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Telma (Collana Gli scrittori della porta accanto)
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Telma (Collana Gli scrittori della porta accanto)
Ebook153 pages2 hours

Telma (Collana Gli scrittori della porta accanto)

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About this ebook

Da un'isola del Brasile fino ad arrivare a Londra, passando per la Svizzera e l'Italia. La storia di Telma, una ragazza che decide di lasciare il suo piccolo angolo di paradiso per ricominciare una nuova vita in un mondo totalmente diverso da quello in cui è cresciuta. Telma affronta le avversità che le si presentano col sorriso sulle labbra e la forza di volontà che la contraddistingue. E anche se il destino sembra essere spesso contro di lei, troverà la forza di ricominciare ancora una volta, proprio dal punto in cui era partita.
LanguageItaliano
PublisherPubMe
Release dateJan 2, 2020
ISBN9788833664064
Telma (Collana Gli scrittori della porta accanto)

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    Telma (Collana Gli scrittori della porta accanto) - Claudia Gerini

    Claudia Gerini

    Telma

    Telma

    di Claudia Gerini

    Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistite o esistenti è da ritenersi puramente casuale e frutto della sola fantasia dell’autore.

    Copyright © 2020 Claudia Gerini

    Collana Gli scrittori della porta accanto

    Pubblicato in accordo con Gli scrittori della porta accanto e PubMe

    Progetto grafico: Stefania Bergo

    Impaginazione: Valentina Gerini

    Prima edizione dicembre 2019

    Per essere informati sulle novità

    della collana Gli Scrittori della Porta Accanto

    visitate il sito:

    www.gliscrittoridellaportaaccanto.com

    UUID: c04044cc-296f-11ea-bb64-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Telma

    Quella notte non avevo chiuso occhio. Mi ero girata e rigirata nel letto per non so quanto tempo, prima di entrare in una specie di dormiveglia, in cui avevo pensato e ripensato alla decisione della sera prima. Quando avevo riaperto gli occhi, la mattina dopo, non avevo più alcun dubbio. Non sapevo come avrei comunicato la decisione a mia mamma, come e quando avrei messo in atto la cosa, ma ormai era deciso: sarei andata in Europa. Nel primo mondo, come lo chiamavamo noi.

    Che cosa c'era ancora che mi legava a questo posto? Certo la mia famiglia, loro non potevo e non volevo cancellarli. Ma avevo subito un'umiliazione talmente grande che non avrei potuto, anche se avessi voluto, continuare a vivere nel suo stesso paese, respirare la sua stessa aria, parlare la sua stessa lingua.

    Tiago mi aveva cambiato la vita e nemmeno lo sapeva.

    Morro de Sao Paulo

    Quel giorno il Morro de Sao Paulo era tutto pieno di luci e festoni. Le piccole stradine erano illuminate da fili con attaccate delle lampadine, che andavano da una finestra all'altra. Si vedevano in giro gli ultimi turisti ritardatari, arrivati col catamarano della sera, seguire affannosamente i carreteros, che si muovevano veloci e sicuri tra gli stretti vicoli. Con le loro carriole traballanti caricate all' inverosimile di valige e borsoni, erano desiderosi di portare a termine il lavoro per potersi godere la festa. Nella piazza centrale del piccolo villaggio, praça Amendoeira, era stato allestito un piccolo palchetto, dove avrebbe suonato il gruppo locale e, qua e là, erano sparsi tavolini e sedie raccattati un po' a destra e a manca per far sì che le persone potessero sedersi e mangiare qualcosa. I ristorantini che vi si affacciavano erano stati tutti tirati a lucido in attesa dell'inizio dei festeggiamenti. Al limitare della piazza, poi, c'erano numerosi banchetti, allestiti alla meglio, dove gli abitanti del villaggio si improvvisavano cuochi e barman per una sera. I pescatori cuocevano il pesce pescato durante la giornata e altri preparavano cocktail, servivano birre gelate o semplicemente vendevano fresche e profumate noci di cocco, da cui poter bere la famosa agua de coco. In attesa dei turisti, che venivano appositamente ad assistere alla festa e alla processione in onore della Nossa senhora da luz, tutti erano indaffarati. Ecco, io decisi di venire al mondo proprio quella notte. Mia mamma, Maria, si accorse subito che anche questa volta non avrebbe fatto in tempo ad arrivare all'ospedale pubblico dell'isola di Tinharé. Distava troppi chilometri e, considerando il fatto che per uscire dal paese avrebbe dovuto usare Alfonso, il nostro vecchio asinello, pensò che sarebbe stato meglio chiamare la levatrice del paese e sperare che tutto andasse per il meglio.

    Ormai, dopo quattro figli, sapeva riconoscere subito i dolori del parto, e avrebbe potuto calcolare meglio di un orologio quanto tempo ci avrebbe messo prima di sfornare un altro figlio.

    Così, quella sera, la vicina di casa andò a chiamare mio padre, Miguel, che era uscito come al solito per farsi qualche birra, dopo una dura giornata di lavoro in mare.

    Io, evidentemente presa dalla fretta di venire al mondo, non aspettai nemmeno il suo arrivo, e dopo un paio di spinte vigorose, accompagnate dalle urla di mia mamma, venni alla luce.

    La mamma scelse per me un nome che aveva sentito alla televisione. Mi raccontava sempre che aveva visto un film americano, dove due amiche scappavano lontano per sfuggire alla monotonia della vita quotidiana. Diceva sempre che anche a lei sarebbe piaciuto andare via e partire per un viaggio, durante il quale non avrebbe voluto pensare a niente se non a divertirsi. Fu così che decise di chiamarmi Telma. Mai nome si rivelò più azzeccato!

    La vita in famiglia non era certo facile. Con cinque bocche da sfamare, mio padre e mia madre facevano i salti mortali per racimolare qualche soldo e poterci comprare qualcosa da mangiare.

    Papà aveva una piccola barchetta tutta scassata, che usava per le sue battute di pesca, così le chiamava lui. Io le chiamavo piuttosto: esco con la barca e speriamo di tornare a casa!

    La mia infanzia, da ultima di cinque figli, fu abbastanza privilegiata. Mentre i miei fratelli e le mie sorelle più grandi dovevano dare una mano in casa, io, essendo la più piccola, potevo oziare e spassarmela tutto il giorno. Adriano e Diego aiutavano papà. Non potendo andare con lui a pesca tutti i giorni, per via della scuola, erano costretti ad alzarsi al sorgere del sole per aiutarlo a preparare le lenze, la rete e tutto il necessario. Tutte le mattine finivano appena in tempo per entrare in casa, prendere al volo lo zainetto e correre a scuola, prima che suonasse la campanella. Alla fine della giornata, poi, prima che il sole tramontasse, aiutavano papà a lavare e riordinare l'attrezzatura che sarebbe servita di nuovo il giorno dopo.

    Anita e Gisela invece, erano un po' più fortunate. La mattina potevano restare a letto un pochino di più e aiutavano la mamma, che lavorava tutto il giorno come sarta, nelle faccende di casa, solo dopo essere tornate da scuola. Naturalmente restava loro ben poco tempo per studiare e fare i compiti. La sera, dopo aver cenato, si rinchiudevano in camera e studiavano. Capitava, alle volte che, quando entravo in camera mia e delle mie sorelle per andare a dormire, le trovassi addormentate sopra libri e quaderni. Quando succedeva chiamavo la mamma e, insieme, le coprivamo con una coperta stando attente a non svegliarle.

    Le mie giornate, invece, le passavo quasi sempre fuori casa. La mattina andavo alla scuola dei piccoli, nella piazza del paese. Mi accompagnavano i miei fratelli o le mie sorelle, perché la mamma diceva che non stava bene per una bambina gironzolare tutta sola per il paese.

    Il pomeriggio, dopo aver fatto velocemente i compiti, correvo di nuovo fuori, questa volta verso la spiaggia o il palmeto dietro casa. Era allora che aveva veramente inizio la mia giornata.

    Adoravo il mare, quel mare così immenso. Fantasticavo su quello che c'era al di là; chissà quanti posti meravigliosi da scoprire, persone da incontrare. Nel palmeto, invece, avevo costruito insieme a Tiago (si proprio lui) una piccola casetta di legno, dove andavamo a rifugiarci e a leggere i libri che lui riusciva a rubare al fratello più grande.

    Ci piaceva leggere, qualsiasi tipo di libro: avventure, storie d'amore, libri di fantascienza. Leggevamo a turno, un capitolo per uno, e ci immergevamo completamente nella storia. Spesso ci capitava di perdere la cognizione del tempo e, senza che ce ne accorgessimo, stava facendo buio, allora dovevamo correre a casa per non buscarle! Tiago era il mio migliore amico. Abitavamo vicini, ci divideva solamente la casa della signora Adele, e lui era più grande di me di un paio di anni. La mamma mi raccontava sempre che, quando ero nata, lui era lì con noi, perché era venuto con la sua mamma, la quale aveva aiutato la mia a partorire. La sua mamma, diceva, era una levatrice e aveva fatto questo lavoro per ogni bambino che era nato nel paese negli ultimi 15 anni. Luciana era un po' la seconda mamma di tutti i bambini!

    Passavo praticamente tutto il mio tempo libero con Tiago. Non mi piacevano i giochi che facevano le altre bambine; che gusto c'era a fare finta di cucinare, pulire, lavare, badare ai bambolotti? Lo vedevo fare a mia madre tutti i giorni e lei non mi sembrava così felice di farlo. Quindi avevo scartato quel gioco da subito. Adoravo invece stare all'aria aperta. Correre, saltare, giocare a nascondino, e inventare storie. Io e Tiago giocavamo ai pirati, agli esploratori, ai cacciatori di tesori e ci ispiravamo ai libri che in segreto avevamo letto. Mia madre, quando arrivava la sera, mi chiamava a gran voce dalla porta di casa, sperando che non ci fossimo allontanati troppo per poterla sentire, e quando ci vedeva arrivare tutti sporchi e magari con qualche sbucciatura qua e là sulle ginocchia, scuoteva il capo e ripeteva tra sé e sé «dovevi nascere maschio… ecco. Guarda là come ti sei conciata».

    Siccome capitava di leggere anche qualche libro romantico o che raccontava storie d'amore, qualche volta, invece di arrampicarci o di andare in cerca di guai, ci rinchiudevamo nel capanno e facevamo finta di essere due innamorati. Non è che a quel tempo ne capissi molto di innamorati, fidanzati e pene d'amore! Ma i libri che leggevamo avevano quasi sempre un lieto fine alla vissero felici e contenti e questa cosa mi piaceva parecchio. Così, quando era brutto tempo e non era sicuro stare fuori a gironzolare, io facevo la parte della moglie e lui del marito e giocavamo agli sposi.

    In realtà c'eravamo detti che quando saremmo stati grandi abbastanza, ci saremmo sposati per davvero! Io ero talmente convinta che sarebbe successo che avevo iniziato, in gran segreto da mia mamma e mio papà, a mettere da parte le cose che secondo me ci sarebbero servite per la nostra vita da sposati. Così alle volte facevo sparire un tovagliolo, altre una forchetta o un coltello, altre ancora un asciugamano che trovavo particolarmente carino. Mia madre, quando capitava, impazziva letteralmente nel cercare l'oggetto scomparso, rovistava nella spazzatura, buttava all'aria i cassetti, ma non ritrovava mai nulla. Al che mio padre partiva con la sua solita ramanzina dicendole che ormai era invecchiata, che non si ricordava mai dove metteva le cose e che se continuava di questo passo saremmo rimasti anche senza piatti e pentole!

    Quando succedeva, io sgattaiolavo silenziosamente in camera mia, per paura che uno sguardo potesse tradire la mia colpevolezza.

    Raccoglievo tutto in una scatola, ben nascosta da una coperta nel mio capanno nel palmeto, e ogni volta che prendevo qualcosa di nuovo lo mostravo tutta orgogliosa a Tiago, come se gli stessi mostrando un vero tesoro!

    La stagione che più mi piaceva era decisamente l'estate. Da dicembre a marzo il villaggio si riempiva di turisti e tutti gli abitanti si davano un gran da fare per racimolare qualche soldino in più. Io, essendo ancora piccola, non potevo fare molto. Ma capitava che trovassi qualche turista particolarmente generoso che mi chiedeva di accompagnarlo in qualche posto da visitare in cambio di pochi spiccioli.

    Così nel periodo di punta della stagione, io e Tiago gironzolavamo spesso per la piazza e le stradine principali, stando bene attenti a captare anche il minimo segnale di qualche turista in cerca di una guida. È vero, noi eravamo piccoli, e non di certo guide qualificate, ma conoscevamo il Morro come le nostre tasche e saremmo potuti arrivare alla praia do incanto o alla spiaggia di Gamboa ad occhi chiusi.

    I luoghi più richiesti in assoluto erano infatti questi. La praia do incanto era la spiaggia più bella e più isolata dell'isola. Ci si arrivava a piedi con una camminata di una ventina di minuti dalla piazza principale e molti, dopo aver provato le tre spiagge principali (la prima e la seconda molto turistiche e la terza decisamente più tranquilla) non vedevano l'ora di visitare la spiaggia incantata, il cui nome era veramente una garanzia. Appena vi si arrivava non si poteva non rimanere incantati. Davanti agli occhi due chilometri di spiaggia bianca finissima, alle spalle palme altissime si stagliavano nel cielo azzurro e di fronte il mare sempre calmo, perché riparato dalla baia. Nelle orecchie solo il rumore del mare e delle onde che lente si infrangevano sulla battigia. Tutto intorno solo pace e tranquillità.

    I turisti che decidevano, poi, di rimanere a pernottare nelle vicinanze, non avevano molta scelta. Infatti pochi erano gli hotels, più che altro piccole pousadas private, dove il proprietario affittava qualche camera in cambio di pochi soldi.

    La spiaggia di Gamboa era, senza ombra di dubbio, la mia preferita. Ci andavamo spesso io e Tiago. Quando la marea era bassa ci si poteva arrivare facilmente dal sentiero di fianco al molo con una mezz'ora di cammino. Il paesaggio che si incontrava lungo il tragitto era mozzafiato. Camminavamo lungo la costa, stando attenti a dove mettevamo i piedi. Ci fermavamo sempre al monte di

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