Codice a bare
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Codice a bare - Mario Porcari
penombra.
- Introduzione -
Da ragazzo scoprii l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters grazie a Fabrizio De Andrè, che gli aveva dedicato un intero album che io comprai, in vinile, diversi anni dopo la sua pubblicazione. Oltre che dalle storie di vita aspre e toccanti che raccontava, fui colpito dal lungo dialogo-intervista con Fernanda Pivano (traduttrice di molti scrittori dell’epoca) che De Andrè aveva ritenuto necessario allegare a quel disco quasi per spiegare al suo pubblico la scelta del libro, delle poesie e dei personaggi ritratti.
Non al denaro, non all’amore né al cielo fu inciso circa mezzo secolo dopo la pubblicazione del libro di Masters. Proprio quest’anno ne ricorre il centenario, ma sono convinto che se venisse stampato oggi, ben pochi si accorgerebbero che non parla dei nostri contemporanei. Basta sfogliarne poche pagine per rendersi conto che quella galleria di ritratti è ancora attualissima! Di quella grettezza provinciale non ci siamo affatto liberati.
Sarà inutile ricordarlo, ma nel suo libro Masters dava voce ai cittadini di un paesino degli Stati Uniti con una particolarità:
ognuno di loro raccontava la propria storia dopo morto, da una prospettiva assolutamente insolita perché non più condizionato da tanti fattori che vincolano il nostro agire durante la vita. Finalmente liberi dalle maschere che tutti indossiamo ogni giorno!
De Andrè, nel suo disco, analizzava in particolare due temi che condizionano l’agire umano: l’invidia, per indicare il clima di competitività nel quale siamo obbligati a girare come conigli impazziti in una gabbia, e la scienza come aspirazione o mezzo per riuscire a liberarsi da questa dimensione. Tutto questo non riesce perché la scienza è ancora nelle mani proprio di quel potere che crea l’invidia.
La sua denuncia era che, purtroppo, la scienza non è ancora riuscita a risolvere i problemi esistenziali. Questi personaggi sono sempre in competizione gli uni contro gli altri ed animati da un sentimento di rivalsa che genera frustrazioni, in quanto non può mai essere appagato.
Eppure, nel disco, De Andrè aveva voluto lasciare uno spiraglio di speranza delineando anche due personaggi positivi
. Un malato di cuore, la cui azione non era determinata dall’invidia, ma finalmente dall’amore, e il suonatore Jones, nel quale lo stesso De Andrè ambiva a identificarsi, perché suonava non per denaro ma per il puro piacere di farsi ascoltare.
La tesi di De Andrè era che nella vita a trionfare fossero le persone disponibili. Questo mi ha sempre fatto pensare, perché mi sembrava davvero arduo riuscire ad esserlo nel clima di competizione che lo stesso De Andrè (e Masters, ovviamente) avevano individuato e che piuttosto spinge tutti a mascherarsi quando si interagisce con gli altri, non riuscendo, o non trovando opportuno, essere sinceri.
Come uscirne? Se parliamo della vita comune di tutti noi, forse l’unica possibilità è riuscire a prendere le distanze da questa corsa forsennata all’accumulo materiale che ci lascia perennemente insoddisfatti. Se riflettiamo un attimo, ci rendiamo conto che ormai è la televisione a telecomandare le persone, attraverso la pubblicità, e non viceversa.
Viviamo in un’epoca in cui tutto è mercificato, in cui su ogni cosa viene apposto un codice a barre come fosse l’unica dimostrazione dell’esistenza dell’oggetto stesso. Ci impongono come indispensabili prodotti dei quali si può tranquillamente fare a meno. E noi, invece, corriamo ad indebitarci pur di ottenerli. Per non essere inferiori al vicino o al collega. Per
essere al passo con i tempi. Ma ne