La colpa di Ines: Sa tribulia
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Mirella Manca, scrittrice sarda, propone questo suo secondo delicato e tragico romanzo sulla condizione femminile. Una storia scritta in uno straordinario linguaggio narrativo proprio della miglior letteratura sarda, in cui si mescolano - in un contesto folkloristico senza tempo - pathos, crudezza dei comportamenti, rigore morale e sensibilità femminile. Una sensibilità che esprime la sua tragica attualità inscritta nel sottile ventaglio delle possibili violenze sulla donna che, se non sfocia nel femminicidio, spinge ugualmente la vittima in un baratro mortale che. estremo paradosso, la rende colpevole agli occhi dei benpensanti.
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Anteprima del libro
La colpa di Ines - Mirella Manca
INDICE
ATTO PRIMO
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
ATTO SECONDO
Uno
Due
Tre
EPILOGO
L’autore
Mirella Manca
LA COLPA DI INES
Sa tribulia
kalincanto
© 2019 Edizioni Kalincanto
Via Relenda 17
13886 Viverone BI
www.kalincanto.com
info@kalincanto.com
ordini@kalincanto.com
Prima Edizione Digitale Ottobre 2019
ISBN 978-88-94358-91-9
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto sia stato specificamente autorizzato dall’editore.
Editing, impaginazione e progetto grafico: Luigi Zai
Immagine di copertina: Fotografia di Nelly Aran (Pexels) mod.
Sono caduta in un profondo tranello
come dentro ad un pozzo acquitrinoso.
O chi potrà salvarmi da questa immagine scaltra
che adombra un mobile amore?
In fondo al pozzo stanno giunchiglie di ombre
e il mio urlo sovrasta le acque.
Il camaleonte gagliardo guarda dalle orride piante
questo mio precipizio segreto.
Alda Merini
in La Terra Santa (1984)
Questa è una storia di fantasia. Ogni eventuale riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
ATTO PRIMO
Uno
Su un campo di grano che dirvi non so,
un dì Paperina col babbo passò
e vide degli alti papaveri al sole brillar
… e lì s’incantò.
La piccola Eliana saltella leggera con le gambe ossute, e canta. Ha le ginocchia sbucciate e persino qualche bozzo sulla fronte, ma il cervellino è in fermento, traboccante di chimere da realizzare quando sarà grande. È un nulla, per lei così leggera, la ripida salita in cima alla quale è di casa la zia Ines. Lancia in avanti una gamba e con l’altra fa un leggero balzello per spingersi ancora più in là, dondolando la testa a destra e a manca con fare burlesco. Le trecce bionde oscillano da una spalla all’altra e la gonnellina di tweed rosso pieghettato si apre e si chiude come l’organetto dell’Uomo della Fortuna: quello che ogni tanto attraversava l’abitato, cagionando fuggevoli sogni. Al suono delle prime note, le giovanette si affacciavano leste alla finestra e sgattaiolavano in strada per affidare al becco del pappagallo la scelta del biglietto fortunato. Ciascuna si concentrava sulla traccia del proprio destino, scritta in neretto sui fogli dai colori vivaci e, senza darlo a vedere, muovevano i fianchi a suon di musica. Eliana ne vorrebbe uno giallo come quelli che prendeva sempre tzia Peppina, ormai zitella, che accorreva giusto un attimo prima che l’uomo fissasse il cassetto con una mandata di chiave, per caricarselo poi sulle spalle. Pretendeva sempre lo stesso colore e lo sbirciava solamente. Dopo aver girato l’angolo, sbrigativa, lo cacciava fuori dalle tasche, e altrettanto spiccia lo ritirava. Poi risaliva il pianerottolo di casa, coprendo un sorrisetto con la mano a coppa.
La Papera al papero chiese:
«Papà, pappare i papaveri, come si fa?»
«Non puoi tu pappare i papaveri»
disse papà.
Eliana supera la curva a gomito dove, stringendo a tenaglia il vicolo, due case a tre piani in granito bianco sovrastano i tetti più bassi, da entrambi i lati. La svolta è così stretta da mettere alla prova la cinquecento di tziu Boiccu, il macellaio. Qualche metro sopra le striature bianche lasciate dalla sua automobile, un solitario geranio rosso si afferra al balcone, ornando di rosso il ferro battuto che fuoriesce giusto tre palmi dal muro. La bacinella azzurra, anch’essa decorata da disegni singolari, cola ruggine in più punti. Subito accanto v’è incastrato il corpulento tziu Parroe, sempre impeccabile nella sua camicia bianca e i calzoni in panno di velluto miele, leggermente sollevati al ginocchio, in favore della seduta. Con i gomiti poggiati allo schienale e il mento tra i polsi tremolanti, penzola di qua e di là, mentre nella terrazza di fronte, specchiandosi in lui, c’è tziu Ciccitu al riparo dell’abbaino che ciondola la testa in avanti come una merla presa al lenzino, rinfrescato dallo sventolare del bucato. Ambedue russano, noncuranti della stramba stagione che ha muschiato le tegole di verde-azzurro, altrimenti aggredite dall’inesorabile Maestrale. La primavera ha ceduto alle abbondanti piogge e mandato in malora la fioritura dei mandorli, non abituati all’acqua copiosa. Alcuni gechi bitorzoluti inseguono imperterriti le prime zanzare, nonostante la presenza delle vecchiette che fanno salotto, negli spogli cortili in terra battuta, catturando anch’esse i timidi raggi del sole. Tra un giro di uncinetto e una gettata di ago, parlano e sparlano, cercando di superare il torpore indolente dei pomeriggi, e, al giungere di Eliana, si voltano contemporaneamente.
E aggiunse poi, beccando l’insalata:
«Che cosa ci vuoi far, questa è la vita.»
«Lo sai che i papaveri sono alti, alti, alti.
Sei nata paperina che cosa ci vuoi farrr.
Sei nata paperina che cosa ci vuoi farrr…»
La bambina ammutolisce, voltandosi di spalle repentinamente.
"Ammazzale, ma cos’hanno da ghignare queste beccacce? Non mi riesce proprio di cantare quando guardano così!»
Fa loro le smorfie, cacciando fuori la lingua, poi, con una giravolta, ruota ancora la gonna e prosegue per la sua strada, cantando fra sé e sé. Conosce un sacco di canzoni, ma questa in particolare non riesce a impararla a memoria, perciò si esercita quando è certa che nessuno la senta.
«Vicino a un ruscello che dirvi non so,
un giorno un papavero in acqua guardò
e vide una piccola Papera bionda giocar…
E lì s’incantò!»
Frequenta la terza elementare e vorrebbe sbandierarlo ai quattro venti, che si sente quasi grande e capace come sua sorella, che frequenta la prima media. Ha già svolto i compiti che le sono stati assegnati, così si sente libera di scorrazzare per le viuzze. Bighellonando qua e là, si avvicina sempre più alla casa di zia Ines: chissà che non ci sia qualche mentina colorata ad aspettarla! Sua madre non gliene compra mai. Dice che devono usare con moderazione il poco denaro che il babbo riesce a racimolare alla giornata.
«Mi dici quanto costa una caramella?»
«Sei troppo impertinente; siamo poveri, punto e basta, Eliana. Oh misera me, non so più che risposta darle!»
Nel punto in cui la strada si slarga (Eliana lo sa, quello si chiama crocevia), separandosi in ben cinque parti, la bambina è arrivata ormai a destinazione. Alla sua destra, proprio di fronte alla casa della zia, c’è un muro che cinge il cortile della casa dei Murru, ormai ridotta a rudere, da dove giunge il grugnito di un maiale accompagnato dall’olezzo penetrante. La piccola si avvicina al cancello in rete metallica a nido d’ape - tenuta tesa alla bell’e meglio da due tavole in croce - tappandosi il naso. Poi, storcendo la bocca, si sposta dalle galline che si avvicinano nella speranza di un’altra razione di cibo. Al loro approssimarsi, batte fortissimo le mani per farle scappare. Sta ridendo a crepapelle nel vedere le ali sbattere rumorosamente quando, all’improvviso, dalla finestra di fronte - che poi sarebbe la cucina di sua zia - vien fuori roteando un piatto colorato che piomba ai suoi piedi e, frantumandosi in mille frammenti, scaglia i cocci dappertutto. Eliana arretra di qualche passo, un tantino perplessa.
«Oh, no! Stanno litigando di nuovo.»
Dopo un attimo di smarrimento e con un po’ di batticuore, va a bussare alla porta. Deve salire sul primo gradino per arrivare al battente di ferro. Alzandosi in punta di piedi, picchia con tutte le sue forze, ma pare che nessuno voglia aprirle. Si guarda attorno sconcertata, ma non vi è nessuno cui chiedere aiuto.
«Zia Inesinaaaaa!»
Agitandosi, grida e sbuffa in attesa, mentre sente avvicinarsi la voce rabbiosa di zio Boele fino a che l’anta si apre con violenza, sbattendo contro lo stipite. Il battente di ferro liso sbriciola la calce facendola ricadere sul viso di Eliana, e accresce la crepa che evidenzia l’indole di chi vi si appressa con frequenza.
Boele esce precipitosamente rischiando di travolgerla.
«Vai dalla tua zietta a consolarla. Vai, linguacciuta, corri!»
I denti stretti non riescono a impedire gli spruzzi copiosi di saliva e, mentre lei passa per l’uscio della zia, trema tutta.
Per farsi coraggio ripassa a mente, parola per parola, gli avvertimenti di sua madre:
«Quando li senti litigare, non devi andare via. Sarà lui il primo a uscire, perché non vuole far sentire a nessuno come insulta sua moglie. A te non farà