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I luoghi oscuri del cuore
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I luoghi oscuri del cuore

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About this ebook

L’autrice bestseller del New York Times, Jill Barnett trascina i lettori nella calda costa della California in una storia profondamente commovente sul potere del perdono.

Una sera fatidica cambia la vita e il destino di tre donne innocenti: Kathryn, Laurel e Julia Peyton quando incrociano la strada del ricco magnate del petrolio californiano Victor Banning e i suoi nipoti Jud e Cale, che ha allevato per diventare proprio come lui: predatori affamati in un mondo uomo-mangia-uomo... Almeno fino a quando non incontrano una giovane donna di nome Laurel Peyton e tra loro cambia tutto.

In trent’anni e tre generazioni di donne Peyton e uomini Banning, I luoghi oscuri del cuore racconta delle due famiglie nella maniera più inaspettata. Un romanzo provocatorio e allo stesso tempo appassionante, esplora la profondità dei legami di sangue, gli errori che facciamo in nome dell’amore e la nostra capacità di sperare, perdonare e trovare il coraggio di cambiare. Kristin Hannah, autrice bestseller de L’Usignolo e Il grande inverno.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateJan 19, 2020
ISBN9781071525166
I luoghi oscuri del cuore

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    I luoghi oscuri del cuore - Jill Barnett

    I LUOGHI OSCURI DEL CUORE

    Jill Barnett

    Jill Barnett sale a nuove altezze con la sua scrittura. Book Page

    Dicono di Jill Barnett e I luoghi oscuri del cuore:

    "Ritmo veloce e provocatorio... I luoghi oscuri del cuore è un romanzo potente sul destino, le scelte, i legami familiari, e il modo in cui sono tutti connessi con le nostre vite."

    —L’autrice de L’usignolo bestseller del New York Times, Kristin Hannah

    Jill Barnett accompagna i lettori in un viaggio sapientemente scritto e profondamente emotivo nei recessi più oscuri del cuore umano.

    —L’autrice de Una scelta impossibile bestseller del New York Times, Susan Elizabeth Philips

    Tragedia, vendetta, amore e ossessione sono le forze in gioco in questa storia avvincente. Piena di indimenticabili personaggi e turbolenti passioni di cui i lettori ne parleranno a lungo dopo aver finito il libro.

    —L’autrice di Primadonna acclamata e premiata dalla critica, Megan Chance

    I lettori che cercano una lettura con i fiocchi la troveranno leggendo questo libro magistrale.

    Romantic Times

    La Barnett ha un innato senso dell’umorismo. I suoi personaggi sono freschi e briosi e il suo stile è piacevole da leggere, una ventata di aria fresca.

    Publishers Weekly (recensione stellata)

    Questa è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono il frutto della fantasia dell’autrice o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con persone, viventi o defunte, eventi o località reali è da ritenersi puramente casuale.

    Jill Barnett Books

    Copyright © 2006 by Jill Barnett

    Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualunque forma o mezzo, elettronica, digitale o meccanico, inclusi i sistemi di archiviazione e recupero delle informazioni, senza il permesso scritto dell’autrice, eccetto per i recensori, che in una recensione possono citare brevi passaggi.

    Questa vita da scrittrice in cui mi sono imbattuta mi ha portato enormi ricchezze, la più preziosa delle quali un’amicizia ventennale.

    A Kristin e Benjamin Hannah, che sono rimasti al mio fianco e mi hanno coperto le spalle nella buona e nella cattiva sorte.

    Devo ringraziare gli angeli per avervi inviato.

    La vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti.

    —Søren Kierkegaard

    Sommario

    PRIMA PARTE

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    SECONDA PARTE

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    TERZA PARTE

    CAPITOLO 23

    CAPITOLO 24

    CAPITOLO 25

    CAPITOLO 26

    CAPITOLO 27

    CAPITOLO 28

    CAPITOLO 29

    CAPITOLO 30

    CAPITOLO 31

    CAPITOLO 32

    CAPITOLO 33

    CAPITOLO 34

    CAPITOLO 35

    CAPITOLO 36

    EPILOGO

    RINGRAZIAMENTI

    INTERVISTA ALL’AUTRICE

    PRIMA PARTE

    1951

    Un’offesa è il trasferimento ad altri del degrado che portiamo dentro di noi.

    —Simone Weil

    CAPITOLO 1

    California del Sud

    Le serate calde e senza vento erano la norma a Los Angeles, un luogo dove quasi tutto era una messinscena e il clima raramente si faceva notare. Lì, a essere sotto i riflettori erano gli eventi e le persone. Quasi tutte le sere i riflettori illuminavano il cielo da qualche parte in città. Quella sera, di fronte alla Galleria d’Arte La Cienega. C’erano tutti i frequentatori abituali delle mostre d’arte, nomi presenti nelle cronache mondane, antichi e nuovi ricchi, insieme a poeti esistenzialisti e bohémien che riempivano ogni caffetteria da Hollywood a Hermosa Beach.

    Noti critici d’arte chiacchieravano di prospettiva e significati, discutevano del messaggio sociale. Adoravano l’artista, una donna vibrante ed esotica le cui enormi tele erano piene di violenti schizzi di colore, e scrivevano del suo lavoro in termini lusinghieri e audaci quanto le opere stesse, paragonandola agli espressionisti astratti come Pollock e de Kooning. Rachel Espinosa era la beniamina della scena artistica di LA, e la moglie di Rudy Banning.

    Rudy arrivò in ritardo alla mostra, dopo aver bevuto per tutto il pomeriggio. Suo padre aveva ragione, era un idiota, una cosa che era più facile da ingoiare se accompagnata da una bottiglia di scotch. I riflettori erano spenti quando parcheggiò l’auto fuori dalla Galleria. Una volta dentro, si appoggiò alla porta d’ingresso per riprendere l’equilibrio.

    Una coltre di fumo di sigaretta aleggiava sulla marea di baschi neri, cappelli di feltro grigi e chignon. In un angolo, una piccola band suonava uno strano mix di calypso e jazz: una contaminazione tra Harry Belafonte e Dave Brubeck. Il liquore scorreva, c’erano pile di sigarette a ogni pochi metri su alti piedestalli d’argento, e il catering era catalano, insolito, ma utilizzato per suffragare la bugia che sua moglie, Rachel Maria-Teresa Antonia Espinosa, facesse parte dell’alta aristocrazia spagnola. Quella era la sua sera e il suo tocco era ovunque.

    Rachel era dall’altra parte della sala, sotto un faretto e davanti a uno dei suoi pezzi più grandi e più recenti, il Ginsberg Howls. La folla la circondava, ma quasi tutti restavano a un metro di distanza, come se avessero paura di avvicinarsi troppo a una simile icona. Un giornalista del Los Angeles Times la stava intervistando, mentre un fotografo con le maniche arrotolate le girava intorno, scattando foto con i flash diretti e accecanti.

    Rachel si girò verso la macchina fotografica, assumendo una posa accuratamente studiata che Rudy le aveva già visto fare prima: braccio sollevato, un bicchiere da martini con tre cipolline in mano. Stasera era vestita in arancione brillante. Sapeva bene qual era il suo posto in quella stanza.

    Rudy si servì da bere da un vassoio retto da un cameriere di passaggio, poi tracannò il whiskey prima di arrivare a tre metri da lei. All’inizio lei non lo vide, poi si voltò con istintiva repentinità e lo guardò dritto negli occhi. Ciò che successe in quel momento fu solo un pallido ricordo di quello che era stato un tempo, i giorni in cui uno sguardo dall’altra parte di una stanza avrebbe fatto sparire tutto ciò che avevano intorno. L’espressione di sua moglie si addolcì, finché lui non mise il bicchiere vuoto su un vassoio di passaggio afferrandone un altro pieno e poi sollevò sarcasticamente il bicchiere e lo svuotò mentre lei lo guardava senza lasciar trasparire nulla.

    Tesoro! disse in fretta Rachel, rivolgendosi poi a un giornalista. Mi scusi. Si precipitò rapidamente con le mani tese. Rudy! Quando lui non le prese le mani, lei fece scivolare un braccio dentro il suo e si spostò verso un angolo. Sei in ritardo.

    Davvero? Rudy si guardò intorno. A che ora doveva iniziare questa farsa?

    Sei ubriaco. Puzzi di scotch. Lo spinse lontano dalla folla.

    Stai cercando di farmi passare inosservato? Sono alto un metro e novantacinque. Un po’ difficile nascondermi. Rudy si fermò, cocciuto, e si voltò in modo che lei potesse guardare nella sala. Sei tu che desideri ardentemente farti notare. Guarda. Le persone ci stanno osservando.

    Smettila! Aveva una voce pacata ma arrabbiata.

    Io so, Rachel.

    Certo che lo sai. Nessuno ti ha obbligato a bere mezza bottiglia di scotch. Fece un respiro profondo ma rassegnato. Perché devi rovinare tutto?

    Puttana!

    Rachel gli strinse le dita attorno al braccio. Quelli vicini a loro cominciarono a mormorare e gli altri ad avvicinarsi.

    Lo so, disse lui con enfasi. La musica si affievolì e la stanza divenne subito silenziosa. Rudy ebbe la comica sensazione che se prima non erano uno spettacolo, adesso lo erano di sicuro.

    Di cosa stai parlando?

    Evidentemente tutto ciò che gli restava della donna che aveva sposato erano le menzogne e l’immagine pubblica. Strano che il fatto di affrontarla non gli facesse provare nulla di simile a quello che aveva immaginato. Vuoi che lo gridi? Qui? Davanti a tutti? Fece un gesto verso gli astanti. "Davanti a quel giornalista, tesoro? Aveva il fiato corto, come se avesse appena corso. Gli si offuscò la vista, e il sapore dell’alcol gli si bloccò in gola. Lo griderò al mondo. Maledetta. Accidenti a te, Rachel!" Gettò il suo drink contro il dipinto dietro di lei, e il bicchiere andò in frantumi in una sala completamente silenziosa. Uscì incespicando dalla porta d’ingresso per uscire fuori nell’aria vuota della notte. Sul marciapiede, si appoggiò all’auto per riprendere l’equilibrio e poi salire.

    Rachel arrivò fuori di corsa. Rudy!

    Lui inserì la chiave nell’accensione.

    Rachel aprì la portiera del passeggero. Fermati! Aspetta!

    Vai all’inferno.

    Lei salì e cercò di afferrare le chiavi. Non andare via.

    Rudy le afferrò il polso, la tirò a sé finché il suo viso non fu a pochi centimetri dal suo. Scendi o ti porterò via con me. La spinse via e accese il motore.

    No! Rachel chiuse la portiera e cercò di nuovo di prendergli le chiavi.

    Rudy diede gas, l’auto correva lungo la strada, zigzagando tra le corsie mentre lui lottava per mantenere il controllo. Le gomme stridevano dietro di loro, ma non gliene importava niente.

    Rudy, fermati! Sembrava spaventata, così lui svoltò l’angolo successivo ancora più velocemente. L’auto sbandò e lui accelerò di nuovo. Rachel si aggrappò alla portiera e sembrò restringersi e tornare a sembrare di nuovo umana, invece di una dea che dipingeva tele intricate vedendo il mondo con una mente e un occhio diverso da tutti gli altri. Davanti, il semaforo diventò rosso. Rudy premette i freni così forte che lei dovette sostenersi con le mani sul cruscotto.

    Stai guidando come un pazzo. Accosta così possiamo parlare.

    Eccola di nuovo, Rachel, quella voce calma. Con il tuo tono ragionevole, così arrogante, come se fossi al di sopra di tutti noi comuni mortali perché non provi nulla.

    Io provo qualcosa. Dovresti saperlo. Sento troppo. So che sei turbato. Parliamone. Per favore.

    Turbato non si avvicina nemmeno lontanamente a come mi sento. Ed è troppo tardi per parlare. La luce del semaforo diventò verde e lui ripartì a razzo.

    Rudy, fermati! Per favore. Pensa ai ragazzi, disse disperatamente.

    Sto pensando ai ragazzi. E tu? Riesci mai a pensare a qualcuno oltre che a te stessa? Prese la curva successiva così velocemente che si ritrovò davanti delle auto, lo strombazzare dei clacson, il rumore delle gomme che slittavano. Un camion sterzò per evitarli. Dovette afferrare il volante con entrambe le mani per tornare sulla propria corsia. Al giallo del semaforo, sollevò il piede dal gas per frenare, si fermò, poi premette sull’acceleratore. Poteva farcela.

    No! gridò Rachel. Sta per diventare rosso!

    Sì, lo so. Distolse gli occhi dalla strada. Paura, Rachel? Forse adesso proverai qualcosa. Il suo singhiozzare lo fece sentire forte. Suo padre aveva torto. Non era un debole. Non più. Il tachimetro stava per raggiungere i centodieci. Il pedale del gas era premuto al massimo. Riusciva a sentire la potenza del motore vibrare attraverso il volante direttamente tra le mani.

    Oh, Dio! Rachel gli afferrò il braccio. Attento!

    Una station wagon bianca cominciò ad attraversare l’incrocio.

    Rudy premette i freni così forte che sentì scattare lo schienale. Lo slittamento tirava il volante, sentiva le gomme stridere e l’odore di gomma bruciata. Le scritte blu dipinte sul lato della station wagon divennero enormi davanti ai suoi occhi:

    ROCK AND ROLL CON JIMMY PEYTON E I FIREFLIES

    L’altro autista lo guardò inorridito, i passeggeri si agitavano frenetici. Uno di loro aveva le mani premute contro il finestrino laterale. Un pensiero colpì Rudy con una calma rassegnata: stavano per morire. Rachel lo afferrò, urlando. Con un terrificante boato, il suo grido si trasformò in un gemito. Il cruscotto venne verso di lui, con l’ago del tachimetro che si muoveva ancora, poi esplose tutto.

    CAPITOLO 2

    Seattle, Washington

    Tre ore prima, un perfetto sconosciuto si era fermato sulla soglia di un appartamento in centro e aveva detto a Kathryn Peyton che suo marito era morto. Lo sconosciuto, un detective della polizia locale, voleva informarla prima che lo facesse un reporter, ma la radio diede la notizia dopo pochi minuti aver chiuso la porta.

    Il ventiseienne cantante e artista Jimmy Peyton, il cui quarto disco era al primo posto della classifica la scorsa settimana, è morto tragicamente in un fatale incidente stradale a Los Angeles stasera.

    Sentire il rapporto alla radio rese la morte di suo marito più reale (come era potuto succedere?), e quando Kathryn chiamò la madre di Jimmy, le fu detto che Julia Peyton era devastata e non voleva parlare con nessuno. Allora Kathryn chiamò sua sorella in California e parlò finché non rimase più nulla da dire e restare al telefono era inutile e dolorosamente imbarazzante.

    Alcuni giornalisti chiamarono per farle delle domande. Riattaccò e scollegò il telefono. Più tardi vennero a bussare alla porta, ma non sentì nulla dalla sua camera da letto, ed entro mezzanotte l’avevano lasciata in pace. Nella sua stanza con le tende tirate, era facile ignorare il campanello, spegnere il telefono, stendersi sul loro letto abbracciando il cuscino di Jimmy, stringendolo così forte che le faceva male ogni muscolo.

    L’odore del suo dopobarba persisteva ancora sulla federa; sulle lenzuola, e vagamente anche sulla camicia oversize blu Oxford che indossava lei. Fu presa dal panico quando si rese conto che avrebbe dovuto lavare le federe e le lenzuola; avrebbe dovuto liberarsi della camicia, di tutti i suoi vestiti, o trasformarsi in una di quelle strane donne che accumulano le cose di quelli che perdevano e che tenevano tutte le stanze esattamente come erano prima della morte, santuari polverosi fermi al momento in cui erano stati più felici. Adesso, sola al buio, Kathryn pianse finché il sonno non le diede il sollievo che agognava.

    La svegliò di colpo il suono della sveglia, poi sentì lo stomaco sottosopra, perché Jimmy la chiamava ogni sera, quando stava per tornare a casa, finito lo spettacolo.

    Ti amo tesoro. È stato un successone.

    Ma in questo mondo surreale in cui Jimmy non c’era più, la sveglia continuava a suonare mentre lei armeggiava nel buio per farla smettere, per poi decidere di gettarla contro il muro per spegnerla. Da un angolo buio della stanza si continuò a sentire un ronzio debole e incessante, e lei avrebbe voluto mettersi un cuscino sulla testa finché non si fosse fermato, o forse fino a smettere di respirare.

    Alla fine, si alzò e spense la sveglia. Una profonda scalfittura sul muro indicava dove l’aveva scagliata. La parete era stata dipinta di blu solo tre settimane fa, come le lenzuola, come il copriletto trapuntato e le sedie, blu perché l’ultima canzone di successo di Jimmy era Blue.

    Kathryn lasciò cadere l’orologio sul letto e barcollò fino al bagno, dove aprì il rubinetto e bevve rumorosamente da una mano. Si asciugò la bocca con la manica della camicia di Jimmy, poi aprì l’armadietto dei medicinali.

    Lo scaffale di Jimmy era davanti ai suoi occhi. Un flacone trasparente di tonico per capelli Vitalis che aveva comprato la scorsa settimana. Una confezione rossa di deodorante Old Spice senza il tappo metallico. Fece un respiro profondo e si sentì rovesciare lo stomaco per la disperazione. Il flacone scivolò dalle sue dita per finire nel cestino della spazzatura. Vederlo come un rifiuto era peggio che vederlo sullo scaffale. Non significava che era tutto reale? Quando tutto era in ordine sullo scaffale, la vita aveva ancora un minimo di normalità.

    Lo ripose con cura esattamente dov’era prima, accanto a una piccola scatola rettangolare nera che conteneva le lame del rasoio a doppio taglio della Gillette, che contemplò per un tempo lunghissimo, poi allungò una mano per prendere un flaconcino con la scritta nera sull’etichetta bianca: ‘James Peyton’. Secobarbital. Prendere una compressa per dormire. Pillole: 60.

    Prendere una compressa per dormire. Prendere sessanta compresse per morire. Aprì il rubinetto e si chinò, con una manciata di pillole rosse a pochi centimetri dalla bocca.

    Sono caramelle, mamma?

    Laurel! Kathryn si alzò di scatto, le pillole strette nel pugno dietro la schiena, e guardò l’espressione incuriosita della figlia di quattro anni. Che cosa stai facendo?

    Voglio le caramelle.

    Non sono caramelle, disse Kathryn bruscamente.

    Ho visto delle caramelle Red Hots, mamma.

    No. È una medicina. Vedi? Kathryn aprì la mano, poi rimise le pillole nel flaconcino. È solo una medicina per aiutarmi a dormire.

    Voglio la medicina.

    Kathryn si inginocchiò. Vieni qui. L’avrebbe trovata Laurel. Laurel l’avrebbe trovata morta. Scossa e intorpidita, appoggiò il mento sulla testa della figlia, circondata dall’odore di shampoo per bambini e sapone, un odore familiare e pulito. Ci volle molto tempo prima che Kathryn la lasciasse andare.

    Non riesco a dormire.

    Fissò il viso in miniatura di Jimmy. Ogni giorno avrebbe guardato quel viso e avrebbe visto l’uomo che amava, e Kathryn non sapeva se fosse un regalo o una maledizione. Lascia che ti lavi il viso. Così togliamo quelle tracce di lacrime. Usò un asciugamano inumidito per pulire il viso arrossato di Laurel. Voilà. Fatto. Kathryn si raddrizzò e chiuse automaticamente l’armadietto dei medicinali a specchio. Nel suo riflesso colse il barlume di una vita pallida e in ombra e fu costretta ad appoggiare le mani sul lavandino freddo. Era troppo doloroso rendersi conto che lei era lì e Jimmy non c’era più.

    Prima o poi avrebbe ripulito l’armadietto dei medicinali; avrebbe messo tutto nella spazzatura senza farsi prendere dal panico, avrebbe lavato le lenzuola e fatto qualcosa con i suoi vestiti. Non erano lui, si disse; erano solo le sue cose.

    La medicina ha il sapore delle caramelle? Laurel indicò il flaconcino.

    No. Kathryn fece una smorfia. Hanno un sapore orribile. Buttò le pillole nel water e tirò lo sciacquone. Non abbiamo bisogno di medicine.

    Era incredibile quanto potesse sembrare scettica una bambina di quattro anni.

    È tardi, le disse Kathryn. Puoi dormire nel nostro... nel mio letto.

    Laurel balzò in piedi, tutta eccitata e finalmente distratta. Perché papà è andato?

    Sì. Perché papà è andato.

    ***

    L’ultima volta che Laurel Peyton salutò suo padre fu dal sedile posteriore di una lunga Cadillac nera della Magnolia Funeral Home. Salutarlo era normale visto che il padre era quasi sempre in viaggio, ma i flash delle macchine fotografiche e i giornalisti erano tutt’altro che normali.

    Le tre donne all’interno dell’auto, Kathryn, sua sorella, Evie e Julia, la madre di Jimmy, cercarono di schermare Laurel dai volti che si affacciavano ai finestrini dell’auto, finché i membri della stampa, tutti vestiti di scuro, furono lasciati indietro come corvi sul luogo della sepoltura mentre la Cadillac continuava giù per la collina.

    Dietro di loro, Kathryn vide solo il cielo scuro di Seattle, mentre su tutto il prato lussureggiante erano sparsi mazzi di fiori freschi e dai colori sgargianti, frammenti di vita sparsi in un luogo che era solo di morte. Le ruote scricchiolavano sulla ghiaia e facevano un rumore come se qualcosa si stesse rompendo, mentre la pioggia picchiettava continua sul tetto dell’auto e il rumore della freccia inserita sembrava il battito di un cuore.

    La madre di Jimmy diede un colpetto alla spalla dell’autista Giovanotto. Giovanotto! Non la sente? Spenga la freccia! Julia Laurelhurst Peyton sembrava scolpita nel granito. Sembrava che solo Jimmy riuscisse a farle perdere il suo aplomb.

    Laurel iniziò a cantare una delle canzoni di successo di Jim con una voce giovane e leggermente stonata. A Kathryn venne la nausea e lanciò un’occhiata a Julia, che stava guardando fuori dal finestrino, con il viso nascosto agli altri occupanti.

    Evie le prese la mano. Lei non capisce, Kay.

    Capirà abbastanza presto, disse Julia senza voltarsi, la voce greve e arrochita dalle troppe sigarette. Aprì la borsetta e tirò fuori il portasigarette. Devi farglielo capire, Kathryn. È il tuo lavoro di madre.

    Il suo lavoro di madre era quello di non ingoiare una manciata di barbiturici. Il suo lavoro di madre era di andare avanti giorno dopo giorno. Il suo lavoro di madre era fare ciò che era meglio per Laurel, a scapito di qualsiasi altra cosa, perché Jimmy non c’era più.

    Julia picchiettò una sigaretta contro il dorso della mano, poi la fece scivolare tra le labbra rosse e la accese. Il fumo aleggiò intorno a loro. Mio figlio era una star. Guardò Kathryn, poi Evie. Hai visto i giornalisti. Julia aspirò brevemente dalla sigaretta. Domani suoneranno le sue canzoni alla radio.

    Kathryn si chiese se si sarebbe messa a cercare costantemente le sue canzoni. Cominciò a piangere silenziosamente.

    No, Kathryn. Julia alzò la mano. Non piangere.

    Evie le porse un fazzoletto di carta. Può piangere se vuole.

    Julia schiacciò la sigaretta sul posacenere. Laurel? Vieni vicino alla nonna, disse indicando il sedile accanto a lei, ma Laurel le si sedette in grembo. Julia cominciò a canticchiare la stessa canzone, stringendo forte la nipotina, e presto le lacrime le rigarono le guance flosce e incipriate.

    Sei lunghe ore più tardi, era Kathryn che teneva stretta Laurel mentre superava i giornalisti appostati davanti alle porte del loro palazzo.

    Kay, mi dispiace, disse Evie. Avremmo dovuto assumere degli addetti alla sicurezza. Cercò di bloccare le porte dell’ascensore mentre un paio di giornalisti insistenti continuavano a urlare le loro domande.

    Per fortuna non c’era nessuno al decimo piano mentre Kathryn aspettava che Evie aprisse la porta dell’appartamento. Guarda, Evie. Laurel si è addormentata. Vorrei essere un bambino, ignaro del caos al piano di sotto. Vorrei svegliarmi e accorgermi di aver fatto un brutto sogno.

    Evie chiuse silenziosamente la porta dietro di loro. Vai. Mettila a letto.

    Qualche minuto dopo Kathryn entrò nel soggiorno.

    Evie era davanti al carrello bar con un secchiello del ghiaccio e dei decanter di cristallo con i liquori. Sto preparando dei drink. Qualcosa di forte. Dio sa se ne ho bisogno. Studiò Kathryn per un secondo. Che cosa sto dicendo? Probabilmente dovrei darti una cannuccia e tutta la bottiglia.

    Kathryn si tolse il cappello e lo gettò sul tavolino da caffè. Oggi è stata una brutta giornata.

    Tua suocera non ha reso le cose più semplici. Guardami, Kay. Evie le accarezzò le guance. Sono pallida? Pensi mi sia rimasto ancora del sangue da quando ho lasciato Julia, o me lo ha succhiato fuori tutto?

    Sei tremenda.

    No, lei è tremenda. Io sono sincera.

    Kathryn si sbottonò la giacca, sprofondò sul divano e lasciò ricadere la testa sui cuscini. Sopra di lei c’era un buco nel controsoffitto acustico lasciato da un lampadario. Una di quelle cose che avevano intenzione di sistemare. L’attizzatoio vicino alla cassa per la legna era piegato da quando il furgone dei traslochi ci era finito sopra. Lo specchio sopra il camino era un po’ storto. Tutto era uguale, eppure niente sarebbe stato più come prima.

    Sei una santa a sopportare quella donna. È così critica. Evie lasciò cadere dei cubetti di ghiaccio in un paio di bicchieri. Che cosa vuoi bere?

    Qualunque cosa.

    Non so come fai a essere così accomodante. Papà controllava l’orologio ogni due secondi se qualcuno lo faceva aspettare e la mamma era proprio come me: intransigente verso chiunque non fosse d’accordo con noi. Tu sei la santa della famiglia, Kay.

    No, non sono una santa. Solo, amavo suo figlio.

    Evie fece una pausa, con le pinze da ghiaccio in mano. Mi si è spezzato il cuore quando Laurel ha iniziato a cantare.

    Il mio primo impulso è stato quello di metterle la mano sulla bocca.

    Non riesco a pensare a nessuno che possa cantare una canzone di Jimmy Peyton meglio di sua figlia. L’unica ragione per cui non sapevi cosa fare era perché Julia mette tutti a disagio.

    Non è Julia. Non capisco più il mondo. Sembra tutto così sbagliato, Evie, così ingiusto. Vorrei urlare e prendermela con Dio e dirgli che ha fatto un grosso errore. Jimmy aveva così tanto da dare al mondo. Stava per avere un successo enorme. Lo sapevo. L’hai visto.

    L’hanno visto tutti, Kay.

    Avevamo grandi sogni. Lo spreco della sua vita mi fa venir voglia di urlare.

    Puoi buttare giù i muri a furia di urlare, se vuoi. Non è giusto. Fai tutto ciò che devi, per superare questo momento terribile.

    Era una cosa orribile. Stava cambiando tutto ed era fuori dal suo controllo. La pelle le tirava; sembrava troppo piccola per il suo stesso corpo, come se i cambiamenti stessero avvenendo nel giro di pochi giorni. Guardò lo specchio storto sopra il camino per vedere le devastanti conseguenze dell’improvvisa vedovanza proprio lì sul suo viso.

    Evie fece tintinnare le bottiglie sul carrello. Dove sono quelle cose d’argento che vanno sul collo della bottiglia per capire di quale liquore si tratta?

    Laurel pensava fossero collanine. Le ha messe alle sue bambole. Kathryn tolse le mani dal suo volto teso. Faceva impazzire Jimmy, ma non ha avuto il coraggio di portargliele via.

    Evie sollevò due bottiglie. Mi chiedo quale sia lo scotch.

    Quello marrone.

    Divertente. Sua sorella annusò una delle bottiglie. Bourbon.

    Prenderò del bourbon e Coca-Cola.

    Evie riempì il bicchiere di bourbon poi versò un goccio di Coca-Cola.

    Una sera Laurel mi ha chiesto cosa c’era scritto sopra le etichette. Ha chiamato le sue bambole Bourbon, Scotch, Rum, Gin e Vodka. Jimmy e io non finivamo più di ridere. Strano come la sua risata fosse ancora fresca nella mente di Kathryn, e per un brevissimo istante, non si sentì bloccata in una dimensione oscura e parallela creata per chi restava indietro.

    Tieni. Evie le porse il drink e si sedette, piegando le gambe sotto. Rimasero in silenzio.

    A Kathryn tornarono in mente gli anni trascorsi con Jimmy come i fotogrammi di un film. Le sue risate, le sue paure, le sue lacrime di gioia quando per la prima volta aveva avuto la loro figlia tra le braccia, urlante e affamata. Riusciva a sentirlo mentre cantava le canzoni che aveva scritto per lei. Ricordò la prima cosa che le aveva detto, e anche l’ultima: solo un’altra notte in viaggio, tesoro. Domani sarò a casa.

    Sua sorella posò il bicchiere. Dio, ha un buon sapore. Forse un paio di drink spazzeranno via l’amarezza della lingua di Julia.

    Pensi che quello che ha detto fosse vero?

    Ne dubito, rispose Evie. Ma di quale perla di saggezza di quella vipera di tua suocera stiamo parlando?

    Che la società tratta come nullità le donne senza un uomo.

    Oh. Evie rise amaramente. L’idea che le vedove dovrebbero essere forti perché vedere il dolore di qualcun altro mette le persone a disagio.

    Be’, lei è vedova. Dovrebbe saperlo.

    Lei è una vedova nera. Di quelle che divorano i loro compagni. Affronta il dolore negando il tuo. Ha anche detto che la gente si fa domande sulle scelte delle donne single e indipendenti. Evie sollevò il mento e imitò la voce roca di Julia Sei divorziata, cara Evie, e sposare una donna divorziata è come andare in un ippodromo e scommettere tutti i soldi su un cavallo zoppo. Le divorziate vanno bene per gli uomini che vogliono portarsele a letto, che però non prenderebbero mai in considerazione di sposare.

    Non dovresti starla a sentire.

    Tu hai più esperienza di me nel trattare con lei, Kay.

    Potrei avere a che fare con lei ancora di più. Kathryn appoggiò il bicchiere sul ginocchio e lo fissò. Julia vuole che lasci questo posto e mi trasferisca da lei.

    Evie si girò di fianco sul divano, trovandosi così di fronte a lei. Non puoi vivere nella stessa casa con quella sputasentenze che ti succhierà ogni scintilla di vita. La metà delle volte, vorrei metterle la museruola. Perfino adesso, anche se dovrei essere terribilmente dispiaciuta per lei, riesce a dire qualcosa che mi fa venir voglia di darle un cazzotto.

    Sotto sotto, Julia è fragile come mi sento io. L’hai vista in auto. Ha bisogno di Laurel, e con nostra madre e nostro padre scomparsi, Laurel ha bisogno di conoscere la sua unica nonna.

    Emotivamente, quella donna è il vuoto assoluto.

    Non è mai stata così con Laurel. È triste, davvero, il modo in cui parlava oggi di suo figlio, la star, come se tutto ciò che gli rimaneva di lui fossero quei pochi minuti in cui qualche emittente radiofonica suonava una delle sue canzoni. Io ho Laurel. Forse dovrebbe averla anche la madre di Jimmy.

    Sei la moglie di Jimmy. Dovrebbe trattarti meglio.

    Jimmy diceva che non era colpa mia. Lei non riusciva a lasciarlo andare. Guardo Laurel e sono terrorizzata, non so che tipo di genitore sarò. Cosa succederebbe se mi aggrappassi a lei? Come farò da sola? Come farò a sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e come posso proteggerla?

    Nello stesso modo in cui lo facevi quando Jimmy era vivo. Non puoi proteggerla da tutto.

    Laurel non ha più Jimmy, ma se ci trasferiamo da Julia, almeno lei avrà la madre di Jimmy. Questo appartamento non è più lo stesso. Tutti i colori sembrano così sbiaditi. Niente è nitido o chiaro. Sembra vuoto. Non so se ce la faccio a restare.

    Puoi trasferirti da me, Kay. È meraviglioso a Catalina. L’isola è piccola e sicura. Anche la casa è piccola, ma possiamo adattarci. C’è spazio sul retro per costruire un piccolo studio per il tuo forno e il tornio.

    Hai detto che ne avresti fatto un giardino.

    Chi ha bisogno di un giardino? Le mie riunioni in facoltà sono sempre di mattina. Potrei tenere d’occhio Laurel il pomeriggio e le sere mentre lavori. Per favore. Pensaci.

    Lo sai che ti voglio bene, ma sarebbe un disastro. Oltre al fatto che hai appena comprato il posto, hai un solo bagno. Sai che finiremo per starci sempre addosso.

    Evie le prese la mano. Vorrei che venissi.

    So che lo vuoi. Kathryn si guardò intorno. Forse sono una stupida e dovrei restare qui.

    Oh, diavolo, Kay, non lo so. Non posso dirti cosa fare. Mi preoccupa che andiate a vivere entrambe con quella donna. Suonò il campanello.

    Ignoralo. Se ne andranno. Kathryn prese il drink. Il campanello continuava a suonare e suonare.

    Evie si spostò. Non lo sopporto. Vado a vedere.

    No. No. Kathryn si alzò. Andrò io. Quando aprì la porta d’ingresso, qualcosa la accecò e tutto divenne improvvisamente bianco.

    "Star Magazine. Vorremmo un’intervista, ora che è la vedova di Jimmy Peyton."

    La lasci in pace! Evie arrivò immediatamente dietro di lei e le mise una mano sulla spalla. Se ne vada! urlò e sbatté la porta, imprecando.

    Kathryn si seppellì il viso tra le mani. Non so se ci riesco.

    Mamma? Laurel era in piedi alla fine del corridoio buio e aveva sotto il braccio un’anatra di peluche che le aveva regalato Jimmy.

    Kathryn si precipitò a prenderla in braccio. Va tutto bene, angelo?

    Laurel annuì, abbracciando l’anatra, ma continuò a fissare incuriosita la porta d’ingresso.

    Questo genere di cose non accadrebbe da Julia. Kathryn fissò sua sorella. Ha i cancelli e il personale.

    Evie annuì.

    Prima di tutto, Kathryn sapeva che doveva proteggere sua figlia. La gente diceva le cose più stupide: migliorerà col tempo. Dio aveva bisogno di Jimmy. Sei giovane, cara, ti sposerai di nuovo. Poteva solo immaginare come Laurel potesse interpretare uno qualsiasi di quei commenti. E quanto tempo sarebbe passato prima che i giornali le lasciassero finalmente in pace?

    Mamma? Laurel prese il viso di Kathryn tra le sue manine e lo avvicinò al suo, come faceva ogni volta che voleva l’attenzione esclusiva di qualcuno. Quelle persone alla porta vogliono vederti perché sei la vidova di papà?

    Impiegò qualche secondo per registrare quelle parole. Kathryn si rivolse a Evie. "Sono una vidova."

    Sua sorella sembrava stesse cercando di non ridere.

    "Sono una vidova," ripeté Kathryn, era tutto così ridicolo, poi scoppiò a ridere, in maniera incontrollata, senza riuscirsi a frenarsi. Non ci riusciva. Era solo una risata, si disse, un’emozione sciocca, in realtà, velata di panico, un suono che assomigliava più al vetro che andava in frantumi e sapeva che la sua risata era tutt’altro che naturale.

    CAPITOLO 3

    Orange County, California

    In quel lungo tratto di terra tra Los Angeles e San Diego, le città crescevano rapidamente fondendosi l’una con l’altra. Parchi di divertimento con stanze a gravità zero e montagne russe avevano sostituito i campi di more e gli aranceti dove le persone potevano raccogliere tutti i frutti che volevano per cinquanta centesimi. File di case familiari con garage annessi venivano vendute prima che fossero costruite, e i semafori spuntavano agli incroci, di colpo troppo trafficati per dei semplici segnali di stop.

    Il trasporto pubblico? Non ci pensarono. Le automobili erano una necessità nel Sud della California e il petrolio era un affare enorme. Le trivelle fiancheggiavano la strada costiera lungo tutta la Huntington Beach, dove macchie di catrame punteggiavano lunghi tratti di sabbia e si incollavano come chewing-gum alle conchiglie rotte, ai rifiuti e alle fangose alghe verdi portate a riva. La gente del posto la chiamava Tin Can Beach, la spiaggia delle lattine, sembrava una discarica, quindi tutti la usavano in quel modo.

    Se il catrame era il difficile compromesso che gli automobilisti dovevano accettare per estrarre il petrolio, lo erano anche le scheletriche torri petrolifere nere su Signal Hill e le raffinerie al largo di Sepulveda Boulevard, con le loro alte ciminiere a forma di sigaro da cui sputavano fumo bianco e tutti quegli odori acri nella dolce aria della California. C’era una battuta che veniva ripetuta spesso nei nightclub di Los Angeles: che gli abitanti della California del sud pagavano le auto in dollari e puzza.

    Ma la verità era che le persone spendevano soldi per le auto per muoversi e sentirsi liberi, in modo da avere il controllo su dove andavano e quando. Compravano case perché gli piaceva pensare di possedere un pezzo di un luogo in cui il sole splendeva la maggior parte dell’anno e le stelle del cinema vivevano alla grande e morivano tragicamente.

    La città costiera di Newport Beach era una località di prestigio. L’oceano era pulito, la sabbia era finissima e non c’erano rifiuti. Le imbarcazioni bianche erano attraccate alle banchine private lungo le isole, dove le enormi case in stile californiano avevano indirizzi di pregio come quelli di Beverly Hills. Ogni volta che soffiava il vento di Santa Ana, il profumo degli alberi di eucalipto sopra l’autostrada 1 liberava il naso meglio del Bano-Rub, una miscela di vaselina e canfora che aveva aiutato a lanciare la Banning Oil nell’industria dei sottoprodotti del petrolio fornendo così a Victor Gaylord Banning abbastanza denaro per comprare una parte dell’esclusiva Isola Lido di Newport intaccando a malapena i suoi conti bancari.

    Era un giovedì pomeriggio, forse le tre, e Victor era a casa, di fronte a una lunga vetrata, tutto ciò che si frapponeva tra lui e i luoghi civilizzati sulle coste dell’Oceano Pacifico. Fissò il suo riflesso nel vetro, scorgendo solo la fisionomia dell’unica persona che aveva giurato di non diventare mai. Suo padre era stato un debole, incapace di fare qualcosa, tranne che fallire.

    Victor era cresciuto in una casa piena di malcontento, con solo sua sorella Aletta, come scudo contro una madre che non lo avrebbe mai approvato, perché vedeva in Victor la versione in miniatura di suo padre, un costante richiamo alle proprie cattive scelte. Era Aletta che aveva pagato il prezzo più alto per i fallimenti di suo padre. Era morta di una morte assurda perché non c’erano soldi per salvarla e Victor era stato abbandonato dall’unica persona da cui dipendeva.

    Per sua madre, la morte di Aletta era stata devastante. Non riusciva a sopportare di guardare l’unico figlio rimasto, quindi lo rinchiudeva nell’armadio per ore. A un certo punto pensò che il suicidio fosse l’unico modo per liberarsi del proprio dolore. Non voleva vivere in un mondo con solo il suo debole marito e il figlio che gli assomigliava come una goccia d’acqua, che, per quanto ci provasse, non avrebbe mai potuto sostituire la bambina che aveva amato davvero. Con suo grande sgomento, Victor, aveva pianto per giorni quando la madre si era uccisa, incapace di controllare le emozioni. L’eredità dei Banning era acuminata e dolorosa e faceva parte di lui, per quanto cercasse di dimostrare il contrario.

    Quel giorno, le guance e gli occhi erano la prova che non riusciva a dormire. Non si rasava dal giorno prima, quando era andato a identificare i corpi di suo figlio e della nuora, deposti in lunghe casse di acciaio inossidabile all’obitorio di Los Angeles. Fino a pochi giorni prima, non aveva visto né parlato con suo figlio, Rudy, da quasi dieci anni. La sua unica fonte d’informazione per qualsiasi cosa riguardasse la vita di Rudy era stata Rachel. Ciò che Victor provava in quel momento, se mai gli avesse permesso di penetrare il muro che si era creato intorno, lo avrebbe messo in ginocchio. Il dolore era paralizzante. Poteva rendere debole anche i forti.

    Quando sentì che la sua limousine si stava avvicinando, si spostò verso una stretta finestra da dove poteva vedere il vialetto attraverso le lucide foglie di un grosso cespuglio di camelie. Accanto alla sua Lincoln i ragazzi erano uno di fianco all’altro, indossavano identiche T-shirt a righe e dei jeans nuovi con i risvolti. Anche se c’erano quattro anni di differenza tra di loro, erano dei Banning: capelli biondi, mascelle squadrate e bocche larghe, ereditati dal loro bisnonno. Avevano la pelle chiara, espressioni serie e le sopracciglia folte e scure della madre. Cale, il più giovane, afferrò la mano di Jud. Sembravano due fermalibri mal assortiti.

    Victor vide solo la loro vulnerabilità, mentre si aggrappavano l’uno all’altro come ragazzine spaventate. Non sarebbero mai stati in grado di farsi strada da soli. Rachel li aveva rovinati. Aveva visto abbastanza e se ne andò, chiedendosi esattamente cosa avrebbe dovuto fare per trasformarli da mammolette negli uomini che dovevano essere per sopravvivere nel suo mondo.

    Presto nell’ingresso sentì le voci sommesse e i passi frettolosi dei bambini a

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