Il corniciaio
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Il corniciaio - Enrico Santarelli
dato.
1
Ero confuso per ciò che riguardava alcuni comportamenti delle persone che mi circondavano: la frenesia dei movimenti, l’isteria delle risate e l’irritabilità delle espressioni. Ero solo un ragazzo che si trovava davanti ad uno spettacolo di vita reale, dove ognuno agisce in base all’istinto e alla quotidianità. La curiosità che m’invadeva era quasi mistica, come lo sconcerto che mi suscitavano diversi atteggiamenti di esseri umani sempre più simili a scimmie furiose.
Da poco tempo avevo intrapreso un lavoro come commesso tutto fare in un negozio di cornici.
La paga non era male e lavoravo dalle dieci del mattino finno alle sette di sera, per cinque giorni alla settimana. Trovai per caso l’annuncio in un bar vicino alla piazza della città:
"CERCASI APPRENDISTA
CORNICIAIO".
Voi magari vi chiederete come e perché decisi di andare a sentire di cosa si trattasse. Il motivo fu semplicissimo. Mio padre era un'artista e da piccolo spesso mi portava con sé a fare incorniciare i suoi quadri ed ogni volta che entravo in quel negozio ero affascinato dall’odore che c’era al suo interno. Un odore misto di carta, trementina, sughero e legno. Poi il fascino del tagliacarte mi rapiva.
Mio padre infatti, mentre parlava con il commesso, mi lasciava davanti questa grande macchina color verde bottiglia con chiazze di ruggine. Questa aveva una leva lunga tanto quanto il piano di lavoro a cui era affiancata e, dalla parte opposta dell'impugnatura, c'era un peso per controbilanciarla.
Prendendo dei piccoli fogli, li mettevo sul piano e dopo aver alzato la leva, li tagliavo abbassandola. Ripetevo quella cosa su tutti i pezzi di fogli avanzati che il commesso mi metteva a disposizione sapendo che ero un appassionato di quella intagliatrice. Pazzia? Ero solo un bambino.
Altre volte entravo e m’incantavo sulle cornici dorate. Alcune erano così grandi da far sì che il mio pensiero andasse subito alle dimensioni del quadro, pensando a cosa mai potesse rappresentare per essere circondato da tale magnificenza. A mio padre chiedevo come si potesse dipingere un quadro così gigantesco e lui rispondeva che ne avrei visti anche di più grandi nei musei.
L’arte mi piaceva. Quando osservavo mio padre dipingere ero come in trance. Mi domandavo come fosse possibile che la sua mano riuscisse a delineare un viso o una bocca. Da un foglio o da una tela bianca, a poco a poco realizzava un capolavoro, come fosse una magia. All’inizio solo un tratto di matita, poi il particolare, la rifinitura e, come per incanto, quasi prendeva vita una persona, un albero, una montagna. Guardavo mio padre con ammirazione. Mi incantavo ad osservare la sua precisione, la sua meticolosità, la sua serietà, il suo sguardo attento.
L’odore che c’era nel suo studio era buonissimo. Un profumo di colori ad olio, misto al fumo della sua pipa e alla sua colonia, si spargevano nello studio e ti restavano nelle narici.
A volte anche io provavo a disegnare, ma i risultati non erano gli stessi e mi arrabbiavo. Lui mi spronava sempre a tentare e ritentare e io provavo e riprovavo.
Diciamo, quindi, che uno dei motivi che mi portarono ad entrare e a chiedere informazioni su quel lavoro, fu l'insieme di quei ricordi. Forse perché sentivo quel calore che avevo provato da piccolo, quando sedevo vicino a lui.
I soldi che guadagnavo mi permettevano di mantenermi all’università. Avevo sempre cercato di cavarmela da solo perché non ritenevo giusto chiedere denaro ai miei genitori.
Il titolare era simpatico e all’inizio mi spiegava il lavoro seguendomi con cura, chiudendo un occhio sui miei errori, ma dopo due settimane circa ero autosufficiente.
2
A fine aprile compivo il mio ventiquattresimo anno di età. La primavera era arrivata da un pezzo e già si sentivano i primi calori solari sulla pelle.
Di solito mi alzavo alle nove, ma quel giorno avevo pensato di uscire in anticipo così da poter fare una passeggiata in città, prima di andare a lavoro. La mattina, infatti, alle otto la radio sveglia si accese sulle note di "Reign Over Me", versione cantata dai Pearl Jam. Mentre il cantante Eddie Vedder dava sfogo alla voce:
"...only love
can bring the rain
that makes you yearn
into the sky..."
"…solo l’amore
può portare la pioggia
che ti fa desiderare
il cielo…"
Decisi di alzarmi dal letto.
Il piede caldo sul pavimento freddo mi procurò una scossa da brivido che arrivò fino ai capelli, destandomi definitivamente dal torpore del letto.
«Brrr… freddino! Prossima casa con il parquet!»
Infilando le ciabatte mi trascinai letteralmente fuori dalla camera da letto e, una volta arrivato in corridoio, socchiusi gli occhi infastidito dalla luce che proveniva dalle finestre. Ebbi la stessa reazione di un vampiro colpito dal sole.
Eddie in camera urlava il suo ritornello a pieni polmoni:
"Loveee!
Reign over meee!"
"L’amoreeee!
Regna su di meee!"
Entrando in bagno andai subito sotto la doccia.
L'acqua sgorgava tiepidamente dopo averla regolata con cura, dandomi per un attimo la sensazione di essere nella SPA di un villaggio vacanze. Nel momento di massimo relax, mi venne in mente un’immagine sognata durante la notte. Avevo sognato una specie di riflettore acceso che puntava verso una grotta situata su di un promontorio a picco sul mare. Nonostante la luce fosse fortissima, non riuscivo a vedere cosa ci fosse al suo interno. Solo questo ricordavo.
Subito dopo pensai ad alta voce:
«Mai una bella donna, eh?»
Dopo circa dieci minuti avevo finito di fare la doccia e una volta asciugato, tornai in camera per vestirmi.
Il mio stomaco brontolava per la fame e appena indossato un jeans e una maglietta andai dritto in cucina per preparare la colazione.
Da anni mi ostinavo a mangiare sempre le solite due fette biscottate con la marmellata ai frutti di bosco e un caffè, nulla di più nulla di meno, ormai era diventato quasi un rito.
A volte, aggiungevo la variante succo di frutta rigorosamente ACE (arancia, carota e limone) e in quel caso voleva dire che era un periodo quasi rivoluzionario.
Finito il mio rituale forse da psicopatico, mi lavai i denti, indossai la giacca e uscii di casa.
Il mio appartamento era situato ad un chilometro dal centro della città, in un condominio pieno di famiglie e gente anziana in cui a stento mi salutavano. Era un bilocale al secondo piano con balconcino, tutto sommato un paradiso di casa per un single.
Chiusa la porta del palazzo alle spalle, ero in strada e mi incamminai.
Erano le nove del mattino, le previsioni meteo ottime, con cielo limpido e temperatura ideale. Il sole era talmente splendente da illuminare anche la parte più buia e remota della città.
Lungo la strada c’era un’edicola che esponeva le locandine fuori con i titoli principali dei quotidiani, a cui diedi un’occhiata rapida:
TUNNEL IN COSTRUZIONE A RISCHIO CROLLI, MANCA LA CORRENTE E I LAVORATORI RIMANGONO AL BUIO
ELEZIONI REGIONALI
CALCIO SCOMMESSE, CI RISIAMO
Ripresi il mio cammino appena letto l’ultimo titolo.
La sensazione di essere in primavera insieme alla spensieratezza data da una mattinata frizzante, mi facevano