Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Inciampi
Inciampi
Inciampi
Ebook254 pages4 hours

Inciampi

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Inciampi è un libro particolare, costituito da racconti che mescolano emozioni, riflessioni, situazioni paradossali o di assoluta quotidianità, il tutto condito con il pizzico letterario di un Gian Marco Griffi in grande spolvero. E così, tra un sogno in cui il protagonista è un sidecar e l'incontro con un tasso moribondo, tra le paturnie scatenate da un improvviso terremoto e i problemi causati dai cartelli stradali del Monferrato, l'autore riesce a descrivere un mondo strano e bizzarro, ma al contempo più normale di quanto non si pensi. In queste pagine dense e capricciose c'è un po' di tutto e un po' di tutti noi, divagando tra alluci valghi, cartoline sdrucite, soldati assonnati, insetti russi da ammazzare, riviste improbabili e poetiche, case abbandonate e case da arredare, per giungere, infine, a un concerto di Umberto Tozzi.
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2019
ISBN9788868512514
Inciampi

Related to Inciampi

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Inciampi

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Inciampi - Gian Marco Griffi

    Gian Marco Griffi

    Inciampi

    Prima Edizione - luglio 2019

    ISBN 978-8868512071

    © arkadia editore

    NOTIZIE DALLE COLLINE

    STORIELLA VERA DEL CONCERTO

    DI UMBERTO TOZZI AD ASTI (e di Alma)

    Suppongo che una donna possa reagire in molti modi alla nefasta notizia che annuncia un cancro al seno, non so, ma so che Alma reagì maturando un inconsueto desiderio sessuale, e che lo appagò facendo l’amore con ogni uomo il cui odore le andasse a genio.

    Aveva scoperto di avere il cancro un martedì, il venerdì era a scopare nel furgoncino del Delmo, parcheggiato accanto all’enorme croce di pietra che c’è a pochi metri dalle mura perimetrali del castello di Montemagno.

    Era andata al bar, aveva ordinato una sambuca, la barista le aveva detto Alma, non hai mai bevuto una sambuca in vita tua, lei aveva detto be’, comincio oggi, aveva bevuto la sambuca tossicchiando tra un sorso e l’altro, si era voltata a guardare la sala; se fosse capitata nel bar mezz’ora dopo avrebbe trovato i trentenni e i quarantenni che si incontravano in attesa di migrare verso un locale migliore, ma a quell’ora c’erano solo anziani e pensionati che giocavano a carte, tutti presi a insultarsi tra una mano e l’altra tranne Delmo.

    Delmo leggeva il giornale con attenzione, quasi in tensione, come se stesse studiando una poesia a memoria, di tanto in tanto alzava i baffi per guardarsi in giro, fissava la riproduzione del dipinto di Hopper appesa alla parete mormorando qualcosa, poi rituffava gli occhiali sul quotidiano, tamburellava le dita della mano destra sul tavolo; Alma era andata verso di lui, si era seduta, gli aveva detto se voleva scopare, Delmo aveva alzato gli occhi dal giornale, stava leggendo per la terza volta di una bambina fatta a pezzi da una bomba mentre giocava col suo gatto nella regione di Afrin, in Siria, aveva risposto meccanicamente di sì, Alma gli aveva sorriso e gli aveva detto che aveva un buon odore, Delmo era ancora assorto nei pensieri funesti procurati da una bambina morta e dal disappunto causato dal fatto che quell’articolo, anziché essere in prima pagina, fosse quasi al fondo del giornale, irrilevante quanto le spettrali fotografie di novantenni morti a Calliano, Moncalvo, Canelli, Alma gli aveva detto allora andiamo, Delmo aveva realizzato e le aveva detto Alma, cosa stai dicendo, lei aveva detto sto dicendo che voglio scopare, Delmo aveva chiesto vuoi scopare con me? Alma aveva detto avrei preferito farlo con un altro, ma giocano tutti a carte tranne te, Delmo l’aveva guardata bene negli occhi, si era chiesto se fosse ubriaca o drogata, si era reso conto che era lucidissima, le aveva detto qualcosa a proposito di suo marito, lei aveva detto che suo marito era da qualche parte a farselo succhiare da una parrucchiera di Nizza, Delmo aveva pensato all’ultima volta che aveva scopato, tre o quattro sabati prima (sapeva che il giorno era un sabato, ma non riusciva a ricordare con esattezza di quante settimane prima), aveva pagato un’africana del Congo sulla statale tra Quattordio e Castello di Annone, poi aveva risposto dove? Alma gli aveva chiesto se per caso pensava di scoparla sul tavolo del bar mentre un branco di pensionati giocava a belòt, Delmo aveva detto no, Alma aveva detto appunto, erano usciti insieme.

    Il parcheggio del bar era illividito da un lampione che generava infiniti bagliori inconsistenti, rimbalzando una luce smorta sui cofani delle automobili in sosta, Delmo e Alma avevano camminato distanziati, lui stava riflettendo sull’assurdità della situazione, lei stava cercando di coccolare il proprio disturbo pensando all’inattesa spudoratezza con cui si era procurata il primo uomo della sua vita, a parte suo marito.

    Avevano preso il furgoncino di Delmo, lui aveva un paio di coperte che teneva sul retro, odoravano un po’ di prostituta africana del Congo e di cani da caccia ma erano buone per l’occasione, percorrendo la provinciale quattordici Alma era emozionata, o agitata (anche se riusciva a dissimularlo piuttosto bene), guardava i baffi e il doppio mento di Delmo, gli occhiali rotondi e la sua pancia, gli spuntava la carne grassa dal fondo di una maglietta gialla troppo corta, pensava a come poteva essere il suo uccello, oltre a quello di suo marito ne aveva visti altri, ma soltanto su internet o in televisione, e dell’uccello di Delmo non le interessava la forma o la dimensione ma soltanto l’odore, era certa che se l’odore fosse stato sgradevole avrebbe certamente vomitato, si era rincuorata annusando il profumo dell’abitacolo del furgoncino, insperatamente piacevole; Delmo aveva chiesto se voleva andare a casa sua, abitava da solo, Alma aveva risposto preferirei di no (aveva immaginato una cosa da ragazzini licenziosi e non voleva farlo su un letto, inoltre il pensiero di entrare in casa di Delmo le procurava un’enorme tristezza che non riusciva a spiegarsi), Delmo aveva provato a fare conversazione, Alma aveva detto preferirei stare in silenzio, Delmo era stato zitto, aveva guidato verso Montemagno superando Castagnole Monferrato e un cimitero sul quale c’era scritto tu sarai come sono io, aveva da sempre una passione per le iscrizioni cimiteriali e teneva un quaderno sul quale annotava le più significative, aveva chiesto se ci fosse un posto in particolare che le andasse, lei ricordò la prima volta che suo marito l’aveva invitata a uscire, avevano preso un paio di birre al bar ed erano saliti sulle mura del castello di Montemagno, dopo due avvertimenti il custode aveva liberato i cani e loro erano saltati giù al buio, lei si era slogata una caviglia, aveva detto a Delmo che voleva andare alla croce di pietra, Delmo aveva chiesto quale croce, Alma aveva spiegato, Delmo aveva capito, aveva raggiunto il posto guidando lentamente con il finestrino abbassato, era una notte calda e buia, la croce era sul fondo di uno spiazzo di ghiaia circondato da erbacce e cespi di ortica, aveva parcheggiato il furgoncino più nascosto che poteva.

    Poi avevano scopato, l’uccello di Delmo non emanava un odore troppo fastidioso, Alma gli aveva imposto di non toccarle il seno e la pancia, lui aveva eseguito, gli aveva chiesto di stare sopra, lui aveva acconsentito, alla fine lei era riuscita a farsi scopare come desiderava. Le era piaciuto.

    Delmo aveva sbrigato la faccenda in cinque minuti, ma a lei erano bastati.

    Lui le aveva chiesto se volesse scopare un’altra volta, aveva giurato che in dieci minuti sarebbe stato pronto, lei gli aveva chiesto di riportarla al bar, lui aveva obbedito senza fiatare.

    Sulla strada di ritorno Delmo aveva pensato più volte di attaccare una conversazione, Alma guardava fuori dal finestrino e ogni tanto sembrava fischiettare una canzoncina, Delmo pensava ora parlo, ma non parlava, d’un tratto lei aveva tossito e aveva fatto per parlare, non aveva detto niente, lui aveva preso coraggio e le aveva raccontato della bambina morta sotto le bombe di Afrin con il suo gatto, Alma aveva detto che era una cosa orribile, Delmo aveva detto sì, orribile, e ancora più orribile è che la notizia di una bambina che gioca con un gatto e un minuto dopo salta in aria stia sul giornale accanto agli anniversari dei morti di Frinco e Scurzolengo di quindici anni prima, Alma lo aveva guardato e gli aveva detto Delmo, cosa vai a pensare, Delmo aveva scosso la testa e aveva imprecato, aveva detto fosse per me riempirei le prime pagine dei quotidiani con nomi e fotografie di tutti i bambini, i ragazzi, gli esseri umani uccisi dalla guerra, ogni giorno di ogni settimana, Alma gli aveva detto che era un brav’uomo, Delmo era stato zitto, poi le aveva chiesto scusa, Alma aveva chiesto scusa per cosa, lui aveva detto non sono mai stato un grande amatore, Alma aveva detto che era stato bravissimo, Delmo si era messo a ridere, Alma si era vergognata per aver utilizzato un superlativo a sproposito, Delmo non aveva detto più niente e Alma aveva iniziato a pensare a suo figlio, a quello che avrebbe patito quando in paese avrebbero iniziato a commentare le sue scopate, quando tutti avrebbero iniziato a darle della troia, si era consolata pensando che se gli uomini fossero stati tutti come Delmo probabilmente il mondo sarebbe stato un po’ più disarmonico ma un posto molto più bello in cui vivere, si era nuovamente intristita pensando che la maggioranza degli uomini non era come Delmo, e per questo il mondo era un po’ più armonico ma un posto molto più brutto in cui vivere.

    Del resto Delmo era davvero un brav’uomo, di quei rari esseri umani capaci di comprendere e tollerare l’irrazionalità della vita, di quelli in grado di accettare le ragioni insondabili alla base dei comportamenti più bizzarri (per quanto innocui), e se avesse potuto, se fosse stato possibile, pur di compiacere Alma l’avrebbe scopata senza neppure toccarla.

    Quella fu la prima volta che Alma ebbe un rapporto sessuale al di fuori del matrimonio.

    Aveva quarantacinque anni, era una donna graziosa (non attraente, ma graziosa sì), un figlio adolescente e un cancro al seno.

    Faceva l’infermiera al pronto soccorso, la sera in cui la conobbi eravamo al bar, lei si era già guadagnata l’epiteto omerico di Alma la bagascia no profit, bevve un paio di bicchieri con noi, mi domandò qual era il mio senso preferito, io impiegai un tempo innaturale per rispondere (non sapevo che cosa rispondere), lei mi disse che il suo senso preferito era l’olfatto e che la mia camicia aveva un buon odore, si lamentò con Fausto perché non le aveva presentato prima i suoi amici (conosceva Fausto da diversi anni) e consigliò a Bruno un dermatologo per una brutta bruciatura sul collo che si portava dietro dall’infanzia; poi se lo portò a letto, benché il luogo dove scoparono non fu precisamente un letto bensì un materasso abbandonato in una vigna. Era una sera di metà settembre passata alla storia per un curioso fatto di cronaca: due fratelli agricoltori si erano scagliati una roncola a causa di un litigio per una mietitrebbia ereditata; nell’impeto, il primo aveva afferrato la roncola e l’aveva lanciata contro il secondo, il più giovane dei due, ferendolo a una spalla, questi l’aveva raccolta e aveva staccato un orecchio al primo. La notizia si era diffusa rapidamente in tutto il Monferrato, era finita in prima pagina sulla Nuova Provincia e in terza pagina sulla Stampa.

    Al bar qualcuno litigò per una mano di carte, Alma sedette al nostro tavolo, raccontò la sua prima volta (con Delmo) e l’ultima (con un otorino di dieci anni più giovane, nella cucina al terzo piano dell’ospedale di Asti), elencò velocemente gli altri uomini con cui aveva scopato senza fornire ulteriori dettagli (disse che li aveva raccattati quasi tutti tra i codici bianchi – al massimo azzurri – al pronto soccorso; ricordo un idraulico con un dito lussato, un paio di infermieri, un barista con un occhio ferito dalle schegge di un bicchiere rotto, un maestro elementare morso a un polpaccio da un cane, un disoccupato punto da una vespa, due o tre pensionati dei quali non ricordo il referto medico), ci informò a proposito di suo marito, il quale da qualche mese scopava con una parrucchiera (disse che scoprirlo era stata una benedizione), raccontò di suo figlio che non le parlava più, e quando le parlava lo faceva per dirle smettila di fare la puttana, lei gli dava uno schiaffo, lui piangeva, lei diceva non ti permettere, lui diceva non vedo l’ora che muori, lei si girava dall’altra parte e diceva non manca molto, lui si pentiva, le diceva non voglio che muori, piangeva, non mi lasciare solo, diceva, lei lo abbracciava, mentre raccontava sembrava che stesse raccontando la storia di una donna che non era lei, e quando fece il riferimento alla morte noi la guardammo senza capire, lei lo intuì dalla nostra espressione e disse sto morendo, cazzo, Bruno le disse come stai morendo, lei disse sì, ho un cancro inoperabile e nessuna voglia di parlarne, Fausto disse che nessuno aveva voglia di parlare di cancro, io ordinai una bottiglia di vino, Alma cadde a precipizio dalla luce dei ricordi a un’oscurità silenziosa, persa con lo sguardo fisso sul maxischermo dove c’era una partita, e restò zitta per tutto il primo tempo.

    Poi, quando la bottiglia stava per finire, cominciò a parlare di Umberto Tozzi, di quanto Umberto Tozzi fosse stato decisivo nella sua vita, del rammarico per non essere mai stata a un suo concerto. Fausto le disse Alma, chi se ne frega di Umberto Tozzi, lei gli chiese di accompagnarla al suo concerto, Umberto Tozzi veniva ad AstiMusica il tre luglio duemilaquindici, disse, Fausto scoppiò a ridere e le disse che se lo poteva scordare, allora Alma aveva fatto l’offesa, aveva detto che avrebbe voluto ascoltare Gli altri siamo noi e cantarla a squarciagola, Gli altri siamo noi, gli altri siamo noi, aveva iniziato a canticchiare quella canzone di merda e aveva preso una mano di Bruno e l’aveva fatto ballare cantando siamo tutti vittime e carnefici, tanto prima o poi gli altri siamo noi, poi si erano infilati nel retrobottega per scopare.

    Diventammo amici. Lei scopava volentieri sia con Bruno che con me, ma il suo cruccio era Fausto, gli diceva Fausto, voglio fare l’amore con te, Fausto diceva sì, anche io, ma non facevano altro che parlare e bere, lei gli chiedeva di accompagnarla al concerto di Umberto Tozzi, lui diceva no, lei canticchiava Gloria, lui si alzava e usciva lasciandola da sola al tavolo.

    Cominciammo a frequentarci, per diversi mesi ci incontravamo al bar tutti i giovedì sera, lei raccontava di quel coglione di suo marito che aveva chiesto il divorzio, rideva come una matta, ci diceva se potevamo immaginare un uomo tanto coglione da chiedere il divorzio a una donna che nel giro di qualche mese sarebbe crepata, ci aggiornava sugli uomini con cui scopava saltuariamente, ci rassicurava sulla loro affabilità ed educazione, erano quasi tutti garbati, diceva, si era fatta scopare anche da un prete (non ne rivelò l’identità) e da un ragazzino, a nessuno parlava mai della malattia (anche se i segni sul suo volto cominciavano a farsi sempre più evidenti), si immalinconiva soltanto quando le veniva in mente suo figlio, e le veniva in mente ogni volta che parlava, era l’unica colpa per cui chiedeva perdono, beveva grappa e chiedeva perdono a suo figlio, scopava con me e mi chiedeva se suo figlio avrebbe mai potuto perdonarla, io non sapevo cosa rispondere, lei diceva non serve che tu risponda, io dicevo ok, e non rispondevo.

    Il figlio di Alma si chiamava Carlo, un giorno Fausto lo caricò in auto e lo portò in centro ad Asti, voleva parlargli ma non aveva idea di quel che gli voleva dire, alla fine ne saltò fuori una conversazione insulsa, Fausto parlò della gente di Asti che era piena di scheletri negli armadi e di sua madre che aveva un armadio pieno di uomini, ma l’armadio di sua madre era fatto di vetro e tutti potevano guardarci dentro, il figlio di Alma disse che avrebbe preferito se l’armadio fosse stato impenetrabile, pianse, disse che non riusciva a perdonarla, Fausto non sapeva più cosa dire e gli comperò una birra.

    Una sera di marzo Alma si sentì male nel parcheggio del bar, svenne, due ragazzini vennero nel bar per avvertire, la portammo al pronto soccorso e parlammo con le sue colleghe, ci dissero che le volevano bene ma non riuscivano più a capirla, quella notte Fausto rimase con lei e suo figlio in ospedale, quando lei si svegliò Fausto e il figlio dormivano, nel guardarli provò una sensazione di rabbia e serenità, svegliò Fausto e gli chiese di accompagnarla al concerto di Umberto Tozzi, Fausto si sgranchì la schiena, le accarezzò i capelli e le disse di no.

    Il resto della storia è andato in questo modo.

    Il tre luglio duemilaquindici siamo arrivati in Piazza Cattedrale per il concerto di Umberto Tozzi, il bigliettaio ci ha detto avete fatto bene ad arrivare in anticipo, c’è il tutto esaurito, Fausto indossava una maglietta dei Television (quella con la copertina dell’album Marquee Moon), si è rivolto al figlio di Alma e ha detto siamo proprio nella merda, il bigliettaio ha chiesto come sarebbe a dire, Fausto gli ha mostrato i nostri biglietti, c’era scritto Umberto Tozzi in Concerto, il bigliettaio ne ha strappato le estremità, la piazza era deserta perché mancavano due ore al concerto e di Umberto Tozzi non c’era neppure l’ombra, Bruno ha detto lo dicevo che era troppo presto, siamo andati a prenderci le birre, Fausto ha parlottato cinque minuti con un tipo dell’organizzazione, poteva essere un tecnico del suono o delle luci, non saprei, portava i capelli lunghi e indossava una maglietta dei Guns N’ Roses, io ho bevuto la birra pensando a Alma, il caldo sembrava il respiro affannoso di una persona che un tempo era stata felice e oggi stava sotto terra, abbiamo guardato la gente che iniziava a riempire la piazza, Bruno ha chiesto se noi eravamo brutti come quella gente lì, io ho chiesto perché, Bruno ha detto di guardarli bene e di dire se non erano brutti, malfatti, sgraziati, io ho guardato gli spettatori mentre prendevano posto in piazza, ho detto a Bruno che erano persone normali, gli ho detto Bruno, sono persone normalissime, Bruno ha detto sì, le persone normali sono brutte, malfatte, sgraziate.

    Fausto ci ha fatto cenno di raggiungerlo e tre minuti dopo eravamo nel camerino di Umberto Tozzi. Quando siamo entrati, Tozzi ci ha guardati un po’ storto; il tipo dell’organizzazione gli ha spiegato che eravamo amici suoi, Tozzi si è rilassato, ci ha chiesto sorridendo se volevamo un autografo o una fotografia, Fausto ha detto no, lui ci è rimasto male (secondo me), ciononostante ha chiesto come poteva aiutarci, Fausto ha detto che poteva aiutarci dedicando la canzone Gli altri siamo noi a una nostra amica, Tozzi ha detto volentieri, come si chiama la vostra amica, Fausto ha indicato Carlo e ha detto questo è suo figlio Carlo, Tozzi gli ha messo una mano sulla spalla e ha detto come si chiama tua mamma, Carlo? Carlo ha detto Alma, mia mamma si chiama Alma, Tozzi ha detto benissimo, Carlo, stasera dedichiamo Gli altri siamo noi a Alma, Fausto ha detto aspetta, la dedica non è completa, Tozzi ha guardato Carlo interrogativamente, Carlo non diceva niente, Fausto gli ha dato uno scappellotto, Carlo ha guardato Tozzi e ha detto per favore, dovrebbe dedicare la canzone a Alma, la bagascia no profit, Tozzi ha detto non ho capito, Fausto gli ha detto hai capito benissimo, Tozzi ha detto è vero, ho capito benissimo, e la mia risposta è no, mi dispiace, nemmeno per sogno, e poi dov’è questa Anna, Fausto ha detto si chiama Alma, Tozzi ha detto è lo stesso, Fausto ha detto no, non è lo stesso, Carlo ha detto è morta venti giorni fa, Tozzi ha detto sono costernato, condoglianze, Fausto ha detto Tozzi, non prenderci per il culo, Tozzi ha detto vi sembra questo il modo di ricordare una donna morta? Fausto gli ha chiesto che ne voleva sapere, lui, del modo migliore per ricordare la nostra amica morta, Tozzi ha detto che dovevamo vergognarci, che c’erano mille altri modi per ricordare una donna e una madre, Fausto ha detto sì, forse per ricordare la tua Gloria di merda ci sono un milione di modi tutti bellissimi, ma per la nostra Alma il modo lo decidiamo noi, Tozzi si è infastidito, ci ha invitati a uscire, Fausto gli ha detto usciamo, ma ricordati la dedica, Tozzi ha detto non darò mai della bagascia a una donna morta, Bruno gli si è avvicinato, gli ha detto che se non avesse fatto la dedica sarebbe tornato a casa con un ginocchio rotto, a quel punto Tozzi mi è sembrato impaurito, del resto c’è da capirlo, gli artisti italiani non sono abituati a ricevere minacce da grossi campagnoli monferrini con la faccia squadrata prima di un concerto.

    Il concerto comunque è stato lungo e deprimente, Fausto ha tenuto tutto il tempo le cuffie con i Television, i Ramones, i Buzzcocks, i Joy Division, Bruno era sbronzo e ha insultato un paio di brutte astigiane sedute accanto a noi, ha cantato qualche canzone (Notte rosa, Gente di mare, Donna amante mia) tampinando le stesse brutte astigiane che aveva insultato cantando Tu, il figlio di Alma ha trovato un paio di amiche e non si è più visto, abbiamo maturato la certezza che i fan di Umberto Tozzi sono cattivi, ti guardano in cagnesco se non canti, ti penetrano con occhi indemoniati e digrignano i denti se sorridi durante una canzone triste, o se ti distrai.

    Quando è partita l’intro musicale di Gli altri siamo noi (avevo chiesto alla tizia che avevo di fianco, una bruttona vestita coi pantaloni della tuta e

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1