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La Compagnia Perfetta
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La Compagnia Perfetta

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About this ebook

Fantascienza - racconto lungo (47 pagine) - Riproduciti. Non uccidere. Non sprecare. Vivi in armonia con la Terra. Vivi in armonia con l’umanità.


Nuovo mondo, nuovi comandamenti: da quando le nanoplastiche hanno reso sterili persone e animali, i sopravvissuti si sono riorganizzati in piccole comunità. Finché un giorno, in un villaggio tra le alpi Lepontine, le vestigia del vecchio mondo tornano a minacciare la quiete…

Romina Braggion firma un racconto solarpunk originale e ricco di suggestioni, per mostrarci, lontano dal comune immaginario distopico, il volto inedito del post-apocalittico.


Romina Braggion vive in provincia di Verbania, a due passi dal Lago Maggiore e a quattro dalle amate montagne Ossolane. Da quasi cinquant’anni svolge la professione di absolute beginner, distinguendosi nell’autodidattica. Inoltre si occupa di comunicazione per una fonderia di alluminio.  Ha un blog in cui parla di fantascienza, meglio se italiana, e porta avanti un progetto di condivisione della memoria delle scrittrici: La Metà del Mondo. Per il sito Leggere Distopico recensisce libri di fantascienza e di altri generi. Collabora con un paio di associazioni culturali della sua città dando una mano nell’organizzazione di piccoli eventi. Il suo primo racconto è stato segnalato al concorso “Iniziamo da qui!” di Spunto Edizioni, il secondo inviato ha avuto una sorte oscura e il terzo viene pubblicato nel febbraio 2020 nella collana Futuro Presente di Delos Digital. Altri suoi racconti si possono trovare in contest letterari online.

Ha qualche passione e innumerevoli interessi e, prima o poi, dovrà decidere cosa fare da grande.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateFeb 18, 2020
ISBN9788825411355
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    La Compagnia Perfetta - Romina Braggion

    grande.

    Colazione

    Iris stava spalmando la marmellata di nesporbe sulla fetta di pane di segale: – Più rimane nel vasetto e più buona diventa. – Guardò Juglans, intento a divorare un panino d’avena ripieno di sugoli. Suo marito deglutì: – Diavolo di Orso! Sa fare il suo mestiere, niente da dire.

    – Già… e noi pensavamo fossero tossiche – aggiunse lei avvicinando alle labbra una tazza di cicoria bollente. – Nesporbe, pare siano un incrocio tra due frutti antichi. – Addentò un grosso pezzo di pane e le sue guance si gonfiarono, incapaci di gestire un tale boccone. Deglutì a fatica e inspirò un turbine d’aria: – Sarà meglio che mi sbrighi. Tra poco arriva il clo.

    – Speriamo sia la volta buona. – Lapidario, Juglans la guardò e aggiunse: – Così la finisce di assillarci.

    Iris però non rispose, persa in una visione: Orso sta tornando dal Sangiatto. Il sentiero è cosparso di piccoli teschi deformi, tibie e femori storti. Li calpesta un passo dopo l’altro, incurante, e arriva al villaggio. I vicoli sono deserti, le case vuote. Dalla sua esce il clo. Orso lo raggiunge e lo abbraccia, ma lui diventa polvere.

    – Iris? Iris! – Juglans le prese il viso, carezzandole le guance. – Che c’è? Cos’hai visto?

    Iris si alzò di scatto, finendo il suo caffè di cicoria in piedi. – È solo un’ombra senza senso. – Si sentiva confusa, ma non voleva spaventare il marito. – Sicuro come l’oro che è ancora nel letto. – Cercò di riscuotersi in fretta: – Vado, ci vediamo in piazza.

    Si fermò davanti allo specchio e appuntò un fermaglio raccogliendo i capelli della fronte sulla nuca. Prese i piedi di porco e uscì.

    Orso e Iris

    Un picchio voleva fare il nido nell’armadietto della cucina. Il suo martellare mi echeggiava nel cervello. Alla fine smise, grazie al cielo. Volò sul mio petto e le sue ali, nere e setose, mi carezzarono il viso. Poi cominciò a saltellarmi sulle spalle, sempre più forte.

    – Uhm, che vuoi, Picchio?

    – Ahh, siamo a posto. Cos’hai bevuto ieri sera? Non hai nemmeno sentito la sveglia. – Iris mi diede un ultimo scossone e alzò la voce: – Orso, svegliati, è tardi. Sono già tutti in piazza ad aspettare te e il clo.

    Aprii un occhio (che fastidio, impiccioni della malora) e anche l’altro.

    Iris stava solcando le piode del pavimento. Le gambe di ragno andavano dal bagno all’armadio, e preparava gli indumenti e gli scarponi. – Vedi di muoverti. – Mi si parò di fronte, le mani sui fianchi. I capelli le sciabordarono avanti e indietro in un’onda di petrolio.

    La scrutai, una percezione oscura le rovistava lo stomaco. – Che faccia da tregenda – notai. – Cos’è successo?

    Iris mi fissò, un attimo di troppo, poi sollevò sopracciglia e spalle, nicchiando. Indicò il bagno: – Lavati il viso, hai gli occhi più cisposi di una strega. – Ci andava pesante la mia amica. – E metti un po’ di fermagli in quel covo di vespe.

    – Nient’altro, gioia?

    – Sul lavandino ho preparato un maglione e un paio di pantaloni. – Impartiva le direttive, come sempre. – E non ti azzardare a dirmi che vuoi mettere la gonna…

    – Era proprio quello che volevo fare – confermai. – Quella di velluto rosso, a fiorellini.

    – Abbiamo una cassa da aprire, perciò ti metti i pantaloni!

    – Ma troverò pure qualcuno che mi dia una mano ad aprire una cassa di legno. – Cercai di imbonirla abbassando la voce di un’ottava. – Aaron, magari.

    – Oggi ha l’esame di matematica, è già collegato. – Infilò la testa in bagno, mentre chiudevo i pantaloni, continuando imperterrita: – E tu, carina, non hai bisogno di alcun aiuto. Sei massiccia come un tronco di noce.

    La sua risata incontenibile scemò nei pressi della porta: – Ho preso io i piedi di porco. Muoviti.

    – Signorsì, capo.

    Lo specchio confermò la battuta di Iris. I casi della vita: lei aveva lo spirito di una leonessa in un corpo flessuoso come cannetta di palude, io mi pavoneggiavo in un metro e quaranta di muscoli da pugile. Eravamo proprio una coppia di amiche male assortite.

    Riunii i ricci in uno chignon morbido, accomodandoli con forcine di latta colorata. Il risultato fu gradevole, anche per quella mattina non sembrai un mazzo di festuca. Mi sciacquai il viso e applicai un po’ di crema sul contorno occhi, massaggiando una piccola ruga.

    Infilai scarponi e giubbotto e uscii, lasciando l’uscio spalancato e la caldaia spenta: il sole e l’aria gelida di febbraio avrebbero eliminato gli umori notturni.

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