E venne il giorno di Santa Apollonia
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Book preview
E venne il giorno di Santa Apollonia - Gaetano Bernunzo
633/1941.
PREFAZIONE
Mi sto da poco avvicinando al mondo dei sordi per motivi professionali: sono un attore e sono affascinato dal loro modo di esprimersi.
Se devo essere sincero tutto è partito leggendo Il grido del Gabbiano, scritto da Emanuelle Laborit, il diario di una ragazza non udente che in Francia ha un notevole successo come attrice.
Chissà perché ci sono cose che ti parlano più di altre e ti spingono a cercare di saperne di più. Perché non mi sono mai accorto delle grida dei gabbiani
?
Non ci sono molte occasioni per avere contatti con i sordi, non li vediamo facilmente, ma quando capita rimaniamo incantati a guardarli, sembra che arrivino da lontano, da una parte lontana di noi che appartiene a quel bisogno primario di comunicare che noi udenti
abbiamo risolto prevalentemente con la parola.
Gaetano l'ho conosciuto all'Istituto Magarotto
di Padova (uno dei pochi Istituti superiori italiani per sordi) dove svolge l'attività di Istitutore. Ho trovato un uomo che ama fortemente il suo lavoro, che si appassiona, combatte la sua lotta contro i pregiudizi, le paure, l'ignoranza che circonda, spesso accerchia, questa problematica.
Proprio come Roberto, il protagonista di questo romanzo.
Roberto è un ragazzo come tanti, che vive in una città come tante, studia come tanti, ha una famiglia come tante, si innamora di una ragazza, Milena: una ragazza sorda!
Un imprevisto, qualcosa di inaspettato, una persona diversa
.
Roberto inizia questo viaggio come per incanto, guidato dal cuore, tutto gli è ostile: la società, gli amici, la famiglia. Uscire dai binari è una scelta difficile, ci vuole coraggio.
Questo libro è una finestra che si affaccia su un mondo che non conosciamo, ci fa sentire da vicino le grida dei gabbiani
, come vivono, respirano, dove nidificano.
E venne il giorno di Santa Apollonia è leggero, bello, ci avvince, ci fa pensare, ci regala, ci fa conoscere, ci fa rispettare e dà voce a chi non ce l'ha: non è poco!
Milena sembra dire anche a noi:
Devi guardarmi in faccia, altrimenti non possiamo capirci!
.
Guardare in faccia, come la verità.
Vasco Mirandola
A Maria Teresa, Donata e Désirée
CAPITOLO I
Nere rondini si rincorrevano, volteggiando felici, animando il terso cielo di Sicilia.
Per la strada anche le persone sembravano rincorrersi e quasi scontrarsi, mentre si avviavano velocemente chi al lavoro, chi a scuola, chi nel vicino ospedale, chi nei vari uffici a sbrigar pratiche, chi al mercato...
Era, infatti, martedì, giorno di mercato ad Enna.
Roberto, giovane studente universitario, seduto davanti ad un bar, ad un tavolino piazzato sul marciapiede, si gustava la fresca aria mattutina ed ascoltava estasiato il canto delle rondini, spostando lo sguardo tra il cielo ed il via vai di persone che scorreva davanti a lui.
Poco più avanti vide un autobus fermarsi e, aperte le porte, vomitare fuori uno sciame di ragazzi vocianti che, con i loro zaini sulle spalle ed a piccoli gruppi, si avviavano verso le scuole.
Lentamente, poi, scesero delle signore di mezza età e delle canute vecchiette che, con le loro ampie, e per ora flosce, borse della spesa, gli passarono davanti.
Roberto aprì meccanicamente il giornale e stava per distogliere lo sguardo dall'autobus quando si accorse che, per ultima, era scesa una ragazza.
Mio Dio, com'è bella
pensò richiudendo il giornale e tenendo lo sguardo fisso sulla ragazza; dei biondi capelli lisci incorniciavano un candido volto di Madonna, ma le labbra piene accesero in lui inconfessabili desideri. Sotto una leggera giacchettina di cotone si immaginavano due seni prorompenti, mentre un paio di sdruciti jeans esaltavano un corpo perfetto.
Appena scesa dall'autobus la ragazza si fermò; si sistemò gli attillatissimi jeans, tirandoli verso il basso all'interno delle cosce, si passò una mano aperta sui capelli e si avviò, con una camminata strana ed indolente.
Roberto rimase colpito e turbato dalla sua bellezza ed il suo cervello cominciò a rimuginare alla ricerca di una scusa per fermarla e poterla conoscere; ma prima ancora che trovasse il modo di fermarla, la ragazza gli sfilò davanti. Per un attimo i loro occhi si incontrarono, poi lei abbassò lo sguardo e si allontanò con quella strana camminata.
Il giovane abbandonò il giornale sul tavolo, si alzò e cominciò a seguirla, ammirandone da dietro la perfetta forma del corpo. La sua mente non riusciva a trovar un modo, che non fosse stupido, per poterla fermare.
D’un tratto la ragazza gli fu nascosta dai corpi di altre persone che gli passavano davanti e si accorse che intorno a lui la gente era aumentata: erano già dentro al mercato.
Roberto vide la ragazza allontanarsi ancora e perdersi tra folla; maledì la gente che lo urtava e, deluso per non essere riuscito a trovare una scusa per fermarla, si girò per ritornare verso il bar, con sguardo assente.
Arrivato davanti al bar vide che al suo posto s'era seduta una coppia che faceva colazione con brioche e granita, mentre un vecchietto, in un tavolo accanto, inforcati gli occhiali cominciava a leggere il giornale che lui aveva lasciato sul tavolino. Roberto guardò l'ora: erano quasi le nove! Decise di andare a casa per studiare, ma prima di avviarsi si fermò a guardare verso la strada del mercato; portò poi il suo sguardo sulla fermata dell'autobus, pensando: Eh no, cara, ci rivedremo! A costo di aspettarti a questa fermata tutti i martedì della mia vita!
.
Arrivato a casa, proprio davanti alla porta, incrociò sua madre che stava per uscire:
- Roberto, io vado al mercato; tornerò fra un paio d'ore.
- Ok mamma, io vado a studiare - rispose laconico il figlio.
Il giovane stava per chiudere la porta alle sue spalle quando un'idea gli attraversò fulminea il cervello e, riaperta la porta, chiamò la madre:
- Mamma, vuoi che ti accompagni al mercato? - chiese, con la speranza di poter rivedere la ragazza.
La madre si girò a guardarlo stupita e, dopo un attimo di perplessità, rispose:
- Non hai mai voluto accompagnarmi! Come mai oggi me lo chiedi? C'è qualcosa che non va?
- Ma no, mamma! Mi piacerebbe andare in giro per il mercato.
- Giusto oggi, poi, che devo prendere soltanto qualcosa per me ed un po’ di frutta. Vai a studiare, invece! Lo sai che tuo padre fa storie se non studi! Ciao! - Ed andò via.
Roberto guardò sua madre allontanarsi; si chiuse alle spalle la porta, attraversò il lungo corridoio ed entrò nella sua stanza, dove tutto era perfettamente in ordine: a sinistra, proprio dietro alla porta d'ingresso ed ai piedi del letto, vi era il mobile con il televisore ed il videoregistratore; il ripiano inferiore era completamente pieno di videocassette. Accanto al letto vi era un comodino con una abatjour a forma di vela; subito dopo la sua scrivania, coperta di libri e fogli vari ben sistemati. Una comoda poltrona, ricoperta di stoffa fiorata, era accanto ad una finestra che dava alla stanza una abbondante luce e spaziava, fuori, tra i tetti delle case della sottostante strada ed il cielo. Un grande armadio, che andava da un angolo all'altro della stanza, copriva completamente una parete. Tra l'armadio e la porta d'ingresso uno stereo era incastrato in mezzo a dei ripiani in legno quasi completamente coperti da dischi e cassette. Roberto si gettò sul letto, incrociò le braccia sopra il cuscino, vi poggiò la testa e restò immobile a guardare il soffitto. Dopo un po' girò leggermente il capo verso il comodino e vide le sigarette: ne prese una e l'accese. Tra le grigie volute del fumo gli parve quasi di vedere il volto di quella ragazza ed esclamò: - Quanto sei bella, quanto sei bella!
Fantasticò ancora per un po’, cercando di immaginare il modo in cui avrebbe potuto conoscerla e quale potesse essere il suo nome: Ti chiami Giulia? Irene? Elena? O semplicemente Giuseppina? Concettina o Carmelina? E se ti chiamassi Roberta? No, no, preferirei di no. Va beh, mettiamoci a studiare
. Spense la sigaretta, piantò i gomiti sul tavolo ed appoggiò con forza le mani ai lati della testa.
Ma non ci fu verso: il volto della ragazza che aveva visto poco prima si insinuava tra le pagine del libro e non riusciva ad allontanarlo.
Lasciò perdere il libro, richiudendolo e spingendolo lontano da sé e piegò la testa all'indietro alla ricerca di una alternativa allo studio. Il suo sguardo si posò sullo stereo e sui dischi, ordinatamente riposti nello scaffale di legno.
Si alzò meccanicamente, prese un disco di De Andrè ed andò a sdraiarsi sul letto, appoggiando il capo sulle mani intrecciate. La musica e le parole, dolci e struggenti, della Canzone di Marinella
si diffusero per la stanza.
E se si chiamasse Marinella?
pensò ancora Sarebbe fantastico! Sì, mi piacerebbe!
.
Il disco continuò a girare ma Roberto non ne sentiva più né la musica né le parole, perso dietro i suoi pensieri.
Lo squillo del telefono lo fece trasalire; scattò in avanti e prima ancora che facesse un altro squillo alzò la cornetta:
- Pronto?
- Ciao, Roby, sono Elena! Che fulmine a rispondere! Non dirmi che aspettavi la mia telefonata! - aggiunse maliziosamente la ragazza.
- Veramente stavo studiando – mentì Roberto.
- Ma sento della musica! Studi con la musica?
Il giovane arrossì come se lei fosse là davanti a rimproverarlo.
- Ma no, no Elena! Sono stanco e sto facendo cinque minuti di pausa!
- Sai che stasera ceniamo a casa tua? Andiamo al cinema dopocena?
- Veramente i miei non mi hanno detto nulla! Comunque...
- Ti dispiace? - chiese la ragazza risentita.
- Ma no, cosa dici! Mi meraviglio solo che mia madre non mi abbia detto nulla, come fa di solito, con un grande squillo di trombe, ogni volta che tu ed i tuoi genitori venite a casa mia. Sai quanto ti vuol bene e qual è il suo sogno. Se poi le dicessimo che siamo veramente fidanzati, credo che impazzirebbe dalla felicità.
- E non sarebbe ora che glielo dicessimo?
- Oh no, non per ora! - rispose d’acchito Roberto ed accortosi che forse era stato un po’ troppo brusco ed irruente, aggiunse: - Non sono sereno e sono tanto stanco! Tu mi capisci, vero? Ho l'ultima materia da dare e, contemporaneamente, sto lavorando alla tesi!
- Forse hai ragione, va bene! Ciao! - disse Elena, contrariata, interrompendo la conversazione.
Roberto rimase a guardare il telefono e, pian piano, un'idea si fece largo tra i suoi pensieri: poteva essere il telefono il modo per contattare la bella sconosciuta. Al telefono riusciva a scrollarsi di dosso la sua timidezza, risultando così più spontaneo, più romantico: così aveva conquistato tante ragazze. Se riuscissi in qualche modo a sapere il suo numero di telefono e potessi raccontarle tutta la dolcezza che lei emana, il mio immenso desiderio di conoscerla, di poterle dire quanto sarebbe bello...
- interruppe il suo pensiero e, sottovoce, esclamò con tono meravigliato: - Amarla? Oddio, è possibile? è possibile che mi sia preso una cotta colossale...
Il suo viso si illuminò d'un sorriso dolce e, con un gesto lento, accarezzò la cornetta, che aveva ancora in mano, e la appoggiò sul telefono che squillò nuovamente; sovrappensiero, lo lasciò suonare più volte, poi si decise a rispondere:
- Sì?
Dall'altra parte del telefono la voce squillante del suo migliore amico, nonché collega di studio, Franco gli urlò:
- Perdio, con chi hai parlato? Con Napoleone Colajanni dall'aldilà? Da venti minuti provavo a chiamarti ed il tuo telefono era sempre occupato!
- Ciao Franco! è vero, ma vedi ho parlato con Elena e mi sono poi dimenticato di rimettere a posto il telefono.
- Oh no! Tutto ok, non ti preoccupare! Che fai di bello?
- Mi prendi in giro? Sai che sto scoppiando a studiare! E tu stai
studiando?
- Sì, sì, anch'io... - rispose stancamente, ma subito aggiunse: - No, a dire il vero oggi non ne ho proprio voglia! Sono... sono... insomma non ho voglia! Ci vediamo pomeriggio?
- Va bene, però sul tardi, così magari andiamo a mangiare una pizza!
- No, stasera non posso; Elena mi ha appena detto che viene con i genitori a cena da me! E tu sai...
- Sì, sì! Lo so! Avete tanti progetti da discutere, matrimonio e marmocchi da programmare! Va bene, va bene!
- E per fortuna né i miei né suoi genitori sanno che stiamo veramente assieme... comunque, ci vediamo verso lei sei al bar?
- Alle sei? Ma sì, chi se ne frega! Vuol dire che studierò anche stasera fino a tardi! Ok, alle sei! Ciao!
Roberto si rimise sui libri e, stavolta, riuscì a concentrarsi, allontanando la sua ansia ed il volto di quella ragazza sconosciuta.
Non sentì neanche sua madre rientrare e, piano piano, aprire la porta della stanza per richiuderla subito, vedendolo intento a studiare.
All'una ed un quarto entrò nella stanza il padre e gli si avvicinò, con aria allegra e soddisfatta:
- Allora, figliolo, come va?
- Bene, papà, bene!
- Dai! Abbiamo urgente bisogno di un altro collega in ufficio! Sbrigati a laurearti!
Il padre era infatti un buon avvocato ed aveva una ottima reputazione in città ed uno studio avviatissimo, insieme al padre di Elena. Mai, però, si sarebbe potuto immaginare che due persone, tanto diverse sia fisicamente che caratterialmente, potessero filare così d'amore e d'accordo. Il padre di Roberto, infatti, era ancora un bell'uomo alto e robusto, con tantissimi capelli quasi tutti grigi, preciso ed ordinato nelle sue cose. Il padre di Elena, invece, era sì alto, ma mingherlino e quasi del tutto privo di capelli; con un'aria trasandata e, anche se fosse stato vestito da Valentino, sembrava perennemente disordinato! Ed anche nel lavoro, pur essendo uno stakanovista, teneva le carte tutte in giro e solo lui era in grado di metterci le mani. Però entrambi avevano una preparazione eccellente, anche se la dialettica del padre di Roberto era senz'altro più forbita.
- Fra poco più di due settimane c'è questo benedetto ultimo esame di codice penale! Spero che vada bene! Poi, visto che sono a Palermo, ho già preso appuntamento con il professore per definire meglio la tesi!
- Devi cercare di fare un buon lavoro con la tesi, perché può alzarti un po’ il voto finale.
- Ho già… una buona media; 106 mi sembra un buon voto!
- Beh, avresti potuto arrivare anche al 110 e lode se...
- A tavola! - annunciò la madre dalla soglia della stanza.
- Andiamo, dai - disse il padre, prendendolo sotto braccio.
Appena seduto il padre prese il telecomando, accese la televisione e recitò la solita frase, che Roberto aveva sentito fin da piccolo, quasi fosse la parola d'ordine per iniziare a mangiare, sia a pranzo, sia a cena.
- Vediamo un po’ cos'è successo oggi!
Mentre pranzavano non si sentiva altro che la voce dello speaker della televisione ed il tintinnio delle posate contro i piatti; raramente il padre interveniva con qualche brevissimo commento!
Finito il pranzo il padre si alzava quasi subito e, mentre nei mesi
invernali andava a rimescolare tra le sue carte, quando arrivavano i mesi caldi, pronunciava la frase rituale:
- Vado a fare un riposino!
Roberto si fumava una sigaretta e, qualche volta, aiutava la madre ad asciugare le pentole. Questa volta, però, disse alla madre che sarebbe andato subito nella sua stanza.
Accese lo stereo e si buttò sul letto; la musica portò la sua fantasia alla ricerca di quella ragazza vista al mattino e poi, lentamente, lo trascinò nel sonno.
Fu svegliato dal padre che era entrato nella stanza per salutarlo prima di far ritorno nel suo studio.
- Mi raccomando, Roberto, studia eh! - disse l'uomo chiudendosi alle spalle la porta.
Roberto andò a darsi una rinfrescata al viso e, spento lo stereo, che aveva continuato a suonare mentre lui dormiva, ricominciò a studiare. Quando mancavano dieci minuti alle sei, uscì dalla stanza ed avvisò la madre:
- Vado a fare una passeggiata per sgranchirmi le gambe!
- Non fare tardi! Stasera abbiamo Elena a cena!
- Va bene, ma potevi avvertirmi prima!
Uscì e si avviò verso il bar dove trovò Franco già seduto ed intento a leggere il giornale dello sport.
Roberto tirò via il giornale dalle mani dell'amico:
- Basta con queste stronzate!
- Oh, buonasera signor Eco! Cosa mi propone da leggere, dopo il suo pendolo ed il suo diario minimo? - rispose Franco, pronto e ironico.
- Ti propongo una birra, ci stai?
- Ci sto! - e, chiamato il cameriere, ordinò due birre alla spina.
- Senti, - continuò Franco - già stamattina al telefono mi era sembrato di capire che c'era qualcosa che ti rodeva! Ora, vedendoti, ho l'impressione, è solo una vaga impressione, eh!, che tu abbia l'espressione da pesce lesso che assumi ogni qualvolta ti innamori follemente! O sbaglio?
- Io? - rispose Roberto sorpreso; e sorridendo prese il boccale di birra e cominciò a bere.
- Come non detto! Vai al cinema con Elena, dopocena?
- No, non ho voglia stasera!
- Ah sì? Allora dimmi: è bella? Come si chiama? Dove l'hai conosciuta?
Roberto tirò un grosso sospiro, incollò nuovamente le labbra sul bordo del bicchiere e bevve metà della birra!
- E va bene! - poggiò il bicchiere sul tavolo e, asciugandosi le labbra con un tovagliolo, continuò: - Non so come tu faccia a capirlo, ma è vero! Oddio, neanch'io so se... insomma, innamorato forse è troppo! O forse no! Forse non è la parola giusta...
- Racconta, racconta... - chiese l'amico appoggiando le braccia sul tavolo mettendosi in posizione di interessato ascolto.
- L'ho vista stamattina per la prima volta e... vedessi che bella! - rispose con una calma che sorprese lui stesso.
- Come si chiama?
Roberto fece spallucce, con un’aria dispiaciuta:
- Non lo so! Non ho potuto fermarla...
- Assurdo! Sei sempre il solito! Ti innamori di una sconosciuta! Devo sempre presentartele io le ragazze! - commentò l'amico con aria delusa.
- È bellissima! Perfetta! - disse Roberto disegnando in aria, con le
mani, le forme del corpo della ragazza!
- Pfui! - fischiò Franco indicando con gli occhi un punto alle spalle dell'amico. - Bella come quella?
Roberto girò lentamente la testa per guardare la ragazza che aveva indicato l'amico e, rigirandosi di scatto, disse concitato:
- È lei! È lei! Viene verso di noi?
- Per ora sembra che stia aspettando di attraversare la strada! - rispose Franco guardando con ammirazione la ragazza: - Hai ragione ad avere quell'aria da scemo: è veramente bella.
Roberto tornò a girarsi e vide la ragazza attraversare la strada e sparire in una stradina laterale.
- Ma da lì non si va da nessuna parte! è la stradina che porta soltanto all'ingresso di quei due condomìni!
- Non dirmi che abita là! Ed io non la conosco e non l'ho mai vista? - s'interrogò Roberto.
- Beh! Sai com'è: le ragazzine cambiano e diventano donne da un giorno all'altro...
- No, che scemo che sono! è impossibile che abiti lì! Stamattina l'ho vista scendere dall'autobus!
- Sarà andata a trovare qualche amica! - sentenziò Franco – Beviamoci su ed aspettiamo che esca! Alla sua salute! - concluse alzando il bicchiere in direzione di Roberto.
- Ascolta, Franco, devi aiutarmi! - Roberto assunse un'aria preoccupata. - Cerchiamo, però, un modo intelligente per fermarla e conoscerla...
- Siamo alle solite, io le conosco e tu te le fai! - esclamò Franco fintamente arrabbiato. - Ti ho mai deluso?
- Beh, questa non è come le altre! Ci tengo a non apparire il solito pappagallo che vuol attaccare bottone...
- Queste cose è meglio non programmarle! Se ci pensi su non combinerai mai niente! Bisogna agire d'acchito, seguendo l'istinto!
- Stavolta ho paura!
- Siamo nervosi eh! - esclamò Franco sfottente. - Non ti preoccupare! Fai conto di conoscerla già! Aspettiamo che esca e ci penso io! Stai calmo e gustiamoci questa birra.
Roberto sistemò la sedia in modo da poter vedere l'ingresso della stradina, poi prese la birra e la finì d'un fiato.
- Non ci sono altre uscite, mi sembra, vero?
- C'è solo quest'altro ingresso, qua vicino - rispose Franco, con sicurezza - e basta! Dunque è tutto sotto controllo.
E se ne stettero, in silenzio, con gli sguardi puntati ai due ingressi.
Il tempo passava, il cameriere aveva già scambiato più volte i boccali di birra vuoti con altri pieni e la ragazza non era ancora uscita.
- Son quasi le otto - esclamò d'un tratto Franco, guardando l'orologio - o abita là o si ferma anche per cena dall'amica.
- È impossibile che abiti là, ti dico! Altrimenti non sarebbe venuta in autobus questa mattina! Aspettiamo ancora un po’!
- Ma Roberto, alle otto arriva Elena con i suoi genitori a casa tua!
- Sì, sì, lo so! - rispose Roberto guardando l'orologio e scuotendo nervosamente le gambe. - Aspettiamo ancora un po’!
E si mise a girare nervosamente tra le mani il boccale di birra vuoto, con lo sguardo fisso sui due ingressi.
- Senti, tu sai bene com'è tuo padre. Tiene molto alla puntualità! E poi sai che scarica la colpa sempre su di me! Non che mi importi
molto, ma...
- Dieci minuti, dieci minuti soltanto... - lo interruppe Roberto e, guardando l'ingresso che sembrava aver inghiottito la ragazza, continuò - Dai, maledizione, esci...
- Ascolta: tu conosci quelli che abitano in questi due condomini? Potremmo riuscire a sapere chi è e...
- Ma no, conosco di vista due o tre persone!
- Tua madre conoscerà sicuramente tutti! Prendiamo i cognomi dalle targhette, poi chiedi a tua madre chi ha delle figlie e...
- Ti sei bevuto il cervello? Chiedere a mia madre! ... per lei non c'è nessun'altra che Elena! - lo interruppe nervosamente Roberto.
- Prendiamo lo stesso i cognomi ed in qualche modo ci informeremo! Dai!
- Non mi sembra una grande idea! E... va bene, per ora facciamo come dici tu, poi vedremo di studiare meglio la situazione! Ok, andiamo! - e, alzatosi, stava per avviarsi!
- Ehi! Quanta fretta! E le birre? Abbiamo fatto una strage! - disse Franco fermando l'amico per un braccio.
- E' vero, scusa! Lascia, pago io! è colpa mia se siamo stati qui per tutto questo tempo.
- Come vuoi! - rispose Franco alzando le mani in segno di resa.
Roberto pagò velocemente le birre lasciando il resto per il cameriere e, raggiunto Franco, si avviarono entrambi verso la stradina da dove era sparita la ragazza.
Svoltarono l'angolo a sinistra, salirono i gradini e, svoltando ancora a sinistra, si trovarono di fronte all'ingresso del primo condominio.
- Cristo, c'è un'altra uscita che dal primo piano porta alla strada di sopra! Non lo sapevi? - esclamò Franco dandosi una gran manata sulla fronte.
- O Dio! Chissà dov'è ormai quella ragazza! No, non lo sapevo! - esclamò Roberto con aria contrita e delusa - Sapevo che c'erano soltanto quei due ingressi.
- Anch'io! Passando dalla strada che c'è sopra, non ci avevo mai fatto caso!
In effetti all'altezza del primo piano era stato costruito un piccolo ponte, che permetteva di uscire direttamente sulla strada, in salita, che portava verso il carcere.
- L'abbiamo persa, per oggi! Ma prendiamo lo stesso i nomi! Poi vedremo!- propose Franco, vedendo l'amico abbattuto e scoraggiato.
- Non servirà a niente! Andiamo!
Ma Franco era già davanti all'ingresso e leggeva sulle targhette del citofono:
- Salvaggio, Caruso, Iannuzzi, Ente Nazionale Sordomuti... - lesse velocemente. - No, questa dev'essere un'associazione, non c'entra...
- Dai, lascia perdere, andiamo! - disse Roberto, interrompendo l'amico e guardando l'ora. - Mio padre sarà furioso...
- Beh! Dì pure che il ritardo è colpa mia! Tanto lo so che non gli sono molto simpatico...
- Ma no che ti vuol bene! Lo sai com'è fatto: ce l'ha con te perché sei un po’ indietro con gli esami...
- Tse! un po’ indietro... - esclamò Franco mulinando a mezz'aria la mano.
- ...ed ha paura che contagi anche me! - continuò Roberto, prendendolo sottobraccio e ritornando verso il bar. - Da quella volta che ho ripetuto quei due esami mio padre è terrorizzato.
- Addossando la colpa a me, naturalmente!
- Dai, non preoccuparti! Ci sentiamo, eh, ti chiamo domani! - e salutando l'amico con una leggera pacca sulle spalle si diresse di corsa verso casa.
Trovò tutti in salotto: sua madre, in piedi, vicino ad Elena ed a sua madre, sedute sul divano; suo padre e quello di Elena erano seduti sulle poltrone, con le gambe accavallate. Il padre di Roberto ascoltava, con una mano appoggiata al mento, quanto diceva il padre di Elena, ma era visibile la sua irritazione per il ritardo del figlio: infatti guardava in continuazione l'orologio.
Visto Roberto si alzarono tutti; Elena ed i suoi genitori per salutarlo, mentre suo padre gli si avvicinò con aria minacciosa.
- Buonasera e... scusate il ritardo - farfugliò Roberto, nella speranza che il padre non lo rimproverasse davanti agli ospiti.
- Oh! Presumo che tu abbia una buona scusa, una scusa plausibile per questo ritardo!
- Un contrattempo, papà! Chiedo scusa! - rispose rivolgendosi ad Elena ed ai suoi genitori.
- Eppure sapevi che, a parte il fatto che ci tengo alla puntualità, sapevi che avevamo ospiti, no? Scommetto che sei stato a perder tempo con Franco!
- Sì, sono stato con Franco, ma il ritardo è stato per causa mia e non sua...
- Ricorda che chi va con lo zoppo impara a zoppicare... - sentenziò il padre, subito interrotto da Elena.
- Oh, ma non importa! Franco, poi, è un amico!
- Sì, non è nulla! Non è nulla! - aggiunse il padre di Elena, che aveva nella mancanza di puntualità un suo difetto.
- Andiamo a tavola! - invitò la madre