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Uomini del regime: Barracu, Brandimarte, Buffarini Guidi, Pende, Scorza, Senise, Serena, Suardo, Vidussoni
Uomini del regime: Barracu, Brandimarte, Buffarini Guidi, Pende, Scorza, Senise, Serena, Suardo, Vidussoni
Uomini del regime: Barracu, Brandimarte, Buffarini Guidi, Pende, Scorza, Senise, Serena, Suardo, Vidussoni
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Uomini del regime: Barracu, Brandimarte, Buffarini Guidi, Pende, Scorza, Senise, Serena, Suardo, Vidussoni

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Il regime fascista non fu eretto e mantenuto in vita dal solo Mussolini: molti furono i personaggi che lo affiancarono nelle varie fasi della sua carriera politica, dalla fondazione dei Fasci alla conquista del potere, nel suo consolidamento fino alla formalizzazione della dittatura a seguito dell'omicidio Matteotti, nel processo di inquadramento degli italiani in organizzazioni "totalitarie", nella guerra e nella disfatta repubblichina.
In quest'opera vengono raccolti una serie di articoli biografici su alcuni degli innumerevoli personaggi che fecero parte di questa ampia e variegata galassia che consentì al regime di affermarsi e poi durare per circa venti anni. Le tipologie di personaggi trattati sono variegate appunto per dare un'idea di quanto fosse diversificata questa galassia, andando ad esempio dallo squadrista Brandimarte a personaggi come il moderato sottosegretario Suardo, da intellettuali come Pende al sottosegretario Buffarini Guidi, figura di spicco anche durante la RSI quale ministro degli Interni.
Per ogni personaggio trattato, oltre alla sua biografia, si fornisce un elenco delle opere da lui pubblicate e delle onorificenze conseguite. In appendice all'opera vengono inoltre riportati vari dei documenti citati negli articoli biografici.
LanguageItaliano
Release dateJan 15, 2020
ISBN9788835358923
Uomini del regime: Barracu, Brandimarte, Buffarini Guidi, Pende, Scorza, Senise, Serena, Suardo, Vidussoni

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    Uomini del regime - Mirko Riazzoli

    Contents

    Mirko Riazzoli

    Introduzione

    Francesco Maria Barracu

    La RSI

    Il Ridotto Alpino e la morte

    Onorificenze

    Piero Brandimarte

    Onorificenze

    Guido Buffarini Guidi

    Il fascismo al potere

    L'antisemitismo

    Il primo allontanamento dal potere

    Gli anni della RSI

    Le lotte di fazione

    Gli ebrei sotto la RSI

    Il secondo allontanamento dal governo

    Il crollo del regime e la fine

    Post mortem

    Testi a stampa

    Nicola Pende

    Gli anni del fascismo

    L'adesione al regime e il Manifesto razzista

    Dopo il 25 luglio

    Post mortem

    Onorificenze

    Opere a stampa

    Carlo Scorza

    Il GUF e i Fasci Giovanili

    Le guerre del regime

    Segretario del PNF

    Dopo il 25 luglio

    Opere a stampa

    Carmine Senise

    Il 25 luglio

    La cattura di Senise

    La liberazione di Mussolini

    Dopo il conflitto

    Onorificenze

    Opere a stampa

    Adelchi Serena

    Serena segretario del PNF

    Dopo la segreteria

    Post mortem

    Onorificenze

    Opere a stampa

    Giacomo Suardo

    Suardo Sottosegretario agli Interni

    La caduta del regime

    Opere a stampa

    Onorificenze

    Aldo Vidussoni

    Vidussoni segretario del PNF

    Dopo la segreteria

    Post mortem

    Appendice

    Sitografia

    Bibliografia

    L'autore

    Dello stesso autore

    Notes

    Mirko Riazzoli

    Uomini del regime

    Barracu, Brandimarte, Buffarini Guidi, Pende, Scorza, Senise, Serena, Suardo, Vidussoni

    Introduzione

    Il regime fascista non fu eretto e mantenuto in vita dal solo Mussolini: molti furono i personaggi che lo affiancarono nelle varie fasi della sua carriera politica, dalla fondazione dei Fasci alla conquista del potere, nel suo consolidamento fino alla formalizzazione della dittatura a seguito dell'omicidio Matteotti, nel processo di inquadramento degli italiani in organizzazioni totalitarie, nella guerra e nella disfatta repubblichina.

    In quest'opera vengono raccolti una serie di articoli biografici su alcuni degli innumerevoli personaggi che fecero parte di questa ampia e variegata galassia che consentì al regime di affermarsi e poi durare per circa venti anni. Le tipologie di individui qui trattati sono variegate appunto per dare un'idea di quanto fosse diversificata questa galassia, andando ad esempio dallo squadrista Brandimarte a personaggi come il moderato sottosegretario Suardo, da intellettuali come Pende al sottosegretario Buffarini Guidi, figura di spicco anche durante la RSI quale ministro degli Interni.

    Per ogni personaggio trattato, oltre alla sua biografia, si fornisce un elenco delle opere da lui pubblicate e delle onorificenze conseguite. In appendice all'opera vengono inoltre riportati vari dei documenti citati negli articoli biografici.

    Francesco Maria Barracu

    Il gerarca fascista e militare Francesco Maria Barracu nacque il 10 novembre 1895 a Santu Lussurgiu (Cagliari) da Antonio Barracu e Maria Motzo.

    Partecipò alla prima guerra mondiale, durante la quale prestò servizio in Cirenaica poi nel 1918 divenne ufficiale di fanteria e prese parte alle operazioni in Tripolitania e quindi venne promosso in s.p.e. (Servizio Permanente Effettivo) per merito di guerra.

    Il 31 agosto 1921 si iscrisse ai fasci di combattimento e successivamente ebbe piccoli incarichi nel Partito nazionale fascista (PNF) nelle sue organizzazioni periferiche.

    Partecipò alla spedizione di Corfù – l'isola greca occupata nell'agosto-settembre 1923 dalle forze italiane in seguito all'uccisione del generale Enrico Tellini (1871-1923) sul confine tra Albania e Grecia, capo di una missione impegnata nella definizione dei confini tra i due stati ed ucciso da una banda di greci – e, nel giugno 1926, alle operazioni del Gebel, nel quadro della riconquista della Libia condotta da Rodolfo Graziani (1882-1955).

    Nel 1935-37 partecipò alla campagna per la conquista dell'Etiopia come tenente nel fronte Sud, alla guida di una unità di dubat (truppe irregolari formate da somali), e vi ricevette la promozione al grado di capitano, e alle successive operazioni di polizia contro i ras che ancora resistevano, qui come capitano comandante il III battaglione arabo somalo (ancora i dubat) e divenne comandante di una banda di Dubat che prese il nome di Banda Barracu. Durante questa campagna ricevette una medaglia d'argento e una di bronzo.

    Il 3 marzo 1937, a Uara Combo, fu gravemente ferito in un'azione di rastrellamento di bande ribelli e perse l'occhio sinistro: per il valoroso comportamento in questo scontro ricevette una medaglia d'oro al valore militare.

    Tornato in patria, svolse l'attività giornalistica occupandosi soprattutto di questioni coloniali e collaborando ai giornali coloniali Espansione imperiale: rassegna quindicinale di politica fascista e ad Africa italiana.

    Allo scoppio della seconda guerra mondiale, venne inviato in Africa Settentrionale, dove nel 1941-42 ricoprì la carica di segretario federale di Bengasi (Cirenaica), nel 1942 divenne Segretario Federale dell'isola di Corfù e dal 13 maggio 1943 di Catanzaro.

    In questa veste venne coinvolto dal principe Valerio Pignatelli (1886-1965), designato comandante, nella formazione della Guardia ai labari, motivo per cui il 25 luglio si recò a Roma ove scoprì che Mussolini era caduto. Tornò quindi in Calabria e venne richiamato alle armi poi in agosto trasferito a Roma presso il ministero della Guerra, per interessamento di Pignatelli che perseguiva ancora il progetto di formare una Guardia ai labari vista come strumento di resistenza fascista contro le forze degli Alleati per svolgere azioni da franco tiratori e fiancheggiare le truppe regolari anche alle spalle e sulle linee di comunicazione del nemico, per questo vennero anche preparate basi in Aspromonte, nelle Serre e poi in Sila stabilendo la propria base prima a Cosenza poi trasferendosi a Napoli, in dicembre, su disposizione delle stesso Barracu.

    Il 20 agosto Barracu si incontrò quindi con Pignatelli per presentargli il progetto di Muti, abortito, di liberare Mussolini, progetto poi presentato anche a Scorza che vi non aderì.

    Alla fine dei 45 giorni badogliani e in seguito al definitivo passaggio dell'Italia nel campo degli Alleati Barracu si trasferì in Germania, come fecero anche Pavolini, Preziosi e altri gerarchi che in seguito formarono in buona parte il nucleo del nuovo stato repubblicano fascista.

    Fino a questo punto era rimasto solo un quadro locale dell'apparato fascista, la sua vera carriera politica ebbe infatti veramente inizio solo dopo l'8 settembre 1943.

    La RSI

    Liberato Mussolini dai tedeschi, fu tra coloro che a Roma si adoperarono per dar vita al nuovo governo repubblicano, stessa azione compiuta da Pavolini e Buffarini. Fu lui, assieme a Pavolini e Giampietro Pellegrini, a prendere contatto prima a Casalbiancaneve (Roma), il 22 settembre, e poi il 23 a Roma in Villa Liotta, con il maresciallo Rodolfo Graziani (altri membri della delegazione furono Pavolini e Mezzasoma) affinché accettasse il Comando supremo delle forze della RSI e il ministero militare dopo che G. Buffarini Guidi aveva ricevuto un rifiuto dal generale Francesco Grazioli (1869-1951) il 19 settembre, il quale aveva addotto la sua età come motivazione (Graziani, tramite il suo capo di gabinetto Magno Bocca, già il 26 luglio dopo il voto del Gran Consiglio aveva preso contatto con Scorza per offrirsi per assumere appunto la carica di Capo di stato maggiore generale).

    Graziani così riporta i fatti nella sua agenda:

    22 settembre

    A Casalbiancaneve. Verso le 12 arriva il capitano Barracu ex Segr. Fed. Di Bengasi. Egli mi dice che Mussolini ha telefonato da Monaco designandomi come C.te Supremo delle Forze Armate del Nuovo Governo Repubblicano Fascista. Alla richiesta di una immediata risposta di accettazione dichiaro di non voler accettare, preciso che domani dovendo trovarmi per miei affari alle 11 sarò a Roma dove desidero parlare con Mezzasoma [Ferdinando Mezzasoma (1907-1945), giornalista e vice segretario del PNF.]. Vado a Filettino per mettere al corrente Ines. Quindi parto per Roma dove arrivo alle 19:30. Telefono subito a Bocca [Magno Bocca, segretario particolare di Graziani].

    23 settembre

    A Roma. Al mattino, ricevo C. che mi informa sugli sforzi che il Partito sta facendo per creare un Ministero e le difficoltà che incontra per deficienza di uomini.

    Bocca telefona a Barracu e fissa l'incontro con lui e Mezzasoma per le 10.

    Incontro a casa con i suddetti. Mia recisa resistenza. Interviene Pellegrini [Domenico Pellegrini Giampietro (1899-1970), ex membro del Direttorio del PNF]. All'ambasciata Tedesca. Mia inclusione nella lista del Nuovo Governo. Colazione all'Ambasciata.

    Il mio sacrificio totale è compiuto.[1]

    Probabilmente ben più che a questo suo risultato (anche se nella versione dell'accaduto fornita da Graziani[2] l'intervento dei tedeschi è forse l'elemento preponderante), fu al suo valore militare e alla medaglia ricevuta come mutilato di guerra che dovette la sua nomina, il 23 settembre 1943, a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Un altro elemento da prendere in considerazione per questa sua nomina era la sua sostanziale estraneità rispetto ai precedenti vertici e alla loro corruzione, beghismo e complotti, oltre alla valutazione che Mussolini stesso faceva dell'interessato (vedi di seguito per la sua opinione).

    In tale veste ebbe parte notevole nel trasferimento della sede del governo emanato dal Presidenza del Consiglio il 30 settembre 1943; emanò il 4 ottobre 1943 l'ordine per il trasferimento da Roma al Nord dei funzionari dei ministeri e nella riorganizzazione dell'amministrazione repubblicana, garantì lo stipendio, la sopravvivenza materiale dei lavoratori e delle famiglie, ma non mancò di utilizzare anche minacce di arresto verso coloro che si rifiutavano di trasferirsi, come avvenne nel 1944 dinanzi alle resistenze dei membri del CNR sul loro programmato trasferimento a Venezia. Impiegò metodi affini anche per persuadere il personale del Ministero dell'Africa Italiana a lasciare Roma, ma ugualmente il numero dei trasferiti fu limitato; venne indotto a questa mossa estrema anche dalla sostanziale indisponibilità dei ministeriali ad accettare il trasferimento, nel caso del Ministero dell'Economia corporativa, ad esempio, su 2.000 impiegati, se ne presentarono solo 283.

    In quanto sottosegretario alla Presidenza del Consiglio aveva alle sue dipendenze anche quanto rimaneva dell'Amministrazione coloniale (il personale e gli Archivi del ministero relativo vennero trasferiti a Cremona): fu in questa veste che intervenne nel gennaio 1944 per far trasferire vari oggetti e documenti delle campagne coloniali italiane dal Museo Coloniale di Roma (inaugurato l'11 novembre del 1923) al Museo del Buon Consiglio di Trento, creando molti problemi al generale Michele Gadda, che era stato incaricato dal governo del sud di ricostruire l'amministrazione coloniale ma che trovò la sua sede, il palazzo della Consulta, ormai vuota.

    Al riguardo Del Boca scrive:

    Nel Sud, la ricostituzione dell'Amministrazione coloniale, prima affidata al vecchio generale Melchiade Gabba e poi allo stesso Badoglio, procede lentissimamente. Quasi inesistente a Bari e a Salerno, riprende una certa consistenza solo quando il governo legale, nel settembre 1944, può tornare a Roma. Ma il palazzo della Consulta è stato letteralmente saccheggiato dai vandali istigati da Barracu, per cui si deve lamentare non soltanto la scomparsa di gran parte della documentazione del ministero, ma anche la perdita totale degli atti personali, così che la stessa assistenza finanziaria alle famiglie dei prigionieri e degli internati viene interrotta per mesi.[3]

    Sempre nel campo degli organi coloniali, si impegnò anche per il trasferimento della Polizia dell'Africa Italiana (PAI) al Nord, anche se riuscì solo a far trasferire la scuola allievi ufficiali.

    Barracu si impegnò anche nel campo militare, organizzò subito dopo lo sbandamento del settembre 1943 una unità militare con i soldati sbandati di origine sarda: per raccoglierli era stato aperto a Roma, presso il collegio militare, un ufficio di assistenza Sardi, con l'intento di impiegarli per combattere gli Alleati sull'isola. Questo progetto però fallì e la Sardegna venne occupata dagli Anglo-Americani, evento dopo il quale Barracu invitò tramite un messaggio radio i sardi a resistere ali Alleati e di attaccarli «con tutte le armi e con tutti i mezzi»[4]: solo un gruppo ristretto venne paracadutato in Sardegna per condurre azioni di propaganda e resistenza[5] soprattutto nella zona di Nuoro. L'unità così formata e organizzata a Capranica (Viterbo), chiamata Battaglione Volontari di Sardegna – Giovanni Maria Angioy[6] venne comandata dal colonnello Bartolomeo Fronteddu e venne poi impiegata, almeno in parte, a Trieste per fronteggiare l'avanzata delle forze titine e la lotta contro i partigiani. I tedeschi. che avevano il potere effettivo a Roma, non approvarono la sua formazione, anche a causa dei disordini che questa creava loro.

    Oltre a questo, sempre impiegando persone di origine sarda, formò uno dei vari servizi d'informazione operanti all'interno della RSI. In Sardegna comunque la sua propaganda ebbe qualche effetto, la divisione Nembo mantenne un atteggiamento favorevole alla RSI anche in seguito ad un messaggio di Barracu lanciato dall'aviazione tedesca sull'isola.

    Questo stesso ottobre del 1943 entrò nel mirino dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) che decisero di ucciderlo in un attentato a Roma, presso il ristorante Passetto, ove si recava spesso con Buffarini Guidi a cenare, ma l'attentato non venne poi attuato per ordine dell'organizzazione partigiana a causa del rischio di rappresaglie contro un gruppo di antifascisti catturati dai fascisti[7] (si ebbe un altro fallito tentativo di cattura il 3 ottobre 1944 nel quale muoiono a Lenno (Como) quattro fascisti e cinque partigiani, dopo che il 27 settembre il CLNAI aveva ordinato la sua cattura, considerandolo un criminale di guerra per le sevizie inflitte ai detenuti politici).

    In seguito, lasciata Roma, assieme a Buffarini Guidi e Pavolini preparò una lista dei giudici, ovviamente parziali, per il processo di Verona svoltosi dall'8 al 10 gennaio 1944, contro i gerarchi che avevano approvato l'o.d.g Grandi il 25 luglio. Questa lista venne presentata a Mussolini che la approvò, ecco i nominativi Aldo Vecchini (Presidente del tribunale, Console della MVSN ed ufficiale superiore dell'esercito); Andrea Fortunato (Pubblico Accusatore), Vincenzo Cersosimo (Magistrato Inquirente). I giudici: il generale Renzo Montagna, l'avvocato Enrico Vezzalini; l'operaio Celso Riva (sansepolcrista), il generale Domenico Mittica, Otello Gaddi (seniore della Milizia), Vito Casalinuovo (console della Milizia) e Franz Pagliani.

    Trasferitosi al nord fu a Bogliaco (Brescia), la sede della presidenza repubblichina, uno dei più stretti collaboratori di Mussolini, senza per altro riuscire, data la sua modesta levatura, a distinguersi particolarmente.

    Al riguardo i suoi colleghi avevano spesso una ben scarsa opinione di lui, Roberto Farinacci (1892-1945) aveva commentato «Barracu? Un sergente maggiore senza sale in zucca.»[8]. e il diplomatico Luigi Bolla lo aveva definito «una bestia, energica e coraggiosa», mentre lo stesso Mussolini, durante una conversazione, aveva detto «lasciate stare Barracu. È un vecchio imbecille che non ha mai capito nulla. Il suo cervello è sempre stato quello di Buffarini Guidi. Ma è un bravo soldato e questo è tutto»[9]. Ma nonostante tutto partecipò ugualmente alle lotte di potere tra i gerarchi e cercò di portare sotto il controllo della Presidenza del Consiglio dei Ministri le associazioni combattentistiche, volontaristiche o d'arma, la cui gestione era stata da 7 giugno 1944 affidata al PFR.

    Si occupò di sovrintendere alle edizioni della Gazzetta Ufficiale d'Italia che promulgava i provvedimenti deliberati dal Governo. Organizzò a Villa Bettoni, una residenza settecentesca nella frazione di Bogliaco (Gargnano), il suo Ufficio che si occupava di applicare le Leggi governative in via amministrativa.

    Nel gennaio del 1944 condusse una trattativa col generale Raffaello Operti, capo di varie bande partigiane nel Piemonte composte in gran parte da ex militari della 4ª Armata di stanza, riuscendo a far costituire numerosi elementi della stessa, soprattutto ex ufficiali, e a far ritirare dalla lotta lo stesso generale.

    Fu coinvolto anche nei rapporti con le autorità tedesche. Nel 1945, 20 gennaio, fece parte di una delegazione (altri componenti erano: Pavolini, Buffarini Guidi, Mazzolini, Pellegrini Giampietro) recatasi presso l'ambasciata tedesca per sollecitare Rahn a far inviare ulteriori aiuti tedeschi in favore delle forze armate repubblichine e per «una chiarificazione dei rapporti [tra RSI ed autorità tedesche] poiché dopo quindici mesi dalla costituzione e dal solenne riconoscimento del Governo repubblicano non si deve più dare l'impressione che il territorio della Repubblica, i suoi uomini e i suoi beni continuino ad essere considerati preda bellica»[10], decisione assunta il 18 gennaio dal Consiglio dei ministri e formata anche da Graziani, Buffarini Guidi, Mazzolini (ministro degli Esteri), Giampiero Pellegrini (ministro delle Finanze) e Pavolini.

    Tra la fine del '43 e i primi del '44 si avvicinò per un momento alle posizioni degli «oppositori interni», attaccando, in occasione della prima riunione del direttorio nazionale del Partito fascista repubblicano (PFR), il segretario del partito Alessandro Pavolini (1903-1945) e il ministro dell'Interno Guido Buffarini Guidi[11] (1895-1945) e sostenendo la sostituzione del primo dei due con Fulvio Balisti (1890-1959).

    Barracu, come scrive Dinale che aveva occasione di vederlo spesso a Maderno, era, per un verso, convinto della necessità di un rimpasto del governo (dal quale pare sperasse di avere il posto di ministro dell'Interno) e di un'apertura a tutti del PFR, che, da parte sua, avrebbe dovuto essere profondamente rinnovato attraverso una radicale revisione dei suoi quadri e, in particolare, dei capi provincia sostituendone la maggioranza con elementi nuovi tratti dai quadri locali, la concessione di una completa libertà di stampa e la convocazione in tempi brevissimi della Costituente; per un altro verso però, pur caldeggiando in teoria una politica di avvicinamento e di intesa con i partigiani, in pratica concepiva però questa politica in una logica solo strumentalmente militare.[12]

    Dopo il fallimento del tentativo noto come «congiura delle tre B.» (perché operata da: Balisti, generale C. Borsari e Barracu), si spostò su posizioni estremiste e aderì ai propositi di una ridotta nell'estremo nord, anche se il progetto iniziale era quello di impiegare Milano come luogo della strenua resistenza. La tesi della congiura viene sostenuta da E. Amicucci nella sua opera I 600 giorni di Mussolini, ma contestata da De Felice che sostiene la netta differenza della posizione di Barracu rispetto agli altri due verso Buffarini. Barracu sosteneva come gli altri due la necessità di cambiare parte dei vertici, ma questo serviva per consentire un'apertura del PFR a più ampi strati della popolazione con il fine di rinnovarne la dirigenza, procedere alla concessione della libertà di stampa e prepararsi per la convocazione della Costituente.

    Fu a sua volta avversato da Giovanni Preziosi (1881-1945), che lo accusava di essere un membro della massoneria.

    Fino all'ultimo continuò il suo appoggio assoluto a Mussolini e al regime: il 9 marzo del 1945 lanciò via radio un appello propagandistico[13] Agli italiani per la rinascita, in cui si rivolgeva ai combattenti di entrambe le parti («sparsi dalla bufera del tradimento per le vie del mondo») e in cui attaccava il re affermando che «il re ha avuto dal popolo italiano tutta la dedizione e tutta la lealtà, e non siamo in errore affermandolo, tutta la venerazione che un sovrano abbia mal potuto desiderare. È stato il popolo che ha abbandonato il re? No. È invece il re che ha defezionato consegnando il territorio nazionale e il popolo al nemico», poi prospettando un destino tragico per gli italiani «sarà la deportazione in massa per lavorare nelle miniere dell'Inghilterra, dell'America, della Russia, della Francia e perfino – umiliazione senza nome – della Grecia». Ancora il 28 febbraio 1945, nell'ottica della lotta, aveva presentato una proposta per formare bande di volontari chiamate «Battaglioni crociati»[14].

    Il Ridotto Alpino e la morte

    Alla luce dell'andamento del conflitto sfavorevole per l'Asse e dell'avanza delle forze degli Alleati, che il 4 giugno avevano anche conquistato Roma, era stata discussa in agosto la possibilità di costituire un ridotto sulle Alpi, abbandonando la precedente opzione di un ritiro in Germania. Il 18 settembre Mussolini assegnò al segretario del PFR Pavolini (questi l'8 aveva proposto a Mussolini la Valtellina come luogo per la preparazione del ridotto), il compito di presiedere e dirigere la Commissione del Ridotto alpino Repubblicano (ne erano membro i ministri dell'Interno, delle Finanze, dell'Economia, dell'Agricoltura, delle Forze armate, della Giustizia e il sottosegretario alla Presidenza, ovvero Barracu, con funzioni di segretario) e che avrebbe dovuto studiare e preparare la Valtellina, con il trasferimento di uomini e mezzi (le forze che si potevano concentrare nella zona Adamello-Sondrio vennero valutate in 30-50 mila armati tra GNR, Esercito, X MAS, Brigate Nere), per fungere da ultimo baluardo di resistenza delle forze fasciste in caso di avanzata degli Alleati.

    Il progetto rimase però sostanzialmente sulla carta a causa del moltiplicarsi di commissioni e soggetti coinvolti, spesso tra loro in disaccordo e conflitto o che agivano senza alcuna coordinazione, il che impedì la sua reale attuazione. Quello del ridotto valtellinese – ipotesi contrastata dai tedeschi (nonostante questo l'Organizzazione Todt nell'ottobre del 1944 iniziò a realizzare delle fortificazione nella zona di Tresenda e San Giacomo in Valtellina), dal maresciallo e ministro Graziani (fu lui durante il suo processo a rendere pubblico per la prima volta questo progetto) e dal comandante della X MAS Valerio Borghese che proponeva di combattere lungo il Po – non fu l'unica presa in considerazione, vennero prese anche in discusse altre alternative come la Carnia, ipotesi appoggiata dai tedeschi, Milano (ipotesi valutata dallo stesso Mussolini), la Valle d'Aosta, Trieste (secondo quanto dichiara Bruno Spampanato), l'Alto Adige e il Brennero.

    Nonostante tutto questo il progetto rimase vivo e in vista di un ripiegamento Barracu il 23 settembre 1944, alla luce della crisi del regime, inviò anche una circolare ai ministri nella quale si presentavano le alternative che si presentavano: «1) trasferimento in altra località e provincia al fine di attuare una mimetizzazione protettiva; 2) trasferimento al seguito del Governo, qualora sia necessario spostarne la sede più a Nord o oltre confine; 3) trasferimento, al momento da stabilire, in Baviera, ove, vicino al lago di Costanza, l'alleato ha offerto a un numero illimitato di famiglie»[15].

    Alla fine il 14 aprile 1944 si tenne a Garignano l'ultima riunione, tenuta tra i rappresentanti italiani (Mussolini, Pavolini, Anfuso, Zerbino, Barracu) e i rappresentanti tedeschi Vietinghoff, Wolff, Rahn e Dollmann, durante il quale venne discusso ancora il progetto di ripiegare in Valtellina per poter continuare la resistenza e formare una concentrazione di uomini delle brigate nere e degli ultimi gerarchi in un luogo di montagna ove, almeno di principio, combattere fino alla morte, argomento avanzato da Pavolini e sostanzialmente accolto.

    Il federale di Milano, Vincenzo Costa, tornò sull'argomento il 16 dicembre 1944 dopo il discorso di Mussolini al Teatro Lirico, quando gli presentò un progetto discusso dal federale e dai suoi collaboratori il 21 ottobre 1944.

    Si giunse così all'ultimo atto quando ormai la caduta del regime era sostanzialmente già avvenuta, il 25 aprile 1945. In questa giornata Barracu intervenne nella sede dell'arcivescovado di Milano alle fallite trattative svoltesi tra Mussolini (assieme a Zerbi, ministro dell'Interno, Graziani, Bassi, il prefetto di Milano e l'industriale Gian Riccardo Cella) e i capi del Comitato di liberazione nazionale alta Italia (CLNAI) dopo le quali un convoglio di primari gerarchi abbandonò al seguito di Mussolini la città nella sua fuga verso il lago di Como. Tra le personalità del regime e i collaborazionisti si annoverano Buffarini Guidi, N. Bombacci, Ferdinando Mezzasoma ed altri, questi fuggirono per cercare di salvarsi o nel vano tentativo di realizzare l'ultimo obiettivo della

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