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Le Torri Nere - Il Re Conquistatore
Le Torri Nere - Il Re Conquistatore
Le Torri Nere - Il Re Conquistatore
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Le Torri Nere - Il Re Conquistatore

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About this ebook

Primo volume.
Ethan è un ragazzo che abita nel piccolo villaggio di Rona, situato a sud nel regno di Samor. É orfano e vive una vita tranquilla, aiutando i suoi compaesani e ricevendo in cambio tutto ciò di cui ha bisogno.
Vicino al villaggio sorge una struttura nera come la notte, ricoperta di rostri acuminati: una delle tante Torri Nere che punteggiano i tre regni di Samor, Eana e Arkad, e di cui si sa ben poco. Si dice che all'interno di ognuna di esse abiti un demone terribile che, se sconfitto, doni dei grandi poteri. I Conquistatori sono proprio questo: persone che hanno ucciso il demone di una Torre Nera.
Ethan non ambisce affatto a divenire un Conquistatore, ma la sua sorte, e quella degli abitanti di Rona, sono destinate a cambiare per sempre. La notte in cui il suo villaggio natale viene devastato da uno sconosciuto è la stessa in cui decide di affrontare il tanto temuto demone della Torre Nera che sorge vicino Rona.
La realtà non è affatto come se l'è sempre immaginata. Il mondo è un posto duro in cui dilaga la violenza e il male. Lui dovrà trovare la sua via, scegliere cosa fare della propria vita. Si dovrà confrontare con molti Conquistatori e un gruppo organizzato pronto a stravolgere i tre regni e la pace che regna tra essi.
LanguageItaliano
Release dateJan 17, 2020
ISBN9788835358312
Le Torri Nere - Il Re Conquistatore

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    Le Torri Nere - Il Re Conquistatore - Cristiano Cantelli

    Cristiano Cantelli

    Le Torri Nere - Il Re Conquistatore

    UUID: 4928a485-c6bd-46ff-acd4-c8acbf4cad57

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Diritti

    Mappa

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    Epilogo

    Diritti

    ISB 9788835358312

    Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/.

    Mappa

    immagine 1

    1

    Aprì gli occhi a fatica. Si mise seduto e guardò fuori dalla finestra con fare assonnato. Il sole era sorto da poche ore e lo spiraglio di cielo che riusciva a scorgere era sgombro di nubi. Sarebbe stata una bella giornata. Si alzò, si vestì e andò in cucina. Mangiò qualcosa alla svelta e uscì all’aperto, respirando a pieni polmoni l’aria fresca del mattino. Tra poco sarebbe giunta l’estate e quella temperatura così mite e piacevole avrebbe presto lasciato il posto a un caldo afoso e straziante. Amava la primavera, quel periodo in cui non fa né caldo né freddo; in cui puoi dormire con le coperte alte fino al mento e non sudare durante le ore diurne. Ma ben presto l’afa sarebbe sopraggiunta e con lei le notti insonne.

    Ethan Howke s’incamminò verso il centro del villaggio, lasciandosi alle spalle la sua piccola casa circondata da alberi e arbusti. Viveva infatti ai margini di un villaggio di nome Rona, situato nell’estremo sud del regno di Samor. L’abitato non era molto grande e i suoi abitanti erano persone semplici e gentili. Non erano molti gli stranieri che passavano da quelle parti e forse era meglio così. Questo significava meno contatti con il mondo esterno e quindi meno informazioni e merci, ma anche meno guai.

    Arrivò in fondo alla via e finalmente iniziò a scorgere i primi suoi concittadini. Lo salutarono con calore e con ampi gesti delle braccia. Tutti lo conoscevano, non perché fosse una persona importante o avesse compiuto chissà che cosa, ma perché era stato l’intero villaggio a crescerlo come un figlio. I suoi genitori erano morti quando ancora era un bambino, a causa di una grave malattia, e lui era rimasto da solo. Così erano stati gli abitanti di Rona a crescerlo; gli avevano costruito una casa e lo aiutavano tutt’ora con qualsiasi cosa di cui avesse bisogno. In cambio, lui faceva lavoretti per chiunque ed era sempre disponibile a dare una mano.

    A volte si chiedeva come sarebbe stato vivere in una famiglia normale e felice, ma questi pensieri abbattevano il suo spirito e quindi cercava di non rimuginarci troppo. In particolare, sentiva la mancanza di qualcuno che lo accogliesse a casa dopo una giornata di duro lavoro, magari con una cena già pronta. A volte amava la solitudine, ma spesso si sentiva come chiuso in una stanza senza finestre, né porte.

    Lasciò che quei pensieri scorressero via come foglie trasportate dal vento. Quella mattina avrebbe aiutato Mario, il padrone dell’unica locanda del villaggio. La sera prima gli aveva detto di possedere alcuni barili di birra che ancora non aveva trasportato all’interno del locale. Erano pesanti e avrebbe avuto bisogno di una mano da parte sua. Lui non si era di certo rifiutato e adesso si stava dirigendo proprio lì.

    Mario lo accolse con un caldo sorriso. Era alto, calvo, portava un grosso paio di baffi scuri che nascondevano una bocca ampia e spesso sorridente. L’uomo gli dette una pacca poderosa sulla spalla e gli augurò il buongiorno. Indossava degli abiti puliti e un grembiule nuovo che compieva un’ampia curva in prossimità del suo ventre prominente.

    <> ricambiò lui.

    L’uomo gli scompigliò la sua folta chioma castana. <>

    Ethan annuì. Così si avviarono dietro il locale, dove l’uomo teneva una scorta di tutte le sue birre e liquori più preziosi. Aprì la botola che conduceva a una cantina situata esattamente sotto la taverna e scese con il suo fidato ragazzo lungo una stretta scala di legno che cigolava a ogni loro passo. L’odore di muffa era ovunque, impegnava l’aria come un’infezione, come l’umidità che era arrivata a bagnare le pareti e le botti. L’unica fonte di luce era il sole, che a malapena riusciva ad arrivare fin laggiù attraverso la botola sopra le loro teste.

    <> annunciò Mario, battendo le mani. L’uomo indicò un grosso barile e gli disse: <>

    Ethan si mise da un lato, l’uomo dall’altro, e insieme lo sollevarono e si avviarono verso le scale. Quel barile pesava tantissimo ed Ethan si chiese come avrebbero fatto a portarne su altri due per quelle scale così ripide. Mario gli ordinò di voltarsi e di dare le spalle alla botola, così, durante la risalita, la maggior parte del peso sarebbe gravata sull’uomo. Ethan annuì e fece come richiesto. Era sicuro che l’oste avrebbe resistito senza problemi al trasporto di tre di quegli oggetti così pesanti. Mario aveva infatti delle braccia grandi come tronchi d’albero che avrebbero fatto invidia anche al più possente dei fabbri. Non a caso era stato un soldato per molto tempo, e alcuni dicevano che all’epoca aveva instillato timore nel cuore di tutti i suoi avversari sul campo di battaglia. Eppure sembrava quasi impossibile credere che un uomo così gentile potesse essere stato un temibile e sanguinario guerriero. Le storie su di lui però sembravano avere delle solide fondamenta, visto che più di una volta gli aveva insegnato le basi del combattimento con un’arma e in varie occasioni aveva protetto il villaggio da qualche bandito capitato da quelle parti con l’intento di saccheggiare e forse addirittura uccidere. L’oste li aveva sempre messi in fuga e per questo Ethan lo ammirava e lo considerava quasi come un padre. Aveva deciso che sarebbe voluto diventare come lui: rispettato dagli amici, temuto dai nemici. Voleva inoltre raccogliere l’eredità dell’uomo e proteggere Rona da tutti i criminali che avrebbero avuto la faccia tosta di avvicinarsi abbastanza da mettere in pericolo i suoi abitanti. Mario aveva acconsentito ad allenarlo, riconoscendo la dura verità che un giorno anche lui sarebbe stato troppo vecchio per proteggere il villaggio dai malviventi. Da allora allenava Ethan a ogni buona occasione e lui ne era felice. Gli allenamenti erano duri e spietati, ma almeno aveva imparato a impugnare un’arma e iniziato a temprare il suo fisico gracilino.

    Arrivarono in cima alle scale, non senza fatica, e iniziarono ad aggirare l’edificio, fino a giungere di fronte all’ingresso principale. Entrarono dentro e posarono la botte dietro il bancone.

    <> disse Mario con soddisfazione.

    <>

    <>

    <> scherzò lui, uscendo fuori dal locale e dirigendosi nuovamente verso la cantina.

    L’uomo rise sonoramente e si batté le grandi mani sul ventre. <>

    <>

    <Ci sono due cose che rendono felice un uomo, mangiare e…>> non concluse la frase e si mise a ridere.

    <> domandò Ethan con curiosità.

    <>

    <> lo contraddisse lui, iniziando a discendere i gradini che portavano nello scantinato.

    Mario rise di nuovo. <> Si posizionò dietro una botte e attese il ragazzo per sollevarla da terra. Quindi iniziarono a salire le scale e nessuno dei due disse più nulla finché non giunsero dentro il locale. Scaricarono la botte e tornarono fuori.

    <> domandò al proprietario della taverna un uomo che passava di lì.

    <>

    <> si raccomandò la moglie del passante, salutando poi Ethan con un rapido gesto della mano.

    <> Mario rise e gli dette un’altra pacca sulla spalla, spingendolo verso lo scantinato e l’ultima botte da riportare in superficie.

    Ethan salutò i passanti e si diresse di sotto, pensando nuovamente al fatto che conosceva tutti a Rona e che il lavoro di quella mattina si poteva considerare un allenamento per rafforzare il suo corpo. Ogni giorno devo impegnarmi per essere migliore di quello precedente si disse con improvvisa determinazione.

    <> gli domandò l’uomo come se avesse letto i suoi pensieri.

    <> rispose lui. <>

    <>

    Scesero di sotto e portarono alla luce del sole l’ultima botte. Sembrava essere più pesante delle altre, o forse era soltanto la stanchezza a farglielo credere. Una volta posata all’interno della taverna, si ritrovò completamente sudato e con il fiatone. Aveva le mani rosse e gli bruciavano da morire. Si sedette su una sedia per risposarsi un attimo. Mario invece andò dietro il suo bancone e tornò da lui con un boccale di birra.

    <>

    <>

    L’uomo si sedette accanto a lui e sospirò, abbandonando per un attimo la sua solita espressione cordiale. <>

    <>

    <> Gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi. <>

    <>

    <> L’uomo sorrise caldamente e si alzò. Andò nuovamente dietro al bancone a preparare chissà cosa.

    Ethan finì di bere la sua birra e si avviò verso l’uscita, deciso a tornare a casa prima di dover andare a lavorare nell’orto del vecchio Kato. Mario lo fermò e tornò da lui con qualcosa avvolto in uno straccio. Glielo porse.

    <>

    <>

    <> Si avviò verso l’uscita. <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <> Mario rise di gusto e strappò un sorriso a Ethan, che lo salutò con un gesto della mano e uscì dalla taverna.

    Si diresse lontano dall’edificio, il quale era situato proprio di fronte all’unica piazza del villaggio. Quella sera si sarebbero radunati lì tutti i suoi compaesani e avrebbero ascoltato Maros, il più anziano abitante di Rona, raccontare una delle sue solite storie. Durante l’anno, l’intero villaggio si radunava spesso in quella piazza per ascoltare il vecchio sapiente. L’uomo era rispettato da tutti ed elargiva consigli a chiunque glieli chiedesse. Di tanto in tanto gli piaceva anche dispensare qualche storia del passato. Ethan adorava starlo a sentire, non solo perché era un ottimo oratore, ma anche perché le storie che raccontava erano sempre ricche di azione e misteri. E poi gli piaceva ritrovarsi insieme a tutti i suoi compaesani. In quei momenti, la stanza della sua solitudine sembrava crollare, pronta però ad ergersi nuovamente una volta tornato a casa.

    Abbandonò il centro di Rona e si fermò poco dopo l’ultima casa. Si sedette su un tronco d’albero abbattuto e mangiò il pranzo che Mario gli aveva gentilmente concesso. Osservò l’orizzonte di fronte a lui e l’ampia distesa verde che si apriva davanti ai suoi occhi azzurri. Si chiese come fosse il mondo oltre i confini di Rona, come vivesse la gente e quali meraviglie potessero esserci. Forse non lo avrebbe mai saputo, ma non gli importava molto. Amava il suo villaggio e adorava i suoi compaesani, perché avrebbe dovuto lasciarsi tutto questo alle spalle?

    I suoi occhi si posarono poi sull’esile sagoma della Torre Nera che distava neanche due chilometri dal villaggio. La osservò in silenzio, ammaliato dalla sua linea affusolata e al tempo stesso minacciosa a causa dei tanti rostri presenti lungo i fianchi e in cima. Non l’aveva mai vista da vicino e decise che presto l’avrebbe fatto. Era infatti troppo curioso, nonostante tutti gli dicessero di non farlo. Quella era una struttura maledetta, e non era l’unica.

    Dopo aver consumato il pranzo, si sdraiò, con le mani raccolte dietro la testa, e chiuse gli occhi. Udiva soltanto il rumore della natura: la brezza leggera che gli soffiava sulla pelle, il cinguettare degli uccelli e i vari insetti che conversavano tra loro. Si addormentò dopo pochi minuti.

    Si svegliò con calma e si mise seduto. Il sole aveva iniziato la sua lunga discesa verso l’orizzonte. Si stirò e si alzò in piedi. Era l’ora di andare dal vecchio Kato. S’incamminò così in direzione della dimora dell’uomo. L’anziano lavoratore lo attendeva sotto casa con una vanga in mano e lo salutò caldamente quando lo vide arrivare. Lui ricambiò con un ampio gesto della mano e afferrò l’attrezzo da lavoro.

    <> gli disse Kato, facendogli strada con il suo passo incerto.

    L’uomo era, insieme a Maros, una delle persone più anziane del villaggio. Ethan non sapeva quanti anni avesse, ma li dimostrava almeno un’ottantina. Aveva dei radi capelli bianchi, occhi azzurri e il suo sorriso cordiale era avvolto in una ragnatela di rughe.

    <> affermò Kato, fermandosi da una parte così da non intralciare il lavoro del ragazzo.

    Si trovavano poco lontano dalla casa dell’uomo, in un piccolo orto in cui cresceva un po’ di tutto. Kato amava quel suo piccolo angolo di paradiso e lasciava solamente ad Ethan il piacere di metterci le mani. Infatti si fidava soltanto di lui per quel genere di lavori.

    Ethan infilzò la terra con il badile e iniziò quel faticoso compito. L’uomo lo osservò come un maestro guarderebbe il proprio allievo prediletto.

    <>

    <>

    <> L’uomo volse lo sguardo al cielo. <>

    <> rispose Ethan, fermandosi un attimo per asciugarsi il sudore dalla fronte.

    <>

    Ethan non rispose all’uomo e riprese a lavorare. Era infatti ben consapevole che la fede di Kato fosse troppo forte per vacillare a causa delle affermazioni di un ragazzo come lui.

    Finì di lavorare la terra dopo circa due ore. Alla fine, si ritrovò completamente sudato e con le braccia a pezzi. Kato gli diede alcune verdure del suo orto e lo salutò, dicendogli che si sarebbero visti quella sera stessa nella piazza.

    Si diresse verso casa. Osservò il cielo lungo il tragitto. Il sole era basso sull’orizzonte ma sarebbe passata almeno un’ora prima del tramonto. Sopra la sua testa si stavano ammassando chissà quante nuvole grigie e cariche di pioggia. Maros avrebbe dovuto raccontare la sua storia piuttosto alla svelta quella sera, altrimenti sarebbero andati a letto bagnati dalla testa ai piedi.

    Arrivò a casa ed entrò. Si spogliò e si lavò di dosso il sudore e la sporcizia. Dopodiché si preparò la cena, utilizzando, tra le altre cose, anche le verdure che Kato gli aveva dato in cambio del lavoro svolto. Mangiò con calma e osservò il cielo con apprensione. Ormai la luce del sole era scomparsa, nascosta da una spessa coltre scura. La notte era sopraggiunta con molto anticipo quella sera.

    Dopo cena si diresse nuovamente al villaggio. Erano molte le persone che stavano facendo lo stesso, accompagnandolo così verso la piazza di Rona. Salutò molti suoi compaesani e parlò con alcuni di essi durante il tragitto. Tutti erano felici di ritrovarsi per ascoltare Maros ed erano molti coloro che sarebbero rimasti fino a tardi per festeggiare, come aveva detto Mario quella stessa mattina.

    Giunse a destinazione. La piazza era già gremita di persone e lui si fece largo fino ad arrivare in prima fila, così da sentire meglio cosa avrebbe detto l’anziano sapiente. Maros era già lì, di fronte a lui, seduto su una sedia di legno, e osservava i presenti con sguardo sereno e compiaciuto. Aveva il bastone appoggiato di traverso sulle gambe. Non era molto alto e l’età aveva piegato la sua postura una volta perfetta. Aveva dei lunghi e radi capelli bianchi che gli arrivavano fino alle spalle, una leggera peluria dello stesso colore gli ricopriva il mento e le guance. I suoi occhi scuri erano messi in ombra da un paio di sopracciglia cespugliose. L’uomo se ne stava in silenzio, con Mario appena dietro di lui, proprio davanti l’ingresso della sua taverna. L’oste osservava la folla che si stava preparando e ogni tanto tirava un’occhiataccia al cielo nuvoloso. Poi vide Ethan e gli sorrise. Entrò dentro l’edificio alle sue spalle dopo avergli fatto cenno di avvicinarsi. Ethan si alzò e andò verso la taverna. Mario tornò fuori con due boccali di birra e gliene consegnò uno.

    <>

    <> rispose Ethan, bevendo poi un sorso di birra. Era ottima, come sempre.

    Mario rise. <>

    <>

    <> Mario guardò la folla e si batté una mano sul ventre sporgente. Si allontanò da Ethan di qualche passo e si rivolse direttamente alla piazza con fare autoritario. <> Detto ciò, si allontanò dall’anziano e si mise in disparte a sorseggiare la propria birra, pronto anche lui a udire il vecchio narrare le sue storie. Rona non aveva un capo villaggio vero e proprio, ma tutti consideravano Mario colui che dettava la legge.

    <>

    Ethan si avvicinò di qualche passo per ascoltare meglio.

    <

    <

    <

    <>

    Tutti pendevano dalle labbra dell’anziano sapiente e nessuno osava interromperlo. Una tranquillità surreale era calata nella piazza e le frasi di Maros si ritrovarono ad essere accompagnate solamente dal cinguettare degli uccelli e dai rumori prodotti dai vari insetti presenti nei paraggi. Ethan lo ascoltava estasiato e assaporava ogni singola parola che pronunciava. Non conosceva infatti quella leggenda, anche se ne aveva udite altre. Non le considerava vere, affatto, ma era pur sempre bello immaginare quelle terre abitate da razze fantastiche ed eroi invincibili. Una parte di lui sarebbe voluta diventare un valoroso guerriero, così che in futuro qualcuno lo ricordasse per le sue gesta importanti. Forse era anche per questo che si stava allenando con Mario: non solo per difendere Rona, ma anche per lasciare una traccia in quel mondo ricco di storia. Accettarlo avrebbe forse significato ammettere di essere un po’ egoista ma, in fondo, chi non lo era almeno in parte?

    <

    <

    <> Osservò la folla e i loro sguardi stupiti. <>

    <> ammise Ethan con un filo di voce.

    <> gli disse Mario con tono polemico, come farebbe un padre con il proprio figlio.

    <>

    <>

    <>

    <>

    <> Dette una pacca sul braccio dell’oste e gli sorrise.

    <> Rise sonoramente, attirando l’attenzione di qualche compaesano, e poi lo colpì con una forte manata sulla schiena, rischiando di fargli andare di traverso la birra che stava bevendo.

    <>

    <> L’uomo sospirò e poi regalò ai presenti un caldo sorriso. <> Maros alzò la testa e ascoltò il cielo lanciare i suoi boati di disappunto. Il temporale era appena iniziato e aveva tutta l’intenzione di farsi sentire. <> L’uomo sorrise e si alzò.

    Un mare di sussurri invase la piazza e alcune persone si alzarono a loro volta.

    <> disse Maros, rivolgendosi al proprietario della taverna.

    <> Mario rise forte, strappando un sorriso sia all’anziano sapiente che a Ethan.

    <> domandò Maros, dopo avergli chiesto di avvicinarsi per parlare un po’ in privato.

    <>

    Maros sorrise. <>

    <> ammise Mario.

    <> ricordò Maros all’amico.

    <> domandò Ethan con curiosità.

    <> gli rispose Maros.

    <> lo rimproverò nuovamente Mario, indicandolo con l’indice in modo minaccioso.

    Il brusio si calmò di colpo e fu strano non udirlo accompagnare le loro parole. Calzò un silenzio assordante su tutta la piazza. Si voltarono per vedere cosa stesse accadendo e fu allora che udirono il suono di un applauso squarciare la notte, lento e sarcastico. Tutti si voltarono in direzione della fonte. Un uomo che Ethan non aveva mai visto prima di allora era in piedi davanti a tutti.

    Uno straniero pensò con un po’ di preoccupazione. Era raro vedere degli sconosciuti a Rona. Giusto i mercanti e raramente i banditi si avventuravano da quelle parti. Quest’ultimi, però, era da molto tempo che non si facevano vedere.

    L’uomo che stava applaudendo sfoggiava un sorriso mellifluo e macabro. Possedeva degli occhi piccolissimi e molto distanziati dal naso sottile che li divideva. Aveva la fronte spaziosa e i capelli neri tagliati corti. Era alto e magro, indossava degli abiti scuri e un mantello nero. Ethan aveva un brutto presentimento, e non era il solo. Mario fece un passo pesante in avanti, l’espressione non era più quella serena e cordiale che normalmente mascherava il suo volto. I suoi occhi scrutavano quello straniero e sembravano guardargli sotto la pelle e la carne, fino ad esaminare ogni suo organo interno. Ethan provò timore di fronte a quello sguardo.

    <> affermò quello sconosciuto, smettendo di applaudire.

    <> domandò Maros facendo buon viso a cattivo gioco.

    L’uomo sorrise beffardamente e fece un mezzo inchino. <>

    <>

    <> disse Mario con un filo di voce. <>

    <> Lo straniero fece un passo in avanti. <>

    Maros allungò una mano verso il proprietario della taverna, chiedendogli di non muoversi. <>

    Laro rise di gusto. Sembrava un pazzo e la sua risata acuta riecheggiò nella piazza, riuscendo quasi a sovrastare i boati che arrivavano dall’alto. <> Guardò Maros con sguardo omicida. <>

    <> lo minacciò Mario, facendo un passo in avanti. Ethan scorse sul suo collo una vena pulsare. Lo sguardo dell’uomo era furibondo. Stringeva i pugni e aveva ogni muscolo in tensione. Mario si era trasformato in una macchina da guerra.

    <> urlò qualcuno.

    <> aggiunse un altro.

    Laro rise nuovamente e indicò Maros con l’indice della mano destra. <>

    Qualcosa si allungò dal dito proteso in direzione dell’anziano sapiente. Accadde tutto in un istante. Una specie di lama, esile e scura, schizzò verso Maros e lo trafisse al petto con un rumore sordo. L’uomo strabuzzò gli occhi e gemette di dolore. Quella piccola lama tornò poi indietro, con la stessa velocità con cui aveva appena ferito il vecchio, lanciando schizzi di sangue a terra.

    Maros stramazzò al suolo. Ethan si precipitò da lui e gli sorresse la testa. L’uomo tossiva come se fosse stato malato da tempo.

    <> gli disse il ragazzo, cercando di rassicurare più se stesso che l’anziano ferito.

    <> affermò l’uomo con un filo di voce.

    <>

    <>

    2

    Un conquistatore? Gli sembrava impossibile averne uno di fronte agli occhi. Ecco quali poteri si potevano acquisire dalla conquista di una Torre Nera. Era spaventoso.

    Maros tossì violentemente. <> disse con le sue ultime energie, un sussurro portato dal vento. L’anziano chiuse gli occhi per sempre.

    <> urlò Ethan, incredulo, scuotendolo con forza. Quello era un incubo, non poteva essere vero. Perché un pazzo del genere sarebbe dovuto venire fino a Rona per rilasciare la sua furia omicida?

    Udì le risate dello sconosciuto e il caos prodotto dagli abitanti del villaggio. Ethan si voltò e vide alcuni suoi compaesani abbandonare la piazza. Attorno a Laro si era formato un cerchio: nessuno osava avvicinarsi al conquistatore.

    <> Laro sollevò le mani al cielo. Le sue dita si allungarono a dismisura, fino a scomparire nell’oscurità della notte. Poi scesero in picchiata come delle frecce scoccate dal Maestro in persona. Colpirono tutti coloro che stavano fuggendo dalla piazza. Quelle cose nere e affilate, che una volta erano state le dita di un pazzo omicida, piovevano dal cielo assetate di sangue. Sembravano avere vita propria. Colpivano il bersaglio, si ritraevano nell’oscurità della notte, solo per un istante, poi cambiavano obiettivo e tornavano a uccidere. Decine di persone furono trafitte ai margini della piazza del villaggio. Nessuno osò più fuggire, né avvicinarsi a quell’assassino. Il terrore si era impadronito di tutti i presenti, i quali si trovavano ora confinati all’interno della piazza.

    Ethan si voltò e vide Mario allontanarsi dalla taverna con in mano un martello da fabbro. Digrignò i denti, la sua espressione era furiosa. <> I suoi passi erano accompagnati dal rumore dei tuoni, sembrava che a camminare fosse un dio furibondo e non il proprietario di una taverna situata in un piccolo villaggio sperduto.

    <> affermò Laro, rivolgendosi all’uomo che si stava avvicinando con passo pesante.

    Alcune incitazioni si sollevarono dalla folla.

    <>

    <>

    Ethan si alzò in piedi e osservò il colossale oste avanzare imperterrito e senza dire una parola. Sentiva il cuore battere forte, le parole che Maros aveva pronunciato poco prima di morire rimbombavano ancora nella sua testa: Mario... è in pericolo... non riuscirà a sconfiggerlo. E se avesse avuto ragione?

    Mario sollevò il martello verso il cielo in tumulto e lo fece calare con decisione. Laro saltò all’indietro, lasciando l’arma a

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