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Andrà tutto bene
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Andrà tutto bene

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About this ebook

"Andrà tutto bene" è una storia che ruota intorno al fortissimo legame tra una nonna e sua nipote. Le protagoniste sono nonna Lucia e la nipote Giulia, che riscoprono il meraviglioso rapporto di stima e affetto che le lega indissolubilmente. Giulia è una donna che vorrebbe scappare dalla routine di tutti i giorni fatta di lavoro in ufficio, orari e scadenze da rispettare; fino a che un giorno, scopre di essere incinta e questa vita che tanto le stava stretta subisce una svolta. Il tempo libero a disposizione aumenta improvvisamente e inizia a trascorrerlo chiacchierando con l'amata Lucia, ascoltandola affascinata. Nei suoi racconti, la nonna ripercorre la vita passata, una vita dura, con tante difficoltà ma altrettante emozioni: la guerra, la povertà, il primo amore e il sogno di una vita diversa. Dopo tanti anni e grazie a questi racconti, Giulia fa ripercorrere alla nonna le emozioni del suo passato; ma è un ricordo in particolare che Giulia deciderà di farle rivivere in una maniera intensa e originale.
LanguageItaliano
Release dateJan 12, 2020
ISBN9788835357537
Andrà tutto bene

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    Andrà tutto bene - Michael Floris

    dopo...

    1

    Durante il percorso per andare al lavoro c’era sempre qual­che incidente che bloccava il traffico. Giulia sapeva che ogni giorno si presentava un intoppo, così prese l’abitudine di sve­gliarsi dieci minuti prima rispetto alla sveglia delle sei. Era tal­mente abituata ad alzarsi a quell’ora che ormai apriva gli occhi senza quel maledetto suono che le interrompeva il sonno.

    All’inizio, quando aveva cominciato a lavorare, fu dura. Giulia amava stare sveglia fino a tardi a guardare le serie tv, e poi alzarsi con calma al mattino. Il suo ritmo di vita cambiò radicalmente quando fu assunta. Accelerò di colpo.

    Con il passare del tempo, la sveglia non fu più un proble­ma. Cercava sempre di fare piano per non svegliare Alfredo, ma poi si trovava a calpestare qualsiasi cosa dimenticata sul pavimento. Di rado faceva colazione, perché non poteva per­mettersi di perdere troppo tempo, si truccava per bene e si tuffava nel mare di traffico della città. Impiegava circa un’ora per arrivare in ufficio e durante il viaggio teneva la radio sulla sua stazione preferita.

    Inspiegabilmente, nonostante tutti gli accorgimenti che prendeva, arrivava sempre un po’ tardi, così era costretta a recuperare il ritardo alla fine della giornata. Inspirava pro­fondamente prima di varcare la soglia dell’ufficio, chiudeva gli occhi come in una sorta di meditazione veloce ed entrava sapendo che sarebbe stata una giornata di fuoco come tutte le altre.

    Il capoufficio la rimproverava sovente di essere in ritardo e come lei rimproverava tutti. Per lui non era ammesso il ritardo neanche di un minuto. Ma era solo un cane che abbaiava senza mordere. Giulia si scusava sempre e dava la colpa al traffico. Ma quel tizio così maledettamente bisbetico di natura le diceva di alzarsi prima.

    «È semplice» diceva.

    Giulia non rispondeva. Non aveva mai provato a dirgli che aveva cominciato ad alzarsi prima, ma ogni giorno ne capitava una diversa che la portava a fare tardi.

    «Non ne posso più» disse Giulia rivolgendosi alla collega di fianco. «Sono già stanca ed è solo lunedì.»

    «A chi lo dici...» rispose Carla. «Il bambino ha pianto tutta la notte e Roberto non si è alzato manco una volta.»

    «Non ti invidio.»

    Giulia osservò il viso di Carla. Aveva provato a nascondere le occhiaie senza successo. Si ricordò di quando la conobbe per la prima volta e pensò a come era cambiata. I suoi capelli scuri e lisci li teneva sempre in ordine e con un taglio impec­cabile, seguiva sempre la moda. Portava un trucco altrettanto impeccabile che metteva in risalto i suoi occhi scurissimi e non la smetteva mai di raccontare i week end passati con il suo fidanzato.

    Un giorno arrivò il fioraio a consegnarle un mazzo di cin­quantun rose rosse. Il capoufficio si adirò talmente tanto che vietò al portiere di ritirare qualsiasi pacco destinato ai dipendenti.

    Ora Carla portava sempre i capelli legati e usava poco truc­co. Il minimo necessario per dare risalto al suo pezzo forte, gli occhi.

    «Tieni le pratiche, il capo le vuole per l’una» disse Antonio posando i fascicoli.

    Antonio arrivava puntualmente alla scrivania di Giulia tra le otto e trenta e le nove. Era diventato col tempo il tirapiedi del capoufficio, solo perché per un periodo arrivava al lavoro mezz’ora prima di tutti e mandava le e-mail a notte fonda per far vedere che lui ci teneva per davvero all’azienda. La mattina distribuiva le pratiche da sbrigare su ogni scrivania, e Giulia lo vedeva arrivare con quella puzza sotto al naso. Era deci­samente irritante. Giulia sbuffava e lo guardava scomparire dentro l’ufficio del leader, così recitava la targhetta appesa fuori.

    A metà mattina Giulia sentiva sempre fame e si portava con sé qualche snack. Carla mangiava le mele secche e Giulia non capiva come potessero saziarla.

    «Caffè?»

    Era la parola magica che Giusy pronunciava sempre alle undici. Giulia e Carla sorridevano e facevano sempre a gara per ofrire, per poi scoprire che la penna porta soldi era sempre scarica.

    Il momento del caffè era sacro. La regola imponeva di non parlare di lavoro nei pressi della macchinetta, un metro quadrato in cui si sentivano fuori da quelle mura, un’aura magica che le inglobava in un mondo parallelo dove il tempo si dilatava e non c’era spazio né per il capoufficio né per Antonio.

    «Come è andata la serata con Luca?» chiese Giulia.

    «Bocciato» rispose Giusy con il pollice all’ingiù.

    «Come bocciato?» chiese Carla incuriosita.

    «Ha l’alito che puzza.»

    Risero tutte e tre.

    «Mi devo rassegnare» disse Giusy rassegnata sorreggen­dosi contro il muro.

    «Io credo di puzzare di latte. E tu Giulia, come va con la casa nuova?»

    «Bene... domani arriva l’elettricista per sistemare alcune cose, ma è Alfredo che si occupa di tutto.»

    «Sei fortunata.»

    «Cos’è questo baccano?»

    La voce del capoufficio arrivò a decretare la fine della pausa. Carla guardò all’insù con esasperazione e lasciarono Giusy chiedendole di raccontare il resto della serata alla pausa pranzo.

    Lo smartphone di Giulia vibrò.

    Grazie per la colazione. Buona giornata, amore.

    Giulia sorrise e pensò che fosse veramente fortunata, prima di ritufarsi nei fogli di calcolo ed espletare tutte le pratiche in tempo.

    Si trovava sulla strada di ritorno per casa, e puntualmente, come ogni giorno usciva un po’ tardi. La stessa stazione radio la accompagnava in quel tragitto, che al ritorno, percorreva in un’ora e mezza. Odiava i semafori, i bus, le auto che si infilava­no prepotentemente fra la sua macchina e quella antecedente solo per guadagnare un posto, un millisecondo, e arrivava nella strada di casa dove c’era sempre qualche macchina in doppia fila. Sbuffava ogni secondo, Giulia. Era esasperata da quella situazione che si ripeteva tutti i giorni.

    Ogni sera rimaneva a girare per le strade del quartiere per mezz’ora in cerca di un parcheggio. Arrivava a casa stanca e stressata, poggiava la borsa, preparava il borsone e si rifugiava in palestra. Quell’ora era il suo momento di chiudersi fuori da quel mondo così rumoroso e monotono, dalla vita che ormai si era ridotta a una serie di fasi che si susseguivano con la stessa ciclicità e con la stessa cadenza.

    Giulia si dirigeva verso il tapis roulant, cercava la sua play-list preferita e correva. Correva per sfogarsi. Avrebbe voluto prendere a botte il capufficio e il suo tirapiedi. Avrebbe voluto più tempo, oltre ai soliti week end fugaci, da passare con Al­fredo. Le sembrava che la vita le stesse passando davanti e si spaventò a pensare che ogni anno sarebbe stato uguale da lì alla pensione.

    Il sudore le scendeva grondante, ma Giulia non si fermava. Era determinata ad aggiungere un minuto in più ogni volta al tapis roulant. Tutto ciò che chiedeva poi era una bella doccia scaccia pensieri, come se l’acqua oltre a pulirla le rigenerasse la mente. Ritornava a casa in pace con sé stessa, e trovava Alfredo a cucinare.

    «Che profumino!»

    Giulia lasciava il borsone e correva ad abbracciarlo.

    «È quasi pronto. Ti va un bicchiere di vino?» Alfredo non aspettò neanche la risposta che le mise in mano il bicchiere.

    «A cosa brindiamo?»

    «A noi? Alla casa?»

    Giulia bevette un sorso.

    «Ti amo.»

    «Solo per un po’ di vino?»

    Le piaceva quel modo di scherzare di Alfredo.

    «Guardiamo un film?»

    «Va bene, scegli tu.»

    La sera, dopo cena, si spostavano sul divano a guardare la tivù. Tentavano sempre di guardare il film fino alla fine, ma Giulia si addormentava sempre prima.

    «Com’è finito?»

    «Dovrei raccontarti metà film.»

    «Uffa, devo smetterla di proporre di guardare film...»

    Si addormentava abbracciata ad Alfredo.

    La sveglia era sempre per le sei. Un’ora di traffico per attra­versare la città. Ancora Antonio con le sue dannate pratiche. Sono sempre di più.

    «Ci prendiamo un drink dopo il lavoro?»

    Giulia guardò Carla, incerta.

    «Oggi Roberto sta a casa col bambino. Ho il pomeriggio libero.»

    Giulia rispose che andava bene, così Carla andò a proporre l’aperitivo a Giusy. Accettò pure lei.

    Ognuno di quei drink aveva lo stesso medesimo sapore, quello di un pomeriggio di relax.

    «Vi devo far vedere le mie scarpe nuove» esclamò Giusy.

    «Fantastiche...» disse Carla con una punta d’invidia.

    Avrebbe voluto riavvolgere il nastro della sua vita e godersi meglio i momenti prima di farsi una famiglia con tutta fretta. Guardò Giusy nel suo vestito blu a pois, e la trovò bella e in forma, con il seno all’insù e una freschezza che lei non avrebbe mai pareggiato, soprattutto dopo otto ore di lavoro.

    «Alfredo mi dice sempre che in casa con noi vive un mille­piedi.»

    «A loro basta un paio di scarpe per tutto l’anno» disse Carla con ironia.

    Giulia pensò ad Alfredo. Nonostante la rimproverasse di avere tante scarpe, lui era molto attento a usare quelle giuste in base al suo outfit.

    «Si è fatto tardi» esclamò Giusy. «Devo vedere Marco.»

    «Chi è questo Marco, adesso?»chiesero Giulia e Carla all'unisono.

    «Un tipo che mi ha contattata qualche giorno fa. Ci sto chattando a tutte le ore e sembra interessante.»

    «Cosa fa?»

    «È uno scrittore.»

    «Non fa per te» liquidò subito Carla.

    «E dai, dagli una possibilità» la rimproverò Giulia.

    Al suo rientro Giulia trovò Alfredo nello studio, immerso nella lettura di un fascicolo. Aprì la porta senza disturbarlo, voleva solo guardarlo, ma lui smise comunque di leggere.

    «Venerdì ti porto a cena» disse togliendosi gli occhiali da lettura.

    Giulia si precipitò dietro la sua sedia e lo abbracciò dalle spalle.

    «Dove mi porti?»

    «Sei troppo curiosa, è una sorpresa.»

    Giulia amava le sorprese di Alfredo, sapeva lasciarla sem­pre a bocca aperta. Andò in cucina e provò a preparare qualco­sa di buono, nonostante non fosse tanto brava. Lo smartphone vibrò e notò le varie notifiche sul gruppo di famiglia. Si pen­tì di non aver abbandonato il gruppo al momento della sua creazione, così lo silenziò per non essere disturbata. Nella lista delle chat vide anche alcuni messaggi non letti di vecchie amiche e si promise di rispondere il giorno dopo. Ora voleva soltanto rilassarsi. Il divano sarebbe stato il posto ideale, ma doveva preparare la cena. Così accese la tivù per vedere la sua serie e provò a far venire qualcosa di buono.

    Alfredo comparve a sorpresa dietro di lei, Giulia si fece abbracciare e chiuse gli occhi.

    «Vuoi del vino?»

    «Cos’è questo schifo di programma?»

    «Lasciala, è la mia serie.»

    «Credi a tutto questo? Hai una visione distorta della vita.» Giulia non rispose, ma sapeva che Alfredo aveva ragione.

    «Siediti che è pronto.»

    Alfredo era troppo realista. Vedeva sempre le cose in mo­do distaccato e con un altro punto di vista. Era questo che le piaceva di lui. Analizzare le cose da più inquadrature era senza dubbio un qualcosa che Giulia non aveva. Si era sempre promessa di cercare di riuscirci, ma ogni volta che litigavano si scordava di farlo.

    2

    Il venerdì pomeriggio aveva un sapore diverso. Carla e Giusy erano sempre di buon umore, e Giulia approfittava del viaggio di ritorno verso casa per chiamare sua madre.

    «Tesoro, domenica faccio le lasagne. Tu e Alfredo non potete mancare.»

    Giulia rispose che andava bene all’ottanta per cento, per­ché si riservava il resto per un possibile rifiuto. Alfredo odia­va quando Giulia organizzava gli appuntamenti senza prima chiederglielo. Ma sapeva in fondo che alle lasagne non poteva dire di no.

    «Ah, ci sono anche zio Dario e zia Rosanna con i cugini.»

    Il vivavoce dell’auto era troppo alto così Giulia allungò la mano verso il computer di bordo. All’improvviso con la coda dell’occhio vide i fari dell’auto prima di lei accendersi. Frenò di colpo.

    «Accidenti, è rosso.»

    Si spaventò tanto, proprio quel giorno che aveva preso l’auto di Alfredo. L’avrebbe fatta nera. Guardò i sedili e la moquette della macchina e la trovò molto più pulita della sua. Alfredo prendeva sempre a cuore tutte le sue auto, a diferenza di Giulia, che non concepiva come dentro l’abitacolo non si potesse mangiare.

    Si ricordò dell’utilitaria con cui Alfredo venne a prenderla alloro primo appuntamento. Era una Uno rossa alla fine del suo ciclo di vita. Alfredo era così soddisfatto di avere quella macchina, che per lui voleva dire libertà. Correva il mese di ottobre del ’99 e faceva un gran freddo, Alfredo portava una giacca orribile scamosciata che Giulia aveva sempre odiato, ma gli faceva caldo ed era comoda, così si giustificava lui, e portava un berretto fuori moda. I capelli lunghi, raccolti di­sordinatamente in uno chignon gli spuntavano qua e là dando la parvenza di uno che non dava molto peso alle apparenze.

    Avevano fatto l’amore per la prima volta proprio su quella macchina, nella primavera successiva. Giulia si ricordò dei vetri appannati e poi del cielo stellato. Il giorno dopo avrebbe avuto il compito di matematica, ma lei rimase concentrata sul cielo terso. Scuro. Inondato di stelle. Quella sera stessa Alfredo la lasciò guidare nonostante avesse solo diciassette anni. Giulia faceva fatica a girare il volante e la marmitta faceva un gran casino. Alfredo la incoraggiava costantemente, nonostante la macchina si spegnesse un gran numero di volte. Continuava pazientemente a darle consigli, a non mollare.

    Non sapeva perché stesse tirando fuori questi ricordi così remoti, a Giulia le capitava spesso quando si trovava sola in macchina. Talvolta pensava a qualcosa di molto brutto, oppure a come potessero essere le persone con un carattere diverso, o addirittura con una voce diversa. Alfredo le aveva insegnato a non mollare. Anche per questo lo amava. Quando si metteva in testa un obiettivo faceva di tutto per raggiungerlo. Giulia scavò tra i ricordi e tirò fuori i momenti bui all’università, e poi ancora quando cominciò a lavorare. Alfredo era lì e sapeva dirle sempre le parole giuste. Avrebbe voluto abbracciarlo in quel preciso momento, per ringraziarlo di esserci sempre.

    Nel traffico soffocante, Giulia tirò fuori il suo desiderio di vivere in campagna. L’aveva detto più volte ad Alfredo, ma lui le aveva risposto che non avrebbe sopportato la campagna neanche per una settimana. Eppure pensava a una casa con tanti gerani rossi sui davanzali delle finestre, un vialetto fatto con le pietre trovate qua e là sulla montagna, e un piccolo orticello da curare dietro la casa. Aveva cominciato ad avere questa fissa dopo un week end in Toscana, tra le verdi colline e le case sparse che sparivano dietro alti ciuffi d’erba, o dietro una serie di cipressi che stavano lì come soldati a sorvegliare quelle vite così semplici. Giulia pensò che, dopo tanta città, fosse umano pensare di evadere in un posto dove la vita era semplice, dove gli unici profumi sono quelli dei fiori e della terra bagnata.

    Sorrise tra sé e sé, ma forse la sua espressione traspariva anche al di fuori, perché un tipo nell’auto di fianco la guardava basito. Noncurante di quell’atteggiamento indiscreto mise la marcia e si dileguò nel traffico. Giulia non vedeva l’ora di buttarsi sul tapis roulant per scacciare tutti i pensieri, con la musica che le dava la giusta carica per il week end da affrontare.

    Sveglia alle sei. Traffico. Otto ore in un ufficio con per­sone insopportabili solo per prendere uno stipendio. Ancora traffico. Casa. Palestra. Casa. Cena. E poi, finalmente, uno scampolo di tempo sul divano o sul letto, a fare l’amore.

    Arrivavano il sabato e la domenica, due giorni che libera­vano Giulia e Alfredo dagli schemi rigorosi cui erano scanditi i giorni lavorativi. Un ritmo forsennato per chissà cosa, e poi due giorni per staccare la spina. La domenica, quando non partivano per visitare qualche città, Giulia e Alfredo la pas­savano perlopiù con i familiari. E la domenica che arrivò era una di quelle.

    Giulia rimaneva ore a prepararsi e a guardarsi allo spec­chio. Voleva dare un’immagine di sé alla sua famiglia di una donna in ordine. Rimproverava Alfredo quando aveva qualco­sa fuori posto, ma lui non la stava nemmeno a sentire.

    La mamma le diceva sempre di non portare nulla, ma Giu­lia voleva sempre dare il suo contributo, così generalmente faceva comprare del vino ad Alfredo, che se ne intendeva deci­samente più di lei, e si ritrovavano di fronte alla porta di casa dei suoi.

    Dall’esterno si sentivano le varie voci in salotto, e dopo essere entrati, Giulia e Alfredo videro i cugini litigare per qual­cosa. Davide e Carlotta erano diventati quasi insopportabili. Il primo stava diventando sempre più acido. Vestiva qualsiasi pantalone con le risvolte e Alfredo non faceva che prenderlo in giro quando poi era solo con Giulia. La seconda era in piena fa­se adolescenziale, investita da crisi esistenziali, egocentrismo e qualsiasi odio per gli adulti. All’appello, in verità, mancava un’altra sorella, Aurora. Non presenziava da tempo i pranzi dei parenti. Se ne stava con la sua comitiva di amici o se ne andava in giro per mostre. Forse la più intelligente dei tre, ma la più strana.

    Lo zio Dario finì di rimproverare i ragazzi e baciò Giulia. Lui era sempre stato dolce nei suoi confronti e poche volte l’aveva visto così adirato.

    «In cucina c’è zia Rosanna.»

    «Ora la saluto.»

    «Alfred, vieni fuori a fare due passaggi?»

    Davide aveva inglesizzato simpaticamente il suo nome e l’aveva invitato a giocare al pallone. Giulia lo guardò come fosse un bambino.

    «Non posso non fare due passaggi, dai.»

    Giulia sbuffò perché avrebbe voluto che Alfredo fosse meno affetto dalla malattia del calcio che colpiva indistintamente tutti i maschi. Andò in cucina ad aiutare sua madre facendo una faccia che era tutto un programma.

    «Fermo lì!» esclamò Giulia in tono di rimprovero.

    «E dai, solo una.»

    Mentre preparava gli antipasti suo padre faceva un giro in cucina per sgranocchiare qualcosa. Andava matto per il formaggio.

    «Riccardo, chiama i ragazzi a tavola!» esclamò Teresa.

    «Le polpette, mamma!»

    Giulia adorava le polpette e Teresa era un’artista nel prepa­rarle. Anche Davide e Carlotta ci andavano matti. Le faceva fritte, al sugo, con le melanzane.

    «È così che tuo padre si è innamorato di me» disse Teresa con ironia.

    «Ha avuto i suoi buoni motivi» sostenne Alfredo accompa­gnandosi con una battuta.

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