culturali, nei quali Gabriella ha svolto il suo percorso accademico nell’Università della Tuscia. Con il volume 18 la collana conquista per così dire la piena maturità e dunque ci auguriamo che sappia raccogliere la migliore eredità del passato consegnandola a un futuro ricco e felice.

    Tema centrale del volume è quello, caro alla festeggiata e da lei coltivato in un’ampia messe di studi, dei sistemi educativi nell’intreccio con le politiche culturali. La prospettiva adottata spazia dal mondo antico, cifra distintiva della collana, alla storia contemporanea, il settore scientifico di Gabriella. I contributi giungono dai colleghi del Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo, che ha sostenuto l’iniziativa, ma anche dai colleghi dell’area dei Beni Culturali e da quanti all’interno del nostro Ateneo hanno condiviso con Gabriella gli anni di impegno didattico, di ricerca e di gestione. Pur specifico nei suoi confini, il tema scelto ha permesso di adottare i punti di vista più vari negli ambiti di ricerca che ogni autore coltiva. L’affinità di molti contributi ci ha suggerito di articolare il volume in tre capitoli, ciascuno costruito secondo una linea per lo più diacronica. Il primo raccoglie le analisi dedicate alla funzione in campo formativo svolta da istituzioni o personalità che nelle più alte istituzioni hanno operato, nel secondo sono presenti gli studi che sottolineano l’apporto di singoli, individui o gruppi, all’evoluzione dei sistemi educativi, il terzo riunisce infine le indagini e le riflessioni dedicate agli strumenti o agli spazi adottati nel tempo per la didattica.

    Abbiamo avuto il privilegio di condividere con Gabriella Ciampi anni non semplici, caratterizzati dalle difficoltà via via più pesanti del nostro sistema universitario, oggetto di un grave definanziamento e di complesse sperimentazioni normative che hanno condizionato l’organizzazione degli studi, in primo luogo com’è noto nell’area umanistica e in quella dei Beni Culturali. Eppure, nel nostro Ateneo sono stati realizzati progetti ambiziosi, come l’istituzione del corso di laurea a ciclo unico in Conservazione e restauro dei Beni Culturali, da Gabriella fortemente voluto e portato avanti con rara determinazione, anche per rafforzare e completare il percorso della triennale in Scienze dei Beni Culturali e della magistrale in Archeologia e Storia dell’Arte. Con la stessa determinazione Gabriella ha condotto il Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali, combattendo per la sua sopravvivenza ben al di là dei nodi e delle ristrettezze imposte dalle difficoltà ora ricordate. Con la stessa determinazione, e con il sorriso aperto e gioioso di sempre, ha seguito e segue oggi le vicende dei corsi che nel nostro Ateneo all’area dei Beni Culturali fanno riferimento. E, aggiungiamo, con la consapevolezza, che è anche la nostra, di quanto la disseminazione del sapere non possa che portare frutti ricchi e preziosi.

    Per questa determinazione, per questa consapevolezza, ma soprattutto, permetticelo, per questo sorriso, grazie, Gabriella.

    Maddalena Vallozza

    Gian Maria Di Nocera

    I

    Ferdinando Baldelli, Ernesto Schiaparelli e le scuole italiane nel Nord America

    Matteo Sanfilippo

    Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comuncazione e del Turismo

    Università degli Studi della Tuscia

    Abstract

    Ferdinando Baldelli was a monsignor of the Vatican Curia and then archbishop who for 40 years has been interested in Vatican assistance to the poor, the refugees and the migrants. At the beginning of his career, he followed mainly the Italian emigrants to America and in this capacity he became interested in the schools for them.

    Keywords: Holy See, Italian emigration, United States, schools

    Ferdinando Baldelli nasce il 4 settembre 1886 a Pergola (provincia di Pesaro) ed è ordinato sacerdote il 26 luglio 1909. Divenuto vice-parroco del paese natio, si rende conto del «vivo malessere della classe lavoratrice addetta all’industria e all’agricoltura» e della concomitante azione «dei partiti estremisti» per eccitare gli animi. Nota inoltre come le classi più povere reagiscano migrando, a suo parere una «sintomatica conseguenza dell’istinto di difesa». Decide dunque di preoccuparsi dell’espatrio dei corregionali e di seguire l’esempio di Francesca Saverio Cabrini, di Geremia Bonomelli e di Giovanni Battista Scalabrini. Forma dunque a Pergola un Segretariato mandamentale dell’emigrazione, che alla fine della Grande guerra è incamerato nel Segretariato del Popolo di Pesaro, affidato allo stesso Baldelli [1] .

    Nella nuova funzione il sacerdote collabora tra il 1918 e il 1920 con il Commissariato per l’Emigrazione, alcuni enti ecclesiastici, la Prefettura locale e i comuni di partenza dei migranti. Al contempo assiste le famiglie e gli orfani dei caduti della provincia e i marchigiani espulsi dalla Russia dopo la Rivoluzione. Nel 1920 il cardinale Gaetano De Lai, segretario della Concistoriale, lo chiama a Roma e gli affida l’Italica Gens, la Federazione degli istituti laici ed ecclesiastici che aiutano gli emigranti oltre oceano. Due anni dopo passa direttamente alla dipendenza della Concistoriale, dove per quasi trent’anni lavora all’Ufficio emigrazione [²].

    Alla Italica Gens Baldelli coordina la direzione generale e le sedi periferiche, inoltre deve trovare il giusto rapporto con gli organismi nazionali e esteri per l’assistenza agli emigranti, stanzialmente riprendendo più in grande quanto fatto a Pesaro. Grazie ai rapporti con il Comune di Roma e l’Ufficio del Lavoro apre la Casa degli emigranti a S. Maria Maggiore: qui è alloggiato e assistito chi viene nella capitale per ottenere i visti necessari ad espatriare, in particolare quelli statunitensi. La sua esperienza romana lo porta a stretto contatto epistolare con Ernesto Schiaparelli, oggi ricordato soprattutto come un grande egittologo [³]. Questi ha iniziato nel 1884 a scavare in Egitto e vi ha scoperto la povertà dei missionari italiani e la difficoltà di gestire scuole e ospedali per gli emigranti della Penisola. Due anni dopo ha quindi fondato l’Associazione Nazionale per Soccorrere i Missionari Italiani (ANSMI), che, però, è guardata con sospetto dalla Santa Sede e dai cattolici intransigenti, perché considerata troppo nazionalista. Secondo i suoi detrattori l’archeologo vorrebbe servirsi della Chiesa per rafforzare il patriottismo dei migranti e sostenere le pretese italiane nel Vicino Oriente.

    Per superare l’ impasse Schiaparelli contatta i cattolici più interessati alle migrazioni dei connazionali, in particolare i già menzionati vescovi Scalabrini (Piacenza) e Bonomelli (Cremona) [⁴]. Poiché il primo sta già fondando un istituto per intervenire nel Nuovo Mondo, l’egittologo collabora con il secondo a creare l’Opera per i migranti temporanei in Europa e nel Levante (1900). Però, entra presto in contrasto con i collaboratori ecclesiastici dell’ente, sempre a ragione del suo impegno nazionalistico, e nel 1907 deve dare le dimissioni da segretario generale. Non vuole, però, abbandonare il settore migratorio e cerca di rientrarvi attraverso l’ANSMI.

    Visto che è rimasto in buoni rapporti con Bonomelli, il quale ha piena responsabilità sull’Opera che ora prende il suo nome, decide di volgersi al Nuovo Mondo approfittando della morte di Scalabrini e delle difficoltà del suo istituto a gestire le missioni americane [⁵]. Partecipa dunque alla fondazione dell’Italica Gens (1909) e stringe rapporti con un gruppo di giovani sacerdoti propensi al duplice impegno per la fede e per la patria [⁶]. Tra questi diviene particolarmente importante Pietro Pisani della diocesi di Vercelli, che dopo aver collaborato con Bonomelli inizia a scrivere dal 1910 sul bollettino «Italica Gens» e nel 1912 è chiamato a Roma per dirigere il nuovo ufficio emigrazione della Concistoriale [⁷].

    Schiaparelli mette i suoi fondi a disposizione dell’Italica Gens e ne ospita anche un segretariato negli uffici romani dell’ANSMI. La sua collaborazione con Baldelli li porta a occuparsi delle scuole per gli italiani all’estero, d’altronde l’archeologo se ne è già interessato per il Vicino Oriente. Nel 1922 è quindi invitato dal Ministero degli Esteri a entrare in una commissione che dovrebbe elaborare un progetto di legge sulle scuole italiane in Canada, Stati Uniti e Messico [⁸]. Un anno dopo Mussolini gli chiede di occuparsi di tutte le scuole italiane all’estero e nel 1924 lo nomina senatore del Regno, ma a quel punto Baldelli lavora in Vaticano e si occupa delle migrazioni interne alla Penisola e del mondo operaio italiano.

    Nel 1923 il sacerdote è comunque ancora il segretario nell’Italica Gens e per essa si reca negli Stati Uniti, dove dovrebbe coordinare l’assistenza agli italiani con i vescovi locali e i missionari scalabriniani. Dal Nuovo Mondo il sacerdote scrive una lunga lettera a Schiaparelli sui compatrioti oltre oceano [⁹]. Dopo averne descritto i problemi socio-economici e la difficoltà di assisterli, Baldelli chiude con alcune considerazioni sulle scuole per gli emigranti. Scrive di avere davanti agli occhi una relazione del 1921 sulle scuole per gli italiani di Filadelfia e di aver raccolto altre informazioni a voce. In totale, dichiara, le scuole parrocchiali in italiano hanno appena 3.100 alunni su circa 50.000 ragazzi di origine italiana residenti negli Stati Uniti. Ne conclude che «tolta una minima parte, la prossima generazione, non alimentata di nuove correnti emigratorie, sarà irrimediabilmente perduta per la religione e per la patria». Bisogna dunque intervenire e far divenire italiano, prima che ‘americano’, emigranti, in genere meridionali, che della patria hanno conosciuto soltanto gli aspetti più negativi, cioè la fame e la miseria che li hanno fatti espatriare. Sul tema Baldelli ritorna in una lettera nello stesso fascicolo, datata New York 27 febbraio 1923. Qui aggiunge che bisogna far capire al pubblico statunitense come dalle scuole italiane non si deve aspettare pericoli. L’italianizzazione degli emigranti deve essere infatti il primo passo della loro americanizzazione e non un tentativo di metterli al servizio dell’antica madrepatria.

    Le note di Baldelli, così come materiali tratti dai bollettini della Italica Gens e del Ministero degli Esteri, sono rielaborate nella relazione finale di Schiaparelli sulle scuole per gli italiani in Nord America [¹⁰]. L’archeologo ricorda che negli Stati Uniti le scuole sussidiate dal governo italiano sono di quattro tipi: scuole promosse dalle ‘colonie’, cioè dagli emigranti stessi; scuole promosse dalla Dante Alighieri; scuole americane; scuole parrocchiali. Al primo tipo appartengono: tre classi elementari a San Francisco; la scuola fondata a Yonkers (nello Stato di New York) dall’agente consolare, aperta solo ad anni alterni; un asilo a New Orleans chiuso nel 1921; alcuni corsi serali a New Haven. Segnala inoltre che nella documentazione consolare appaiono tracce di scuole private inaugurate in vari luoghi, ma di brevissima durata. Per quanto riguarda il secondo tipo, la Dante Alighieri ha aperto e poi chiuso scuole a Washington e Los Angeles, mentre nel 1919 ha tenuto alcuni corsi a Jersey City. Per il terzo tipo, la Children’s Aid Society, finanziata da un nucleo di filantropi americani, ha fondato cinque scuole per i bambini di strada di New York e una di esse, trovandosi nel quartiere di Five Points a maggioranza italiana, è chiamata ‘italiana’, pur essendo di fatto statunitense [¹¹]. In ogni caso il Ministero degli Esteri sovvenziona la Children’s Aid Society, pagando per l’insegnamento facoltativo dell’italiano nelle sue scuole. Secondo Schiaparelli, tale insegnamento avrebbe coinvolto 1.100 alunni nel 1921.

    Le parte più cospicua della relazione riguarda le scuole parrocchiali per gli italiani. Secondo l’egittologo, queste non sono numerose come quelle per gli irlandesi, tedeschi, polacchi, franco-canadesi. Inoltre sono in genere affidate alle suore e, poiché le religiose italiane non hanno gli standard scolastici richiesti negli Stati Uniti, spesso i loro istituti sono in mano a consorelle statunitensi, che vi insegnano in inglese: sono dunque scuole statunitensi di fatto. Secondo il relatore, le scuole parrocchiali che possono essere ritenute italiane sono alla fine appena 19 e sono frequentate da non più di 11.000 ragazzi. Tra di esse alcune sono, però, molto buone: per esempio quelle dei serviti a Chicago, dei francescani a Boston, Pittsburgh e New York, delle salesiane a Paterson e Atlantic City, delle Maestre Pie Venerini e delle Maestre Pie Filippini a Providence, Laurence, Fichtburg e Trenton, degli agostiniani a Filadelfia.

    Le conclusioni di Schiaparelli non si discostano da quanto affermato da Baldelli. Anche per l’egittologo l’uso dell’italiano sta crollando tra i figli degli emigrati ed è ipotizzabile la sua scomparsa in mezzo secolo. Schiparelli chiosa, a questo punto, che la colpa non è, però, dei consoli o dei parroci negli Stati Uniti, ma degli stessi emigranti, divisi in fazioni contrapposte per la sopravvivenza di assurdi campanilismi. Basti pensare, aggiunge, che a New York vi sono centinaia di associazioni italiane, distinte sulla base del paese di provenienza e non disposte a collaborare tra loro.

    In questa situazione, continua la relazione, sono spesso gli elementi peggiori a organizzare scuole italiane al fine di truffare i genitori oppure le autorità consolari, alle quali chiedono sovvenzioni per poi sparire. Insomma, secondo Schiaparelli, le speranze di fare qualcosa di utile per gli italiani negli Stati Uniti sono praticamente nulle. Al massimo si possono sussidiare iniziative solide, quali quelle della Children’s Aid Society, oppure sostenere, dove possibile, le scuole parrocchiali. Tuttavia per quest’ultima ipotesi servirebbero più preti e più suore di origine italiana negli Stati Uniti. A tal fine il governo italiano potrebbe collaborare con il Vaticano e rendere gratuito ogni passaggio per le Americhe di esponenti del clero. Inoltre sarebbe necessario formare suore e sacerdoti in grado di insegnare in italiano e in inglese, di modo da poter fondare scuole tenute da personale italiano. Infine bisognerebbe che le banche italiane sovvenzionino l’acquisto o l’affitto degli edifici per le scuole parrocchiali, mentre il governo dovrebbe elaborare materiale scolastico per gli alunni d’oltreoceano. A tal proposito si dovrebbero redigere e diffondere testi nei quali si esaltino i meriti della patria originaria, ma si tenga conto anche dei bisogni religiosi degli emigranti, senza che uno dei due elementi prevarichi sull’altro.

    In una brevissima appendice, Schiaparelli annota che vi sono due ottime scuole parrocchiali italiane a Montréal, una più piccola a Ottawa e alcuni tentativi in corso a Toronto. Nel Messico, postilla, invece mancano del tutto le scuole per gli italiani. In ogni caso in entrambi i Paesi si potrebbe emulare quanto deciso per gli Stati Uniti.

    Negli anni successivi il progetto di aiutare le scuole italiane in Nord America sfuma e l’ANSMI prende a carico alcune scuole di Corfù e Patrasso, del Dodecaneso e di Beirut [¹²]. In seguito il governo fascista si pone ancora il problema dell’insegnamento in italiano nelle scuole degli emigrati e in quelle delle ‘colonie’ e ritorna persino sulla questione dei libri di testo [¹³]. Ma il momento per intervenire è ormai passato, anche perché le partenze verso il Nuovo Mondo si sono ridotte [¹⁴].

    I documenti testimoniano un tentativo fallito. Sono, però, utili per ricordare l’incrocio fra l’impegno per i migranti di un laicato cattolico, che vuole mantenere unite patria e religione, ed ecclesiastici sensibili ai richiami patriottici, in un momento in cui entrambi non sono immuni dal fascino della svolta fascista. Il già menzionato Pisani avrà continui contatti con diplomatici ed intellettuali fascisti, tanto da essere descritto dal poeta statunitense Ezra Pound, in visita a Roma, come l’ideale «papa fascista» [¹⁵]. Baldelli tratta con Benito Mussolini per difendere le opere assistenziali cattoliche e nel dopoguerra è un esponente importante del ‘partito romano’, la fazione vaticana disposta a recuperare esponenti del fascismo in chiave anticomunista e che si oppone a Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI [¹⁶]. Tuttavia qualcosa non funziona nel rapporto fra Schiaparelli e Baldelli agli inizi del Ventennio. All’egittologo interessa preservare il carattere italiano dei connazionali negli Stati Uniti. Al sacerdote preme che gli emigranti conservino la fede, ma non si cura della loro fedeltà alla vecchia patria. Anzi vede il loro divenire italiani grazie a scuole efficienti come il primo passo verso una piena americanizzazione. Lo studio dell’inserimento oltre oceano degli espatriati lo spinge a una maggiore attenzione ai bisogni dei lavoratori, dovunque si trovino, e ispirano il suo cammino, una volta rientrato a Roma. La già ricordata Casa degli emigranti è uno dei progetti del Comitato Romano Pro Emigranti, coordinato da Baldelli, che, però, nel 1926 lo trasforma in Comitato Romano Assistenza Religiosa e Morale Operai. Quest’ultimo, a sua volta, genera nel 1930 l’Opera Nazionale Assistenza Religiosa Morale Operai (ONARMO), che si preoccupa dell’assistenza religiosa e sociale in fabbrica e organizza scuole e corsi serali non solo per i lavoratori, ma anche per gli assistenti che vogliano operare tra di loro [¹⁷]. Le scuole sono centrali nei progetti di Schiaparelli e Baldelli, ma per motivi differenti.

    Abbreviazioni bibliografiche

    Baggio F. ed. 2015 – Bonomelli e Scalabrini. Due vescovi al cui cuore non bastò una diocesi, Roma, CSER-SIMI.

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    Confessore O. 1989 – L’Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani. Tra spinte ‘civilizzatrici’ e interesse migratorio, in Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, G. Rosoli ed., Roma, CSER: 519-536.

    Corzo M.A. ed. 1995 – Nefertari. Luce d’Egitto, Milano, Electa.

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    Franzina E. 1982 – La chiusura degli sbocchi emigratori, in Storia della società italiana, XX, La disgregazione dello stato liberale, Milano, Teti: 125-182

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    Luatti L. 2018 – L’emigrazione nei libri di scuola per l’Italia e per gli italiani all’estero. Ideologie, pedagogie, rappresentazioni, cronache editoriali, Todi, Tau editrice.

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    Pound E. 1985 – I Cantos, M. de Rachewiltz ed., Milano, Mondadori.

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    Riccardi A. 2007 – Il partito romano. Politica italiana, Chiesa cattolica e Curia romana da Pio XII a Paolo VI, Brescia, Morcelliana.

    Romano M. 2013 – Assistenza sociale e apostolato sacerdotale nel mondo del lavoro: l’esperienza dell’ONARMO, Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia XLVIII, 1-2: 170-186.

    Rosoli G. 1990 – L’Italica Gens per l’assistenza all’emigrazione italiana d’oltreoceano, 1909-1920, Il Veltro XXIV 1-2: 87-100.

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    [1] Una breve biografia di Baldelli è anteposta da lui stesso a L’ONARMO 1962: 9-16. Le citazioni sono a p. 9.

    [2] Le informazioni sono nell’archivio romano dell’Associazione Nazionale per Soccorrere i Missionari Italiani (ANSMI), 25/E, L’Italica Gens, Ufficio di Roma, 1918-1920, e in Archivio Segreto Vaticano, Fondo culto (carte Carlo Monti), Carteggio particulare, fasc. 173.

    [3] Schiaparelli (1856-1928) è prima responsabile della Sezione egizia del Museo archeologico nazionale di Firenze (1881-1893) e poi direttore del Museo egizio di Torino (1894-1928). Sulla sua più celebre scoperta: Corzo ed. 1995. Sulla sua attività di funzionario (dal 1908 è il soprintendente agli scavi di Piemonte e Liguria) e docente universitario (dal 1910 insegna Egittologia all’Università di Torino): Curto 2004 e Greco 2018.

    [4] Per i due vescovi e le loro iniziative: Baggio 2015.

    [5] Per tali difficoltà, vedi Terragni 2017.

    [6] Sulla fondazione e l’azione dell’ANSMI e dell’Italica Gens: Confessore 1989, Rosoli 1990, Tomasi 1991.

    [7] Per i viaggi in Nord America di Pisani: Pizzorusso, Sanfilippo 2005: parte III, cap. V.

    [8] Vedi il dattiloscritto di Erminia Piano (Piano 1970: 356-257), elaborato su di un originale forse del 1940, conservato nell’Archivio ANSMI. Cfr. Nuzzaci 2012.

    [9] ANSMI, 25/D, Baldelli, s.d. [ma qualcuno ha scritto 1923 in calce alla lettera dattiloscritta].

    [10] Piano 1970: 357-373.

    [11] Le iniziative della Children’s Aid Society, fondata nel 1836, sono in realtà più numerose, come risulta dai suoi archivi. Per la storia dell’associazione e l’inventario dei suoi documenti oggi presso la New-York Historical Society, vedi la Guide to the Records of the Children’s Aid Society 1836-2006, all’indirizzo: http://dlib.nyu.edu/findingaids/html/nyhs/childrensaidsociety/index.html.

    [12] Piano 1970: 395-396 e cap. XLI.

    [13] Pretelli 2005 e 2012, Luatti 2018. Vedi inoltre Montino e Gabrielli ed. 2009 e Pretelli 2011.

    [14] Franzina 1982.

    [15] La citazione è nel componimento 97 dei celeberrimi Cantos, vedine l’edizione definitiva: Pound 1985.

    [16] Le lettere a Mussolini sono in Archivio centrale dello Stato (Roma), Segreteria particolare del Duce, Corrispondenza Ordinaria, fasc. 549373. Il sacerdote è preso in considerazione per una ipotetica evoluzione del regime: Casella 2006. Per il ‘partito romano’: Riccardi 2007.

    [17] Oltre al volume sull’ONARMO ricordato all’inizio, cfr. Romano 2013.

    Tra fascismo e secondo dopoguerra: la riorganizzazione del Ministero della pubblica istruzione

    Giovanna Tosatti

    Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo

    Università degli Studi della Tuscia

    Abstract

    The last years of the fascist regime, from 1936 to February 1943, were characterized by the presence of Giuseppe Bottai, author of the Carta della scuola, at the top of the Ministry of National Education. This minister is responsible for an effort to reform the entire school system and a conscious attempt to build a new ruling class; during its management the Ministry also issued important legislation for the protection of cultural heritage and the landscape. After the end of fascism, in the years 1944-1947 the structure of the Ministry remained substantially unchanged, while much attention was devoted to the purge of the compromised personnel with the fascist regime; the influence of the Neapolitan philosopher Benedetto Croce was particularly felt. As in the entire public administration, the initial rigor in the renewal of personnel was replaced by a certain indulgence, which allowed Bottai’s collaborators to return to holding positions of responsibility in the Ministry.

    Keywords: Ministry of Education, Giuseppe Bottai, Benedetto Croce, anti-Fascist purge

    Le riforme di Bottai

    Gli ultimi anni del regime (dalla fine del 1936 al febbraio 1943) furono caratterizzati dalla presenza incisiva, come ministro dell’Educazione nazionale, della figura di Giuseppe Bottai, ricordato soprattutto per la Carta della scuola, approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 15 febbraio 1939, e per le norme innovative relative ai beni culturali e al paesaggio [1] . Sul primo punto «lo sforzo di riforma dell’intero sistema scolastico» ha scritto Guido Melis «messo in opera da quest’ultimo [Bottai] merita una particolare attenzione, perché in esso si può ravvisare il tentativo più consapevole e sistematico di costruire, sulla base di un progetto educativo, una classe dirigente nuova, che il ministro presentò subito come ‘fascista’» [²].

    La Carta della scuola, come è noto, consisteva in 29 dichiarazioni programmatiche, di cui le prime sette definivano i Principi, fini e metodi della scuola fascista, le altre illustravano il nuovo assetto del sistema, ora differenziato in quattro ordini generali (elementare, medio, superiore e universitario) e due ordini speciali (istruzione artistica e scuole femminili). La nuova visione di Bottai trovò presto un riflesso nell’organizzazione del Ministero, che subì di conseguenza una nuova organizzazione: le direzioni generali rispecchiavano ora i quattro ordini previsti dalla Carta della scuola e nella loro denominazione era recepito il termine ‘ordine’ invece che ‘istruzione’ [³]. Nell’ultimo ordinamento del Ministero prima della caduta del regime un’altra modifica importante venne approvata per la Direzione generale Accademie e biblioteche, istituita nel 1926: infatti negli anni, per la soppressione di alcuni uffici e per la creazione di altri, anche in dipendenza del conflitto, la Direzione generale si era andata progressivamente caricando di molte e svariate competenze, relative al personale sia dell’amministrazione centrale che dei provveditorati, ai concorsi delle scuole medie e superiori e alle pensioni, alla mobilitazione civile, alla legislazione scolastica comparata, infine all’organizzazione e al funzionamento dei servizi scolastici nei territori annessi e occupati e nella zona di armistizio, un insieme imponente di servizi eterogenei. Per di più il personale da amministrare era in continua crescita, anche perché i provveditorati agli studi da regionali erano stati nuovamente trasformati in provinciali; così anche il personale della Direzione generale era assai cospicuo, circa un quarto di quello complessivamente assegnato agli altri uffici del Ministero. Se ne propose dunque lo sdoppiamento, che venne approvato senza particolari osservazioni dal Consiglio di Stato [⁴].

    Per il settore delle Antichità e belle arti [⁵], la nuova visione di Bottai si riconosceva anche in questo caso nella ricaduta sulla organizzazione degli uffici ministeriali a livello centrale e periferico: le soprintendenze vennero così distinte secondo le diverse specializzazioni (archeologia, architettura e storia dell’arte) e distribuite diversamente sul territorio, il numero ne venne aumentato a 58. «Il concetto ispiratore del nuovo ordinamento periferico» sottolineava Mario Serio «è quello di configurare le soprintendenze come gli unici organi locali dell’amministrazione delle antichità e belle arti, da cui dipendono tutti gli uffici ed istituti esistenti nella giurisdizione (musei, gallerie e pinacoteche, uffici di esportazione …) nonché gli ispettori onorari» [⁶]. A livello centrale, i numerosi corpi consultivi del Ministero confluirono nell’unico Consiglio nazionale dell’educazione, delle scienze e delle arti, ripartito in sei sezioni; fra i 28 membri (invece dei 15 del precedente organismo) erano compresi anche rappresentanti delle organizzazioni politiche del regime, al fine di garantire un collegamento più stretto con la realtà politica, al punto che si perdeva la fisionomia che era stata peculiare del Consiglio superiore della pubblica istruzione, caratterizzato da alta qualificazione e autonomia tecnica, un ruolo così sintetizzato da Gabriella Ciampi: «[Il Consiglio] forte del rigore intellettuale che albergò al suo interno, rivendicò a sé, attraverso il suo operato, un ruolo propositivo, una sorta di dicastero della programmazione culturale» [⁷].

    La Direzione generale si trasformava, contemporaneamente, da organismo di coordinamento degli uffici tecnici provinciali in perno dell’attività scientifica di quegli uffici: per questo dal direttore generale, Marino Lazzari [⁸], dipendevano ora il catalogo, le pubblicazioni, la rivista Le Arti (che prendeva la medesima denominazione della Direzione generale), e l’Istituto centrale del restauro [⁹], destinato a realizzare finalità scientifiche di ricerca e di scuola nel campo del restauro; non a caso, viste le nuove funzioni della struttura, le divisioni furono raddoppiate, da tre a sei. Si aggiungeva agli altri l’Ufficio per l’arte contemporanea, che andava a colmare una lacuna: per l’arte moderna si trattava di promuovere la buona produzione, e interessarsi delle condizioni di lavoro e di vita degli artisti, in collegamento con l’azione dei sindacati [¹⁰]. In sostanza, la riforma a tutto campo di Bottai non solo lasciò un’impronta di lungo periodo nella legislazione di tutela, ma si rispecchiò anche nell’espansione delle strutture esistenti, nella creazione di nuovi uffici e nel cambiamento delle denominazioni precedenti, per sottolineare la discontinuità con il passato: «Un intreccio sapiente di norme primarie e di interventi a carattere amministrativo» così Guido Melis sintetizza l’azione di Bottai «dava così vita a un ‘sistema’ coordinato, del quale non era arduo leggere la ‘filosofia’ innovativa» [¹¹]. La guerra non avrebbe tuttavia permesso alla riforma di dare in pieno i suoi frutti.

    Il periodo della transizione: il Ministero nell’Italia liberata

    Caduto il fascismo, Badoglio nominò ministro della pubblica istruzione Leonardo Severi, già direttore generale dell’istruzione media, che avviò immediatamente la defascistizzazione della scuola informando le autorità dipendenti che la Carta della scuola non aveva più valore, stabilendo che nelle scuole superiori non si potessero adottare libri di testo che contenessero interpretazioni tendenziose di fatti e di eventi storici e politici e abolendo il libro di Stato nelle scuole elementari, divenuto un’antologia di prose e poesie esaltanti il fascismo [¹²]. Vennero anche sostituiti i rettori delle università nominati dal regime con studiosi di provata fede antifascista.

    La figura più influente nelle politiche ministeriali dell’Italia liberata fu senza dubbio Benedetto Croce, autore del Manifesto degli intellettuali antifascisti, che proprio grazie a quella iniziativa era riuscito a coagulare intorno a sé una opposizione al regime tanto insidiosa, da essere percepita come assai pericolosa da parte della polizia [¹³]; si dovette a Croce se nei primi governi di ‘unità nazionale’ il Ministero dell’istruzione venne riservato a partiti ‘non confessionali’, come la DC e il Partito comunista: così i primi tre ministri del settore furono gli azionisti Adolfo Omodeo e Guido De Ruggiero e poi, nei successivi governi Bonomi e Parri, il liberale Vincenzo Arangio Ruiz [¹⁴] ‒ sempre rimasto in contatto con Croce durante il ventennio ‒, che aveva avuto una parte rilevante nell’organizzazione delle forze della rinascita democratica già nel periodo anteriore alla caduta del fascismo e, soprattutto nel settembre del 1943, nelle convulse giornate che precedettero l’insurrezione di Napoli e la liberazione della città, ricoprendo il ruolo di presidente del Comitato di liberazione nazionale della città. Alle disposizioni dell’amministrazione italiana – De Ruggiero aveva già ricostituito su base elettiva il Consiglio superiore della pubblica istruzione e l’Accademia dei Lincei, in sostituzione della Accademia d’Italia ‒ si sovrapposero le iniziative della Commissione Alleata per l’educazione, che tra l’altro compilò un elenco di circa 200 testi considerati apologetici del fascismo.

    In questo breve lasso di tempo, si pensò più alla epurazione del personale che alla riforma del Ministero, rimandata a un momento successivo: a questa in effetti sarebbe stata dedicata un’attenzione particolare da Guido Gonella, rimasto alla guida del Ministero per diversi anni, dal 13 luglio 1946 al 18 luglio 1951. La sua azione venne caratterizzata da un piano decennale di ricostruzione delle strutture scolastiche, dall’istituzione della Scuola popolare, che fra il 1948 e il 1953 avrebbe organizzato più di 90.000 corsi per adulti per sconfiggere l’analfabetismo, e dall’avvio della riforma della scuola media, ma anche da una importante inchiesta portata avanti fra il 1947 e il 1949 per verificare le reali condizioni della scuola italiana di ogni ordine e grado: una iniziativa da cui sarebbe nato il disegno di legge n. 2100 presentato alla Camera nel 1951, peraltro neppure sottoposto alla discussione parlamentare [¹⁵].

    Il problema dell’epurazione del personale maggiormente compromesso con il fascismo, al contrario, appariva particolarmente urgente e importante nel settore

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