Passione di Fedra
By Aquilino
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Ippolito è un disobbediente, un trasgressore, un ribelle. Ma la sua proposta di vita alternativa viene soffocata sul nascere.
Il padre Teseo lo vuole ad Atene nonostante che sia figlio dell’amazzone Antiope, una straniera odiata dal popolo. Vuole farne il protagonista del suo progetto politico imperialista. Ma Ippolito odia il padre. La nuova moglie di Teseo, Fedra, ha un piano segreto per restituire a Creta la supremazia perduta. Si innamora di Ippolito e la passione sfrenata la porta al delirio. Per difendere il proprio onore, non le resta che infamare Ippolito, dopo che lui ha rifiutato le sue profferte con disprezzo.
Ippolito non ha un luogo dove andare, non ha nessuno che possa salvarlo dalla voracità del mondo. Un mondo che si è illuso di potere ignorare, essendosi votato a un’utopia infantile.
A lui la vita non ha niente da dare.
Non gli resta che morire.
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Passione di Fedra - Aquilino
Edizioni.
COME MIRTO VEDE IPPOLITO
Trezene, nella parte sud orientale dell’Argolide, è più piccola di Argo o Micene o Tirinto, ma non le mancano l’acropoli e una cinta muraria più che sufficiente per difenderla. Siamo al centro di una pianura fertile, vicini al mare e circondati da monti che fermano i venti freddi del nord.
Io ci sono abituato. È dal nord che vengo, dai monti aspri dell’Epiro. Non ci tornerò. La mia vita ha preso casa qui e non potrebbe averne altrove.
Solo qui il mio cuore batte.
Il carro è pronto
mi informa Xeros, lo stalliere che si prende cura dei cavalli del pronipote del re Pitteo, Ippolito. Xeros è stato trovato da due contadini un anno fa contro il muro di cinta del tempio di Artemide. Smagrito, esausto, aveva perso molto sangue da una ferita di lancia al petto. Poco più di un ragazzo, forse uno schiavo fuggito. Gli uomini mandarono un garzone a informare il re, per sapere che cosa dovevano farne: ucciderlo, farlo schiavo, lasciarlo morire o curarlo? Ippolito s’incuriosì e volle occuparsene. Disse al re che Artemide lo aveva chiamato a sé per proteggerlo. Lo fece curare e quando il ragazzo fu in grado di parlare scoprì che veniva dalla Tessaglia e che era esperto di cavalli. Altro non volle sapere. Lo nominò stalliere reale, nonostante le proteste dei funzionari che non volevano un tessalo nel palazzo. Noi stranieri… non si sa mai che ci passa per la testa, e se aumentiamo di numero finisce che ci mangiamo Trezene in un boccone. Bastardi, i funzionari.
Xeros è ombroso come i cavalli migliori, orgoglioso e con un forte senso di indipendenza. Sembra fidarsi solo di me e Ippolito. Non si è fatto amici, forse per questo parla con i cavalli. Dice che un giorno se ne andrà, ma a quanto pare non sa dove. Per il momento, quindi, ci serve meglio di chiunque altro.
Sembra intuire, in base agli umori del palazzo e alle condizioni meteorologiche, i desideri di Ippolito.
Come fai a sapere quando vuole fare un giro?
gli domando.
Immagino di essere lui e mi chiedo se ho voglia di fare un giro.
Eppure Ippolito è imprevedibile.
Come un cavallo che sente ancora l’istinto della libertà.
E tu i cavalli li conosci bene.
Così dicono.
Non ci scambiamo molte parole, ma la comunicazione è sempre schietta.
Non ci sei solo tu al mondo
ha bofonchiato un giorno che Ippolito, ancora irritato per l’osservazione astiosa di un ministro, lo aveva trattato da servo, in tono sprezzante.
Ippolito, impulsivo com’è, stava per insultarlo, ma si è dominato. Lo chiama contenere l’energia
, quando non vale la pena di sprecarla. Ha insegnato anche a me a controllare la rabbia. Non so se ho fatto bene a imparare. Ippolito sa com’è Xeros e gli va bene così.
Ci siete anche tu, Mirto e il nonno
gli ha risposto. Gli altri non contano niente.
La prossima volta, allora, prenditela con un niente.
Ma Ippolito non può. Per rispetto verso Pitteo, evita di scontrarsi con i notabili del palazzo. Quante volte l’hanno provocato, coalizzati contro di lui, per vederlo sminuito agli occhi di Pitteo. Ippolito è troppo intelligente per i cani del potere.
Mi chiamo Mirto.
La formula con cui tutti mi definiscono è il migliore amico di Ippolito
. Mi fa sorridere. I miei sorrisi, però, sono smorfie di sprezzo.
Ridi, Mirto, ridi!
esclama lui fingendo di prendermi a sberle. In quei momenti, ho il suo respiro contro il mio e vorrei spalancare la bocca per accoglierlo dentro di me.
Di Ippolito sono innamorato, e nessuno lo sospetta. Nemmeno lui, forse, che mi ha accanto ventiquattro ore al giorno. Non si stanca mai di me perché gli faccio da servitore, scudiero, confidente, allievo, maestro, consigliere, compagno, fratello, complice, vittima… a seconda delle occasioni. In me trova tutto ciò di cui ha bisogno e se ne compiace.
Io in lui trovo l’emozione più sconvolgente, quella per la quale vale la pena vivere. Vivere ridendo poco, lo ammetto, ma se uno nasce corvo, come può diventare usignolo? Il mio canto non è mai melodioso.
Esprime speranze di felicità, pur sapendo che è illusione. Esprime piccoli furti di gioia, quando vorrebbe farsi brigante e derubare ogni giorno del piacere che può offrire. Esprime una malinconia solitaria, che alla radice è dolore.
Sono il suo schiavo d’amore? Chino il capo con entusiasmo, dato che solo questa soddisfazione mi è concessa.
A me qualunque ruolo va bene, pur che mi ritrovi accanto a lui giorno e notte. Ho imparato a domare la sofferenza. Ruggisce sommessa in un angolo buio del mio cuore, ma ogni tanto lo artiglia.
A volte
mi dice Ippolito, ti scambio per la mia ombra. Altre volte per la mia mente o il mio cuore. A volte sei parte di me e a volte sei tutto me stesso. A volte invece ti detesto e una volta ti ho odiato, quando di fronte a mio padre hai sogghignato con lui di un mio stupido errore. A volte sei il mio sogno, a volte la materia viva della mia realtà. A volte mi rilassi, altre mi diverti o mi fai passare i pensieri molesti. Ma ci sono volte che vorrei ucciderti. A volte vorrei baciarti, tanto mi sei caro.
Quando dice così…
… non dovrebbe dire così! potrei credergli!
… quando dice così io ho un sussulto, ma nessuno lo nota. Gli altri di me vedono solo un involucro, la verità che nasconde deve rimanere segreta per il bene di entrambi. Capita che lui parli e che io sia rapito dal suo viso; e il suo respiro è un’esca; sogno a occhi aperti di entrare dentro il suo corpo e di fondere carne a carne; intuisce che non lo sto ascoltando e mi richiama: Mirto! e io annuisco.
Lasciamo il mio desiderio dove l’ho sepolto, in uno scantinato del cuore la cui porta nessuno può aprire: ho buttato via la chiave.
Vivo una vita falsa, gli altri non sanno chi sono. Questo succede perché la mia vita vera è interiore, fatta non di gesti e parole, ma di desideri, sogni, tremiti, vampate, deliri…
Non sono l’unico suo amico. Ippolito si circonda di una schiera nutrita di giovani alcuni belli e atletici e altri no, sia aristocratici sia anonimi, alcuni molto intelligenti altri meno, ma tutti sensibili e appassionati o incuriositi dal suo stile di vita.
Ignorano quanto io sia appassionato solo di lui, in qualunque modo decida di vivere. Potrebbe non essere Ippolito, vestire di stracci e vagare senza patria: lo amerei comunque. Potrebbe essere un criminale, e lo amerei. Potrebbe essere brutto e odioso, e lo amerei.
Chi ci ha annodati insieme lo ha fatto con metallo rovente.
E io sono marchiato.
Se lo vedete quando andiamo a caccia di cinghiali, i capelli trattenuti in una crocchia sulla nuca, la pelle del viso ambrata dal sole, i lineamenti tesi, gli occhi vigili e acuti, i muscoli guizzanti, la bocca stretta nell’eccitazione e le labbra sbianchite, la voce prepotente che impartisce ordini secchi… allora state contemplando il figlio di Ares, un maschio risoluto e impetuoso: nemmeno un leone potrebbe fermarne lo slancio.
Se lo vedete quando facciamo ritorno al palazzo e gli preparo il bagno… solo io posso rimanere con lui, gli altri ci attendono nel megaron… se lo vedete come lo vedo io ogni sera, ogni sera di tormento… Rilassato, sorridente, i capelli sciolti lunghi sulle spalle, di un colore che varia a seconda della luminosità del momento, ora biondi e quasi candidi ora di grano maturo e perfino di pelliccia di volpe; le movenze come un grappolo d’uva portato alla bocca, la muscolatura morbida come la risacca al crepuscolo; e gli occhi languidi, stanchi, profondi, abissali…
Tempo fa mi è scappato detto:
Ti capita di sentirti anche femmina?
riferendomi ai discorsi idioti di un gruppo di soldati, uditi per caso mentre spillavo vino nelle cantine.
Ha riflettuto per un attimo, colpito dalla domanda inconsueta e maliziosa; ha sorriso conciliante; mi ha rivolto una delle sue occhiate perplesse ma sempre affettuose, infine ha risposto:
Maschio, femmina? Che importanza hanno queste sciocchezze? Io sono Ippolito e basta.
Ha ragione. Anch’io sono Mirto e basta. L’amore non è una scienza esatta e chi cerca definizioni si ritrova in un labirinto.
Il mio amore per lui (non è passione sfrenata, sarei già morto suicida o di consunzione o il cuore mi sarebbe scoppiato), così tenero e paziente e tenace, non vede caratteristiche maschili o femminili, vede un essere straordinario non solo per la bellezza, ma per tutto ciò che è e che fa.
Lo amo per come si accende di entusiasmo, per come ride, e come fissa qualcosa che non capisce, per la compassione e la tolleranza, per la saggezza, per la gioia di vivere e la malinconia che spesso lo avvolge in una nube nera, per… cento altre cose. Lo amo anche per ciò che non capisco di lui.
Capire Ippolito… come sondare un Mistero. Chi va a Eleusi non vuole scoprire i segreti di Demetra e Core, vuole solo sentirli nel cuore.
Viviamo più di intuizioni che di definizioni, più di cuore che di testa.
A volte mi lancia uno sguardo tanto luminoso da abbagliarmi e dentro ci sono cose che nemmeno lui capisce fino in fondo.
Ippolito è portatore di cose nuove.
Lui è il mio sole.
Se non avessi Ippolito, la mia vita sarebbe buia.
Andate lontano?
mi domanda Xeros.
A Epidauro. Ippolito vuole vedere Asclepio prima che arrivi Teseo.
Minaccia brutto tempo. I cavalli sono nervosi.
Non importa.
Al carro la pioggia non fa bene.
Ne faremo costruire un altro.
C’è chi può.
Sa anche lui che la pioggia sarà breve e sottile, come le precedenti. La schiettezza di Xeros è limitata al poco che può svelare di sé e quindi a volte emette parole come i bambini emettono bolle di silenzio quando sono perplessi, guardinghi, spaventati. Anche lui nasconde segreti. Tutti ne celano e molti di questi segreti sono inconfessabili, trattandosi di questioni che sono al di fuori della legge o contro l’opinione comune.
Non sono il solo a fare della mia anima la prigione di un mostro che nessuno deve vedere.
Ma questa consapevolezza non mi rende libero.
Anche Xeros, in fondo agli occhi, ha un’ombra di tristezza.
E non la vedo spesso anche nello sguardo di Ippolito?
Ma eccolo, il mio sole arriva sorridente. Ora tutto è luce.
Il carro è pronto
ripete Xeros. Il tono è sarcastico. Guarda me, guarda Ippolito ed emette un grugnito.
Riguardo a quanto ho pensato poco fa… che nessuno sospetta dei miei sentimenti… e che nessuno nota gli slanci e gli imbarazzi che ruotano intorno a Ippolito… ecco, negli ultimi tempi, lasciandomi un disagio interiore, qualcosa è cambiato.
Ho la sgradita impressione che gli altri mi evitino, mi parlino alle spalle, mi deridano di nascosto.
Noi di Trezene siamo sempre stati più tolleranti degli esagitati della Laconia e degli intellettuali dell’Attica. Che i tempi stiano cambiando? Che le persone stiano cambiando? Verrà il momento in cui dovrò difendermi? E da che cosa? Dalla verità? E Ippolito? Mi guarderà con occhi diversi?
La prima legge dell’universo è il cambiamento, dicono i sapienti. Ma io non voglio che il mondo cambi. Di solito, diventa più cattivo.
Tra i giovani noto da qualche tempo atteggiamenti che non sono mai stati tollerati, a Trezene. Prepotenze crudeli verso i più deboli spacciate per giochi. Derisioni sprezzanti verso le giovani donne. Atti di vandalismo che fanno imbestialire Pitteo. Quando mai i dodicenni hanno imbratto i muri con disegni osceni, in passato? E perfino i bambini reagiscono senza rispetto a chi tenta di educarli. Sono selvatici e irresponsabili. Ho l’impressione che tutti vogliano solo divertirsi a spese degli altri, infrangere le norme di convivenza, porsi su un piedestallo e cercare l’applauso.
Forse sto esagerando. Ho colto dei segnali che potrebbero rivelarsi forme di nuvole, così mutevoli. Ma corre, nel mio sangue, un’inquietudine che somiglia alla paura.
Se davvero il mondo assumesse il muso intravisto, non darebbe più ospitalità a gente come me e come Ippolito.
COME IPPOLITO VEDE MIRTO
Metto i cavalli al trotto leggero. Non abbiamo nessuna fretta. Mi sento rilassato e converso volentieri con Mirto.
Mi ha appena domandato se sono contento di rivedere mio padre. Ama rivolgermi domande personali. Su quello che penso, su come mi sento, sui progetti… Non perché sia curioso. È avido di me, vuole conoscermi nel più profondo dell’anima. Talvolta, mi sento la sua preda. Lui, il pirata dei miei segreti, mi assalta con gentilezza, ma anche con audacia e determinazione. Io, di solito, mi arrendo. Mi fa da specchio. Dandogli soddisfazione, conosco meglio me stesso.
La domanda che mi ha appena rivolto non è semplice come sembra. Mio padre non viene a Trezene da solo. Ci porta la donna che da poco ha sposato. Si chiama Fedra, una principessa di Creta. È figlia del re Minosse, e questo basta per intimorire chiunque. E per infondere diffidenza. Minosse è stato odiato per decenni. Il più odiato. I cretesi, con le loro navi, hanno monopolizzato i mari, arricchendosi e diventando sempre più boriosi. Senza alcuna guerra hanno sottomesso Atene. Costringendola a mandare ogni