Studio sul Vangelo di Giovanni
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Anteprima del libro
Studio sul Vangelo di Giovanni - Stefano Imperiali
633/1941.
Premessa
La Costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II insegna che "tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore" (D.V.18). Tra i Vangeli, poi, forse soprattutto quello di Giovanni affascina da sempre molti cristiani e agnostici: è il Vangelo dell’aquila, che ha volato sopra le nuvole della debolezza umana e ha fissato lo sguardo sulla Luce di Dio.
Per questo mio breve studio ho utilizzato soprattutto: il "Vangelo secondo Giovanni. Commento esegetico-spirituale, di Mario Galizzi (Torino 1992); il
Vangelo di Giovanni, di Francesco Mosetto (Torino 2013); la mia raccolta di insegnamenti del Papa Emerito, dal titolo
Il Vangelo di Giovanni letto da Papa Benedetto XVI" (Tricase, 2018).
Ho seguito la traduzione della CEI del 2008. Per l’originale greco ho consultato "Κατα Ιωαννην - Vangelo di Giovanni", a cura di Roberto Reggi (Bologna 2016).
A te, Maria Madre mia, dedico e affido questo mio piccolo lavoro.
Il Vangelo di Giovanni
Al sublime prologo sul "Verbo che
era Dio,
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (1,1-18), segue la
testimonianza" di Giovanni il Battista su Gesù, l’"agnello di Dio che
toglie il peccato del mondo (1,19-34). Gesù incontra quindi i suoi primi discepoli: prima Andrea e un altro dei
discepoli" di Giovanni il Battista, poi Filippo e Natanaele (1,35-51).
Nel suo ministero pubblico, Gesù partecipa poi a una "festa di nozze a Cana di Galilea, dove muta l’acqua in vino (2,1-12). Caccia dal
tempio di Gerusalemme i
cambiavalute e i
venditori di colombe e parla del nuovo
tempio del suo corpo" (2,13-25). Incontra di notte "uno dei capi dei Giudei" di nome Nicodèmo, gli parla della necessità di "nascere dall’alto e afferma che
il Figlio dell’uomo dovrà essere
innalzato, affinché
chi crede in lui abbia la vita eterna (3,1-21). Riceve un’ultima testimonianza dal Battista (3,22-30). E’ presentato dall’evangelista come
colui che viene dall’alto,
dal cielo (3,31-36). Incontra
una donna samaritana presso
un pozzo di Giacobbe, in
una città della Samaria chiamata Sicar, e le parla della
sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna e che donerà a chi crede in lui (4,1-42). Guarisce, di nuovo
a Cana di Galilea, il figlio di
un funzionario del re" (4,43-54). Guarisce anche, presso una piscina di Gerusalemme, "un uomo che da trentotto anni era malato (5,1-9), ma poiché il fatto è avvenuto
di sabato discute a lungo con
i Giudei (5,10-47). Moltiplica
cinque pani d’orzo e due pesci per
circa cinquemila uomini (6,1-15), cammina
sul mare (6,16-21) e si rivela come
il pane della vita (6,22-59), ma viene abbandonato da
molti dei suoi discepoli (6,60-71). Va alla festa delle Capanne, dove si cerca inutilmente di arrestarlo (7,1-29). Annuncia di dover presto andare da colui che lo ha
mandato (7,30-36). Si rivela come la fonte dell’
acqua viva (7,37-39), ma cercano ancora di arrestarlo (7,40-53). Si reca
di nuovo nel tempio e perdona
una donna sorpresa in adulterio" (8,1-11). Afferma di essere la "luce del mondo e discute con i
farisei sulla
testimonianza che dà di se stesso (8,12-29). Afferma di essere, già
prima che Abramo fosse, l’
Io Sono (8,31-59). Guarisce
un uomo cieco dalla nascita (9,1-7), che deve poi affrontare discussioni sulla propria guarigione prima con i conoscenti (9,8-12) e poi con i
farisei (9,13-34). Viene riconosciuto come il
Signore dal cieco-nato guarito (9,35-41). Dichiara di essere
la porta delle pecore (10,1-10),
il buon pastore che
dà la propria vita per le pecore (10,11-21) e il
Figlio di Dio (10,22-39), ma è costretto a ritornare
al di là del Giordano (10,40-42). Risuscita l’amico Lazzaro (11,1-44) e per questo
i capi dei sacerdoti e i farisei" decidono di "ucciderlo (11,45-53). Si trattiene pertanto
con i suoi discepoli ad Efraim,
nella regione vicina al deserto (11,54-57). Partecipa a
una cena a Betania dove una sorella di Lazzaro, Maria, gli cosparge
i piedi di un prezioso
profumo e viene per questo criticata da Giuda (12,1-11). Fa il suo ingresso a Gerusalemme, dove viene acclamato dalla
grande folla che era venuta per la festa (12,12-19), ma afferma che morirà come il
chicco di grano caduto in terra e, di nuovo, che sarà
innalzato da terra (12,20-33). Non viene creduto dalla maggior parte della
folla (12,34-43), ma afferma che chi
crede" in lui crede in realtà anche in colui che lo "ha mandato" (12,44-50).
Giunta "la sua ora di passare da questo mondo al Padre, Gesù riunisce i discepoli in una cena durante la quale lava loro i piedi, come un servo (13,1-17). Annuncia il tradimento di Giuda (13,18-30). Dà il
comandamento nuovo dell’amore vicendevole (13,31-35). Predice il rinnegamento di Pietro (13,36-38). Conforta i discepoli e si presenta come
la via, la verità e la vita (14,1-14). Promette
un altro Paraclito", lo "Spirito della verità (14,15-31). Afferma di essere
la vite nella quale occorre restare per portare
molto frutto (15,1-17). Predice per i suoi discepoli persecuzioni e tribolazioni, ma annuncia loro di nuovo la venuta del Paraclito e spiega che la loro
tristezza si cambierà in gioia (15,18-16,33). Quindi prega il Padre per sé, per i discepoli e
per quelli che crederanno in Lui
mediante la loro parola" (17,1-26).
Viene poi arrestato, presentato al "sommo sacerdote e rinnegato da Pietro (18,1-27). E’ consegnato al governatore romano Pilato, che lo interroga a lungo, lo fa flagellare, incoronare di spine e infine crocifiggere con
altri due (18,29-19,24). Dalla croce affida a Maria, come
figlio,
il discepolo che egli amava e al discepolo, come
madre, la stessa Maria (19,25-27). Infine
consegna lo spirito (19,28-30). Poiché è
già morto", non gli vengono spezzate le gambe e viene invece trafitto al fianco, dal quale escono "sangue e acqua (19,31-37). Viene sepolto in
un sepolcro nuovo da Giuseppe di Arimatea, che
era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei", e da Nicodemo (19,38-42).
Sennonché, "il primo giorno della settimana il sepolcro è trovato vuoto prima da Maria di Magdala e poi
da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava (20,1-10). Gesù viene quindi riconosciuto da Maria di Magdala, che lo
va ad annunciare ai discepoli (20,11-18). Si mostra ai discepoli
la sera dello stesso giorno, soffia su di loro
lo Spirito Santo e dà loro il potere di
perdonare i peccati (20,19-25).
Otto giorni dopo appare di nuovo ai discepoli, mentre c’è
con loro anche Tommaso, che invita a
non essere incredulo, ma credente (20,26-29). Una prima conclusione del Vangelo spiega che questo è stato scritto
perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (20,30-31).
Ma poi l’evangelista racconta un’altra manifestazione di Gesù risorto ai discepoli, "sul mare di Tiberiade (21,1-14); l’affidamento da parte di Gesù a Pietro del compito di
pascere le sue
pecore; l’invito allo stesso Pietro di non curarsi della sorte del
discepolo che Gesù amava (21,15-23). Infine, l’evangelista conferma la veridicità di quanto ha testimoniato e scritto lo stesso
discepolo che Gesù amava" (21,24-25).
A differenza di quanto avviene negli altri Vangeli, nel quarto Vangelo la divinità di Gesù e la sua unità con il Padre sono presentate subito. Gesù è il Figlio di Dio (1,1.14.18.34.49; 3,16-18; 10,32-38; 11,27; 17,1.11.21; 19,7; 20,17.31) e di lui hanno "scritto Mosè e i Profeti (1,45; 5,46). In tal modo, la promessa di Mosè -
il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto (Dt. 18,15; 34,10) - è adempiuta nel modo sovrabbondante in cui Dio è solito donare. Gesù è infatti più di un profeta. E’ il
Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, e ci ha
rivelato Dio (Gv. 1,18).
La grazia e la verità" venuti per suo mezzo portano a compimento la Legge data da Mosè (1,17).
Più che nei Vangeli sinottici, il quarto Vangelo ha un’impronta liturgica, cultuale. Le grandi feste dei Giudei segnano infatti il cammino di Gesù e acquistano nel contempo un nuovo significato. Vengono così ricordate la "Pasqua" (2,13.23); una festa dei Giudei
(5,1) che è probabilmente la festa delle Settimane, cioè la Pentecoste; un’altra "Pasqua" (6,4); la festa "delle Capanne (7,2-39);
la festa della Dedicazione del tempio (10,22); l’ultima
Pasqua" di Gesù (11,55; 12,1; 13,1; 18,28; 19,31.42). Ma anche la preghiera sacerdotale dell’ultima cena (17,1-26) si sviluppa dalla festa ebraica dell’Espiazione. Le feste giudaiche, che in origine mostravano la ricerca di Dio attraverso la creazione, erano divenute la rievocazione delle azioni salvifiche del Dio di Israele e infine la celebrazione della speranza nella futura salvezza perfetta: una salvezza che ancora mancava ma che in Gesù, appunto, si compie.
Nel Vangelo di Giovanni i miracoli, che l’evangelista chiama "segni (2,11; 4,54; 6,2.14.26; 9,16; 12,37; 20,30) oppure
opere (5,36; 10,25.37-38; 14,11), sono meno numerosi che nei Vangeli sinottici: l’
acqua diventata vino alle nozze di Cana (2,1-11); le guarigioni del figlio di
un funzionario del re (4,46-54) e poi di un paralitico (5,1-9); la moltiplicazione dei
cinque pani d’orzo e due pesci (6,1-15); la guarigione di
un uomo cieco dalla nascita (9,1-7); infine la risurrezione di
un certo Lazzaro di Betania, l’ultimo e il più grande dei
segni" (11,1-44).
La scena principale dell’attività di Gesù si sposta, nel quarto Vangelo, dalla Galilea a Gerusalemme. Predominano grandi discorsi, centrati su immagini. Gesù è la "luce degli uomini e
del mondo (1,4-9; 3,19-21; 8,12);
l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo (1,29.36); il nuovo
tempio (2,19-21); colui che dà l’
acqua viva che
zampilla per la vita eterna (4,10.13-14; 7,37-38);
il pane della vita che è
disceso dal cielo (6,32-58);
la porta del
recinto delle pecore (10,1-2.7-9);
il buon pastore che
dà la propria vita per le pecore (10,11-18.27-28);
la risurrezione e la vita (11,25);
la via, la verità e la vita (14,6); la
vite vera nella quale noi,
i tralci, dobbiamo rimanere per portare
molto frutto" (15,1-8).
Anche nel Vangelo di Giovanni si ritrovano l’attesa dell’"ultimo giorno (6,39-40; 11,24; 12,48), della nuova
venuta di Gesù (21,22-23), della
risurrezione dei morti (5,28-29; 11,24) e del giudizio finale (5,28-29.45). Ma l’
ora dell’innalzamento sulla croce di Gesù e della sua glorificazione, della sua morte e risurrezione (2,4; 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1), è già venuta. E anche il giudizio contro chi
non ha creduto (3,18-19), contro
questo mondo e
il principe di questo mondo" (12,31; 16,11) si è già compiuto.
Un papiro egizio risalente all’inizio del II secolo - è il Papiro Rylands 457, un frammento con alcuni versetti del capitolo 18 - ha confermato che il Vangelo di Giovanni era già stato scritto verso la fine del I secolo.
L’autore del quarto Vangelo è qualcuno che ha conoscenze molto precise della Palestina dell’epoca di Gesù. Nel racconto della passione, è lo stesso evangelista che afferma di risalire a un testimone oculare, allorché riferisce che uno dei soldati colpì il costato di Gesù e "subito ne uscì sangue e acqua (19,34). Segue infatti l’affermazione:
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate" (19,35).
Questo testimone oculare è probabilmente colui di cui prima è stato detto che stava presso la croce ed era "il discepolo che Gesù amava" (19,26). Dovrebbe essere colui che nell’ultima cena si era "chinato sul suo petto" e gli aveva chiesto Signore, chi è che ti tradisce?
(13,23). Ma dovrebbe essere anche il discepolo che "il primo giorno della settimana corre con Pietro al
sepolcro (20,2), sulle rive del
mare di Tiberiade segue Pietro e Gesù (21,20) e viene infine menzionato come l’autore del Vangelo:
questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti (21,24). Potrebbe anche essere uno dei
due discepoli di Giovanni il Battista che
seguirono Gesù", indicato dal Battista come "l’agnello di Dio (1,35-39). E anche l’
altro discepolo che
era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote" (18,15-16).
Fin dall’esplicita testimonianza di Ireneo di Lione, verso il 180, la tradizione della Chiesa ha identificato l’autore del quarto Vangelo con l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Ma la complessità della redazione del testo induce a ritenere che una comunità che faceva risalire le sue origini all’apostolo Giovanni, probabilmente a Efeso, abbia avuto una funzione essenziale nella stesura definitiva del testo evangelico (21,24).
Eusebio di Cesarea, morto nel 338 circa, riferisce anche che il vescovo Papia di Gerapoli, morto nel 120 circa, aveva conosciuto di persona un "presbitero Giovanni. Secondo Benedetto XVI, questi potrebbe aver avuto un ruolo determinante nella redazione definitiva del testo, sia pure considerandosi sempre come l’amministratore dell’eredità ricevuta dal figlio di Zebedeo. Questo
presbitero Giovanni potrebbe anche essere il
presbitero" autore della Seconda e della Terza Lettera