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Le nebbie del passato
Le nebbie del passato
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Le nebbie del passato

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About this ebook

La piccola Spider corre nel buio della notte che comincia a cedere il passo ad un nuovo giorno. Il commissario Enrico Barca guida sicuro tra le strette vie di uno dei più ricchi quartieri di Sassari. La telefonata che lo ha svegliato lo ha riportato pesantemente alla realtà. Il profumo della donna che ama ma che non può essere sua ancora aleggia nella stanza. Il commissario Enrico Barca prima di essere un poliziotto è un uomo con le sue paure, le sue ansie e la sua solitudine. Un nuovo caso, difficile e ingombrante lo aspetta alla fine di quella strada che sale verso Montebianchino. La dottoressa Alice Savelli è stata uccisa con fredda lucidità nella sua villa milionaria. Il Commissario Barca indaga più per salvare un innocente che per trovare il vero colpevole. La storia si intreccia con il passato le cui nebbie celano oscure verità. In un letto di ospedale un uomo lotta contro la morte. Riuscirà il commissario Enrico Barca a cancellare trent'anni di bugie? Di chi è la mano che ha saputo trasformare una piccola lama in un'arma letale? Chi ha ucciso il suo migliore amico riuscirà ad arrivare fino a lui? Tante domande aspettano una risposta tra una sigaretta fumata a metà e una chitarra che suona per allontanare la solitudine. 
LanguageItaliano
Release dateJan 14, 2020
ISBN9788868104221
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    Le nebbie del passato - Gianni Brigaglia

    Gianni Brigaglia

    LE NEBBIE DEL PASSATO

    Prima Edizione Ebook 2020 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868104214

    Immagine di copertina su licenza

    Adobestock.com

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave, 60 - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

    Gianni Brigaglia

    LE NEBBIE DEL PASSATO

    Romanzo

    INDICE

     I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    Epilogo

    L’AUTORE

     CATALOGO I GIALLI DAMSTER

    I

    Il suono del cellulare che proveniva dalla sacca di Antonio era quasi impercettibile. Lo sentì per caso un compagno di squadra che si era avvicinato alla panca per un sorso di acqua al volo. «Antonio il tuo cellulare continua a suonare... Caz.! Big in Japan che sfigato!» disse il compagno dopo aver bevuto e suscitando una risata generale. Antonio si avvicinò alla sacca già sapendo chi poteva essere e la cosa non lo rendeva molto felice.

    «Pronto cosa vuoi?» disse a bassa voce coprendo con la mano libera la bocca. La linea era molto disturbata, si sentiva un fruscio in sottofondo come il vento in lontananza, capitava ultimamente, ma solo quando lo chiamava lei. Rispose una voce che sapeva di latte e miele alla quale anche il più integerrimo degli uomini non avrebbe saputo dire di no. «Mi sento sola... vieni da me, ora.»

    «No, ora non posso, ci dovevamo vedere più tardi...» provò a resistere il ragazzo.

    «Inventa una scusa, ti aspetto» la voce era cambiata, c'era più determinazione, la richiesta della donna era diventata un ordine. Antonio provò a controbattere, ma la telefonata era ormai finita. Un brivido corse lungo la schiena e non solo per il sudore che si asciugava nel freddo della notte. Guardò i suoi compagni e senza dare troppe spiegazioni disse loro: «Devo andare ci vediamo.»

    Il prendere la sacca e il piumino rosso fu un tutt'uno e uscendo dal campetto sentì i commenti dei suoi compagni che pesavano come macigni. In macchina si accorse di non aver cambiato neanche le scarpe, ma non gliene fregava nulla. Guardandosi nello specchietto retrovisore provò rabbia e schifo allo stesso tempo, in quel preciso istante decise che era arrivato il momento di chiudere quella storia che lo stava portando alla disperazione senza timore delle conseguenze. Pensò alla sua fidanzata e senza rendersene conto le chiese perdono come se lei fosse lì con lui.

    La strada per Monte Bianchino sembrava un serpente nero che era pronto a stritolarlo tra le sue spire. Giurò a se stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta e affrontando la salita schiacciò più forte sull'acceleratore per far finire prima il suo tormento.

    «Non puoi trattarmi così! Devi stare solo zitto! Io ho fatto tutto per te!» La donna non era impaurita, sapeva di averlo in pugno.

    «Ma cosa stai dicendo! È stato un inferno conoscerti e maledico il giorno che ti ho incontrata!»

    L'uomo si sentiva impacciato, ma il cuore batteva forte nel suo petto.

    «Non sai a quello che andrai incontro! Ti rovino, non avrai più una carriera!» La donna si alzò e avvicinandosi alla finestra vide il suo riflesso nel vetro. L'uomo la guardava mentre si infilava la maglietta seduto sul letto.

    «Che tu sia maledetta» urlò alla donna e poi solo silenzio.

    II

    Sabato mattina

    «Dotto’ il questore ha chiamato due volte, vuole...» la voce nasale dell'agente Pisu che si era affacciato dalla guardiola suonò sgradevole.

    «Pisu non rompere le balle di prima mattina, cappuccino e brioche e poi mi dici cosa vuole il dottor Tuveri» disse il commissario Barca cercando di mantenere la calma.

    «Vabbe’ dotto’ vado al bar.»

    «Pisu cornetto vuoto mi raccomando, non come l'altra volta con la crema, mi fa venire la colite... Dimauro è arrivato?»

    «Ok dotto'. Sì, dottor Dimauro è nel suo ufficio.»

    «Allora cappuccio anche per lui e prendilo anche per te.»

    «Grazie dotto' provvedo subito.»

    Il commissario entrò nel suo ufficio e senza perdere tempo alzò la cornetta e chiamò l'interno 2.

    Due squilli. Una voce roca da fumatore incallito rispose flemmatica.

    «Anche a quest'ora rompi Enri’, cascato dal letto sei.»

    «Caz... anche tu a rompere i santissimi Matte', alza il culo e vieni nel mio ufficio, cappuccino e parliamo» rispose il commissario alzando la voce.

    «E cosa è, Pasqua? Se offri il cappuccino zecco come sei…» punzecchiò il dott. Dimauro che con la sua calata caratteristica non nascondeva le sue origini galluresi.

    «A parte che zecco lo sei tu da almeno tre generazioni! Comunque, il cappuccino lo offre Pisu anche se ancora non lo sa!» rilanciò il commissario.

    «Nervosetto? Cos'è il bidone che hai non si è messo in moto neanche oggi? Dammi due minuti e sono da te Enri’!»

    «Lasciamo perdere Matte’! Ti aspetto» ringhiò il commissario alzando gli occhi al cielo per trovare la forza di non mandarlo a quel paese.

    Era stata una notte molto lunga per il commissario Barca. La sonata in re maggiore per due pianoforti KV448 di Mozart proveniente dal suo cellulare aveva aperto una breccia nel sonno profondo appena un paio d'ore dopo essere andato a dormire. Lo aveva chiamato Pau dal commissariato alle 3.

    «Dotto’, omicidio a Monte Bianchino, una donna, tanto sangue, nessun segno di scasso. L'ha trovata il figlio che rientrava da una festa.»

    «Cazz... non si può più dormire! Aspe’ Pau che collego il cervello» biascicò il commissario cercando di sollevare la testa dal cuscino. Dopo aver acceso l'abat-jour sul comodino guardò con gli occhi che ancora non si erano abituati alla luce sul lato sinistro del letto. Lei era andata via molte ore prima, ma il suo profumo ancora aleggiava nella solitudine di quella stanza.

    «Dotto’ chiedo scusa, ma...» cercò di rimediare Pau.

    «Scusa un'amata minchia come direbbe Montalbano... Villa o appartamento?» rispose sorridendo tra sé il commissario.

    «Villa dotto' di quelle a sei zeri, con piscina e dependance» fiatò Pau.

    «Chi è la vittima?» chiese quasi sussurrando come se si aspettasse già un nome importante.

    «La dottoressa Alice Savelli dotto'» rispose remissivo Pau.

    «Cazz... va bene. Vado subito. Chi trovo dei nostri?»

    «Se vuole le mando Mazzarei con la macchina commissa'? Sul luogo trova Russo» rispose Pau.

    «No, vado con la mia e poi vengo in commissariato. Avvisa Russo che sto andando» disse poco convinto e poi aggiunse seguendo i suggerimenti dell'istinto da sbirro che cominciava a svegliarsi: «Il marito della signora dov'è?»

    «Il figlio lo ha chiamato al cellulare e lo ha informato. Lui è a Cagliari per un corso di aggiornamento.»

    «Corso di aggiornamento? Che fa il marito della signora?» interrogò il commissario che ora sedeva sul lato del letto e accendeva una sigaretta.

    «Fa il medico a Sassari; è il dottor Omar Sansani» rispose Pau.

    «Ho capito... il cardiologo... anche bravo...» commentò il commissario inibendo uno sbadiglio.

    Il commissario Barca dopo un paio di tirate alla sigaretta la spense in quello che un tempo era un posacenere e ora era diventato un cimitero di cicche. Si vestì controvoglia scegliendo la stessa camicia e lo stesso maglione del giorno prima per velocizzare la tortura dell'ennesima alzataccia. Passando davanti all'armadio con le grosse ante scorrevoli vide il suo riflesso nello specchio da camera messo di lato. Si soffermò un istante a guardare quei lineamenti che a volte non riconosceva. La barba incolta con tanti peluzzi bianchi qua e là e quegli occhi velati non solo dalla stanchezza lo fecero sospirare. Con le mani cercò di dare una forma ai capelli sempre in disordine e poi accarezzò la piccola cicatrice sopra il sopracciglio sinistro. Guardò svogliatamente il suo orologio automatico, era proprio ora di andare. Prima di uscire recuperò il post-it che aveva dimenticato sul comodino dove aveva segnato l'indirizzo della villa. La notte era ancora viva e un cielo scuro punteggiato da qualche timida stella lo avvolse quando uscì dal piccolo condominio dove viveva.

    La macchina era parcheggiata proprio sotto il suo balcone che si affacciava sulla via Tiberio Murgia. Una piccola Alfa Spider nera del 1997, che sicuramente aveva visto giorni migliori, fece le fusa come un gatto quando il commissario girò la chiave nel quadro. Questo fatto lo fece sorridere e la macchina che rispondeva ai piccoli colpi di acceleratore si meritò una pacca sul volante in pelle. Il commissario Barca amava quella macchina che aveva trovato quasi per caso qualche anno prima coperta da un vecchio telo dentro un garage dimenticato. Si era ripromesso di farla restaurare per riportarla allo splendore di un tempo. L'entusiasmo iniziale però si era esaurito quasi subito con l'intervento di un tappezziere per i sedili in pelle e la capote in tela cerata e quella promessa era andata ad impantanarsi insieme a tante altre di cui non aveva più memoria. Molto spesso la piccola Alfa gliela ricordava quella promessa, rifiutandosi di mettersi in moto. Fortunatamente quel giorno di fine novembre anche l'auto sembrava di aver capito la gravità della situazione e preferì rinviare ad altri giorni da concordare il suo impegno a far mantenere le promesse al suo proprietario.

    I suoi pensieri viaggiavano veloci come la sua macchina e si focalizzavano sul nome della vittima: «Alice Savelli» pronunciò il suo nome senza dare troppo peso al fatto che lo aveva detto a voce alta. La conosceva, non benissimo come dichiara chi si reputa un amico nei confronti di un'altra persona, ma le loro strade si erano già incrociate altre volte. Ricordava perfettamente il fatto che era una bellissima donna, forme che facevano ancora girare gli uomini anche se aveva superato la cinquantina, naso piccolo che puntava birichino all'insù e due seni che invece non erano ancora stati messi al corrente dell'esistenza delle leggi sulla gravità. In tutto questo probabilmente era entrata in gioco la magia della chirurgia plastica. Lei se lo poteva permettere e non solo perché era titolare di una delle farmacie più importanti di Sassari, ma soprattutto perché era una Savelli. Il padre era stato un imprenditore molto conosciuto in Sardegna e non solo negli anni Ottanta e Novanta.

    Il commissario rivide nella sua mente il viso della dottoressa, quel sorriso che era alchimia pura fatta da una dentatura perfetta incorniciata da labbra carnose che sapevano di frutto proibito, ma quello che più ricordò di ogni altra cosa fu la luce fredda dei suoi occhi neri. Luce che nascondeva la tristezza di chi ha tutto, ma non ha ciò che desidera di più.

    Un quarto d'ora dopo essere partito imboccò la strada che portava alla zona residenziale di Monte Bianchino. Lo accolse un insieme di strade strette e viottoli sterrati che circondavano tenute recintate da muretti in pietra perfetti, tutti sormontati da staccionate in ferro o da reti metalliche. Pensò ad un labirinto che seguiva una sua logica contorta e rischiò di perdersi un paio di volte. Dopo aver svoltato a destra quasi per scommessa la piccola spider giunse al n° 74 dove un grosso cancello nero con rosoni dorati dava il benvenuto. Parcheggiate fuori vide due volanti, una aveva ancora i lampeggianti accesi. La luce azzurra gli diede la sensazione di essere appena arrivato su un altro pianeta. Fermò la macchina nel viale di ingresso dietro il furgone della scientifica. Russo lo vide da lontano e subito gli andò incontro.

    «Buongiorno dotto'.»

    «See buonanotte Russo» rispose sarcastico Barca e poi aggiunse: «Fammi spegnere quelle luci da giostra immediatamente. Caz… il circo è arrivato.»

    «Chi c'è dentro» aggiunse poi.

    «Sì, commissa’, subito. Al piano superiore c'è il dottor Marchi e la squadra della scientifica.»

    Senza rispondere si guardò intorno e pensò che la villa era troppo grande. La pietra che rivestiva i muri risplendeva illuminata dai faretti sapientemente nascosti che indicavano la via da seguire. Barca si incamminò lungo il vialetto lastricato che partiva dal cancello fino a uno spiazzo rotondo davanti all'ingresso dove, tra l'erba rasata da poco, regnava indisturbato un olivo secolare. L'albero con i suoi rami nodosi e contorti era maestoso, grazie al gioco della luce delle lampade con l'umidità della notte sembrava fatto di pietra con le foglie che apparivano come cocci di vetro verde. Passandogli accanto il commissario ne ebbe quasi timore come se uno di quei rami potesse in qualche modo prendere vita. Lo guardò incuriosito notando accanto alle radici, che correvano in superficie, una grossa giara di terracotta appoggiata di lato che metteva in mostra la sua larga bocca. Arrivato agli scalini dell'ingresso percepì con la coda dell'occhio che la fastidiosa intermittenza blu era finita, il suo ordine era stato finalmente eseguito. Entrando ebbe una sensazione di angoscia, la percepiva impregnata nei muri della casa e nell'aria che respirava. Superato il breve corridoio di ingresso si ritrovò in un'ampia sala con grandi vetrate che assomigliava a un set di una soap opera americana. Molti quadri impreziosivano le pareti e si soffermò su uno in particolare che ritraeva la torre Aragonese e la spiaggia della Pelosa in un modo talmente reale che quasi riusciva a sentire il mare turchese in lontananza e il calore del sole estivo. Il quadro era appeso sopra un mobile basso che era farcito di numerose foto incorniciate che avevano come soggetto lo stesso bambino in età diverse. L'immensa scala di marmo sulla sinistra che portava al piano superiore rubava la scena ai divani in pelle e al camino di pietra la cui cappa sembrava un imbuto rovesciato. Cominciò a salire piano quasi timoroso e già sentiva gli scatti della macchina fotografica mentre il flash nella penombra creava una luce sinistra. In fondo a un corridoio largo come una strada si apriva la porta in noce della camera da letto. Era grande come il suo appartamento notò il commissario. Il grande letto matrimoniale dominava il centro della stanza. Sopra la testiera in pelle trapuntata color ghiaccio da una tela, che era tutt'uno con la parete, un viso di donna dai tratti leggeri sorrideva enigmatica con gli occhi socchiusi. Davanti al letto su un mobile basso faceva bella mostra un televisore dallo schermo curvo e talmente sottile che dava la sensazione che si sarebbe rotto solo guardandolo. Sulla destra dello schermo una porta scorrevole, vera chicca di architetto, dava accesso a una sala da bagno con una vasca idromassaggio le cui misure erano da guinness. Guardando il letto sul lato sinistro si apriva una grande finestra sul giardino ancora avvolto dalla notte. Lì si concentrava il lavoro degli uomini della scientifica con le loro tute bianche. Vicino riconobbe la figura esile del dottor Marchi che gli fece un cenno con la testa. Gli sembrò che sorridesse sotto la maschera di garza. Il dottore aveva una busta trasparente e con mano ferma vi infilava dentro una specie di taglierino o forse un taglia carte con il manico in legno probabile arma del delitto. Il letto era intatto notò subito e quando arrivò dalla parte della finestra vide il cadavere della dottoressa. Il corpo messo di fianco tra il letto e il tappeto bianco, il braccio sinistro lungo il corpo, quello destro appoggiato per terra e la testa inclinata, la vestaglia era slacciata, si intravedevano i suoi slip di seta blu. Sembrava una bambola rotta che aveva dimenticato di essere stata una donna bella e potente. Aveva tanto sangue addosso, anche sul viso e un rigagnolo fuoriusciva dall'angolo della bocca andando a formare una piccola pozza sul tappeto.

    «Barca anche lei è dei nostri» disse il medico legale con la voce filtrata dalla mascherina.

    «Quando ci sono casini di una certa dimensione chi vuole che chiamino dottor Marchi?» rispose sorridendo il commissario e poi aggiunse: «Che mi dice dottore?»

    «E che le dico commissario. La signora è stata uccisa tra la mezzanotte e le due con molta forza e tanta rabbia tra l'altro con un'arma secondo me ridicola. Una specie di coltellino tipo taglia carte che ha una lama molto corta, ma affilata e l'assassino ha colpito punti di importanza vitale. Un colpo ha quasi reciso la trachea, uno quasi sicuro ha perforato un polmone e quello definitivo è arrivato al cuore. Altri colpi sono quasi superficiali e dati a casaccio. Ne ho contati più di venti. Presenta ferite superficiali sulle mani e avambracci e un'unghia è spezzata segno che la poveretta ha cercato di difendersi. Certo le saprò dire con più certezza dopo l'autopsia.»

    «Visto l'abbigliamento deve aver avuto un incontro per così dire galante.»

    «Penso proprio di sì, il letto in questa stanza è intatto, ma la camera in fondo al corridoio sembra un campo di battaglia. Abbiamo trovato tracce di liquidi biologici un po' ovunque anche sul tappeto, va appurato comunque se la donna ha avuto o meno rapporti sessuali. Per concludere all'inizio delle scale, vicino alla porta della camera in fondo e anche dentro la stessa c'erano dei piccoli pezzi di gomma o di materiale similare di colore verde.»

    «Posso dare un'occhiata ai reperti?»

    «Tutti suoi commissario» rispose Marchi consegnandogli le buste trasparenti.

    Il commissario guardò con interesse gli oggetti chiusi nel cellophane.

    «L'arma che ha usato l'assassino sembra uno di quei coltellini che usano i farmacisti mentre questi sembrano trucioli di gomma e credo di sapere che cosa sono» aggiunse Barca.

    Per un attimo il passato riaffiorava dalle nebbie del tempo e al commissario venne in mente quante volte aveva sparso per casa quei pezzetti di gomma dopo l'abituale partitella di calcetto del sabato sera con i colleghi di facoltà.

    «Il figlio della vittima dov'è?» chiese subito dopo restituendo le bustine al medico legale.

    «È giù in cucina con un agente, è abbastanza scosso.»

    «Bene vado da lui. Vediamo un po' se ha voglia di parlare con me.»

    Il commissario prima di scendere in cucina si affacciò alla stanza degli ospiti. Notò il letto con le coperte e le lenzuola buttate di lato, i guanciali per terra e una poltroncina rovesciata. Pensò che sembrava più quella la scena di un crimine. Si girò e andò verso le scale e così poté di nuovo ammirare la grande sala con i divani in pelle e il caminetto di pietra. Per intuito superò una porta scorrevole e seguì la luce e il profumo del caffè appena fatto. Entrò nella cucina che sembrava più una sala di controllo di un'astronave pronta a partire. Tutto era pulito e le superfici lucide come se quella fosse solo una cucina da esposizione mai usata. Appoggiato al piano di lavoro in granito che dominava il centro della stanza vi era un ragazzo con i capelli lunghi e ricci. Un corpo scolpito da ore e ore di palestra e dalla fortuna di poterselo permettere. A prima vista sembrava più grande della sua età. L'agente era in fondo con le braccia conserte e quando Barca entrò lo salutò mettendosi sull'attenti. Il ragazzo si girò, aveva gli occhi scuri come la madre e anche la stessa luce triste.

    «Agente ci può lasciare da soli grazie» esordì il commissario guardando l'agente che sottomesso fece un cenno con il capo e uscì. Poi si girò verso il ragazzo e si presentò: «Sono il commissario Enrico Barca. Mi dispiace tanto per quello che è successo. Se la sente di parlare un po' con me?»

    Il ragazzo si riprese da quella specie di trance tipica di chi ha subito un duro colpo. Guardò la mano tesa del commissario come se fosse un'arma puntata, la strinse senza forza e poi rispose quasi convinto che non sarebbe riuscito a dar voce ai suoi pensieri.

    «Sì, mi scusi. Mi chiamo Fabiano... Sansani. Non ci riesco... non riesco proprio a credere che tutto ciò sia reale» le sue pause erano scandite da profondi respiri.

    «Se vuole torno più tardi signor Sansani se non se la sente di parlare ora» ripeté Barca cosciente di quello che il ragazzo stava vivendo.

    «No commissario posso farcela... credo…»

    «Va bene. Ci fermiamo quando vuoi. Posso darti del tu, Fabiano?» chiese il commissario cercando di entrare in confidenza con il ragazzo.

    «Sì, commissario. Nessun problema.»

    «Raccontami tutto quello che ricordi anche le cose più banali. Parti da dove vuoi tu.»

    «Ok — rispose prendendo fiato e con voce bassa iniziò il suo racconto — sono rientrato a casa verso le tre. Ero andato ad una festa di laurea di un mio amico con la mia fidanzata Stefania. In realtà stanotte non dovevo neanche rientrare qui a Sassari perché dovevo stare con lei ad Alghero, ma... abbiamo litigato.»

    «Cose che capitano» cercò di sminuire Barca ripensando alla donna che andava via da casa sua con gli occhi pieni di lacrime.

    «Sì, commissario, ha ragione... Stefania è molto gelosa… alla festa c'era una tipa molto carina, ho scambiato due parole con lei e Stefania ha fatto la solita scenata. L'ho seguita fuori e ho visto che stava salendo sulla macchina di una sua amica. Erano circa le due, allora ho preso la macchina e sono tornato a casa.»

    «Sei tornato subito a Sassari?» chiese Barca.

    «Non direttamente. La festa era nella discoteca Black cat fuori Alghero. Invece di fare la strada diretta verso Sassari

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