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Rovina: Saga Arcangelo, #2
Rovina: Saga Arcangelo, #2
Rovina: Saga Arcangelo, #2
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Rovina: Saga Arcangelo, #2

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About this ebook

Lilith ha scoperto di essere una strega e che il suo elemento è il fuoco. Aiutata dai suoi nuovi compagni che hanno i poteri della terra, dell’acqua e del vento dovrà affrontare le malvagie strigi che vogliono la sua perdizione e la sua rovina, anche se in realtà dietro di loro si celano i terribili Elohim, i nove angeli che sfidarono Dio e che sono stati esiliati nell’inframondo. In questa battaglia tra il Paradiso e l’Inferno, Lilith scoprirà di avere nuovi e inaspettati alleati come il luminoso Uriel e il misterioso Iago, ma anche il sinistro bibliotecario Zabulón. Coinvolgente, travolgente ed entusiasmante, questo romanzo è il seguito della saga Arcangelo, piena di stregoneria, romance e azione. Perfetta per i fan di Streghe, The Secret Circle e Supernatural: provare per credere!

LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2019
ISBN9781393096832
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    Rovina - Joseph R. Meister

    UNO

    Quella notte gli incubi non mi diedero tregua. Eppure, non era il solito sogno angosciante e sempre uguale. Era diverso. Questa volta il fuoco che mi circondava non bruciava, non mi faceva tossire né boccheggiare in preda alla fame d'aria. Le fiamme danzavano intorno a me, gioiose; erano calde e protettive, portavano la luce in un pozzo di tenebre. Nel mio sogno potei vedere Uriel sporco di sangue e con il terrore negli occhi. Accanto a lui, disteso a terra e gravemente ferito, c'era Iago. Contratto per il dolore sul nero lago formato dal suo stesso sangue, stringeva ancora in mano la katana, spezzata a metà. Gridai fino a perdere la voce, ma nessuno mi sentì. Le fiamme si stringevano intorno a me come uno scudo protettivo e l'eco delle mie urla si rifletteva su di esse. Avrei voluto correre verso di loro, ma qualcosa mi tratteneva e m'impediva di avanzare. Un'oscurità viva e palpabile si precipitò su entrambi, fluttuando. Il fuoco si estinse e mi svegliai.

    Domenica, esausta e indolenzita, decisi di dedicare la giornata a riposare, a meditare e a pensare a tutto ciò che mi era successo ultimamente dando una svolta alla mia vita, prima anodina e rutinaria e ora preda del caos più assoluto. Elisa e Gabriel avrebbero trascorso la giornata fuori e avevo la casa tutta per me. Dopo essermi allungata sul divano di velluto con in mano un libro, le cui pagine si rifiutavano di girare, pensai a Saray che non si era lasciata intimorire dal demone che pochi istanti prima la stava baciando e a cui aveva dovuto lanciare in faccia una fialetta d’acqua benedetta per riuscire a fuggire, e non contenta aveva fermato la pioggia per evitare che il livello dell’acqua salisse a riempire il vecchio lago artificiale, cosa che avrebbe condannato a morte certa molti dei partecipanti alla festa; ad Anna, che ci aveva guidati alla caverna e aveva usato la magnetite per affrontare tre creature diaboliche mandate dagli Elohim, ansiosi di privarci della vita; a Victor, che malgrado la sua avversione per la violenza non aveva esitato neanche un attimo prima di dare battaglia al potente demone che lanciava sfere di fuoco, pensando anche a chiudere il circolo per metterci in salvo al suo interno, disposto a sacrificare la vita per noi.

    Pensai anche a Iago, al suo dolore e ai suoi segreti, al suo modo di impugnare la spada contro gli esseri oscuri che ci davano la caccia, alla freddezza dei suoi occhi burrascosi quando gli avevo parlato di Mila e al suo silenzio, che mi aveva fatto addirittura più male del suo rifiuto.

    In ultimo pensai ad Uriel, al mistero che avvolgeva quel ragazzo silenzioso, tenero, dolce oltre ogni termine di paragone terreno, che alla fine si era rivelato. Perché per me era così difficile accettarlo? Perché ammettevo senza problemi di essere una strega, di poter controllare il fuoco, l’esistenza dei demoni che cercavano di fuggire dall’abisso mentre facevo così fatica ad ammettere la possibilità dell’esistenza di Dio e dei suoi angeli?

    La ragione era molto semplice.

    Ammettendo che Uriel fosse un angelo di natura divina, avrei dovuto accettare come diretta conseguenza che fosse fuori dalla mia portata, e che i sentimenti nati dentro di me fossero destinati a prosciugarsi ed estinguersi prima ancora di fiorire; che il mio amore non sarebbe mai stato ricambiato.

    Era possibile amare due persone alla volta? E se la paura, il fatto di sentirmi indifesa e la solitudine mi avessero accecato? In ogni caso non valeva la pena di continuare a rimuginare. Prima avevo perso Iago che si rifiutava di dimenticare il suo passato, e poi avevo perso Uriel, con cui non avevo un futuro.

    Sospirai, esalai tutta l’aria che avevo nei polmoni nel tentativo di alleggerire il peso delle emozioni che sentivo gravare sul petto e allontanai i pensieri negativi. Avrei dovuto essere forte e lasciarmi tutto alle spalle. Se avessi voluto continuare a vivere, avrei dovuto imitare l’atteggiamento, la determinazione e la forza di volontà dei miei compagni. Avrei dovuto controllare e padroneggiare i miei poteri, imparare ad usarli e non esitare mai.

    In fondo, ero una strega.

    Avrei studiato, mi sarei esercitata, avrei imparato. Avrei smesso di avere paura, di appoggiarmi sugli altri, di rimanere passiva e paralizzata dal terrore mentre i miei amici mettevano a rischio le loro vite e si sforzavano di proteggermi. Era ormai vicino il giorno in cui le strigi, i demoni e gli stessi Elohim avrebbero imparato a temermi.

    Il lunedì successivo, al nostro rientro a scuola, tutto era cambiato. Uriel non mi stava aspettando in cortile per augurarmi il buongiorno con uno dei suoi sorrisi, e non era nemmeno in classe. Iago arrivò in ritardo e si sedette accanto a me senza dire una parola, più freddo e distante che mai. Dal banco che condivideva con Alice, Mila si girò per regalarmi uno sguardo viperino mentre i suoi occhi esultavano, tradendo una gioia appena contenuta. Nel suo angolino, lontana da tutti, Suzie si leccava i baffi come un gatto che si è appena mangiato un grosso topo. Diede uno sguardo alla sedia vuota di Uriel e si strinse nelle spalle con aria falsamente afflitta.

    Stai bene, Lilith? mi chiese Victor telepaticamente.

    , gli risposi automaticamente. Dobbiamo parlare.

    La mattinata trascorse normalmente tra letture obbligatorie, commento dei testi e difficili operazioni matematiche tra le quali mi persi completamente.

    Ricordavo appena come eravamo usciti dalla caverna, non prima che Zabulón scrutasse il terreno con quei suoi strani occhi e stabilisse che era libero e che non correvamo pericoli inoltrandoci nella notte; ancora meno ricordavo come fossimo ritornati alla festa, dove nessuno aveva notato niente di strano. Uriel si era asciugato le lacrime ed era sparito senza salutare; come Iago, che si era allontanato con Mila e Alice. Gli amici di Saray ci avevano riaccompagnato a casa in auto. Non ricordavo più neanche il momento in cui il vitriolico Zabulón, alla fine, aveva cessato di proferire invettive ed era sparito in una folata di fumo nero.

    Al suono della campanella che dava inizio all’intervallo del pranzo, riposi frettolosamente la mia roba nello zaino e mi alzai.

    «Aspetta, Lilith.» Anche Iago si era alzato e mi guardava con quei suoi occhi blu tempesta. La sua voce era vellutata, come una carezza.

    «Non posso» gli dissi, «ho fretta.» Non so proprio come riuscii a resistere al suo magnetismo perché tutto il mio corpo era attratto da lui, come se Iago fosse il sole intorno al quale ero costretta a rimanere in orbita.

    Gli diedi le spalle ed uscii dall’aula con Victor. Anna e Saray ci aspettavano fuori.

    «Facciamo in fretta, se vogliamo trovare un tavolo libero al bar» disse Anna, recisa, «fa troppo freddo per rimanere seduti su una panchina in cortile.»

    «E se andassimo in un posto più tranquillo?» le chiese Victor come per caso. «Dovremmo parlare di certe… cose.»

    «E chi vuoi che abbia voglia di ascoltarvi?» Proprio in quel momento Alice e Mila stavano passando di fianco a noi, dopo essere uscite dalla classe. Mila si girò e aggiunse sprezzante: «Perdenti.»

    Un attimo dopo, fu la volta di Suzie di uscire dall’aula. Sentì Mila che ci insultava e scoppiò a ridere fragorosamente.

    «E tu che cos’hai da ridere?» la sfidò Saray. «Non sarà forse perché con tutto quel trucco sembri un pagliaccio?» Il riso sparì di colpo dalle labbra di Suzie, che adesso si storcevano in una smorfia dettata dall’odio.

    «Sparisci» le ordinò Anna, con un’implicita minaccia scolpita negli occhi scuri.

    Suzie serrò i pugni con forza ma non proferì parola e si allontanò lungo il corridoio, sulla scia di Mila e Alice.

    «Lui viene con noi?» chiese Saray.

    Mi girai e vidi che Iago era lì e ci osservava indeciso; non osava neanche fare un passo nella nostra direzione. Quella sua indecisione, come tante altre volte era successo, mi spinse a parlare al suo posto.

    «No» risposi a voce alta, in modo che sentisse, «avrà sicuramente qualcosa di meglio da fare.»

    E mi avviai lungo il corridoio senza voltarmi indietro. Essere così dura con lui mi costava uno sforzo immenso: era un atteggiamento in aperto contrasto con i miei sentimenti ma non potevo accettare che Iago non si fidasse di me, che continuasse a celare i suoi segreti anche dopo aver condiviso i nostri.

    «Bisticcio tra innamorati?» sussurrò Saray accanto a me. Giurerei che non avesse mosso le labbra. Alle sue molte virtù, tra le quali spiccava il sarcasmo, bisognava ora aggiungere il ventrilòquio.

    «Taci!» grugnii. Subito dopo, un cestino metallico fissato alla parete del corridoio cominciò a fumare.

    Saray prese la sempiterna bottiglietta piena d’acqua che non l’abbandonava mai e la svuotò dentro il cestino. Si udì un leggero crepitio.

    «Attenzione» disse non senza una certa dose d’ironia, «la nostra Lilith sprizza fumo da tutti i pori.»

    Non potei continuare a tenere il broncio. Saray era capace di strappare un sorriso a chiunque, se lo voleva, anche se la maggior parte delle sue battute erano sardoniche e pungenti.

    Uscimmo in cortile: era vuoto, spento e senza vita a causa dell’assenza di Uriel, nonché coperto da un cielo plumbeo e deprimente. Da lì, una volta in strada, ci mettemmo in cerca di un locale che non fosse pieno zeppo di studenti, sperando di poter parlare con tranquillità.

    «Perderemo la prossima ora» ci fece notare Victor.

    «Che tragedia!» esclamò Anna fingendo sconforto. «Chissà se potrò mai riprendermi.»

    Arrivati davanti ad una caffetteria chiamata Dolce Vita, provammo ad entrare. Un paio di tavolini erano occupati ma il soppalco, fornito di divanetti e tavolini bassi, era deserto: e così ci sistemammo lì, dopo aver ordinato la colazione per tutti. Il colore delle pareti, rosso intenso, l’illuminazione scarsa proveniente da alcune candele accese dentro lanterne in stile marocchino e il discreto sottofondo musicale chill out contribuivano a creare un’atmosfera di rilassante intimità.

    Il cameriere arrivò con il vassoio carico, distribuì tazze e brioche e se ne andò silenziosamente.

    «Carino questo posto» dissi, tanto per rompere il ghiaccio.

    «Veniamo qui, ogni tanto…» cominciò Victor.

    «Va bene, Lilith» lo interruppe Anna, «allora puoi dirci cosa succede?»

    «Da dove vuoi che cominci?» chiese Saray con ironia. «Questa cosa ci è sfuggita di mano. Era divertente essere una strega. Avere poteri soprannaturali e tutto il resto. Ma adesso è diventato un incubo.»

    «Voglio…» avevo iniziato con il piede sbagliato. «Cioè, mi piacerebbe studiare il grimorio, mi piacerebbe imparare, vorrei saper usare i miei poteri come fate voi. Non voglio rimanere per sempre una bambina spaventata che si nasconde dietro i suoi amici quando la situazione precipita.»

    «Esercitarsi sarebbe importante» asserì Victor, gli occhi vivaci che brillavano per l’emozione «nonché mettere in pratica la sapienza contenuta nel grimorio. Ho scoperto cose interessanti. Ma prima dobbiamo avere con noi le gemme. Dovrebbero potenziare le nostre abilità ed è evidente che ne abbiamo un gran bisogno.»

    «Questo pomeriggio devo andare in gioielleria a ritirarle.» Anna fece cenno di sì con la testa. «Domani stesso potremo cominciare ad esercitarci con il loro aiuto. Victor ci insegnerà, vero?»

    «Certo» confermò l’interpellato. Poi fece una pausa per mettere in ordine le idee. «Eppure, Zabulón aveva ragione almeno in una cosa. Siamo stati goffi e imprudenti. Abbiamo investito tutte le nostre energie in un unico attacco disperdendole senza alcun controllo, avrebbe potuto rivelarsi un errore fatale.»

    «Il bibliotecario ci ha già fatto questo discorsetto» sbottò Saray infastidita. «Mi sa che cominci a parlare come lui.»

    «Io credo che sia un ragionamento molto sensato» opinai prudentemente.

    «Ad esempio» continuò Victor, incurante della reticenza di Saray come del pericoloso silenzio di Anna, «quello che ha fatto Saray al cimitero raccogliendo la pioggia e scagliandola come un’onda contro i demoni è

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