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Black Jack
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Black Jack

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About this ebook

I gemelli Neil e Lily si trasferiscono con la famiglia in un appartamento di Londra che nasconde qualcosa d’inquietante. Una misteriosa presenza si affaccia nelle loro vite: l’Uomo Nero, e i due bambini scoprono che tale figura leggendaria ha caratteristiche ben diverse da quelle con cui i genitori sono soliti descriverlo ai più piccoli. Il suo nome è Jack, e proviene dal Nulla. Neil riesce a mettersi in contatto con lui tramite la carta da gioco del Fante Nero, nei momenti in cui è sopraffatto dalla paura. Intanto, in un altro tempo e in un altro luogo, la Legione romana dell’Aquila Nera viene sterminata. I pochi sopravvissuti catturati dai nemici e costretti a partecipare al torneo della Luna Rossa, di tradizione Celtica, in onore del dio della vita e della morte. Un giovane Aquilifer si trova così nel mezzo dell’arena a combattere per tornare a casa. Due storie apparentemente diverse e lontane. Solo un Serpente Nero le collega, in un contesto ove niente è come sembra eppure tutto è come dev’essere…
 
Martina Angelini è nata a Tivoli il 29 dicembre 1995. Diplomata presso l’Istituto Angelo Frammartino a Monterotondo, ha frequentato un Master di sceneggiatura con corsi di pensiero creativo e laterale, presso la Scuola Internazionale di Comics. Attualmente vive in provincia di Roma e sta lavorando al prossimo libro.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2019
ISBN9788830612167
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    Black Jack - Martina Angelini

    viaggio!

    Prologo

    Coloro che non torneranno

    È stato molto, molto tempo fa… persino il Drago si è meravigliato nell’incontrare un essere più antico di lui, ma questa è un’altra storia.

    La prima metà del I secolo d.C., i legionari marciano per la foresta e tra le nebbie dell’antica Scozia. La Nona Legione, 5.000 soldati incaricati dall’Imperatore di espandere la gloria di Roma.

    La Legione dell’Aquila Nera, soldati esperti e vigorosi, la Legione degli erranti poiché sono coloro che mai più torneranno a casa. La Legione che col suo ‘mancato ritorno’ spinse i Romani a essere cauti nel guardare le terre del Nord.

    Giovani e veterani marciano con gli stendardi e lo stemma rivolti verso il Sole, fieri e compatti marciano.

    Nella storia nessun esercito o impero ha mai raggiunto il livello dei Romani in quanto a tattica e organizzazione, poiché hanno capito che un esercito deve essere una cosa sola: ogni soldato, ogni legionario è una cellula di un corpo più grande, la Legione stessa.

    Un giovane Aquilifer regge l’Aquila Nera con orgoglio e fierezza. Ha il compito più importante: proteggere lo stemma di Roma è un dovere e un onore. Se lui muore, spetta agli altri soldati proteggere l’aquila, perché proteggerla è difendere Roma.

    L’Aquilifer ha iniziato come tutti gli altri soldati, dimostrando il suo valore e la sua capacità in diverse occasioni. In una Legione suo è il ruolo di proteggere Roma, questo onore è assegnato ai guerrieri più formidabili.

    L’odore pungente dell’umidità riempie le narici del nostro giovane uomo. L’unica cosa che accompagna la marcia è un silenzio di tomba, con il presagio che qualcosa sta per accadere.

    Capitolo 1

    Semplicemente, Jack!

    C’è qualcosa che inquieta in quella casa, un piccolo appartamento inglese nascosto tra gli edifici di Londra.

    Neil ha 9 anni, capelli castani e occhi marrone scuro, per la sua età dovrebbe essere fornito di uno spirito avventuroso e combina guai, invece ha paura persino della sua ombra.

    E quando mette piede in quella casa, un terrificante brivido gli percorre le membra.

    «Che cosa c’è da aver paura?» dice sua madre. «In questo appartamento a due piani ci sono solo una vecchia cucina e un salone con un divano logoro, un bagno muffoso e le camere da letto» spiega. «Perché avere terrore?».

    Neil si stringe al vestito della donna guardandosi intorno e scuotendo la testa.

    Dall’altra parte, la piccola Lily, la gemella di Neil, è molto coraggiosa e curiosa. Vorrebbe rivoltare la casa da cima a fondo per trovare una civiltà perduta o un regno incantato.

    «Esploriamo Neil! Esploriamo!» esclama allegra, con la sua voce squillante.

    C’è una cosa da dire su quel luogo, una cosa che i signori David e Nora Simons non sanno, ma che i loro figli scopriranno: una figura misteriosa si affaccia sulle loro vite.

    Non illudetevi, non si tratta del solito mostro mangia-bambini e nemmeno di un fantasma, è semplicemente Jack. Nemmeno lui sa definirsi, è Jack e nient’altro, eppure tutto. Semplicemente Jack.

    È una piovosa giornata di Marzo, quando i ragazzi, non potendo uscire, dopo la scuola decidono di esplorare la casa. In particolare Lily, che trascina il fratello come un peso morto per tutto l’appartamento. La loro mamma è in cucina a lavorare, avverte i bambini di non combinare guai.

    Finora l’unica vittoria è una carta, un Fante Nero trovato nel vecchio divano. Lily lo butta via, ma Neil lo prende e lo infila in tasca. Per quale motivo? Forse per avere la certezza e la sicurezza che il massimo che possono trovare sia stretto nel suo pugno.

    È la volta delle camere da letto e qualcosa attira l’attenzione dei bambini: un fischiettio leggero e limpido, come la carezza del vento in un caldo giorno estivo. Proviene dalla loro stanza da letto, dove Lily, però, non nota nell’immediato la cordicella che pende dal soffitto.

    Delusa di non aver scoperto l’origine dell’insolito suono, la bambina si dilegua a prendere la merenda e Neil si rende conto troppo tardi di essere rimasto solo.

    La stanza sembra molto più fredda del solito e nonostante il timore provato, la curiosità lo tenta come la Musa tenta l’artista a creare un sogno.

    Neil, accortosi della corda, la raggiunge e la tira giù per rivelare una stretta scala di legno bianco. Il fischiettio riprende leggero e limpido, man mano che il bambino sale la scala si fa più forte.

    Neil si ritrova in uno spazio completamente bianco e vuoto, eccetto per un uomo dai capelli neri e la pelle chiara, come se fosse baciato dalla luna, che lo guarda curioso continuando a fischiettare.

    È seduto in una posizione rilassata sopra una sedia, eppure non c’è nessuna sedia, non c’è nulla. Vestito con una camicia nera a righe sottili d’argento, gilet, pantaloni, scarpe e giacca neri, il tutto corredato da una catena d’oro che pende dalla tasca destra del gilet. Infine un foulard nero legato intorno al collo, tenuto fermo da una spilla argentata con la forma di un uccello con le ali aperte e legato da qualcosa, forse corde o rami… sembra uno stemma o un simbolo.

    Neil rimane immobile a tremare quando l’uomo lo guarda negli occhi: iridi nere lo scrutano, un nero che sembra il buio più oscuro che esista. In quel momento l’uomo smette di fischiare.

    «Non sei certo un cuor di leone, Neil…» l’estraneo si sporge verso di lui, ha una voce profonda e parla con un accento che Neil non ha mai sentito.

    Il bambino indietreggia, pronto a scappare, ma la scala è sparita e lui, con tutte le sue forze, stringe la carta nella tasca.

    Una risata esce dalla bocca dell’uomo, Neil gli sta dando le spalle. «Se tua sorella fosse con te e in pericolo di vita, l’abbandoneresti?».

    La voce dell’uomo è più vicina e il bambino strizza gli occhi girandosi lentamente: «Vuoi… vuoi mangiarmi?».

    L’uomo sbarra gli occhi per l’assurdità dell’idea e poi ride divertito, mentre dalla tasca sinistra dei pantaloni prende un accendino e una sigaretta che accende, assaporandola lentamente.

    «Ti pregherei di smetterla di stringere così forte».

    Neil lascia la carta da gioco e l’uomo sembra rilassarsi.

    «Non che mi faccia male, è solo… un po’ rigido».

    Neil tira fuori il fante nero e lo confronta con l’estraneo, poi glielo porge. L’uomo scuote la testa: «È tuo, adesso. L’hai trovato tu».

    Neil lascia cadere la carta a terra e indietreggia. «Lily l’ha trovata! Prenditela con lei!».

    L’altro raccoglie la carta. «È stata lei a trovarla, sì… ma sei tu che l’hai presa e stretta finora. Vedo che devo essere io a compensare il coraggio che ti manca».

    Neil scuote la testa. «Fammi uscire! Ti prego, fammi uscire! Io non voglio niente da te!».

    L’uomo sbuffa «Bambini… dove pensi che siamo, Neil…? Tu lo sai? Qui è ovunque e da nessuna parte. È e basta».

    Il bambino si guarda intorno confuso e l’estraneo sospira pesantemente: «Da questo luogo si torna nel mondo esterno riscendendo le scale della soffitta. Io posso uscire scambiando il tuo corpo col mio per respirare l’aria dall’altra parte…».

    Neil si guarda la mano. «Il mio corpo…» interrompendo il discorso. «Sei un demone!?».

    L’uomo gli dà una leggera botta sulla fronte.

    «Non sono un demone, o ti avrei già divorato. Sono Jack!» lo sgrida, buttando la sigaretta.

    Neil non si arrende: «Sei un fantasma!?».

    «Jack!».

    «Allora sei l’Uomo Nero?!».

    «Jack! Anche se in molti mi hanno chiamano così e continuano a farlo…».

    «Un alieno venuto dallo spazio?!».

    «Jack!».

    «Un parassita che si è annidato nel mio cervello?!».

    All’ultimo, spinge la carta nelle mani del bambino e ripete con calma gelida, che fa capire a Neil che lui non è tipo con cui giocare a lungo: «Jack».

    Neil stringe la carta e scuote la testa: «Ti ringrazio per l’offerta, non voglio niente da te…».

    L’uomo s’irrigidisce ancora, ma senza nessun segno di dolore o fastidio. Guarda il bambino negli occhi. «Non si tratta di cosa vuoi, ma di cosa hai bisogno».

    Il bambino trema e Jack cede. «Fa’ come credi, ma sappi che lo scambio è solo per qualche ora e per quando ne hai più bisogno. È una specie di baratto equo, io ti tiro fuori dai guai e in cambio mi fai tornare a respirare l’aria umida di Londra per poco tempo, un’ora o giù di lì».

    Neil resta in silenzio e stringe la carta ancora più forte, forse s’illude di tenere sotto controllo Jack. Alla fine l’uomo si arrende: «Fa’ come vuoi, se vuoi andartene basta che immagini una porta o una scala».

    Il bambino stringe gli occhi e, cercando di combattere la paura, si immagina una porta. Una semplice porta di legno marrone chiaro, con un pomello lungo che sembra un’onda. Se la ritrova accanto, ma è più piccola di quel che si era immaginato, e piuttosto usurata. Prende la maniglia e la gira, facendola scricchiolare rumorosamente.

    «Le emozioni contaminano le tue creazioni» gli spiega Jack.

    In quel momento Neil si rende conto che l’uomo è di nuovo seduto scomposto su quella sedia invisibile, intento a fumare un’altra sigaretta.

    «Se hai così paura, come puoi impedire alla tua immaginazione di non esserne influenzata?».

    Neil lo ignora spingendo la porta e, senza perdere tempo, varca la soglia. L’ultima cosa che Jack dice è: «Se cambi idea… tieni la carta».

    Quando Lily entra nella camera con la loro merenda, trova il fratello che si guarda intorno furiosamente.

    Neil racconta tutto alla sorella e le mostra la carta, lei la esamina stringendola un paio di volte, ma nulla sembra accadere.

    Anche se molto scettica, Lily concorda nel dire che c’è qualcosa di strano in essa. Inoltre, prendono a osservare il fante: non è come le altre, perché non possiede semi, e sul davanti presenta due figure nere dal volto pallido e seminascosto dalle ombre che sembrano tirare fuori dalla giacca una pistola. I bambini sono sicuri che non avesse questo aspetto quando l’hanno trovata.

    Capitolo II

    Aquilifer

    L’odore dell’antica foresta riempie il naso dei Legionari. Il suono dei loro passi rimbomba tra gli alberi come una musica che canta di guerra e disciplina.

    Un giovane Aquilifer dai capelli castano scuro, tendenti al ramato, e dagli occhi verde dorati, porta con orgoglio l’Aquila Nera, stemma della Legione.

    L’Aquilifer si allarma quando capisce che, oltre alla canzone della Legione, non c’è nessun suono intorno a loro. Non so se ve ne siete mai accorti, ma anche la foresta canta, soprattutto in estate: il fruscio del vento, il cinguettio degli uccelli o il movimento di insetti e animali. Solo in un’occasione la foresta resta muta, fredda e ombrosa per ciò che sta per accadere: quando l’erba verde e scintillante viene coperta da liquido cremisi.

    5.000 legionari contro 15.000 barbari. I clan del Nord della Britannia sono stati furbi, hanno instaurato un’alleanza con chiunque fosse disposto a scacciare gli invasori. Nonostante le tensioni tra i gruppi, i capi si sono guardati negli occhi dicendo: «Solo per questa volta! Oggi combattiamo fianco a fianco, ma domani ognuno di noi desidererà il sangue degli altri…».

    Direte che la disfatta dei Romani è inevitabile, ma quei 5.000, con la loro disciplina e formazione, lasciano una ferita indelebile in quei 15.000.

    I barbari vincono, ma a che prezzo? I Romani perdono, ma con quanta gloria! Ci può essere gloria nella sconfitta?

    Tutto sta nel come. Di quei 15.000 ne rimangono meno di 6.000, e di quei 5.000 solo 5.

    C’è un clan in particolare, i Cereni, che rivendica i prigionieri per farli combattere nella propria arena di sangue e fango.

    Prima di procedere nella narrazione, dovete sapere che questi combattimenti dei Cereni servono per trovare il guerriero più adatto e forte del clan: il vincitore avrebbe partecipato a un particolare rituale con la loro druida, chi fosse riuscito a sopravvivere sarebbe stato considerato l’Eletto dal loro dio. Questa cosa accade quando la Luna Rossa si presenta nel cielo.

    Per preparare i guerrieri al meglio, si procurano i migliori avversari: animali feroci, nemici imprigionati e membri di altre tribù desiderosi di affrontare la sorte. Un torneo di sangue e fango in cui l’Aquilifer si trova coinvolto. Il torneo della Luna Rossa.

    Così, i 5 sopravvissuti – 2 Legionari, 1 Centurione, il Legato e il nostro Aquilifer – vengono portati dai Cereni nelle foreste del Nord della Scozia, legati stretti con catene di ferro in un carro di legno, mantenuti imbavagliati e a una certa distanza l’uno all’altro e tenuti in uno stato di stordimento mischiando delle radici tossiche all’acqua. I Cereni non sono sciocchi da rischiare dei tentativi di fuga.

    Nonostante la confusione, l’Aquilifer osserva perfettamente l’arena. L’odore della morte raggiunge le sue narici, mentre i barbari che sorpassano il carro lanciano sguardi di rabbia verso di loro o sputano. Il Romano non ci fa caso, c’è solo la delusione per se stesso ad accompagnarlo. Il fallimento per non aver protetto l’Aquila.

    Il piccolo Aedan osserva coi suoi compagni il carro che passa, sono curiosi di vedere i ‘demoni’, come li definiscono i loro padri. Guerrieri feroci che, nonostante la sconfitta, hanno abbattuto più della metà dell’esercito dei clan. Le voci corrono più veloci di una freccia scoccata dal miglior arciere.

    «Non sono demoni! Sono uomini!» interviene la piccola Dervla.

    Delwyn sbuffa. «La druida dice che in ogni uomo si può annidare un demone!».

    I due bambini discutono, mentre Aedan si avvicina al carro: tutti gli uomini all’interno sembrano addormentati, tranne uno. Aedan è affascinato dal colore ramato dei suoi capelli che brillano al sole, e questi alza lo sguardo: un verde dorato si illumina coi pochi raggi diurni. Aedan rimane stupito, solo nel fiume, quando il sole colpisce le pietruzze colorate attraverso lo specchio dell’acqua, aveva visto colori talmente particolari.

    Così Aedan allunga la mano per cercare di prendere una di quelle pietre: com’è possibile che un essere umano abbia occhi di questo aspetto? Che tutti Romani possiedano iridi di questo aspetto?

    Sta quasi per toccarlo, quando viene strattonato con violenza lontano dal carro. Sua madre gli dà uno schiaffo sgridandolo, ma Aedan non le presta ascolto, c’è qualcosa in quel Romano che lo affascina.

    Quando la donna lo riporta a casa, lui le chiede: «Mamma, ma quelli sono davvero demoni?».

    La madre scuote la testa. «No, non sono demoni».

    «Come fai a saperlo se non ne hai mai visto uno? Delwyn dice che secondo la Druida in ogni uomo ci può essere un Demone…».

    La madre gli accarezza la testa. «La Druida ha ragione, ma a volte gli uomini sono peggio dei demoni…».

    «Come gli Attacotti?» chiede Aedan.

    La madre lo guarda interrogativa. «Che cosa?».

    «La mamma di Dervla e Delwyn… l’ho sentita dire che mangiano le persone come per assorbirne la forza».

    Lei sospira. «Vorrei che non fossi così sveglio, a volte… ora che gli invasori sono sistemati, i clan riprenderanno a fare la guerra e gli Attacotti continueranno a spingere per le nostre terre. Solo Dis Pater sa quanto ci serva un Eletto!».

    Aedan vede la madre pensierosa e delicatamente le stringe la mano. «Mamma… pensi che Dis Pater sceglierà davvero qualcuno? Il vecchio Lorcan dice che da quando l’ultimo Eletto ha superato il rito sono trascorsi 50 anni, ma poi è morto subito dopo aver compiuto la missione che il nostro dio gli aveva affidato…».

    «C’è così tanto mistero ad avvolgere il destino degli Eletti… si narra che uno dei primi sopravvisse per 100 anni».

    Aedan si mette le mani sotto al mento pensieroso. «Se fosse uno straniero a vincere il torneo?».

    La donna lo guarda incuriosita: «Un membro di un altro clan?».

    Il piccolo annuisce. «Se fosse uno dei Romani?».

    «Ti avrei riso in faccia se me lo avessi detto prima di vederli combattere, ma ora non ne escludo la possibilità».

    Quando l’Aquilifer, coi suoi compagni, scende dal carro per essere condotto nelle prigioni dell’arena, sogghigna leggermente. ‘Se i Cereni vedessero solo una delle arene della Città Eterna in confronto a questa topaia, si inchinerebbero a baciare le colonne romane per rispetto’.

    L’uomo riesce a tenersi in equilibrio, nonostante la droga che gli hanno fatto bere. All’entrata dell’arena vede un tronco con sopra intagliato un serpente, i Cereni chinano il capo quando ci passano davanti. Gli altri Romani lo ignorano, ma l’Aquilifer si ferma innanzi a esso, capisce che deve trattarsi di una divinità Celtica, lo guarda negli occhi con sfida e rabbia.

    I Cereni stanno per spingerlo ad andare avanti, quando il Romano fa una cosa che li lascia a bocca aperta: si mette dritto con la schiena e alza il braccio destro in aria, fino a formare una linea obliqua. Gli occhi dell’Aquilifer sfidano il serpente mentre la mano è rivolta verso il sole, il più grande saluto che i

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