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Jaska e Pelù
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Jaska e Pelù

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Jaska è la cagnolina della signora Cesira, l’affittacamere di Rocco Tripodi, professore di matematica, di origine calabrese, presso un liceo di Milano. A causa della cattiva salute in cui versa la signora Cesira, Rocco decise di occuparsi del lupetto biondo Jaska e la porta tutti i giorni nel parco sotto casa, dove spesso incontra Pelù, il labrador dal pelo giallo della violinista Betty Harris, con il quale ha stretto una grande amicizia. Gli incontri tra Jaska e Pelù hanno contribuito a far nascere una relazione d’amore tra Betty e Rocco. Con il passare del tempo la loro amicizia si trasforma in amore, dopo una serie infinita di vicende in cui è coinvolto Rocco, uomo di bell’aspetto e che piace molto alle donne, ma lui s’innamora perdutamente di Betty. Durante la loro convivenza Betty rimane incinta e i suoi genitori le consigliano di far nascere il bambino a Londra. Alla fine dell’anno scolastico, Betty invita Rocco a seguirla in Inghilterra e lui scopre che la sua famiglia è straricca e vivono in una lussuosissima villa nella sterminata periferia di Londra. Dopo alcune vicende vissute dalla coppia, decidono di sposarsi e quando nasce la figlia Camilla, Rocco lascia definitivamente Milano e si trasferisce a Londra.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 9, 2019
ISBN9788831652131
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    Jaska e Pelù - Giuseppe Leotta

    in­fo@you­can­print.it

    CAPITOLO I

    Roc­co era ar­ri­va­to all’ae­ro­por­to di Li­na­te nel­le pri­me ore del mat­ti­no e ad aspet­tar­lo c’era un suo ami­co di vec­chia da­ta, da an­ni tra­sfe­ri­to­si a Mi­la­no per mo­ti­vi di la­vo­ro dal­la lon­ta­na Ca­la­bria ed esat­ta­men­te da un pae­si­no si­tua­to sul­la co­sta io­ni­ca, mol­to vi­ci­no a Reg­gio Ca­la­bria.

    Sa­sà fa­ce­va avan­ti e in­die­tro da­van­ti al­la por­ta scor­re­vo­le che si apri­va e si chiu­de­va tut­te le vol­te che un pas­seg­ge­ro usci­va dal ter­mi­na­le d’ar­ri­vo dell’ae­ro­por­to. Era im­pa­zien­te, per­ché ave­va chie­sto un per­mes­so di la­vo­ro pro­prio per an­da­re in­con­tro al suo ami­co d’in­fan­zia, che per la pri­ma vol­ta in vi­ta sua ve­ni­va a Mi­la­no, an­ch’egli per mo­ti­vi di la­vo­ro. Sa­sà non ve­de­va l’ora che Roc­co si ma­te­ria­liz­zas­se die­tro quel­la por­ta scor­re­vo­le, con il suo ba­ga­glio, pron­to per es­se­re ac­com­pa­gna­to nel­la scuo­la che lo ave­va con­vo­ca­to per una sup­plen­za, co­me do­cen­te di ma­te­ma­ti­ca. Esat­ta­men­te ven­ti­quat­tro ore pri­ma, Roc­co ave­va ri­ce­vu­to una te­le­fo­na­ta e con­tem­po­ra­nea­men­te una mail sul­la sua po­sta elet­tro­ni­ca da par­te del­la se­gre­te­ria di un li­ceo mi­la­ne­se, il qua­le gli ave­va­no pro­spet­ta­to la pos­si­bi­li­tà di un con­trat­to a tem­po de­ter­mi­na­to per una sup­plen­za su po­sto va­can­te.  C’era quin­di la rea­le pos­si­bi­li­tà che quel­la sup­plen­za aves­se una du­ra­ta ab­ba­stan­za lun­ga, ta­le da ga­ran­tir­gli la con­ti­nui­tà la­vo­ra­ti­va per l’in­te­ro an­no sco­la­sti­co ap­pe­na in­co­min­cia­to.

    Era la pri­ma vol­ta che var­ca­va il por­to­ne d’in­gres­so di una scuo­la con l’in­ca­ri­co di do­cen­te an­zi­ché co­me stu­den­te ed era par­ti­co­lar­men­te emo­zio­na­to, ma era an­che mol­to te­so e pen­sie­ro­so per tut­to ciò che sta­va per af­fron­ta­re, do­ven­do ge­sti­re la pro­pria vi­ta lon­ta­no di ca­sa e dal­la sua fa­mi­glia, in una cit­tà che non co­no­sce­va per nien­te. Non ap­pe­na ri­ce­vu­ta la con­vo­ca­zio­ne per te­le­fo­no da par­te del­la se­gre­te­ria del­la scuo­la, per la con­ten­tez­za si mi­se a fa­re sal­ti di gio­ia. Sen­za pen­sar­ci due vol­te, ac­cet­tò la nuo­va sfi­da che gli era sta­ta pro­spet­ta­ta. A me­tà gior­na­ta, quan­do tut­ta la fa­mi­glia era riu­ni­ta a ta­vo­la per pran­za­re, ri­vol­gen­do­si a sua ma­dre e a suo pa­dre, dis­se in mo­do de­ci­so: <>. Sua ma­dre pen­sò che stes­se scher­zan­do, co­me spes­so fa­ce­va l’ul­ti­mo dei tre fi­gli, ma Roc­co si fe­ce se­rio e spie­gò ai suoi ge­ni­to­ri co­me sta­va­no esat­ta­men­te le co­se. <>, dis­se Roc­co. <>, gli do­man­dò suo pa­dre, an­co­ra in­cre­du­lo.

    <>, dis­se Roc­co. <>, gli do­man­dò sua ma­dre. <>. <>, le chie­se sua ma­dre dub­bio­sa. <>, le ri­spo­se Roc­co, usan­do un to­no scher­zo­so. <>, dis­se Roc­co. <>, dis­se suo pa­dre sen­za pen­sar­ci due vol­te. <>, dis­se sua ma­dre, la­scian­do in­tra­ve­de­re un po’ di tri­stez­za nel­le sue pa­ro­le. <>, dis­se suo pa­dre, <>. <>, gli do­man­dò sua ma­dre, <>.

    <>, ri­spo­se Roc­co. <>, dis­se suo pa­dre. <<È ve­ro, Sa­sà era an­che tuo ami­co!>>, gli ri­cor­dò la sua mam­ma, <>, dis­se sua ma­dre. <>, dis­se suo pa­dre. Que­sta no­vi­tà mi­se in mo­to tut­ta la fa­mi­glia, pron­ta a da­re una ma­no per il be­ne del fi­glio. Roc­co si mi­se a cer­ca­re un vo­lo che da Reg­gio Ca­la­bria lo por­tas­se a Mi­la­no e lo cer­cò uti­liz­zan­do i si­ti che ci so­no su in­ter­net, sce­glien­do quel­lo più con­ve­nien­te e che an­das­se be­ne per il suo sco­po. Ne tro­vò uno che par­ti­va pro­prio all’al­ba, ma che co­mun­que ar­ri­va­va a Mi­la­no do­po le ot­to, ma lui do­ve­va es­se­re a scuo­la per quell’ora. Que­sto era un pro­ble­ma e al­lo­ra chia­mò la se­gre­te­ria del­la scuo­la per av­ver­tir­li che sa­reb­be ar­ri­va­to con qual­che ora di ri­tar­do, per­ché im­pos­si­bi­li­ta­to ad ar­ri­va­re pri­ma del­le ot­to. La se­gre­ta­ria che ha ri­spo­sto al te­le­fo­no gli dis­se:<>. Roc­co fu col­to di sor­pre­sa da quel­la do­man­da e ri­spo­se: <>. La se­gre­ta­ria gli dis­se di at­ten­de­re un mo­men­to al te­le­fo­no, poi do­po qual­che mi­nu­to, du­ran­te il qua­le Roc­co sen­ti­va la don­na par­la­re con qual­cu­no che si tro­va­va vi­ci­no a lei, gli dis­se: <>. <>, ri­spo­se Roc­co, <>, ag­giun­se al­la fi­ne. In­tan­to, sua ma­dre era usci­ta di ca­sa per an­da­re a bus­sa­re al­la por­ta del­la fa­mi­glia Al­ba­ne­se, per tro­va­re il mo­do di met­ter­si in con­tat­to con il fi­glio Sa­sà, che da an­ni or­mai vi­ve­va a Mi­la­no, do­ve la­vo­ra­va co­me po­sti­no, quin­di, chi me­glio di lui po­te­va dar­gli una ma­no per muo­ver­si in cit­tà. In ca­sa c’era la si­gno­ra Al­ba­ne­se, ma­dre di Sa­sà, la qua­le ac­col­se la ma­dre di Roc­co con mol­ta cor­dia­li­tà, ma an­che sor­pre­sa per quell’ina­spet­ta­ta vi­si­ta; le due fa­mi­glie si co­no­sce­va­no be­ne, per­ché tut­ti in pae­se si co­no­sce­va­no, ma non si fre­quen­ta­va­no abi­tual­men­te. I fi­gli, in­ve­ce, era­no sta­ti com­pa­gni di scuo­la e di gio­co, ma co­me ca­pi­ta spes­so, le lo­ro vi­te si era­no di­vi­se, quan­do Roc­co ave­va de­ci­so di iscri­ver­si e fre­quen­ta­re l’uni­ver­si­tà di Mes­si­na, pres­so la fa­col­tà di Ma­te­ma­ti­ca, di cui era par­ti­co­lar­men­te af­fa­sci­na­to, ol­tre ad es­se­re mol­to por­ta­to per il cal­co­lo e l’astrat­tez­za del­la ma­te­ria. Sa­sà in­ve­ce si mi­se su­bi­to a cer­ca­re la­vo­ro e a spe­di­re do­man­de in ogni par­te d’Ita­lia e in tut­ti i set­to­ri do­ve ave­va una cer­ta pre­di­spo­si­zio­ne. Do­po al­cu­ni an­ni di sa­no va­ga­bon­dag­gio in pae­se, era riu­sci­to a far­si as­su­me­re al­le po­ste, ma ha do­vu­to la­scia­re il suo pae­se e la sua re­gio­ne, per fi­ni­re a Mi­la­no. <>, dis­se la mam­ma di Roc­co, ri­vol­gen­do­si al­la ma­dre di Sa­sà, che in­tan­to si era af­fac­cia­ta dal bal­co­ne di ca­sa sua. <>, ri­spo­se la pa­dro­na di ca­sa Ma­ria Pao­la. Do­po qual­che mi­nu­to si sen­tì lo scat­to del­la ser­ra­tu­ra del por­to­ne d’in­gres­so che era sta­to aper­to. La si­gno­ra Ma­ri­sa en­trò chie­den­do per­mes­so e in ci­ma al­le sca­le c’era la si­gno­ra Ma­ria Pao­la che la in­vi­ta­va a sa­li­re le sca­le per ac­co­mo­dar­si in ca­sa.  Men­tre la mam­ma di Roc­co an­da­va su per le sca­le, la si­gno­ra Ma­ria Pao­la, le chie­se: <<È suc­ces­so qual­co­sa? Co­me mai que­sta vi­si­ta?>>. <>. <>, ri­spo­se la si­gno­ra Ma­ria Pao­la. <>, ag­giun­se la mam­ma di Sa­sà. <>, dis­se la si­gno­ra Ma­ri­sa. <>, ri­spo­se la si­gno­ra Ma­ria Pao­la, <>. <>, ri­spo­se la si­gno­ra Ma­ri­sa. <>, dis­se la si­gno­ra Ma­ria Pao­la, <>, ag­giun­se e se ne an­dò al­la ri­cer­ca di quel­lo che le ser­vi­va. Po­co do­po ri­tor­nò con un fo­gliet­to di car­ta con il nu­me­ro di Sa­sà già scrit­to so­pra. <>, dis­se la mam­ma di Sa­sà. <>. La si­gno­ra Ma­ri­sa al­lo­ra si con­ge­dò da Ma­ria Pao­la, ma­dre di Sa­sà e co­min­ciò a scen­de­re le sca­le per tor­nar­se­ne a ca­sa, ma la si­gno­ra Ma­ria Pao­la le dis­se: <>. <>, ri­spo­se la si­gno­ra Ma­ri­sa. <>, ri­spo­se la si­gno­ra Ma­ria Pao­la. Le due don­ne si ri­sa­lu­ta­ro­no en­tram­be sod­di­sfat­te: la mam­ma di Roc­co ave­va ot­te­nu­to il nu­me­ro di te­le­fo­no di Sa­sà e sua ma­dre ave­va la pos­si­bi­li­tà di ri­for­ni­re il fi­glio del­le clas­si­che pre­li­ba­tez­ze ca­la­bre­si. In­tan­to il pa­pà di Roc­co ave­va fat­to il pie­no al­la sua au­to, pron­ta per ac­com­pa­gna­re il fi­glio all’ae­ro­por­to di Reg­gio Ca­la­bria la mat­ti­na pre­sto del gior­no do­po.

    An­che se gli do­le­va il cuo­re stac­car­si dal fi­glio Roc­co per un tem­po che sa­reb­be po­tu­to di­ven­ta­re lun­go, era fe­li­ce per lui, per­ché co­min­cia­va a in­tra­ve­de­re un po’ di fu­tu­ro an­che per quel fi­glio­lo che al con­tra­rio de­gli al­tri due, ave­va de­ci­so di stu­dia­re e lau­rear­si al­la fa­col­tà di Ma­te­ma­ti­ca. Roc­co, in­tan­to si sta­va pre­pa­ran­do la va­li­gia. La riem­pì di ve­sti­ti e di­ver­si cam­bi del­la sua bian­che­ria in­ti­ma e men­tre la pre­pa­ra­va, di­scor­re­va con la ma­dre, la qua­le, sul let­to del­la sua stan­za, pie­ga­va con cu­ra ogni in­du­men­to. <>, le di­ce­va Roc­co al­la ma­dre. <>, gli au­gu­rò sua ma­dre; <>.

    <>, dis­se Roc­co, or­mai pro­iet­ta­to ver­so un ra­di­ca­le cam­bia­men­to del­la sua vi­ta. A tar­da se­ra suo­nò il cam­pa­nel­lo al­la por­ta del­la fa­mi­glia Tri­po­di; era la si­gno­ra Ma­ria Pao­la, con il pac­chet­to da por­ta­re al fi­glio Sa­sà. Non era mol­to gran­de, ma nem­me­no pic­co­lo, che con­te­ne­va, a suo di­re, sa­la­me pic­can­te, un ca­po­col­lo, una bel­la fet­ta di for­mag­gio di pe­co­ra e qual­che ba­rat­to­lo di bian­chet­ti sot­to­lio e pe­pe­ron­ci­no. <>, di­ce­va con fie­rez­za la si­gno­ra Ma­ria Pao­la. Co­mun­que, il pac­chet­to che ha por­ta­to la si­gno­ra Ma­ria Pao­la non sa­reb­be mai en­tra­to in una va­li­gia già riem­pi­ta con i ve­sti­ti di Roc­co, al­lo­ra lui an­dò al­la ri­cer­ca di un bor­so­ne che po­tes­se con­te­ner­lo e che fos­se fa­cil­men­te tra­spor­ta­bi­le. Ne tro­vò uno che an­da­va be­ne e lo pog­giò ac­can­to al­la sua va­li­gia. Tut­to era pron­to per la par­ten­za e il fra­tel­lo e la so­rel­la di Roc­co, più gran­di di lui, era­no ve­nu­ti a sa­lu­tar­lo, in­sie­me al­la mo­glie e al ma­ri­to, ac­com­pa­gna­ti dai lo­ro fi­gli. Quel­la se­ra i ge­ni­to­ri di Roc­co ave­va­no or­ga­niz­za­to una ce­na spe­cia­le in suo ono­re, tut­to ci­bo ge­nui­no e fat­to in ca­sa, ma dif­fi­cil­men­te di­ge­ri­bi­le. Tut­to quel­lo che di­vo­ra­ro­no, fu ac­com­pa­gna­to da di­ver­se bot­ti­glie di vi­no lo­ca­le ad al­ta gra­da­zio­ne al­co­li­ca. Per tut­ta la not­te Roc­co non po­té chiu­de­re oc­chio per di­ver­si mo­ti­vi, pri­mo fra tut­ti, la dif­fi­ci­le di­ge­stio­ne di tut­to il ci­bo e l’al­col in­ge­ri­to a ce­na, ma poi c’era an­che l’emo­zio­ne del­la par­ten­za per Mi­la­no. Chis­sà co­me sa­rà la mia vi­ta da do­ma­ni?, si chie­de­va men­tre ten­ta­va di dor­mi­re per l’ul­ti­ma not­te nel suo let­to di ca­sa. An­co­ra do­ve­va par­ti­re e già sta­va pen­san­do al suo ri­tor­no a ca­sa per un pe­rio­do di va­can­za. C’è da di­re, che Roc­co a par­te i suoi fa­mi­glia­ri, non ave­va al­tri le­ga­mi in pae­se, es­sen­do sem­pre sta­to un ti­po piut­to­sto tran­quil­lo fi­no al­lo­ra, cui pia­ce­va ap­par­tar­si per chiu­der­si nel suo mon­do fat­to di nu­me­ri e di equa­zio­ni di dif­fi­ci­le so­lu­zio­ne. Se per un ver­so, la ma­te­ma­ti­ca lo ave­va ele­va­to cul­tu­ral­men­te ri­spet­to al­la me­dia de­gli ami­ci che fre­quen­ta­va in pae­se, per al­tri aspet­ti, le in­co­gni­te del­la ma­te­ma­ti­ca lo ave­va­no con­di­zio­na­to e re­so un po’ chiu­so in se stes­so, con un’in­co­mu­ni­ca­bi­li­tà cre­scen­te, an­che nei con­fron­ti dell’al­tro ses­so.

    Do­po una not­ta­tac­cia pas­sa­ta con gli oc­chi sbar­ra­ti a guar­da­re il sof­fit­to, quan­do ar­ri­vò l’ora di par­ti­re, suo pa­dre bus­sò al­la por­ta del­la sua ca­me­ra e sen­za aprir­la gli gri­dò: <>. Man­ca­va­no tre ore al­la par­ten­za da Reg­gio Ca­la­bria e per suo pa­dre sta­va già per­den­do l’ae­reo. An­che se non ave­va dor­mi­to tut­ta la not­te, la mat­ti­na del­la par­ten­za, Roc­co era in pre­da all’agi­ta­zio­ne e quin­di fe­ce tut­to quel­lo che do­ve­va fa­re, cioè, doc­cia, co­la­zio­ne e ul­ti­mi pre­pa­ra­ti­vi, sen­za per­de­re tem­po, sen­za far­si so­praf­fa­re dai suoi pen­sie­ri ne­ga­ti­vi e sen­za cer­ca­re ri­spo­ste a tut­te le do­man­de che gli era­no pas­sa­te per la men­te du­ran­te tut­ta la not­te. Sa­lu­tò la ma­dre pian­gen­te e su­bi­to sa­lì in au­to con suo pa­dre al­la gui­da, per non far­si tra­vol­ge­re dall’emo­zio­ne che la par­ten­za per il nord gli sta­va pro­vo­can­do. Do­po qua­si due ore di vo­lo, il suo ae­reo era at­ter­ra­to sul­la pi­sta dell’ae­ro­por­to di Li­na­te e il suo ami­co e pae­sa­no Sa­sà lo sta­va at­ten­den­do all’usci­ta di quel­la por­ta scor­re­vo­le, che si apri­va e si chiu­de­va ogni vol­ta che un pas­seg­ge­ro la at­tra­ver­sa­va. Si aprì an­che quan­do Roc­co sta­va per usci­re, do­po ave­re at­te­so che gli fos­se con­se­gna­ta la va­li­gia im­bar­ca­ta. Non ap­pe­na at­tra­ver­sò la por­ta, cer­cò l’uni­co vol­to a lui fa­mi­lia­re, quel­lo di Sa­sà. Lo vi­de su­bi­to tra fol­la di chi era in at­te­sa de­gli ami­ci o dei pa­ren­ti in ar­ri­vo e un sor­ri­so il­lu­mi­nò il vol­to di en­tram­bi. Si strin­se­ro in un ab­brac­cio e su­bi­to si so­no di­ret­ti ver­so l’usci­ta dell’ae­ro­por­to. <>, gli dis­se Sa­sà, <>. <>, gli dis­se Roc­co. <>, gli chie­se Sa­sà. <>, gli co­min­ciò a di­re Sa­sà. <>. <>, dis­se Roc­co.  <>, gli ri­spo­se Sa­sà. <>, dis­se Roc­co. <>, gli dis­se Sa­sà. <>, ri­spo­se Roc­co. <>, gli dis­se Sa­sà per tran­quil­liz­zar­lo. <>, gli ri­spo­se Roc­co. <>, gli chie­se Sa­sà. <>, gli do­man­dò Roc­co.

    <>, gli chie­se Sa­sà. <>, ri­spo­se Roc­co. <>, gli dis­se Sa­sà. <>, ri­spo­se con tran­quil­li­tà Roc­co. Poi Roc­co con­ti­nuò la sua ri­fles­sio­ne su quell’ar­go­men­to, di­cen­do: <>. In­tan­to era­no ar­ri­va­ti a de­sti­na­zio­ne. Sa­sà si fer­mò con la sua au­to pro­prio da­van­ti al por­to­ne d’in­gres­so del­la scuo­la che ave­va con­vo­ca­to Roc­co. <>, dis­se Sa­sà.  

    <>.

    <>, ri­spo­se Sa­sà. Roc­co sce­se dall’au­to e Sa­sà se ne an­dò via qua­si all’istan­te. Roc­co die­de uno sguar­do al gran­de edi­fi­cio sco­la­sti­co che ave­va da­van­ti a se e fe­ce un bel re­spi­ro pro­fon­do.                                                                            

    CAPITOLO II

    Roc­co var­cò il gran­de por­to­ne del­la scuo­la e su­bi­to fu av­vi­ci­na­to da un’ope­ra­tri­ce, la qua­le, do­po aver­lo sa­lu­ta­to, gli chie­se: <>. <>, le ri­spo­se Roc­co. <>, gli dis­se la don­na, in­di­can­do­gli con la ma­no la di­re­zio­ne che do­ve­va se­gui­re; <>. <>, dis­se Roc­co e si av­viò. Quan­do ar­ri­vò in se­gre­te­ria, fu qua­si as­sa­li­to da una del­le im­pie­ga­te: <>. <>, ri­spo­se Roc­co. <>. <>, dis­se Roc­co. <>, dis­se la se­gre­ta­ria dell’uf­fi­cio. Roc­co uscì dal­la se­gre­te­ria e an­dò ver­so un gab­biot­to, do­ve c’era­no due col­la­bo­ra­tri­ci sco­la­sti­che che par­la­va­no tra lo­ro. Si pre­sen­tò di­cen­do: <>. <>, gli chie­se una del­le due. <>. <>. Roc­co si mi­se su­bi­to in mo­vi­men­to, se­guen­do il per­cor­so che gli era sta­to in­di­ca­to; quan­do fu al pia­no su­pe­rio­re, ca­pì su­bi­to qua­le po­te­va es­se­re la ter­za B, per­ché vi­de che mol­ti stu­den­ti era­no fuo­ri nel cor­ri­do­io, te­nu­ti a ba­da da un’al­tra col­la­bo­ra­tri­ce del pia­no. Que­sta, quan­do lui si av­vi­ci­nò, gli chie­se:<<È lei che de­ve fa­re la sup­plen­za in que­sta clas­se?>>. <>, ri­spo­se Roc­co. <>, dis­se la col­la­bo­ra­tri­ce sco­la­sti­ca ri­vol­gen­do­si di­ret­ta­men­te a lo­ro. Tut­ti i ra­gaz­zi co­min­cia­ro­no a en­tra­re in au­la, ru­mo­ro­sa­men­te e qua­si con di­sap­pun­to. Quan­do an­che Roc­co en­trò in au­la e si tro­vò vi­ci­no al­la cat­te­dra, con gli alun­ni an­co­ra non del tut­to tran­quil­li, si do­man­dò: Ora che co­sa fac­cio?. Co­min­ciò a pen­sa­re a tut­to quel­lo che ave­va af­fron­ta­to da quan­do ave­va la­scia­to il let­to di ca­sa nel suo pae­se in Ca­la­bria, al­le due ore di vo­lo, al suo ami­co Sa­sà, che lo ave­va ac­com­pa­gna­to fin sot­to la scuo­la, al­la se­gre­ta­ria che lo ave­va su­bi­to ca­ta­pul­ta­to in un'au­la di un li­ceo scien­ti­fi­co mi­la­ne­se, ed era so­lo all’ini­zio del­la gior­na­ta.  In se­gre­te­ria non gli ave­va­no det­to nem­me­no se quel­la clas­se fos­se una di quel­le che gli avreb­be­ro as­se­gna­to per tut­to l’an­no o se lo ave­va­no spe­di­to là so­la­men­te per due ore di sup­plen­za. Gli sem­brò che l’or­ga­niz­za­zio­ne sco­la­sti­ca fos­se la­scia­ta all’im­prov­vi­sa­zio­ne. Do­po que­sto ve­lo­ce pen­sie­ro che gli ave­va at­tra­ver­sa­to la men­te, bat­té una ma­no sul­la cat­te­dra, per at­ti­ra­re l’at­ten­zio­ne dei ra­gaz­zi che con­ti­nua­va­no a non smet­ter­la di ru­mo­reg­gia­re. <>, dis­se Roc­co, ri­vol­gen­do­si a tut­ti gli alun­ni. Uno de­gli stu­den­ti fe­ce su­bi­to una do­man­da: <>. <>, ri­spo­se Roc­co. <>, ag­giun­se Roc­co. Lo stu­den­te che ave­va po­sto la do­man­da, gli ri­spo­se di­cen­do: <>. <>, chie­se Roc­co.

    <>, dis­se un al­tro ra­gaz­zo. <>, do­man­dò an­co­ra un al­tro ra­gaz­zo. <>, ri­spo­se Roc­co, <>. <>, dis­se un al­tro dei ra­gaz­zi più vi­va­ci. <>, do­man­dò Roc­co al ra­gaz­zo che ave­va par­la­to per ul­ti­mo. <>, gli ri­spo­se il gio­va­ne stu­den­te, il qua­le ave­va chia­re sem­bian­ze me­ri­dio­na­li. <>, ri­spo­se Roc­co. <>. Le ore pas­sa­ro­no in fret­ta e quan­do si pre­sen­tò il do­cen­te dell’ora suc­ces­si­va, Roc­co uscì dall’au­la e ri­tor­nò nel­la se­gre­te­ria del per­so­na­le. C’è vo­lu­to qua­si un’ora per adem­pie­re a tut­ti gli ob­bli­ghi bu­ro­cra­ti­ci e a fir­ma­re un bel mal­lop­po di fo­gli e di di­chia­ra­zio­ni scrit­te e au­to­cer­ti­fi­ca­zio­ni fir­ma­te a ter­go. Gli fu­ro­no co­mu­ni­ca­te le clas­si e gli for­ni­ro­no i pro­gram­mi mi­ni­ste­ria­li del­la ma­te­ria per ogni sin­go­la clas­se. Un col­la­bo­ra­to­re del vi­ce­pre­si­de gli die­de l’ora­rio prov­vi­so­rio del­le le­zio­ni, dal qua­le sco­prì che per quel gior­no non ave­va più ore di le­zio­ne e non era an­co­ra mez­zo­gior­no. An­dò in fon­do a un lun­go cor­ri­do­io, vi­ci­no a del­le gran­di fi­ne­stre, per te­le­fo­na­re a ca­sa con il suo cel­lu­la­re. Gli ri­spo­se sua ma­dre, già in an­sia per­ché non ave­va avu­to no­ti­zie del fi­glio per qua­si tut­ta la mat­ti­na­ta, ma Roc­co le spie­gò ogni co­sa, an­che per tran­quil­liz­zar­la. Pri­ma di usci­re dal­la scuo­la, do­man­dò a una del­le col­la­bo­ra­tri­ci se all’in­ter­no dell’edi­fi­cio ci fos­se un bar.

    La don­na gli dis­se che c’era an­che la men­sa, se vo­le­va usu­fruir­ne. Pen­sò di es­se­re for­tu­na­to per es­se­re sta­to chia­ma­to in quel­la scuo­la, dov’era an­che pos­si­bi­le pran­za­re o pren­der­si un caf­fè espres­so al bar. Ne ap­pro­fit­tò su­bi­to, an­dan­do in men­sa per con­su­ma­re un pic­co­lo pa­sto, pri­ma di in­cam­mi­nar­si per rag­giun­ge­re l’abi­ta­zio­ne di Sa­sà. Pur es­sen­do set­tem­bre inol­tra­to, fa­ce­va an­co­ra mol­to cal­do e al­lo­ra ne ap­pro­fit­tò per ri­po­sar­si un po’ in una pan­chi­na di un gran­de par­co non mol­to di­stan­te dal­la scuo­la. Roc­co era se­re­no, ma qual­che pre­oc­cu­pa­zio­ne l’ave­va, no­no­stan­te aves­se il si­cu­ro ap­pog­gio del suo ami­co Sa­sà, per­ché non vo­le­va dar­gli fa­sti­dio o stra­vol­ge­re la sua esi­sten­za, an­che se per un gior­no o due, co­me spe­ra­va lui stes­so. Gli ven­ne da pen­sa­re che for­se sa­reb­be sta­to me­glio se in­ve­ce di cer­ca­re Sa­sà, fos­se an­da­to a dor­mi­re in al­ber­go per quel­la pri­ma not­te, ma poi pen­sò che la pri­ma se­ra pas­sa­ta a Mi­la­no non sa­reb­be ri­ma­sto da so­lo, sen­za nes­su­no con cui par­la­re. Dal­la pan­chi­na dov’era se­du­to, vi­de a cir­ca cin­quan­ta me­tri un’edi­co­la, si­tua­ta in un chio­sco al mar­gi­ne del par­co e sul mar­cia­pie­de di una stra­da mol­to traf­fi­ca­ta. De­ci­se di an­da­re a com­pra­re un gior­na­le di in­ser­zio­ni per chi è in cer­ca di una ca­sa in af­fit­to. Il gior­na­la­io gli con­si­gliò il gior­na­le Se­con­da­ma­no, dov’era pos­si­bi­le ci fos­se­ro pub­bli­ca­te il ti­po di in­ser­zio­ni che in­te­res­sa­va­no a lui. Poi si ri­cor­dò quel­lo che gli ave­va det­to Sa­sà, di an­da­re a guar­da­re le in­ser­zio­ni nell’atrio dell’uni­ver­si­tà, si­tua­ta nel­le vi­ci­nan­ze. Ol­tre al gior­na­le com­prò una car­ti­na stra­da­le, che fos­se d’aiu­to per muo­ver­si in cit­tà. Non ci mi­se mol­to a sco­pri­re do­ve si tro­va­va e quan­to di­stan­te fos­se l’uni­ver­si­tà che gli ave­va sug­ge­ri­to Sa­sà. Ci an­dò e quan­do la pre­sen­za de­gli stu­den­ti di­ven­tò più vi­si­bi­le, do­man­dò a uno di lo­ro, do­ve si tro­va­va la ba­che­ca con af­fis­si le in­ser­zio­ni che ri­guar­da­va­no gli af­fit­ti di ca­se o di po­sti let­to. La ba­che­ca era stra­col­ma di fo­gliet­ti e nu­me­ri di te­le­fo­no, tut­ti at­tac­ca­ti con le pun­ti­ne. Roc­co si mi­se a guar­da­re at­ten­ta­men­te tut­te le in­ser­zio­ni e con mol­ta pa­zien­za; quan­do tro­va­va qual­che co­sa d’in­te­res­san­te, pren­de­va no­ta del nu­me­ro di te­le­fo­no e lo tra­scri­ve­va in un pic­co­lo block notes. Do­po ave­re guar­da­to tut­to quel­lo che era af­fis­so in ba­che­ca, la­sciò l’uni­ver­si­tà e a pie­di si di­res­se ver­so l’in­di­riz­zo dell’abi­ta­zio­ne di Sa­sà, che ave­va cer­ca­to sul­la car­ti­na e an­che con l’aiu­to di Goo­gle Maps sul suo cel­lu­la­re. Non era mol­to di­stan­te dall’uni­ver­si­tà e al­lo­ra cer­cò di pas­sa­re an­co­ra un po’ di tem­po in un par­co che era lì vi­ci­no. Quel­la vis­su­ta da Roc­co, ar­ri­van­do a Mi­la­no, era sta­ta una gior­na­ta mol­to par­ti­co­la­re, per­ché an­che se con­ti­nua­va a pen­sa­re che il suo ami­co Sa­sà fos­se un pun­to di ri­fe­ri­men­to im­por­tan­te, a me­tà po­me­rig­gio co­min­ciò a sen­tir­si co­me un sen­za tet­to e la stan­chez­za co­min­cia­va a far­si sen­ti­re. Si mi­se a se­de­re nuo­va­men­te in una pan­chi­na del par­co e chia­mò al te­le­fo­no Sa­sà. <>, dis­se Roc­co, quan­do l’al­tro ri­spo­se. <>, gli do­man­dò Sa­sà. <>, gli ri­spo­se Roc­co. <>, gli dis­se Sa­sà, <>. <>, gli ri­spo­se Roc­co. <>, gli dis­se Sa­sà. <>, ri­spo­se Roc­co. Mez­zo­ra do­po Roc­co ar­ri­vò a ca­sa di Sa­sà. Il pa­dro­ne di ca­sa gli mo­strò la sua stan­za e tut­te le par­ti co­mu­ni, che con­di­vi­de­va con gli al­tri due coin­qui­li­ni, che in quel mo­men­to non era­no in ca­sa.

    <>, gli do­man­dò Sa­sà. <>, dis­se Roc­co. <>, gli do­man­dò Sa­sà. <>, gli dis­se Roc­co. <>, dis­se Sa­sà. <>, pro­po­se Roc­co. <>, chie­se Sa­sà. <>, ri­spo­se Roc­co. Poi dis­se: <>. Sa­sà tro­vò la pro­po­sta di Roc­co, una buo­na oc­ca­sio­ne per ri­ma­ne­re a par­la­re an­co­ra in­sie­me e rac­con­tar­si le no­vi­tà del lo­ro re­cen­te pas­sa­to. Fe­ce­ro una doc­cia e si ri­ve­sti­ro­no per usci­re. Sa­sà pro­po­se di fa­re un gi­ro in cen­tro, per mo­stra­re a Roc­co le bel­lez­ze di Mi­la­no; fa­re quat­tro pas­si, pri­ma di an­da­re in piz­ze­ria, co­sì co­me ave­va pro­po­sto Roc­co. Poi­ché Sa­sà abi­ta­va in un ap­par­ta­men­to mol­to vi­ci­no a una fer­ma­ta del­la me­tro­po­li­ta­na, de­ci­se­ro di muo­ver­si con quel­la, an­zi­ché uti­liz­zan­do l’au­to. Mez­zo­ra do­po, ar­ri­va­ro­no al­la fer­ma­ta del­la me­tro­po­li­ta­na di piaz­za Duo­mo e sa­len­do le sca­le che li avreb­be­ro nuo­va­men­te ri­por­ta­ti in su­per­fi­cie, Roc­co po­té ap­prez­za­re l’im­po­nen­za go­ti­ca del Duo­mo, an­co­ra il­lu­mi­na­to dal so­le ros­so del tra­mon­to. Ar­ri­va­ro­no nel­la piaz­za e Roc­co fe­ce una fo­to con il suo cel­lu­la­re al­la fac­cia­ta del Duo­mo e su­bi­to glie­la spe­dì a sua ma­dre. Poi ha vo­lu­to che Sa­sà glie­ne fa­ces­se una a lui, con il Duo­mo al­le spal­le. An­che que­sta se­con­da fo­to la spe­dì su­bi­to a sua ma­dre. Poi chie­se­ro a un pas­san­te che gli scat­tas­se una fo­to in­sie­me all’ami­co Sa­sà. An­che que­sta la spe­dì a sua ma­dre. Roc­co era esta­sia­to e fe­li­ce di tro­var­si nel cuo­re del­la cit­tà, di quel­la Mi­la­no che tan­te vol­te ave­va de­si­de­ra­to di an­da­re a vi­si­ta­re, ma che non era mai riu­sci­to a fa­re per mil­le mo­ti­vi. Roc­co e Sa­sà pas­seg­gia­ro­no in lun­go e in lar­go per le vie del cen­tro, fi­no a quan­do de­ci­se­ro che era ar­ri­va­ta l’ora di ce­na­re. Sod­di­sfat­ti per quel­la lun­ga pas­seg­gia­ta, du­ran­te la qua­le ave­va­no par­la­to a lun­go, rac­con­tan­do­si ciò che gli era ac­ca­du­to du­ran­te tut­ti que­gli an­ni che non si era­no più fre­quen­ta­ti. <>, gli chie­se Sa­sà. <>, ri­spo­se Roc­co; <>. <>, dis­se Sa­sà. <>, chie­se Roc­co. <>,

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