Il Bagno di Apollo
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Book preview
Il Bagno di Apollo - Albina Olivati
978-88-9369-254-0
Capitolo 1
In alta quota, la neve brillava sotto il sole. A valle, i nasi esperti ne sentivano il profumo. Era primavera. Nello stabilimento termale, l’acqua tonificava i temerari che avevano attraversato il parco a torso nudo, punzecchiati dall’aria frizzante. Qualcuno si trovava già in completo relax nel Bagno d’Apollo, la tappa del riposo, dopo getti, piogge, fanghi e saune.
L’uomo bordeggiava a braccia aperte, gambe allargate e faccia in giù. Ricordava William Holden in Viale del tramonto, un film di una ventina d’anni prima che ogni tanto davano in tv.
Il Luigi, l’inserviente addetto alle pulizie, lo fissava. Era entrato perché alla ricerca di uno spazzolone sparito dallo sgabuzzino, in fondo al corridoio. Aveva frugato dappertutto. Finalmente, eccolo lì. Ma a richiamare la sua attenzione fu quel corpo galleggiante, troppo fermo. Si allungò e cercò di toccarlo con cautela. Nessuna reazione, allora lo tirò verso di sé. In quell’istante, capì cosa fosse successo.
La vasca non era profonda. Eppure, un povero cristo ci era annegato, in compagnia di quell’attrezzo. Inutile stare lì incantato. Bisognava muoversi, correre ad avvisare Gabinelli, il direttore delle Terme del Monte. Con uno scatto, si precipitò verso l’ufficio del capo.
«Sciur diretur, un mort inte la vasca», sparò la frase in un fiato, sperando così di ammortizzarne l’effetto.
Luciano Gabinelli era uomo d’esperienza, arrivato alle Terme del Monte dopo aver girato il mondo. Ma era sicuro di non aver capito, perché non voleva considerare l’eventualità. «Cosa?»
«Ce l’ho detto. C’è un morto nella vasca.»
«Andiamo allora. Möves, dai.»
Le Terme del Monte sono uno stabilimento costruito proprio sopra Bormio, la Magnifica Terra. Un pezzo di Valtellina che sbircia la Svizzera, immerso nel verde, nell’azzurro e nel bianco con le varianti delle pennellate stagionali. Le montagne attorno sono sempre state protezione e minaccia, secondo le voglie della natura.
Bormino da generazioni, Gabinelli rimase dov’era nato fino all’adolescenza. Compiuti sedici anni, fu spedito dai genitori a lavorare in un albergo a St. Moritz, perché avesse un futuro migliore. I tempi del turismo, capace di portare benessere alla comunità, erano ancora lontani. Abile solo a dire sì e no, ma soprattutto sì, fu sbattuto a tirar lucidi pavimenti e trascinare bagagli. Fece lo sguattero e il pelapatate. Le mansioni più faticose e schifose erano di sua competenza. Il tutto accompagnato da qualche pedata nel sedere. Intanto, allungava occhi e orecchie.
Voleva imparare, perché uno non poteva passare l’esistenza a raccogliere il vomito di clienti ubriachi o sgorgare cessi. Dopo sei mesi di quel crudele tirocinio sapeva parlare tedesco. Non gli bastava. Alla sera cominciò a frequentare una scuola dove si insegnavano francese e inglese. Nel giro di un anno fu pronto per il salto. Il primo incarico di responsabilità fu portare a spasso i cagnolini delle signore, estasiate dalla bravura di quel ragazzino alto, magro e tanto educato. Solo perché non gli leggevano nel pensiero. Finalmente, un Capodanno, l’esordio in giacca bianca ai tavoli. Ormai, non lo fermava più nessuno.
Lasciò l’albergo degli inizi e, grazie a una nobildonna influente che aveva servito in camera, trovò posto in uno dei più prestigiosi hotel della località svizzera. Conobbe gente famosa, politici, banchieri, dame comprensive. Arrivò di nuovo il momento di cambiare e si imbarcò su un transatlantico. Da Genova a New York, l’ingaggio dell’esordio. Lavorava senza risparmio. Nei tempi morti giocava, con parsimonia, al casinò della nave. Tornava a Bormio per le vacanze, rivedeva gli amici, la famiglia e poi ripartiva.
Finita l’esperienza sulle navi, si stabilì in terraferma, a Monte Carlo. Lì diresse per anni un albergo di lusso. Si sposò con una ragazza francese con cui ebbe un figlio. A fine carriera decise di rientrare, tenendo però sempre un piede sulla Costa Azzurra, dove possedeva una casa. Nell’ambito del rilancio delle terme, gli fu chiesta la sua collaborazione. C’era in ballo la direzione dello stabilimento e molto da fare. Disse sì. L’idea della pensione lo frustrava.
Riuscì a cambiare parecchie cose, gli sarebbe piaciuto vedere un centro turistico trasformato, con ospiti tutto l’anno. Sci d’inverno e terme nelle altre stagioni, poi escursioni, magari un campo da golf, tre o quattro da tennis e, perché no, l’equitazione. Le sue trovate suonavano rivoluzionarie, se non sospette. Concluse di tenerle per sé e curare di far funzionare al meglio quello che c’era.
Accidenti, un morto in una vasca no, non si poteva. Certo, era bassa stagione, quindi alle terme venivano i residenti e qualche raro amante del silenzio. Ma era inutile illudersi: la pubblicità sarebbe stata pessima.
Mentre usciva di corsa dall’ufficio, seguito dal Luigi, gli chiese in quale vasca fosse il cadavere.
«Bagno d’Apollo.» Risposta solenne.
«Sai chi è?»
«Ho mica guardato bene.»
Quattro balzi e furono nel locale. Gabinelli si fece dare la chiave e chiuse la porta.
Eccolo lì, prono, senza vita e, orrore, con le chiappe raggrinzite fuori dai calzoncini da bagno. Il direttore lo esaminò. Così a spanne, gli sembrò Battista Menaroli, ragioniere di banca in pensione, assiduo delle terme e suo conoscente. Cosa gli era venuto in mente di morire lì, con tutti i posti che c’erano? Gabinelli aveva tanti pregi, era però un egocentrico della malora e in quella disgrazia vedeva solo grane per se stesso.
Sapeva benissimo che non avrebbe dovuto toccare niente. Glielo avevano insegnato in Svizzera, dove avevano fama di essere un po’ più ligi. Gli era già capitato di avere a che fare con disgrazie del genere, in hotel e pure in crociera. Lo schema era fisso: dopo il via libera delle autorità, si interveniva col cestone. Ma lì, chi sarebbe più entrato nel Bagno d’Apollo? Chi sarebbe più entrato alle terme? Una catastrofe.
Il Luigi lo riportò al presente. «Signor direttore, lo tiriamo fuori?»
«No per carità. Lüisin, t’al cugnuset?» Il tono era amichevole, Non l’avrebbe mai usato con un sottoposto, ma in quel momento aveva bisogno di una conferma.
Il Luigi si sentì investito di un incarico importante. Chino sul bordo di quella sorta di piscina accessibile solo da un lato, borbottò: «Mah, dalle braghe mi pare il Menaroli, il ragioniere».
Dalle braghe. Andiamo bene, Gabinelli sbuffò.
Effettivamente però il costume del Battista non passava inosservato. Per darsi un tocco di modernità, in una delle sue vacanze estive a Bellaria, si era comprato un paio di calzoncini da bagno a righe gialle e nere. Mimetici in agosto, sulla spiaggia romagnola; un’eccentricità, in aprile, alle Terme del Monte.
Il Luigi, che lo ricordava in banca serio e compito, era rimasto sorpreso vedendoselo davanti con quelle mutande, a suo modo di valutare, femminili. Poi si era dato una spiegazione: i turisti milanesi portavano cose rigate o addirittura a fiori, magari il ragioniere voleva essere preso per uno di Milano.
Fine della riflessione.
Gabinelli tornò velocemente nel suo ufficio, lasciando l’altro chiuso nel Bagno d’Apollo. Afferrò il telefono e chiamò i carabinieri. Chiese di parlare col maresciallo Germoni.
«Maresciallo, buongiorno, sono Luciano Gabinelli. Abbiamo un morto alle terme», lo disse in modo calmo, con una vena di disappunto nella voce.
«Oh, direttore, veniamo subito.»
Si conoscevano. Si trovavano alle varie manifestazioni ufficiali, alle sagre e qualche volta al bar. Germoni periodicamente andava a fare un giro alle terme, giusto per prevenire i dolori alle ossa. Gli piaceva rilassarsi nell’acqua calda e perdersi nel cielo. A suo modo era un contemplativo.
Gabinelli lo accoglieva cordialmente. Il maresciallo gli era simpatico e non perché avesse rifiutato una serie di ingressi gratis, che lui gli aveva offerto. Si stimavano e bastava.
La corriera da Sondrio era arrivata puntuale a Bormio, il capolinea. I passeggeri cominciarono a scendere. Il professor Ersilio Salvi, ultimo della fila, si complimentò con l’autista per la guida, poi si piazzò vicino allo sportello dei bagagli, in attesa della valigia.
Quella mattina si era presentato sul piazzale della stazione almeno un quarto d’ora prima dell’orario in tabella. Non voleva correre rischi: persa quella corriera, la successiva sarebbe stata al pomeriggio. Il vantaggio era stato di trovare posto davanti, praticamente in braccio all’autista.
Salvi soffriva il mal d’auto e aveva il terrore di vomitare. La strada, dopo Tirano, era tutta curve. Lui aveva risolto concentrandosi sul panorama e godendosi le montagne, col piglio del turista lassù per la prima volta.
Si guardò attorno. Gli venne in mente Casablanca, uno dei suoi film preferiti, precisamente la scena in cui Claude Rains chiede a Humphrey Bogart cosa sia andato a fare laggiù. La risposta, ...per fare la cura delle acque, gli girò nella testa e lo fece piombare nei panni del personaggio Rick Blaine.
L’illusione durò poco.
«Professore, professore. Sono qui.» Un ragazzo lo chiamava agitando un braccio. «Buongiorno. Mi manda il Franco.»
«Oh caro, che gentile. Adesso prendiamo la valigia. Il borsone lo porto io. Grazie.»
Franco Gervasini era il proprietario dell’albergo Sci d’Oro ed era stato