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Cronaca di una notizia
Cronaca di una notizia
Cronaca di una notizia
Ebook124 pages1 hour

Cronaca di una notizia

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About this ebook

L'omicidio di una coppia facoltosa di avvocati avvenuto nel gennaio del 1971 è ancora avvolto nel mistero.

Ad assistere all’omicidio dei due c’è il piccolo David Greighton, figlio undicenne della coppia. Alla morte dei genitori, David viene affidato alla custodia della zia, sorella maggiore della scomparsa madre.

Ad interessarsi alla vicenda a distanza di quarantasei anni troviamo Nathan Ford, giornalista investigativo del Philadelphia Inquirer. Riuscirà Nathan, attraverso dettagliate e meticolose indagini a far luce su questa misteriosa vicenda?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 14, 2020
ISBN9788831655484
Cronaca di una notizia

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    Cronaca di una notizia - Pietro Quinto

    Indice

    Avvio

    PIETRO QUINTO

    CRONACA DI UNA NOTIZIA

    Titolo | Cronaca di una notizia

    Autore | Pietro Quinto

    ISBN | 9788831655484

    Prima edizione digitale: 2019

    © Tutti i diritti riservati all'Autore.

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    La storia che state per leggere è frutto di pura fantasia, ogni riferimento a luoghi, cose o persone è puramente casuale.

    Uno degli inverni più rigidi degli ultimi cinque anni stava attanagliando nella sua morsa glaciale Philadelphia. Le temperature erano scese al di sotto dello zero ed io mi ero rintanato come al solito nel mio pub irlandese preferito, il Fadò. Il locale alla sera era sempre molto affollato ed animato. L’orologio al mio polso segnava le 21:00, ero seduto al bancone sul quale avevo appoggiato la mia borsa a tracolla di cuoio e su di essa il mio laptop nero che mi ero portato da casa perché avevo da ultimare un articolo riguardante l’ennesimo inseguimento stradale finito male; una volante della polizia aveva fermato un diciannovenne di colore, l’agente di polizia, bianco, era finito sotto i riflettori con accuse di razzismo per il successivo pestaggio rifilato insieme ad un suo collega anch’egli bianco, cose ormai all’ordine del giorno qui a Philadelphia. Pare che il giovane ragazzo non si fosse fermato ad uno stop, questa la versione ufficiale raccontata dagli agenti subito dopo l’accaduto. Ancora una volta il dipartimento di polizia era finito sotto l’occhio del ciclone, l’ennesimo scandalo. L’intera comunità afroamericana di Philadelphia non l’aveva presa affatto bene, era da giorni che protestava davanti al municipio aspettando invano che la giustizia facesse il suo corso. Non avrei mai vinto il premio Pulitzer di questo passo, ogni singolo giornalista sulla faccia della terra ambisce a vincerlo, ma la verità era che ormai non ci speravo più. Le primavere passavano in fretta ed io ero giunto alla mia quarantacinquesima.

    Avevo ingurgitato la mia terza pinta di Guinness accompagnata da una ciotola di noccioline, forse era una delle poche cose che adoravo nella mia vita insieme a mia figlia Rebecca. Chiesi ad Eddy, il gestore del pub, di alzare il volume della TV. Il notiziario della CNN stava passando in rassegna le notizie dell’ultima ora. «Ehi Ford! Ma quello non è il tuo amico?», mi domandò Eddy, così alzai lo sguardo. Si trattava del detective Jake Sullivan, un idolo indiscusso da queste parti. Aveva risolto l’ennesimo caso, quello del burattinaio per l’esattezza. Fui distratto, però, da una pacca sulla spalla.

    «Ci avrei scommesso che ti avrei trovato qui!», esclamò la voce alle mie spalle, mi voltai.

    «Detective Collins, come mai da queste parti?», le chiesi sorridendole. Si trattava di Delia Collins, una detective trentacinquenne di colore, di bassa statura. Portava i capelli neri e corti, rasati quasi a zero, aveva un fisico in carne, i suoi occhi erano di color marrone, indossava una giacca nera con una camicia azzurra spuntata al collo ed un paio di blue jeans scuri, in bella vista all’altezza della cinta aveva attaccato il suo distintivo e la fondina contenente la sua pistola di ordinanza, una Beretta. Era, a detta di molti, una delle più brave nel dipartimento di polizia tanto da essere nominata dal commissario Fuller a capo del settore investigativo. Aveva un temperamento forte e deciso sul posto di lavoro, non si faceva condizionare da niente e da nessuno, un vero è proprio generale.

    «Ho da poco staccato, oggi è stata una giornata a dir poco movimentata», disse sedendosi al bancone.

    «Posso offrirti qualcosa?».

    «No, sto bene così, grazie».

    «Okay».

    «Sbaglio o eravate amici?», mi domandò indicando il televisore, si riferiva al detective Sullivan.

    «Sì, esatto abitavamo nello stesso palazzo eravamo compagni di giochi, gli appartamenti erano sullo stesso pianerottolo. É stato il mio migliore amico fino all’età di sedici anni».

    «Poi cos’è successo?».

    «È dovuto andare via. Suo padre aveva trovato lavoro a New York e si trasferì lì insieme alla sua famiglia».

    «Non vi siete più sentiti da quel giorno?».

    «No, a dire il vero non c’è stata mai occasione». «Capisco… Beh dovresti farlo, sicuramente gli farebbe piacere risentirti».

    «Forse un giorno lo farò».

    «Bene».

    «Detto ciò, hai scoperto particolari interessanti sul pestaggio?».

    «Del tipo?».

    «Andiamo Delia, sai cosa intendo».

    «In realtà no, Nathan», rispose con tono seccato.

    «Ti prego Delia, ho bisogno di qualche particolare interessante, qualcosa che nessuno sa. Devo consegnare l’articolo sulla scrivania del direttore entro domani», non mi rispose, mi lanciò invece un’occhiataccia che lasciava intendere tutto.

    «Okay, okay, ho capito!», dissi alzando le mani in segno di resa.

    «Facciamo così Ford, domani mattina passa da me in ufficio forse ho qualcosa, ma non farti illusioni. Ora ti lascio, sono esausta».

    «Okay, a domani allora».

    Controllai l’ora, era tardi anche per me, il locale lentamente si stava svuotando, bevvi così l’ultimo goccio di Guinness rimanente nel mio bicchiere, riposi il laptop nella borsa a tracolla, pagai il conto ed andai via. Raggiunsi casa con la mia vecchia Chevrolet Camaro datata 1967 color grigio metallizzato. Per fortuna partì immediatamente, temevo che il motore si fosse impantanato per via del freddo. Non passavo inosservato, in passato qualcuno aveva provato a portarmela via e per questo la portella al posto del guidatore era di colore rosso.

    Abitavo in un modesto appartamento nel quartiere residenziale di Luxury, lo condividevo insieme alla gattina di mia figlia, Mila, una gatta persiana dal pelo folto e arancione con gli occhi verdi. La mia ex moglie, Maggie, era allergica ai gatti e odiava gli animali domestici per questo non poteva stare da loro. Il giudice aveva stabilito che Rebecca poteva stare con me nei fine settimana, entrambi eravamo molto legati nonostante la lontananza. Viveva con sua madre e i suoi nonni materni a Trenton, il giudice aveva riconosciuto l’affidamento esclusivo a Maggie a causa della mia forte carenza affettiva nei confronti di Rebecca. Per colpa, in parte, del lavoro non le avevo mai dedicato molto tempo e questa fu anche una delle cause principali che portò me e mia moglie a divorziare. Appoggiai la tracolla sul divano e mi diressi in cucina, aprii il frigorifero, era vuoto, dovevo fare un po’ di spesa dato che questo weekend a casa ci sarebbe stata Rebecca, me ne andai così a letto, l’orologio segnava l’01:00.

    La mattina seguente mi svegliai presto per raggiunsi la sede del Philadelphia Inquirer. Era lì che lavoravo da anni come giornalista investigativo. Il direttore Jim McGrowan mi stava aspettando nel suo ufficio, ero sicuro che mi avrebbe tirato le orecchie per via dell’articolo non ancora ultimato. Chiesi a Lucy, la sua segretaria, se fosse già arrivato, mi disse di si, bussai così alla sua porta. «Avanti!!», esclamò con tono deciso. Lo trovai in piedi accanto alla sua sedia ergonomica rossa con entrambe le mani appoggiate sullo schienale. Il disordine regnava nel suo ufficio, la sua scrivania era piena di quotidiani di varia argomentazione e tipologia ed anche il divano ne era sommerso. Sempre sulla scrivania c’era un portacenere di cristallo contenente diversi mozziconi di sigarette, era un fumatore accanito. Alle sue spalle c’era una mensola di legno sulla quale erano collocate diverse fotografie che lo ritraevano con varie personalità, a completare l’ambiente un grande acquario incorporato nella parete contenente diversi pesci tropicali.

    Il direttore McGrowan era un uomo sulla sessantina di carnagione chiara, piuttosto scarno, calvo e sbarbato, aveva gli occhi di color grigio, nascosti dalle sue folte sopracciglia nere, indossava il suo solito gilet color senape abbinato ad una camicia bianca insieme

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