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Gloves
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Ebook150 pages2 hours

Gloves

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About this ebook

Il capitano Gennaro Esposito non è nato per combattere: ha studiato lettere e filosofia, lui non dà ordini ma consigli ed è consapevole che la guerra non sia altro che la “prosecuzione della politica con altri mezzi”. A dispetto del nome è nato a Bolzano, ma è napoletano nell’anima e riesce a coniugare l’etica militare col senso pratico dei partenopei.

Vive un’intensa storia d’amore tra le colline piemontesi, ma una profonda delusione lo spinge verso una missione in Medio Oriente dove, paradossalmente, riscopre i valori con cui è cresciuto in una società, quella musulmana, arretrata e ostile ma soltanto in apparenza.

È una storia d’amore e di amicizia il cui filo conduttore è quello della ricerca delle proprie radici attraverso il confronto tra passato e presente, tra generazioni e culture diverse, dove un pallone da calcio e la curiosità di un ragazzino, Youssef, diventano strumenti di dialogo per abbattere “sul campo” il muro della reciproca diffidenza, molto più efficacemente di un carro armato.

«Se avessero bombardato palloni avrebbero vinto ugualmente…» sostiene, laconico, il capitano Gennaro Esposito.

La bellezza di Fatima supera, infine, ogni barriera ideologica che si frappone tra religione e libertà.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 10, 2020
ISBN9788831655149
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    Book preview

    Gloves - Giovanni Tommaso Rovati

    Indice

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    Giovanni Tommaso Rovati

    GLOVES

    Youcanprint

    Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o, qualora esistenti, sono utilizzati in modo fittizio e, comunque, con il consenso degli interessati.

    Titolo | Gloves

    Autore | Giovanni Tommaso Rovati

    ISBN | 978-88-31655-14-9

    Prima edizione digitale: 2019

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi, 6 - 73100 - Lecce

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Al coraggio delle madri. 

    La copertina è di Mario Magnatti Mariom

    Si ringrazia la Dott.ssa Maria Luisa Rota di Torino, per i suggerimenti in lingua piemontese.

    I

    «Capitano venga... c’è qualcuno che si avvicina», disse il piantone sull’altana, piuttosto preoccupato.

    Una scia di polvere si alzava in lontananza, segno che un automezzo stava percorrendo a gran velocità la strada che conduceva alla base militare. La caserma sorgeva nel bel mezzo di una pianura arida e semidesertica, a circa cinquanta chilometri a nord ovest della capitale Barhad, nello stato dell’Iddah. Non c’erano colline, alberi e qualsiasi altra cosa che potesse fare ombra.

    «Che cazzo succede...?» risposi alquanto seccato.

    «Capitano, dovrebbe essere il ricognitore che sta rientrando e non risponde alla parola d'ordine», disse il caporale.

    Ogni giorno alcuni mezzi blindati pattugliavano il territorio per assicurarsi che non vi fossero pericoli per la sicurezza della base, ma anche per portare aiuti alla popolazione locale con la quale c’erano buoni rapporti di collaborazione.

    «Ma chi sarà questo imbecille?» pensai tra me, «caporale, cortesemente, mi prenda il brogliaccio delle pattuglie che sono uscite!» aggiunsi.

    «Capitano, a quest’ora dovrebbe rientrare il ricognitore», rispose il caporale.

    «Adesso ci penso io: Nibbio 6, Nibbio 6, rispondete, passo…»

    "Nibbio 6" era uno dei nomi in codice delle pattuglie in ricognizione. A ciascuna di esse, prima di uscire, era affidata anche una parola d’ordine per farsi identificare prima di rientrare alla base. Era una misura precauzionale necessaria per evitare il pericolo di attentati, oppure, qualora il mezzo fosse stato catturato dai terroristi, che potesse rientrare alla base per poi farsi esplodere, visto quanto accaduto tempo prima.

    «Nibbio 6, Nibbio 6…parola d’ordine, passo…», esclamai in tono perentorio, accostando la bocca al microfono della radio.

    Non appena lasciato il pulsante dell’apparato, percepii il segnale di ritorno in cuffia, segno che il messaggio era certamente giunto a destinazione, ma il ricevente non aveva voglia di rispondere, oppure ne era impossibilitato. Intanto il mezzo continuava ad avvicinarsi.

    «Nibbio 6, rispondete, sono il capitano Esposito, passo…».

    Niente, nessun segnale di riposta, mentre la scia polverosa all’orizzonte si faceva sempre più visibile, segno che il mezzo si stava avvicinando a gran velocità.

    «Capitano, avverto il comando?» suggerì il capoposto.

    «No, non ancora, facciamo un altro tentativo: Nibbio 6 non scherzate, siete sotto tiro, alla distanza di sicurezza apriremo il fuoco!»

    «Vueeeeh… guagliò… forza Napoli…» fu la risposta che arrivò dalla radio, con un eco di risate in sottofondo.

    «Fate poco gli spiritosi» risposi, tirando un sospiro di sollievo, «e fatevi identificare…»

    «Forza Napoli…», risposero dal mezzo, ridacchiando allegramente.

    «Capitano, guardi che la parola d’ordine è proprio forza Napoli», mi fece notare il caporale, «l’ha cambiata il capopattuglia, prima che il mezzo uscisse» aggiunse, mentre continuavo a fissarlo con aria alquanto perplessa.

    «Sì, ma che c’entra forza Napoli…» sbottai, «e poi perché sto testa di cazzo non ha aggiornato il brogliaccio?» dissi al caporale, dopo un profondo sospiro di scazzamento, «poi mi spiegheranno perché fanno tanto gli imbecilli e, soprattutto, per quale motivo sia stata cambiata la parola d'ordine».

    Eppure, quel «forza Napoli» un po’ strascicato, pronunciato con un accento strano, sicuramente da un non napoletano, aveva un non so che di familiare. Dopo circa un paio di minuti arrivarono due autocarri al check point: si trattava di una nostra pattuglia in ricognizione che scortava un altro mezzo telonato con targa straniera.

    «Adesso mi farete immediatamente un bel rapporto e scriverete per quale motivo correvate in quella maniera, sollevando tutto quel polverone, e soprattutto perché facevate tanto gli spiritosi alla radio…», dissi subito all'autiere che fu il primo a scendere dalla vettura.

    «Abbiamo sollevato polvere per proteggere l'auto che ci seguiva da eventuali cecchini… carissimo capitano Esposito» disse il capopattuglia, appena sceso dall’auto.

    «Che mi venga un accidente! Che cavolo ci fai qui», esclamai.

    Non mi sembrava vero di rivedere il mio vecchio amico e istruttore, il maresciallo Piero Fassi in carne e ossa. 

    «Che cavolo ci fai tu, piuttosto… Quando ho visto che il nuovo ufficiale di servizio era il capitano Gennaro Esposito, ho subito pensato a te. Per esserne sicuro ho chiesto al capoposto e lui mi ha detto che eri di Napoli, allora ho fatto cambiare la parola d'ordine, ah ah. Ti sarai mica incazzato?» disse Piero, divertito.

    «E dalli co’ sta storia che sono di Napoli… Sono nato a Bolzano!»

    «Certo, certo, e io sono di Caltanissetta. Ma mi faccia il piacere, come diceva quel tuo paesano famoso» replicò Piero.

    «Sì sì, ridi pure... Per poco non partiva una bordata. A quest’ora eri già bello che arrostito nella macchina in fiamme, uno dei sette pezzi del bollito misto piemontese».

    «Se avessi risposto alla radio, mi avresti riconosciuto. Ma non l’ho fatto, proprio per godermi un po’ del tuo accento napoletano, lo sai che mi fa morire, soprattutto quando sei incazzato…neh

    «D’accordo vecio, però poi mi spieghi chi è quell’incosciente che ti ha raccomandato per farti venire da queste parti».

    «Te lo dirò dopo, magari al bar, davanti a un bel bicchiere di barbera. Adesso avrei bisogno di fare una bella doccia. Ma facciamo scendere le donne che sono sul carro».

    «Donneee...?» chiesi alquanto sbigottito, «e chi sarebbero? Che problemi hanno?»

    «Una è incinta, mentre l'altra è la dottoressa».

    «Ma perché il nostro dottore non va bene?» obiettai.

    «Uhm… questi hanno una testa tutta loro, un ginecologo maschio non può visitare una puerpera, ci va per forza una donna. E poi, non abbiamo un ginecologo».

    «Forse, però, erano meglio un paio di mignotte: in tutto il mondo, dove ci sono soldati ci sono le puttane, eccetto che nei paesi arabi!» obiettai.

    «E come disse sempre quel tuo paesano: Italianiiii…arrangiatevi!» rispose Piero, ridendosela, per poi aggiungere, sarcastico, «quaggiù si torna giovanetti!»

    L’aspetto delle due donne m’incuriosiva: entrambe erano vestite da capo a piedi, ma con alcune differenze. Quella incinta, con un enorme pancione, aveva lo sguardo fisso per terra e indossava un’ampia veste lunga fino ai piedi, di colore nero, con il caratteristico niqab che le copriva il capo e, parzialmente, anche il viso, lasciando scoperti soltanto gli occhi.

    L’altra, quella che Piero mi aveva indicato come la dottoressa, indossava un’elegante sciarpa color acqua marina, di tessuto leggero, finemente ricamata, avvolta attorno alla testa che gli lasciava il viso scoperto. Mi accorsi che continuava a fissarmi, come in segno di sfida, seguendo tutti i miei movimenti.

    «Sono state già perquisite?» chiesi a Piero.

    «Si tutto a posto, ci ha pensato la nostra soldatessa.»

    «Certo che con quei vestiti c'è poco da immaginare» dissi, rivolgendomi a Piero.

    «In che senso?» rispose.

    «Le donne sono tutte accompagnate e, osservandole, si riesce sì e no a capire quanto pesano... Non so come facciano gli uomini da queste parti: non bevono, non bestemmiano, non giocano a carte, non hanno la domenica sportiva e non si vantano con gli amici dell’ultima scopata...!»

    «Mmmmh… sei male informato» obiettò Piero, «questi sono più avanti di noi occidentali in molte cose. Sai che esiste anche il matrimonio a termine?»

    «A termine? Come per l’assicurazione auto, rinnovo automatico salvo disdetta, da comunicare alla moglie almeno sei mesi prima. Interessante, magari si potrebbe introdurre anche da noi!»

    «Ah ah... e senza obbligo di motivazione, praticamente il sogno di ogni italiano! Beato te che hai sempre voglia di scherzare, neh? Ecco, questa è una delle cose che mi piace dei napoletani: il buon umore», disse Piero.

    «Uhm, non sempre, talvolta siamo ipocondriaci», risposi divertito.

    «Non farmi perdere il filo del discorso sul matrimonio: da queste parti si chiama "mut’a", paghi la dote alla sposa e poi, quando non ti va più, la ripudi...».

    «Ma dai… non ci credo».

    «Allora informati. Comunque è una pratica che non è accettata da tutti. Ad esempio, per i sunniti è vietato. Tra gli sciiti, invece, è tollerato».

    «Allora è una questione di soldi, evidentemente, come in tutto il mondo: se ne hai, puoi prendere più mogli, anche a termine, sennò ti arrangi», replicai.

    «Probabile», tagliò corto Piero.

    Nel frattempo la dottoressa continuava a fissarmi dritto negli occhi. Non ero abituato a quello sguardo così intenso e misterioso.

    «Sembra che mi voglia trafiggere da un momento all’altro» dissi, cambiando discorso, mentre Piero compilava il registro di servizio con apparente distacco.

    «La dottoressa, dici?»

    «Si, certo».

    «Lo credo bene, parla quattro lingue, tra cui anche l’italiano. Credo che abbia sentito i tuoi discorsi», ribatté Piero, col ghigno di chi si sforza per non ridere.

    «Azz! Ma che figura di merda mi hai fatto fare? Quella donna, mi odierà a morte!»

    «E mica è colpa mia?» replicò Piero.

    «Sei il solito stronzo… però me lo potevi dire prima, no? E che cazzo!»

    «Capità… ci vediamo dopo a mensa» disse Piero, chiudendo la discussione.

    «Ok, aggiudicato, ne abbiamo già dette troppe, per oggi».

    o/o

    Più tardi mi recai a mensa, dove c’era la solita fila. Non vedendolo iniziai a guardarmi in giro, chiedendomi dove fosse Piero.

    «Ah, eccolo là che arriva».

    «Che passa il convento oggi?» disse Piero.

    «Spaghetti all’astice, sauté di frutti di mare, frittura di paranza... Oppure preferivi tajarin al tartufo bianco e brasato al barbera?»

    «Non sbagli affatto, ma il cuoco mi pare sia delle tue parti», rispose divertito Piero, «mi rifarò a Natale, quando saremo a casa, semmai...».

    Prendemmo il vassoio portavivande, un primo e un secondo, della frutta, e così ci accomodammo ai tavolini.

    «Chi è quella donna?» chiesi a Piero. 

    «Ah ah, sei sempre il solito, eh? Toglitela dalla testa… si chiama

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