La via dell'oro
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La via dell'oro - Cataldo Simioli
Prologo:
Orfeo, il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, ebbe in dono dal dio Apollo un lira. Le muse gli insegnarono a usarla e divenne talmente abile che persino il torrente si fermava ad ascoltare. Ogni creatura amava Orfeo ma lui non aveva occhi che per Euridice, che divenne sua sposa. Anche Aristeo si innamorò di lei, spingendola a fuggire finché non mosse passo che calpestò un serpente. Irato questi la morse e per la prima volta il torrente si fermò per un motivo diverso dalla musica. Orfeo, impazzito dal dolore, decise di scendere nell’Ade per cercare di strapparla al regno dei morti. Convinse con la sua musica Caronte e addormentò Cerbero. Nessuno volle far torto a così bravo artista che giunse ai piedi di Ade e Persefone. Cominciò a suonare con così tanto dolore che gli dei degli inferi si commossero e le Erinni piansero; per la prima volta in quel posto si conobbe pietà. Concessero a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Ma durante il viaggio un sospetto si fece forte in lui, quello di tenere per mano un ombra e non Euridice. Dimenticando la promessa fatta, si voltò e questa svanì.
C’è stato un tempo in cui vedevo le persone muoversi per andare a riprendere un ideale di giustizia, in cui sarei sceso all’inferno per riprendere tutto ciò che avevo perso e, ora che all’inferno ci sono, è così dolce tenerle la mano per voltarsi e vedere che un ombra era davvero.
La vidi la prima volta mentre parlava con la morte. Non capii subito chi fosse quella donna, finché alla fine della nostra storia non fu tutto chiaro. Non fu l’unica cosa strana che la vidi fare nel corso della sua vita, ma fu la prima cosa che vidi.
"Non è in mezzo alle stelle che troverai un senso alle stelle, ma al di sopra di esse forse si.
Non è in mezzo a un lago, a una montagna o a un isola che capirai la forma che questi possiedono, ma al di sopra di questi forse lo capirai.
Non è in mezzo alla vita che troverai un senso alla vita, ma al di sopra di essa forse si.
Quando vorrai elevarti al di sopra di tutto, chiamami, forse non ti darò il senso che volevi, ma ti darò un senso. Le ali hanno due funzioni, in primo luogo possono metterti in cielo, nel posto che ti appartiene; in secondo luogo possono allontanarti dalla terra strappandoti da radici che sono catene. Un fiore sboccia perché il seme è finalmente riuscito ad elevarsi al di sopra della terra in cui era nato; sapeva già, quando era ancora lì, di dover salire verso l’alto, i suoi ricordi di seme contenevano già il profumo dell’aria. Il busto esce senza immaginare quello che gli succederà. Bacia l’aria, da la mano al sole, e i petali compaiono come dono di gratitudine".
Capitolo 1: scelte
Nel momento in cui ne avrai bisogno il mondo ti invierà dei segnali che ti mostreranno il percorso da seguire. Per questo è importante che tu impari a leggere il linguaggio del mondo
. Io stavo ancora imparando in quel periodo ed era la prima volta che mi avvicinavo al mondo del lavoro. Da questa prospettiva sono sempre stato fortunato. Non sono mai stato io a correre dietro i lavori ma sono sempre stati i lavori, in qualche modo, a trovare me. Ho sempre avuto la possibilità di guadagnare quel poco che mi bastava per vivere una vita dignitosa e ad avere un indipendenza parziale che mi permettesse di sostenere le mie spese private. Ricordo che all’inizio del mio primo anno da cameriere ero quasi felice di lavorare. Era tutta una novità per me, e le persone con cui lavoravo non mi davano grossi problemi. Fu poi il tempo a mostrarmi il vero aspetto delle persone e del lavoro. Non mi ci volle, infatti, troppo tempo per capire che un lavoro doveva avere dei requisiti per avere senso. Doveva esistere infatti un collegamento tra lavoro e lavoratore che permettesse il buon svolgimento e la buona coesistenza tra i due. Imparai che non ero nato per fare il cameriere, che trovare un lavoro soddisfacente
era difficile e che,spesso, le persone, si allontanano dai propri sogni e dalle proprie passioni per rimanere nella cerchia delle loro possibilità.
Il lavoro non tira fuori nessuna unicità
dalla maggior parte delle persone che lo svolgono. Non è questo il tipo di lavoro di cui abbiamo bisogno. Già da giovane, stava nascendo in me un idea di lavoro diversa, un idea che vedeva il lavoro come la metà mancante di ogni persona, un qualcosa che poteva completare un individuo e farlo sentire, utile si, ma soprattutto felice. Una volta lessi da un libro che la felicità nasce sempre gemella, ebbene io ero davvero convinto che l’altro fratello che non abbiamo mai conosciuto fosse il lavoro. Non sono sempre le persone a completarci. Alcune persone ci rendono grandi e ci fanno crescere più di un gigante. Ma è un lavoro, un contributo concreto che diamo agli altri, che ci riempie. Non è di vasi grandi che la terra ha bisogno, ma di vasi pieni. È solo grazie all’acqua, infondo, se crescono i fiori.
Devi tagliarti la barba
era la frase che più spesso mi sentivo dire, bisogna essere puliti quando si sta a contatto con le persone
. A me andava anche bene tagliarla, ma non mi andava giù che ad ordinarmelo fosse uno con i capelli lunghi e il barbone folto. Se vuoi tenere la barba devi curarla
, dicevano. Come se potessi metterla al caldo nel letto e portarle un tè.
Cercavo davvero di farmi andare bene il mondo. Ho sognato più volte di accontentarmi ed essere felice, di non fare nessuna questione e dire sempre si si con la testa, ma mi svegliavo sempre umano.
Nel lavoro successivo, invece, affiancavo un barman con uno stile tutto suo. Come me, anche lui spingeva e portava avanti uno stile che vedeva la barba come elemento essenziale per un uomo. Forse sarà che era giovane. Quello fu il primo lavoro che amai, non perché fosse quello che volevo fare nella vita, ma perché era quello che in quel momento mi serviva, che sentivo mi facesse crescere e apprendere qualcosa. Prima di passare dietro al bancone cominciai lavando i bicchieri. Come in ogni buona relazione, anche quella con i bicchieri cominciò con l’odio. Inizialmente mi sentivo bloccato, represso e ingabbiato in una stanza con uno straccio in mano che poteva bene rappresentare il mio stato d’animo. A farmi continuare furono i colleghi
. Mi suona strano chiamarli così. Non so se loro mi ritengano tale ma io li considero tutti grandi amici. Con le nostre liti interne sembravamo proprio una piccola famiglia come quelle dei telefilm americani. Quando la serata stava per finire ed i ritmi cominciavano a rallentare, Tonino, il mio primo insegnante di alchimia, correva a darmi un supporto morale, come solo un vero motivatore sa fare, urlandomi contro che io ero più forte dei bicchieri e che non dovevo perdere la sfida contro di loro. Trovai molto divertente quell’affermazione e ancora oggi a ripensarci rido. Sono gesti semplici ma che difficilmente si dimenticano. Come quella volta che mentre ero nel culmine del lavoro sentii il citofono bussare. Ho sempre odiato il rumore del citofono a lavoro perché voleva significare sempre la stessa cosa: