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Identità nascoste I tre volti di Ambra
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Identità nascoste I tre volti di Ambra
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Identità nascoste I tre volti di Ambra

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About this ebook

Ambra,una giovane contadina, vive con i suoi tre fratelli più grandiin una grande fattoria nella Valle del Gressoney in Val D'Aosta.

Dopo un evento drammatico, armata di buona volontà e di tanta astuzia, cercherà di vendicarsi di colui che gli ha portato via tutto, Luca un imprenditore veronese. Un uomo assai enigmatico che condurrà Ambra in un mondo a lei sconosciuto e pericoloso con il quale dovrà fare i conti e dove nulla è come sembra.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 20, 2020
ISBN9788831660457
Identità nascoste I tre volti di Ambra

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    Book preview

    Identità nascoste I tre volti di Ambra - Erika Contardi

    ERIKA CONTARDI

    I TRE VOLTI DI AMBRA

    L'odio può essere sconfitto solo con l'amore.

    Rispondendo all'odio con l’odio non si fa che accrescere la grandezza e la profondità dell'odio stesso

    (MAHATMA GANDHI)

    A Fabrizio Melodia ©astrofilosofo, scrittore, poeta, videomaker.

    Titolo |I TRE VOLTI DI AMBRA

    Autore | ERIKA CONTARDI

    ISBN | 978-88-31660-45-7

    Prima edizione digitale: 2020

    © Tutti i diritti riservati all'Autore. Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    CAPITOLO I

    AMBRA

    GRESSONEY, VAL D'AOSTA

    OGGI, Settembre

    Erano solo le quattro di mattina e a fare mostra di sé sul comodino vi era una sveglia piccola e rumorosissima.

    Driin..driin..driin...

    Semiaddormentata, con il braccio allungato e gli occhi chiusi, cercai di spegnere la sveglia con la mano. A quell'ora in campagna e tra le montagne, a interrompere il grande silenzio della notte, la campana del paese suonava insieme al canto del gallo e la gente iniziava a lavorare in stalla e nei campi. Più tardi un altro rintocco delle campane ricordava la pausa pranzo, rieccheggiando nell'aria tra gli alberi e i monti, avvolgendo la vita della comunità come un tempo, al contrario che in città, dove il rintocco delle campane non era nemmeno udito, soffocato dal rumore assordante del traffico e dal movimento incalzante dei cittadini.

    Contemporaneamente mia sorella maggiore Lea urlò il mio nome dal piano di sotto.

    «Mi alzo...», blaterai ad alta voce perché Lea mi udisse.

    «...Finalmente...un po'di silenzio», bofonchiai, quando tutto tacque per qualche secondo.

    Scesi dal letto, mi infilai le ciabatte e alzai le braccia per stiracchiarmi e sbadigliando appoggiai una mano sulla bocca. Mi avvicinai alla finestra chiusa e aprii le persiane illuminando la camera. Era l'alba, ammirai la familiare distesa di montagne innevate all'orizzonte contornato da un meraviglioso cielo variopinto.

    «Buongiorno, mie belle montagne», mormorai sorniona, felice e sognante, mentre immortalavo quella magnifica cartolina colorata con la fotocamera del mio smartphone.

    A quell’ altitudine, poiché la mia camera era situata in una mansarda con travi a vista di abete, lo spettacolo che Madre Natura mi regalava ogni mattino meritava di essere goduto da tutti, anche dai poveri sfortunati che vivevano prigionieri nelle grandi città e imbottigliati nello smog del traffico quotidiano.

    «Mmmmh …», mugugnai, estasiata dal profumo che aveva l'aria fresca e aromatizzata in quanto era un misto di fragranze tra fiori, piante, fieno, come la miriade di fiori che tenevo gelosamente in fioriere appese alla mia finestra, sui tavoli e all'estemo della casa.

    Velocemente presi il mio mini innaffiatoio che tenevo in un angolo dell'armadio adibito alle cianfrusaglie varie, lo riempii di acqua presa dal rubinetto del bagno situato sul pianerottolo fuori dalla camera che conduceva nei piani sottostanti e sempre di corsa me ne tornai ad annaffiare i fiori sul davanzale.

    «Ecco, bevete cosi quando picchierà il sole non soffrirete», dissi.

    «Ambra, vuoi scendere o devo venire su io?», urlò nuovamente mia sorella Lea con voce impaziente.

    Accidenti… devo sbrigarmi, pensai e in fretta e furia richiusi la finestra e uscii dalla camera.

    La valle di Gressoney, l'ultima della Val d'Aosta, ospitava le più alte montagne delle Alpi e comprendeva molti ghiacciai. Era un bellissimo luogo di villeggiatura sia estivo che invernale in quanto disponeva di un buon numero di impianti e piste da sci, di varie zone verdi protette e di aree ampie per pascoli e vigne. Mio padre vi aveva costruito un'immensa residenza in legno. La mia camera era stata realizzata con mobili su misura per via del tetto a spiovente: un letto in legno massiccio, dinanzi ai piedi del letto, una cassapanca in abete e di fianco l'armadio con la cassettiera abbinata sempre in legno, un comodino grande per appoggiare sopra il tablet che usavo per studiare e che utilizzavo per le prenotazioni di turisti di passaggio, infine una brocca di acqua fresca da bere proveniente dal nostro pozzo era tutto quello di che comprendeva la mia stanza e che mi davano il senso di calore, intimità e protezione. Un lungo tappeto per rifinire il tutto era infilato sotto la cassapanca che fungeva da passatoia fino all'uscio.

    La scala conduceva a sua volta alle camere dei miei fratelli e al pian terreno dove c'era lo studio di nostro padre che era la riproduzione identica di quello che aveva a Zurigo in memoria di nostra madre che insieme a lei, quando era in vita, aveva condiviso momenti belli, indimenticabili, alternati a momenti brutti ma che si concludevano sempre bene e dove era il loro amore a trionfare. Da quando anche nostro padre ci aveva lasciati tutto era rimasto intatto, la sua scrivania in legno con sopra la stampante e il pc che utilizzava per archiviare documenti inerenti la fattoria e in un angolo, in bella vista, una foto incorniciata di tutta la famiglia: lui, papà Gilberto, poi mamma Evelyn, Lea e Giulia le due sorelle più grandi, Federico, il fratello minore e poi c'ero io, Ambra, la piccola di casa. Naturalmente, sdraiata ai nostri piedi, la fedele e amica a quattro zampe Belle che all'epoca era ancora una cucciola. Lo zio Ralph scattò quella foto in una tiepida giornata di primavera dove i nostri volti erano illuminati, oltre che dal sole, anche dal nostro bellissimo sorriso. Una vecchia poltrona, in pelle marrone, era presente vicino alla finestra dello studio che mio padre teneva gelosamente in ricordo di Evelyn e che lei utilizzava quando leggeva o ricamava. Lui si sedeva spesso per pensare, per rammentare il suo viso, la sua voce e il suo profumo inebriante, cosi raccontava, commuovendosi ogni volta e rilassandosi con in bocca la propria pipa, di fronte a noi, si divertiva a formare piccoli cerchi di fumo in aria. Ora non c'era più nessuno e la malinconia, entrando nel suo studio, avvolgeva tutti quanti. Ricordi indelebili.

    La pipa ora era accuratamente riposta nella sua scatola nel primo cassetto della scrivania mentre sulla poltrona vi era rigorosamente ripiegata in più parti la copertina colorata, ricamata da mia madre esclusivamente per mio padre e che usava per coprirsi le gambe quando ci si accomodava. Al centro della stanza, infine, faceva bella mostra di sé un meraviglioso caminetto in pietra con il suo attizzatoio e la legna, perfettamente accatastata, in una rientranza creata appositamente. Tranne nei mesi estivi il caminetto era sempre acceso per via dei muri molto spessi che lasciavano la stanza fredda. I pensieri fluivano velocemente nella mia mente come miglioni di immagini di un collage ed era un battito in meno al mio cuore per la forte nostalgia che provavo. Sotto lo scoppiettare armonioso del fuoco vedevo i miei genitori stringersi in un caloroso abbraccio, i loro occhi che brillavano di amore sincero e poi, timidamente, in silenzio, celati dalla penombra che dava la camera e dove il flebile bagliore della fiamma a tratti palesava la loro figura sinuosa, li vedevo unirsi da un tenero e passionale bacio.

    Fin da piccoli eravamo stati educati a dividerci le mansioni in quanto in una fattoria i lavori erano davvero tanti. Mia sorella maggiore Lea, la prima fra tutti dopo la morte di mamma, era per me come una seconda madre. Nostra madre morì quindici anni prima quando avevo compiuto dieci anni mentre lei ne aveva ventidue, ora trentasettenne. La Svizzera, dove un tempo risiedevamo, era un paese ormai pieno di ricordi tristi perchè ogni cosa ci rammentava lei.

    Fu proprio mia madre Evelyn, in punto di morte, a raccontarmi come e quando giunsi nella loro casa di città.

    «Devi sapere piccola mia che lo zio Ralph, mio fratello, in una notte d’inverno mentre fuori infuriava la bufera, fece il suo ingresso trafelato in casa, stringendo tra le braccia un fagottino infreddolito e piangente. Quel giorno, i tuoi meravigliosi occhi chiari e la tua squillante vocina ci hanno totalmente preso il cuore.

    Eri a tal punto infreddolita e affamata da urlare cosi forte che ho dovuto prenderti tra le braccia per calmarti. Dopo un po' di latte e coccole mi hai sorriso e ti sei finalmente addormentata», furono le sue ultime parole, le ricordavo ancora come se tutto fosse accaduto l’altro ieri.

    Rimasi con loro qualche tempo intanto che il commissario di polizia, lo zio Ralph, avesse il tempo di trovarmi una sistemazione definitiva e decisero in seguito di tenermi nella loro famiglia, preoccupandosi successivamente di avviare le pratiche di adozione, mi raccontò sempre mia madre adottiva, una donna minuta dagli occhi scuri colma di amore con mani piccole, piene di calli, calde e accoglienti. Scossa dai ricordi dall’ennesimo richiamo spazientito di mia sorella, uscii dalla mansarda, saltando poi gli scalini come un canguro e in un attimo fui giù in cucina.

    «Eccomi...», risposi radiosa a mia sorella, afferrando al volo una fetta di pane tostato appena uscita dal tostapane.

    «Lo sai che oggi toccano a te le faccende di casa quindi fai colazione, preparati e poi al lavoro», mi ordinò perentoria, mentre mi accomodavo al tavolo apparecchiato per la prima colazione con caffè, spremuta di arancio , latte appena munto e la magnifica marmellata di frutti di bosco fatta in casa.

    «Ok…Ok…Fede è già andato in stalla?», domandai all'altra mia sorella seduta a tavola mentre spalmavo il pane con la marmellata e bevevo il caffè latte.

    Fede, diminutivo di Federico, era il terzo genito della famiglia ed era quello con la quale avevo legato di più in quanto avevamo solo due anni di differenza.

    Le mie due sorelle, dopo la morte di nostro padre avvenuta a seguito di un aneurisma cerebrale, erano diventate di fatto le capofamiglia, in quanto si occupavano di tutte le spese della fattoria, dall’acquisto dei materiali essenziali fino alla vendita diretta dei prodotti della nostra terra. Fisicamente si assomigliavano tutti, con occhi e capelli scuri, a differenza mia che essendo stata adottata avevo gli occhi e i capelli chiari. Loro si dedicarono totalmente a me e a Fede, a farci crescere, sostituendosi a nostra madre e in seguito anche a nostro padre.

    «Si, oggi è stato più svelto di te che hai fatto la pigrona», rispose Lea, rivolgendomi uno sguardo divertito.

    «Quel birbante, adesso lo aggiusto io», dissi con la bocca piena, quasi strozzandomi con il boccone che avevo.

    «Non ingozzarti come al solito», mi rimproverò mia sorella maggiore.

    «Sei la solita incorreggibile. Se quando ti chiamo scendessi subito, non faresti tutto di corsa», concluse lei scuotendo la testa mentre mi alzavo per correre a fare i miei lavori, alzando le mani e facendo spallucce.

    Terminai i lavori domestici in fretta e raggiunsi Fede che aveva portato il bestiame a valle e felice corsi da lui con l'amata Belle, la nostra fedele San Bernardo, addestrata a recuperare ogni tipo di animale nel caso si allontanasse. Amavo andare con mio fratello al pascolo, non ci rinunciavo mai e non lo feci nemmeno quel giorno.

    «Ambra...Ambra...», mi chiamò mia sorella maggiore nel vedermi correre a perdifiato per raggiungere Fede e il bestiame.

    Ero raggiante, solare e semplice come lo era quel posto fatto di tradizioni, spontaneità e naturalezza. Ero vestita con un abitino lungo smanicato color prugna e i capelli castano chiari lunghi che svolazzavano al vento e un cappello di paglia per ripararmi dal sole che nella stagione estiva picchiava forte.

    «Non cambierà mai quella ragazza», disse mia sorella sorridendo, prendendo lei in mano il capo bagnato per stenderlo e che, insieme agli altri panni lavati, avevo scordato nella tinozza da sistemare, mentre il sole mi illuminava intanto che scomparivo all'orizzonte.

    La nostra abitazione era a qualche chilometro di distanza dalla città di Gressoney, una strada dissestata e in salita per arrivarci. La casa era spaziosa e luminosa per via delle grandi finestre poste in ogni stanza. L'arredamento di tutte le camere era rustico e i mobili in legno chiaro di abete come la casa, inoltre in ogni stanza vi era un caminetto antico in pietra per il riscaldamento. Avevamo di nostra proprietà circa dieci ettari di terreno, vari edifici rustici con allevamenti allo stato semibrado di capre, pecore e bovini, avevamo sul libro paga una decina di dipendenti fissi che si occupavano della coltivazione e dei pascoli, più qualche stagionale che arrivava in paese durante la stagione dei raccolti. Sapevamo vendere bene i nostri prodotti e alla fine ci eravamo fatti una certa fama per la produzione di formaggi e verdure coltivate in modo naturale. L’ azienda agricola Le petit trianon era garanzia di qualità e bontà tradizionale.

    Io e Fede ci occupavavamo spesso di far pascolare gli animali e di preparare il fienile presso la nostra casa.

    «Fede, ciao», lo salutai raggiungendolo.

    «Ciao sei arrivata finalmente», in un impeto di follia giovanile mi buttai tra le sue braccia baciandolo.

    A tutte e due piaceva molto stuzzicarci e scherzare coccolandoci. Pranzavamo sulla collina mentre gli animali andavano a ruminare qua e là. Prima di rincasare, all'imbrunire, coricata sul prato e lui appoggiato ad un albero vicino a me, guardavamo il sole tramontare. Ci piaceva molto stare ad osservare il sole mentre scompariva e a volte rimanevamo lassù anche delle ore. Il crepuscolo con la sua immensa bellezza e la sua luce rossastra che illuminava ogni cosa, si diffondeva fra le nuvole in cielo e su quell'altura isolata, era totalmente nostro.

    «Sorellina, quando ti deciderai a dirlo alle nostre sorelle?», mi chiese Fede distraendomi dalle mie fantasie.

    «Che cosa?», risposi assorta ad ammirare le nuvole muoversi in cielo.

    «Come, che cosa? Della laurea che hai preso a pieni voti qualche settimana fa. Avevi detto che avresti aspettato solo qualche giorno», mi ammonì mio fratello, perplesso.

    «Si, lo so ma sai come sono le nostre sorelle, mi obbligheranno ad andare in città a cercare un lavoro, anche solo un contratto da apprendistato con una paga base pur di farmi iniziare a lavorare», risposi sbuffando.

    «Bene, una signora Fiore che ha studiato e che potrà fare un lavoro differente da questo, disse con gioia Fede, sorridendomi e prendendomi fra le braccia stuzzicandomi i fianchi per attirare la mia attenzione.

    «Papà e mamma ne sarebbero fieri», insistette mio fratello, sdraiandosi al mio fianco.

    Amavo molto quella serenità, dove le montagne con la punta innevata e le meravigliose foreste rendevano l'ambiente suggestivo e rilassante.

    «Ma a me piace stare qui con voi e amo le mie montagne», lamentai.

    «Lo so ma il mondo è lì che ti aspetta e prima o poi a loro dovrai dirglielo», concluse lui alzandosi, mentre con Belle riprendeva tutto il bestiame.

    «Si fa buio, torniamo», continuò Fede.

    Mi alzai anch'io e lo aiutai a riportare gli animali indietro. Non risposi e lui non mi chiese più nulla. Alla sera un meraviglioso manto di stelle si ergeva dentro un cielo blu intenso. Rincasammo appena in tempo quando ormai fuori era buio pesto. Cenammo tutti insieme e stanchi morti ce ne andammo poi a dormire visto che ci si alzava molto presto.

    L'indomani dopo pranzo qualcuno bussò alla porta di casa nostra.

    Chi poteva essere?

    Poche persone venivano fin quassù e comunque i turisti che volevano soggiornare qualche giorno arrivavano sempre su prenotazione online o per telefono.

    «Chi è?», domandò una delle mie sorelle.

    «Sono l'avvocato Mancini, ho delle comunicazioni importanti per voi», replicò una voce profonda dal tono professionale ma da cui traspariva una nota di preoccupazione.

    «Come mai da queste parti e senza preavviso?», chiese la sorella maggiore dopo aver fatto accomodare l’ avvocato Mancini, il quale si accomodò sul divano del soggiorno, posando una grossa cartella chiusa con un elastico blu scuro.

    «Dovevo portarvi dei documenti importanti ma soprattutto parlare con tutti voi di una cosa che riguarda la morte di vostro padre», spiegò lui, aprendo la cartella e tirando fuori degli incartamenti, con aria preoccupata.

    «Vuole un bicchiere d'acqua ?», gli domandai vedendolo affannato e sudato.

    «Si, grazie mille sono un po' accaldato», ammise l'uomo asciugandosi la fronte con un fazzoletto a portata di mano.

    Aprì un plico e ce lo mise davanti agli occhi, affinché tutti potessimo vedere con chiarezza che si trattava di un contratto.

    Prima di lasciarcelo visionare, spiegò la situazione incresciosa avvenuta. Dopo la morte di nostro padre, la compagnia industriale del

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