IL Tesoro de la Diosa: L'Anima del Tesoro
By Cesco Mosca
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IL Tesoro de la Diosa - Cesco Mosca
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IL TESORO DE LA DIOSA
(Il tesoro della dea)
L'ANIMA DEL TESORO
SECONDA EDIZIONE
Cesco Mosca
Indice dei contenuti
INTRODUZIONE
CAPITOLO PRIMO Conquistadores
CAPITOLO SECONDO Palermo spagnola
CAPITOLO TERZO L’enigma
CAPITOLO QUARTO Marta
CAPITOLO QUINTO San Matteo
CAPITOLO SESTO Il tesoro
CAPITOLO SETTIMO Il restauro della chiesa
CAPITOLO OTTAVO Venezia
CAPITOLO NONO Il viaggio
CAPITOLO DECIMO L’america del sud
NOTE DI TRADUZIONE DALLO SPAGNOLO E SICILIANO
INTRODUZIONE
La Sicilia rimase per circa duecento anni sotto il dominio spagnolo, fu il contrafforte dell’impero contro l’avanzata dei mori, guerre, epidemie e rivolte si susseguirono. Nello stesso periodo migliorarono i commerci, l’agricoltura e lo sviluppo urbano delle città, come tutte le civiltà gli spagnoli lasciarono delle testimonianze nella cultura, nei monumenti ma anche nella cucina e nel linguaggio. Risale a quegli anni la leggenda di un tesoro protetto da una forza soprannaturale, in una città dall’illustre passato, con splendidi monumenti ricchi di testimonianze storiche ed artistiche. Dopo quattro secoli un giovane appassionato d’arte, indaga sul mistero, nella sua città sonnolenta. E’ la prima delle avventure di Paolo un detective dell’arte che ama la buona cucina e le donne, studia con impegno il passato che crede possa offrire più possibilità del futuro, almeno nella sua Sicilia.
Seconda edizione della prima avventura L’Anima del Tesoro
di Paolo Tummino.
Ringrazio per la foto della copertina Maria Costanza Piraino.
Questa è un’opera di fantasia ogni riferimento a persone o cose è casuale.
Copyright © 2019 Cesco Mosca Tutti i diritti riservati
CAPITOLO PRIMO
C o n q u i s t a d o r e s
Le palme vicino alla spiaggia oscillavano dolcemente sospinte dal leggero vento dell’oceano, era una calda mattinata estiva del 1623 sull’isola di Hispaniola. Adorno Marquez guardava il mare e scuoteva il capo, si chiedeva se aveva fatto la scelta giusta a fidarsi del genovese, si girò verso Pedro Admir il capo dei suoi armigeri e gli chiese se le guardie erano a posto. Questi annuì dondolando il capo facendo oscillare l’elmo cesellato da cui non si separava mai. Le casse erano sui carri agganciate ai buoi che pigramente brucavano l’erba, le guardie erano attorno a sorvegliare, altre erano sedute all’ombra degli alberi dove erano legati i cavalli. I colori di quella terra erano intensi, esagerati, Il cielo azzurro, la terra verde, il mare mischiava i due colori in innumerevoli sfumature, eppure un solo colore era impresso nella mente di Adorno Marquez, il rosso, quello del sangue che aveva visto nei cinque anni trascorsi nelle indie occidentali. I suoi finanziatori spagnoli lo avevano inviato nel nuovo mondo a far fruttare le loro concessioni, senza avere troppi scrupoli. Gli indigeni che erano obbligati a lavorare nelle miniere si ammalavano e morivano a migliaia, non erano abituati a quel lavoro duro, erano agricoltori o cacciatori di piccola statura e costituzione gracile. I più forti e i guerrieri erano morti da tempo negli scontri con gli spagnoli o fuggiti nella jungla. Parecchi li aveva dovuti giustiziare per dare l’esempio agli altri, perché rubavano. La vena di argento era stata sfruttata completamente e quello era l’ultimo carico che partiva per la Spagna. Una spedizione era finita in mano ai pirati, per questo aveva deciso di fare tappa a Hispaniola e partire con la nave del genovese per cercare di evitare le spie, inoltre si diceva che questi marinai erano abilissimi nel governare la loro nave, tutti sapevano che trasportavano vettovaglie, piante, vino su e giù per gli oceani, anche se non disdegnavano il contrabbando. Il sole stava per tramontare, la vela comparve all’orizzonte, lasciava una scia scura sul mare appena increspato dalle onde, scivolava velocemente, anche se c’era un filo di vento. Pedro con voce roca gridò agli uomini di dirigersi verso la piccola banchina di legno che si vedeva sul promontorio. Adorno Marquez salì a cavallo e si mise alla testa di quella carovana, aveva preso tutte le precauzioni ma era teso sentiva la responsabilità di quella che era la più grossa spedizione di argento che faceva partire per la Spagna, rischiando la sua vita accompagnandola di persona. Avanzava verso il piccolo porto che aveva scelto per l’imbarco, la brezza che veniva dal mare si sentiva sulla pelle, era l’oceano, immenso che si stendeva davanti ai suoi occhi, così grande e insidioso.
Una piccola folla di persone percorreva nei due sensi l’angusta banchina che una volta era stata l’approdo dei pescatori indigeni, tutti fuggiti per non essere utilizzati nelle miniere. Alcuni caricavano e scaricavano sacchi di merce, altri cercavano di imbarcarsi come marinai, Adorno Marquez aveva proibito al comandante genovese di arruolare gente del luogo perché era ossessionato dalle spie dei pirati. Sulla banchina c’erano altre casse con prodotti agricoli che ufficialmente erano il carico autorizzato. La nave avrebbe viaggiato sprovvista di scorta e senza il funzionario del re, per non pagare il quinto di tassa sull’argento.
Adorno Marquez avrebbe preferito un maestoso galeone spagnolo con scorta, ma oltre al risparmio della tassa aveva qualcosa di più importante da portare segretamente in Europa.
La nave era una caravella di grandi dimensioni, il comandante Antonio Riva era un avventuriero genovese che era rimasto affascinato dalle gesta di Cristoforo Colombo, aveva capito che il futuro era fuori dal mare Mediterraneo e aveva navigato per mezzo mondo. La nave che comandava era di una piccola compagnia spagnola di cui lui era socio, trasportava di tutto, l’equipaggio era di diverse nazionalità, gente di carattere che Riva riusciva a dominare con furbizia e temperamento. La caravella fu condotta vicinissima al porto, poi ammainò le vele e due scialuppe la tirarono fino a portare le funi in banchina, Riva scese sorridendo e si avvicinò ad Adorno Marquez che aveva uno sguardo freddo ed impenetrabile.
Capitán Marquez, abbiamo fatto miracoli per arrivare in tempo, ad Havana per caricare e scaricare merci si perde molto tempo con i controlli dei funzionari del re
Lo spagnolo capì il riferimento ai funzionari, probabilmente Riva richiedeva un supplemento per il rischio di contrabbando.
Comandante ci siamo intesi a lungo sulle condizioni, prima caricate le casse poi il cacao, tabacco e rum, quella cassa dovrete sistemarla nel mio alloggio.
Pedro Admir seguiva le operazioni di carico, gli armigeri e i marinai portavano lentamente il carico nella stiva della nave, passando sulle assi traballanti appoggiate alla banchina. Una decina di guardie si sarebbe imbarcata con loro per tornare in Spagna, il resto ritornava a presidiare le concessioni minerarie.
La mattina dopo la nave salpava per la vecchia Europa, la giornata era bella e ventosa, la caravella sembrava volare sulle onde. Riva sul cassero impartiva ordini agli uomini su come spiegare le vele. Marquez nella sua cabina si assicurava che la sua cassa fosse ben fissata. Pedro Admir e suoi uomini erano sul ponte giocavano a carte e a turno montavano di guardia nella stiva.
Adorno Marquez salì sul ponte e si accostò a Pedro Admir.
Pedro dobbiamo tenere gli occhi aperti, le zone più pericolose sono vicino alla terraferma, l’isola di Tortuga è vicina, dobbiamo essere pronti a reagire in tempo, controlla che la bombarda sia efficiente.
Riva si avvicinò a loro con il suo solito sorriso:
Tranquilli signori, il tempo è favoloso, se continua così in meno di un mese arriveremo in Spagna.
Marquez si girò verso di lui.
Non è il tempo che ci preoccupa comandante.
Riva sembrava sicuro di se, rise fragorosamente.
Voi forse vi riferite ai pirati, ma di solito non attaccano chi trasporta tabacco.
Il sole scendeva pigramente verso l’orizzonte, il cuoco distribuiva agli uomini lo stufato, Marquez non aveva mangiato si era sdraiato nella cuccetta, era teso, non vedeva l’ora che si allontanassero dalle coste caraibiche.
Pedro continuava a scrutare il mare, ormai era l’imbrunire, la sua attenzione fu attirata da una piccola macchia bianca, chiamò Riva.
Comandante quella vela ad ovest, ho la sensazione che si diriga verso di noi.
Riva prese il cannocchiale e scrutò con attenzione.
E’ troppo lontana per capire che intenzioni ha, fra mezz’ora farà buio e capirò.
Pedro lo guardò senza capire, mandò una guardia a chiamare Marquez. Arrivò trafelato prese il suo cannocchiale, guardava il mare, ma riusciva a vedere ben poco, le tenebre salivano dal mare ed avvolgevano tutto, nel cielo senza luna si cominciavano ad intravedere i piccoli punti luminosi delle stelle, spazientito gridò:
"Antonio Riva, dove si