La musica riempe i silenzi
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Anteprima del libro
La musica riempe i silenzi - Martina Ronzani
lei.
1.
«Com’è andato il provino?», sentii la voce della mia coinquilina attraverso la porta. Doveva aver sentito il mio arrivo, trovandola all’ingresso quando riuscii ad entrare.
Cassandra era fatta così, era un urgano di eccitazione e gioia, il quale ti riusciva a donare entusiasmo, anche quando neanche sforzandoti riuscivi ad averne.
Il provino si era svolto in una piccola stanza di un ufficio di Manhattan, dove da consuetudine gli addetti alle audizioni erano seduti dietro una scrivania piena di fogli e tu dovevi stare davanti a loro e recitare le tue battute, sperando di non apparire troppo impedita.
La mia performance non era stata idilliaca, me ne ero resa conto da sola, ma si trattava della parte più piccola di tutto lo show ed era l’unica musicista. Cassie era riuscita a convincermi grazie a quel particolare.
«Allora, come è andato?»
«Lo saprò se riceverò da loro una telefonata.»
Non volevo realmente che mi richiamassero, pensando che se lo meritassero molto di più tutte le altre che si erano presentate.
Mi ero domandata tutta la mattina, anche dopo averlo fatto, perché mi fossi recata in quel posto se non volevo stare lì.
Cassandra ed io avevamo discusso spesso del fatto che non volessi fare provini e lei invece mi spingesse a farli. Non voleva certo che diventassi un’attrice o mi limitassi a scrivere e cantare canzonette, ma sosteneva che tutti i più grandi cantanti al mondo fossero partiti da qualche parte e che anche io dovessi fare altrettanto.
In quel modo mi aveva convinta ad iniziare a fare provini per delle pubblicità bisognose di una canzone che vendesse bene il loro prodotto. Ogni marchio famoso aveva il proprio slogan e così anche coloro che famosi volevano diventarlo, cercavano qualcuno che potesse dargli una mano.
Successivamente mi aveva convinta a fare provini per piccole parti in alcune sit-com ed era per quello che avevo sostenuto un’audizione quel giorno.
«Quanta gente era presente?»
«La stessa quantità che si presenta ad ogni provino.».
Non esisteva un totale preciso di persone che quotidianamente facevano provini. Non sempre rimanevo a guardare quanta gente fosse presente, essendo troppo intenta a ripassare la parte.
«Che impressioni hai avuto?».
«I provinatori sbadigliano già dopo la terza persona, i provinanti si torturano le mani dall’ansia e alla fine di tutto, metà parte l’hai ricordata alla perfezione e l’altra l’hai totalmente inventata.».
Cassie, soprannome datole da me durante l’infanzia, il mondo dello spettacolo lo conosceva meglio. Era figlia di un noto presentatore della televisione e di un’attrice di Hollywood, la quale l’aveva abbandonata, per inseguire il sogno di apparire sul grande schermo. Di lei, Cassandra aveva molto, a partire dalla passione per la recitazione. Era cresciuta nell’ambiente dello show business e sapeva quali erano le regole per diventare qualcuno, conosceva alla perfezione quale peso corporeo dovevi avere e quale taglio di capelli era preferito dai potenti.
Tutto girava sull’immagine e sul saper intrattenere il maggior numero di persone possibili.
Molte persone erano entrate a far parte di quel mondo, negli ultimi anni, grazie al numero elevato di seguaci che avevano sui social network e questo dimostrava che importava saper vendere. Non importava il talento vero e proprio della persona, bensì il saper scendere a compromessi. La regola numero uno era che se riuscivi a muovere le masse, quello era il tuo punto di forza. Il compromesso da fare era il riuscire a farsi seguire da molte persone, in cambio di diventare finalmente chi si voleva essere.
Cassie partecipava spesso a delle feste dove potevi incontrare persone di ogni tipo e di alto rango, tuttavia più la pregavo di portarmi con lei, più lei portava qualcun altro.
A volte le avevo anche chiesto di fare il mio nome, se a qualche festa fosse servito qualcuno che cantasse dal vivo, ma non avevo mai ricevuto una proposta di lavoro di quel genere.
Mi ero limitata ad andare a scuola e migliorare le mie doti con la musica, sia nel canto che nel suonare strumenti. Una volta laureata ad una scuola d’arte, avevo iniziato a fare domanda nei pub per cantare, ed avevo ottenuto degli ingaggi, piuttosto scarsi e troppo poco pagati per coprire le spese.
Questo mi fece ricordare che quella sera avevo un altro lavoro poco retribuito e che mi dovevo sbrigare perché il locale si trovava dalla parte opposta a dove abitavo e ci sarebbe voluta quasi un’ora per arrivare.
Lasciai la conversazione a metà, senza dare risposta, e mi chiusi nella mia stanza da letto.
La casa nella quale abitavamo aveva quattro stanze da letto, tre bagni, un salotto ed una cucina. L’appartamento apparteneva alla mia famiglia da generazioni. Era stato acquistato dal mio bisnonno e vi aveva abitato con sua moglie fino alla sua dipartita. Dopo di loro era toccato al nonno ereditarlo, essendo l’unico figlio. Ora che il nonno era morto e così anche suo figlio, ovvero mio padre, l’appartamento era di mia proprietà e la nonna me lo aveva lasciato volentieri quando si era trasferita fuori città per trascorrere lì la sua vecchiaia.
La sua stanza era inutilizzata e non l’avevo affittata a nessuno, perché la tenevo libera per lei quando veniva a trovarmi.
Accanto a quella camera, c’era la mia che era la classica stanza più lunga che larga e così ci entrava soltanto un letto singolo e un piccolo armadio.
Fortunatamente non ero una donna appassionata di scarpe e vestiti, per questo ne possedevo pochi e l’armadio non faceva fatica a chiudersi.
Il nonno in qualche modo viveva ancora con noi attraverso Amleto, il suo gatto che, essendo anziano d’età, non faceva altro che poltrire tutto il giorno.
Un mese dopo il trasferimento della nonna, accolsi in casa la mia amica Cassandra, la quale aveva bisogno di un posto dove stare che fosse vicino all’università.
Ci conoscevamo da quando eravamo bambine. Il primo giorno di elementari mi venne incontro, mi abbracciò e mi sussurrò all’orecchio che, da quel giorno, saremmo state migliore amiche per sempre. Così era stato.
Fummo separate due anni dopo, quando suo padre le cambiò scuola, ma rimanemmo in contatto e non ci staccammo più.
Lei e il padre divennero amici di famiglia e come tali ci diedero tutto l’appoggio di cui necessitavamo dopo la morte dei miei genitori.
Tornammo a frequentare la stessa scuola al liceo e fu la mia salvezza.
Dovevo prepararmi per la serata e mi chiusi in bagno per fare una lunga doccia riflessiva.
Mentre l’acqua scorreva sulla mia testa e lungo tutto il mio corpo, pensai a dove fossi arrivata e cosa stessi facendo nella e della mia vita.
Dovevo volevo arrivare lo sapevo, ma perché ci impiegavo tanto? Cosa mi bloccava? Perché avevo iniziato a lavorare duro soltanto nell’ultimo periodo?
Per anni non avevo fatto altro che dire di voler cantare, e avevo composto delle canzoni, studiato tanto, ma non avevo mai concretamente fatto qualcosa.
Ero davvero una di quelle persone che diceva di avere molte ambizioni, ma poi si rivelava essere soltanto una grande chiacchierona? Era probabile che lo fossi stata fino a qualche anno prima, ma realizzai come fossi cambiata e avessi capito cosa dovessi realmente fare per diventare chi volevo essere.
Uscii dal bagno e mi preparai, uscendo successivamente di casa senza asciugare i capelli.
Ero uscita così in fretta che Cassandra aveva avuto il tempo di dirmi soltanto ‘così ti prenderai un raffreddore’, per il bagnato sulla testa che non portava a nulla di buono. Mi sembrò di sentire la nonna, ricordando in quel modo di essere recidiva e abitudinaria, nel tenere i capelli sempre bagnati.
La metro era affollata e mi divertiva osservare le persone, mentre ascoltavo della musica con le cuffie alle orecchie.
I piccoli gesti potevano dire molto di una persona, più di quanto potessero dirlo le parole.
C’era una signora con la spesa e la divisa da infermiera, cosa che mi fece subito pensare al fatto che avesse staccato dal lavoro ed essendo una madre di famiglia, stesse tornando da loro per la cena.
La metro corse veloce e in poco tempo fui al pub, arrivando prima del previsto.
«Sei in anticipo», la voce di Evelyn era inconfondibile.
«E questo è male perché?», risposi io sarcasticamente.
«In realtà non è male, ma stanno ancora provando che l’audio vada bene, e così speravo tu arrivassi più tardi, in modo da non dover aspettare che loro finiscano ciò che stanno facendo.», disse guardando scocciata i tecnici del suono.
«Non sono di aiuto perché di suono me ne intendo solo se si tratta di accordare una chitarra e di non stonare durante la canzone, perciò resterò qui al bancone, ordinerò un drink e sceglierò dal mio repertorio quali canzoni cantare. Quante vuoi che ne faccia?». Nel mentre, mi avvicinai al bancone del bar.
«C’è una pausa di mezz’ora alle dieci e poi si ricomincia fino a mezzanotte, quindi essendo in tre ad esibirvi stasera, fatevi il conto e decidete chi inizia, chi finisce e quante lunghe le vostre canzoni dovranno essere per fare in modo che tutti abbiano le stesse ore per cantare.»
«Abbiamo due ore e mezza come facciamo a dividercele in tre?»
«Matematica, Sybil, matematica».
In matematica non ero mai andata bene,