Hermann Broch: La disgregazione dei valori
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Hermann Broch - Silvio Soffritti
DIGITALI
Intro
Lo scrittore austriaco naturalizzato statunitense Hermann Broch (1886-1951) ha sviluppato in specie il tema della degenerazione dei valori
. Questo libro si occupa di tutta la sua opera: I Sonnambuli o il crollo dei valori (1888. Pasenow o il romanticismo, 1903. Esch o l’anarchia, 1918. Huguenau o il realismo), La disgregazione dei valori, Il Kitsch o la critica della modernità, La morte di Virgilio o le poetiche di Broch, Il teatro.
INTRODUZIONE
Premesso che nell’opera di qualsiasi scrittore, degno s’intende di tale nome, sono ovviamente riscontrabili elementi più o meno espliciti e più o meno consistenti in merito alle implicazioni sociologiche della sua riflessione morale e civile, è tuttavia acclarato che taluni autori del versante letterario sono, più di altri, materia di interesse e di studio da parte della sociologia. E ciò accade quando l’opera di questi scrittori evidenzia certi peculiari requisiti, sia per quanto riguarda la forma
sia per quanto attiene ai contenuti dei loro testi.
In relazione alla forma
, è necessario che la narrazione attinga, anziché esclusivamente a un’invenzione di pura fantasia e a un linguaggio a ciò idoneo, pure a innesti riflessivi, a osservazioni, meditazioni, anche giudizi, sfociando nei casi migliori in un vero e proprio (e non solo blandamente allusivo) profetismo
di ordine sociale; insomma, in breve, bisogna che l’autore sappia armonizzare le parti squisitamente creative con interventi di tipo saggistico. E riguardo ai contenuti è necessario che l’intreccio non sia finalizzato a uno scopo puramente artistico-letterario, ma che la complessità del lavoro persegua l’obiettivo d’una sorta di morale
analitica, di una lezione
critica ed etica circa il tempo storico, politico e civile in cui la vicenda è ambientata. Questa a grandi linee la qualificazione dell’opera letterario-sociologica, ed è meglio non avventurarsi oltre in tale terreno minato
, così suscettibile di eccezioni e obiezioni di genere sia letterario che, appunto, sociologico.
È dunque bene precisare che la disciplina della sociologia (termine coniato da Auguste Comte nel 1824) è definibile come una scienza
della società: analisi delle cause e delle caratteristiche dei fenomeni sociali considerati nel loro insieme, degli individui che compongono il contesto sociale e dei rapporti fra di loro. Infatti, se è vero che la sociologia si è per lungo tempo occupata della società intesa unitariamente, relegando l’individuo a un ruolo marginale (ma in seguito rivalutandolo sempre più, in considerazione della sua indiscutibile e non marginale azione sociale nel contesto), è anche vero che attualmente la sociologia identifica la società in prevalenza nel rapporto fra i singoli soggetti.
Jean-Paul Sartre affermava, nel suo saggio Qu’est-ce que la littérature?, pubblicato a Parigi nel 1946, che un libro non esiste finché non viene letto e che la letteratura non è altro che un processo di comunicazione. Ma già ai primi dell’Ottocento M.me de Staël sosteneva, nel Discours préliminaire
al suo acuto studio De la littérature, l’importanza dell’influenza della religione, dei costumi e delle leggi sulla letteratura e, al contempo, viceversa l’influenza della letteratura sulla religione, sui costumi e sulle leggi. Eccoci così immersi nell’ambito della sociologia della letteratura, laddove ogni evento letterario si considera presupponga degli scrittori, dei libri e dei lettori o, per esprimersi più compiutamente, dei creatori, delle opere e un pubblico.
E in effetti, nella sociologia contemporanea, l’atto linguistico
ha un ruolo ormai estremamente determinante. Vivendo in un’epoca fatta di comunicazione e di ininterrotto potenziamento dei mezzi di comunicazione, è evidente che la comunicazione stessa, anche (come nella fattispecie) di genere letterario, si configura oggigiorno come il veicolo privilegiato delle molteplici interrelazioni sociali: l’ agire è diventato agire comunicativo. Si deve a John Austin e a Jürgen Habermas l’attribuzione del rilievo di atto alla linguistica e la teorizzazione che rende l’agire comunicativo l’atto umano per eccellenza.
Fra quegli autori del versante letterario
, cui si accennava in apertura, che rivestono uno specifico interesse in ambito sociologico, va a pieno diritto annoverato lo scrittore austriaco di nascita e americano d’adozione Hermann Broch. Come scrive mirabilmente nella sua biografia Claudia Sonino (vedi fonte nella Bibliografia): «Hermann Broch nasce a Vienna il 1° novembre 1886 da famiglia ebraica. Il padre, Josef Broch, appartiene alla generazione dei capostipiti, è un fondatore […]. Da inserviente diventa in breve tempo commerciante in articoli tessili e, nel 1885, a coronamento dell’avvenuta ascesa sociale, sposa Johanna Schnabel, di ricca famiglia ebraica residente a Rudolfsheim, nei pressi di Vienna. […] Nel signorile appartamento sulla Ringstraße, Broch cresce solo, circondato e accudito dalle attenzioni delle governanti, ma non dall’amore dei genitori. Durante l’esilio in America - quando ben altri problemi e affanni dovevano occuparlo - ricorderà ancora la paura delle grida paterne, l’amore negatogli dalla madre, che gli predilige il fratello Fritz, una donna resa infelice e nevrotica dalle, ben celate, tendenze omosessuali del marito. Broch confesserà più tardi di aver più volte pensato al suicidio. […] Hermann Broch appartiene alla generazione non dei padri, bensì dei figli, a quella di Franz Kafka, incline all’arte più che al Bilanzenzauber, al fascino dei bilanci - come lo ha definito Max Weber - all’incanto dei libri mastri del dare e dell’avere che certo doveva aver riempito i sogni dei fondatori. Dopo aver frequentato le scuole elementari e la Staats-Realschule
nel primo distretto di Vienna, per compiacere i progetti paterni che lo vogliono inserire nella fortuna familiare, ossia nel commercio tessile, Broch frequenta la Webschule
e la Technische Universität
e, nel 1907, consegue il titolo di ingegnere tessile, inventando una nuova macchina per la lavorazione del cotone. Parallelamente, nel 1904-1905, frequenta i corsi di filosofia, matematica e fisica all’Università, dove spicca la figura di Ludwig Boltzmann. […] Nel 1907 Broch compie un viaggio in America allo scopo di impratichirsi nel commercio del cotone, ma in seguito confesserà di non aver imparato nulla. […] Al suo ritorno a Vienna deve insediarsi nella industria tessile di Teesdorf, presso Vienna, che il padre, dimostrando grande talento economico e imprenditoriale, ha appena rilevato. Nel 1908 Josef Broch sancisce il proprio apogeo sociale con l’acquisto del sontuoso appartamento nella Gonzagagasse, che conta ben venti stanze. Qui Broch vivrà fino al 1938, prima di espatriare in America, dove abiterà in una modesta camera d’affitto e morirà a Yale nel 1951».
Nel 1909 Broch si converte al cattolicesimo e sposa, con rito cattolico, Franziska von Rothermann, dalla quale avrà nel 1910 un figlio e divorzierà nel 1923. Nel 1913 debutta come scrittore, sulla rivista Der Brenner
, con il trattato Filisteismo, realismo e idealismo nell’arte, e l’anno dopo appare il saggio Etica, dove prende le distanze da Schopenhauer e Nietzsche riconoscendo la superiorità della teoria critica di Kant.
In quegli anni a Vienna Broch frequenta i celebri Caffè, dove conosce numerosi intellettuali e artisti dell’epoca, fra cui Robert Musil ed Ea von Allesch: la donna con la quale intratterrà un lungo rapporto sentimentale. Nel 1916-17 Broch è collaboratore della rivista Summa
, nel 1918 compone la Novella metodologica, poi ripresa nel romanzo Gli incolpevoli (1949), e lavora a uno studio sulla teoria dei valori che, rimasto incompiuto, confluirà più tardi nella trilogia narrativa I sonnambuli (1928-32).
Nel 1925 Broch si iscrive all’Università, dove segue lezioni di filosofia e matematica. Nel 1928 Rudolf Carnap pubblica il suo Scheinprobleme der Philosophie, in cui annuncia la mancanza di senso di ogni questione metafisica. Al riguardo, commenta ancora con oculatezza Claudia Sonino: «Non è un caso che Broch, proprio nello stesso anno, si decida per la letteratura: la filosofia positivista e scientista, commenta Broch, non è più filosofia. […] Solo la poesia […] è in grado di avvicinarsi alla realtà. Nel 1927 Broch vende l’industria paterna all’amico Felix Wolf. Sulla sua parte d’eredità disporrà pochissimo: essa doveva infatti garantire gli alimenti alla moglie e una rendita al figlio. […] Con l’abbandono della matematica e della filosofia, Broch si propone di formulare le domande di ordine etico e metafisico nell’ambito della letteratura e in particolare del romanzo, come cercherà di illustrare nel Prospetto metodologico (1929). L’arte deve accogliere quell’immenso residuo metafisico
che la filosofia non poteva, o non voleva, più prendere in esame. Per il giovane scrittore l’arte è soprattutto impazienza di conoscere
, e poiché deve assumersi il compito che era stato un tempo della teologia e della filosofia, la sua missione