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Gli ingoiamorte
Gli ingoiamorte
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Gli ingoiamorte

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Fantasy - romanzo (146 pagine) - I Guardiani dell’Ordine contro i Cantori del Buio!


Questa volta i Guardiani dell’Ordine sono impegnati in una serie di omicidi avvenuti sotto la giurisdizione della Piana di Ponente, estremo limite ovest del Nehar Emìon. Sarà il capitano Vulco Ves Rhodaan a essere incaricato di dipanare un mistero che è scomodo fin dalle prime battute, infatti sembra che la questura di Ponente abbia tenuto nascosti gli omicidi, fra cui quello del questore stesso. La squadra messa insieme dal goblin troverà molta reticenza e complicate dinamiche che vedono i proprietari terrieri della Piana, investiti di poteri che sembrano scavalcare la stessa questura.

La Piana di Ponente è lontana dal potere centrale, quasi fosse uno stato satellite del Nehar Emìon, la gente si è comodamente chiusa nel proprio isolamento e preferisce gestire ogni faccenda in autonomia. Oltretutto è confinante con la Foresta del Crepuscolo, misteriosa e antica, si narra che negli anni bui, un mago nero l’avesse scelta come dimora per i suoi esperimenti magici. I villici sono concordi nell’identificare gli spiriti della foresta, che essi chiamano Cantori del Buio, come autori degli omicidi. Creature create dalla magia blasfema del mago nero.

Ci vorrà tutta la determinazione del primo ufficiale goblin del Nehar Emìon per dipanare l’ingarbugliata matassa di interessi politici, antiche faide e superstizione, mentre deve salvaguardare l’incolumità della sua squadra e scampare al rischio di essere arrestato. Naturalmente il primo passo che il capitano dovrà fare sarà penetrare nella Foresta del Crepuscolo di notte e scoprire se, i Cantori del Buio, sono frutto della superstizione popolare, oppure esistono veramente.


Umberto Maggesi è nato a Bologna l’11 novembre 1970. Vive a Milano dove lavora come chimico analista. Insegna e pratica Qwan Ki Do – arte marziale sino vietnamita. Ha pubblicato vari romanzi con case editrici quali: Stampalternativa, Delos Books, Ugo Mursia. Ha pubblicato vari racconti in riviste di settore come: Tam Tam, Inchiostro, Writers Magazine, e in appendice al Giallo Mondadori.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateNov 5, 2019
ISBN9788825410372
Gli ingoiamorte

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    Gli ingoiamorte - Umberto Maggesi

    9788825407655

    1

    Periodo del Glorioso – anno 1354 dfc

    Prima vide il cavallo. Brucava tranquillamente vicino al campo, ignorando la calura. Era sellato con finimenti di pregio. Le fibbie risplendevano ai soli e il cuoio luccicava umido di olio, esibendo le decorazioni a forma di foglie che contornavano lo stemma nobiliare. A terra il corpo, gonfio come tutti gli altri e certamente con le vene bluastre in rilievo.

    I Cantori del Buio se n’erano preso un altro. Pensò il contadino facendo qualche passo.

    Nonostante la faccia affondata nel fango, riconobbe il secondogenito di Lord Famiaas. Ardrigal Famiaas. Un diciassettenne pieno di fuoco che impiegava il suo tempo a infastidire le figlie dei contadini, e anche le mogli a dire tutta la verità. Ma quella non era una morte legata all’onore. I Cantori del Buio si erano presi la sua vita e forse qualcosa di più.

    Luan si guardò intorno, spaziando fra le spighe. I soli del mattino riversavano calore a ondate sui raccolti. Ci sarebbe voluta la pioggia, ma Salos era certamente adirato con loro, dopo quello che era successo al sommo sacerdote. Luan era certo che il dio avrebbe fatto seccare quel raccolto e forse anche altri per anni a venire. L’uomo spaziò lo sguardo sulle spighe e gli alberi, facendo un giro su sé stesso. Nessun movimento, nessuno sguardo. Il contadino si chinò ad afferrare la borsa delle monete e il coltello, sfilò la bella cintura dalla fibbia dorata. La spada era un paio di braccia più in là, ma preferì lasciarla stare, era impossibile venderla per un popolano come lui. Stava passando agli stivali, quando sentì un rumore. Un fruscio, seguito da un piccolissimo scoppio. Con due falcate fu in mezzo agli alberi, protetto dall’ombra. Attese senza che nulla si muovesse. Avrebbe seppellito il bottino fra gli alberi, per tornare a riprenderlo molto dopo che il cadavere fosse stato scoperto. Ma la foresta sembrava osservare, viva e pulsante di segreti a metà strada fra uomini e dei. Forse i Cantori non gradivano che seppellisse roba rubata all’ombra dei loro alberi. Forse lo stavano osservando proprio in quel momento, pronti a fargli fare la stessa fine del piccolo lord e di quelli che lo avevano preceduto.

    Sentì la pelle accapponarsi. La nuca formicolare.

    Cambiò idea velocemente e si diresse alla catapecchia che non osava chiamare casa. Avrebbero perquisito tutto il villaggio. Ogni fattoria, baracca e capanno per tutta la Piana. Dove poteva nascondere quella roba?

    – Pensa, zuccone – si disse Luan cercando d’imitare la voce del suo vecchio. – Dove non guarderebbe mai la sbirraglia?

    Due anni prima Damian Neftort aveva nascosto una coppa d’oro, rubata al banchetto della festa per l’inaugurazione del tempio di Salos. Da Città erano arrivati molti nobili. Lord Famiaas voleva fare bella figura, intendeva mostrare ai lord della capitale che lui era un loro pari. Voleva il meglio e che tutto fosse perfetto. Aveva addestrato i contadini, le mogli e i figli più grandi. Voleva che la servitù brulicasse intorno agli ospiti. Proprio così aveva detto: brulicare.

    E loro avevano brulicato. Lo sanno gli dei. Per due giorni avevano servito, riempito, rabboccato, versato, tagliato, portato, tolto, accomodato, apparecchiato, disposto, raccolto, lavato, piegato, steso. Persino la notte c’era ancora gente intorno ai tavoli. E la mattina dopo tutto era ricominciato. In quella confusione Damian Neftort, a cui gli dei non hanno donato tanta testa, aveva pensato bene di nascondere una coppa dall’altra parte del muro di recinzione mediante un filo. Aveva funzionato. Ma neanche dieci giorni dopo, gli sgherri del lord, con Mezzomuso in testa, avevano ripescato la coppa dalla merda dei maiali nella stalla dei Neftort. Mezzomuso aveva obbligato Damian a pulire la coppa con la lingua, poi lo aveva portato via e non se n’era saputo più niente.

    – Meglio trovare un posto sicuro, sì. Un posto molto sicuro. Sì sì.

    La piccola folla si fece da parte all’arrivo dei tre cavalieri. Il Lord, il maresciallo della guarnigione e l’orrido capitano del Martello del Lord, arrestarono i cavalli in uno spruzzo di terra e sassi, che investì i villici. Ovviamente nessuno fece una piega.

    Lord Famiaas girò il corpo del figlio e restò a fissarlo in silenzio. Nessuna emozione trapelava dal volto cesellato in lineamenti duri, spigoli e sporgenze. Aveva labbra sottili piegate verso il basso. Sopracciglia grigie ad angolo acuto.

    – Dovremo perquisire la zona, controllare il… co… la salma.

    Propose il maresciallo.

    – Prendetelo, maresciallo, è tutto vostro.

    Detto questo saltò sul cavallo e si rivolse ai contadini.

    – Scopriremo cosa c’è dietro queste uccisioni e allora qualcuno piangerà. Ve lo giuro sulla lynh di mio figlio! Kutar pensaci tu!

    Kutar era un goblin orrendo. Metà del muso era stata divelta da una mazza d’orco. L’occhio destro non esisteva più e la bocca era atteggiata a un asimmetrico ghigno. Le mani sfioravano il manico di due fruste. Tutti sapevano ciò che Mezzomuso poteva fare con quelle armi e si prodigavano per non dargli nessuna occasione.

    – Bene! Chi vuole cominsciare?

    I contadini fecero un passo indietro.

    – Lo sciapete che non scè sciperanza. Mi direte tutto. Me lo direte… ora!

    Le braccia scattarono. Cuoio schioccò nell’aria. Le code si attorcigliarono al collo di un anziano dalla pelle cotta dai soli e di una ragazza poco più che adolescente.

    Kutar Mezzomuso tirò. I due malcapitati scivolarono fino a lui nella polvere.

    – Coscia è sciussciesso qui?

    Il maresciallo non muoveva un muscolo. Fissava il cadavere fingendo d’ignorare quello che succedeva intorno.

    La ragazza piangeva, ma non provava a liberarsi. Il vecchio cercava di dire qualcosa, ma il cuoio stringeva troppo. Con un movimento del polso l’orrido goblin sciolse la frusta, mentre l’altro braccio teneva ben salda la giovane. L’uomo tossì, sputò e cercò di alzarsi in piedi. Uno stivale sul petto lo convinse a starsene dov’era. La ragazza rantolava e cercava di liberarsi il collo.

    – Non sappiamo siòr mio, devono essere stati… gli spiriti. Sì, siòr mio, so che non mi crederete, ma è così. I Cantori del Buio non amano che ci aggiriamo da queste parti.

    Quando la frusta le liberò il collo, la ragazza succhiò aria avidamente. Lacrime sporche di polvere le rigavano il voltò.

    – È così siòr è tutto vero. Noi non c’entriamo… non sappiamo nulla.

    Nel frattempo, erano arrivati i Guardiani della guarnigione. Un maggioritario, due guardiani scelti e uno semplice.

    – Arrestateli tutti – ordinò il goblin. – Li interrogherò più tardi.

    Il maggioritario, un nano dalla barba nerissima che ostentava una splendida ascia bipenne, girò lo sguardo sul superiore.

    – Signore?

    Il maresciallo parve riscuotersi e alzò gli occhi dal cadavere.

    – Arrestateli tutti, e che siano a disposizione di messer Kutar.

    – Sissignore.

    2

    Colette Dimieer Famiaas era bassa, molto bassa. Un corpicino esile, privo della forza per alzarsi da terra. Due occhioni azzurri ravvivavano un volto ordinario, con un mento a punta e un naso che pareva tagliato grossolanamente col coltello. Sembrava impossibile che avesse sfornato tre figli grandi e grossi come il marito. Pareva impossibile anche che Lord Famiaas riuscisse a chiavarla senza spezzarla in due. Colette sapeva perfettamente che si dicevano queste cose su di lei e la consapevolezza rinfocolava l’odio che aveva per i suoi pari.

    Colette aveva pianto tutto il giorno. Ora singhiozzava di quando in quando, stremata ma ancora piena di dolore. Non dava fastidio. Le sue urla erano pigolii. I gemiti, sussurri vaghi. Piangeva per il figlio e piangeva per lo schifo che la circondava da quando si era sposata. Piangeva per i pochi anni sprecati di Ardrigal ad asservire i fittavoli e insidiare le popolane. Suo padre l’aveva cresciuta nell’idea che, i nobili, avessero le chiavi per fare del mondo un posto meraviglioso in cui vivere. Rispettare le leggi e onorare i propri debiti erano i princìpi su cui Atuhor Dimieer aveva condotto la sua vita. Purtroppo, i Dimieer sarebbero finiti con lei. La madre era morta un anno dopo la sua nascita e Atuhor non si era mai risposato, dedicando la vita a organizzare un buon matrimonio per la sua piccola stella. Lord Beon Famiaas era sembrato il partito perfetto. Troppo tardi si era accorta in che nido di serpi si era cacciata.

    Vicino a lei sedeva Lodon Famiaas cugino di suo marito e la consorte Thitta. Poi il loro figlio maggiore Assamell e la moglie Maritta. Seguiva il suo primogenito Dorio, che non sembrava particolarmente rattristato per la morte del fratello, e la consorte Fulivia, che la guardava, al solito, come un insetto finito sulla sua tovaglia migliore.

    Verionica, la sua secondogenita, stava servendo spremute di frutta e carne fredda su foglie d’insalata. Gli occhi ancora arrossati e un sorriso stentato sul volto.

    – Il tuo mostro non ha trovato niente.

    La voce di zio Grethel somigliava allo smerigliare del vetro. Sabbia contro vetro. Colette aveva sentito il rumore nelle botteghe dei vetrai e si adattava perfettamente.

    Grethel Corneluis Famiaas era il fratello minore del padre di Lord Beon Famiaas e, nel profondo del cuore, aspirante al titolo di lord e delle rendite che ne sarebbero derivate. Era burbero e con pessimi modi, incapace di farsi amici e impestato dalle peggiori malattie che sua moglie gli portava a letto. Probabilmente, proprio in quel momento, la giovane Feona Mallei Famiaas era avvinghiata a un ufficiale, un mercante, oppure, e qui proprio non ci facciamo mancare nulla, a un popolano.

    – I contadini hanno paura! Non è facile strapp…

    – Ammazzane un po’ accidenti! Fagli vedere cosa vuol dire andare contro i Famiaas! – Il vecchio zio era tutto rosso di collera.

    – Padre! Non vorrei che attirassimo l’attenzione del comando.

    – Oh Lodon sei un tale vigliacco! Credi che vogliano rischiare le forniture? È già successo, se noi serriamo i granai, tutti i lord della Piana faranno lo stesso!

    – Zio, zio. Capisco bene la tua collera. – Beon era abile a celare i suoi piani dietro a sorrisi e parole gentili. – Io stesso prenderei fuoco e pece e brucerei quei bastardi.

    Colette osservò Juger, la cameriera, sussultare leggermente.

    – Tuttavia Lodon dice il vero. Gli equilibri stanno cambiando nel Nehar Emìon. Al Governo arrivano nuovi volti e nuove alleanze. Perfino gli elfi stanno cambiando. Il Vicariato elfico vuole nuove terre e guarda la Piana. Per non parlare dei goblin che figliano peggio che i conigli.

    – Cosa vuol dire questo, che ci faremo ammazzare uno alla volta?

    – Certo che no. – Beon alzò il proprio bicchiere guardando attraverso. – Dovremo essere più discreti, il mio… mostro deve solo cambiare strategia.

    – Basta che si muova, è già il terzo che ammazzano.

    – Con il capò e Sua Celestialità Himmogene sono cinque.

    – Parlavo di nobiltà.

    Precisò sprezzante Grethel.

    – Io parlavo di gente odiata dai contadini – Rincalzò Beon.

    – Per il capò sono d’accordo – intervenne Lodon ringalluzzito dalla difesa del cugino. – Ma il sacerdote ha sempre aiutato i villici. Gli portava cibo ed erbe guaritrici. È venuto più di una volta in difesa di un condannato.

    – Ma sempre senza esito per gli dei!

    – Sì, ma ha dimostrato a tutti che era dalla loro parte.

    – Forse ha assistito al primo omicidio. – Propose Fulivia, scoccando un’occhiata provocante al suocero.

    Colette serrò i pugni.

    – Mia cara sono certo che se incaricassimo te delle indagini, tutto si risolverebbe in brevissimo tempo.

    – Voi mi adulate mio lord.

    Colette provò l’impulso di prendere uno dei coltelli da dessert e infilarlo nell’occhio della nuora. Sentì un brivido caldo salirle dal petto. Rilassò le mani espirando a lungo, contando i punti del ricamo sulla tovaglia. Quando la rabbia repressa rischiava di esplodere, Colette aveva inventato tutta una serie di esercizi per calmarsi. Respirare a fondo e contare erano quelli che l’aiutavano di più.

    – Queste sciocchezze non ci aiuteranno – Grethel Corneluis Famiaas si alzò dalla sedia. – Per il momento è successo solo nei campi, ma vedrete che verranno a cercarci in casa!

    Tutti i presenti si misero a parlare insieme. Chi pregava gli dei. Chi garantiva che la loro casa era sicura. Chi domandava se non fosse il caso che si trasferissero al mare per un po’. Solo Colette Dimieer Famiaas non parlava. Gli occhi erano tornati sui parenti seduti intorno al tavolo. Stava pensando alle ultime parole di suo cugino. Venire in casa! Prenderli tutti! Bruciare ogni cosa! Sul volto della donna si formò l’accenno di un sorriso.

    Quando la luce dei soli divenne un flebile chiarore a ovest, gli ospiti tolsero il disturbo.

    – Domani vado dai Milleow, mi alzo presto.

    Colette fissò il marito senza capire. Nella sua mente c’era solo l’immagine di Ardrigal nella bara.

    – Ma abbiamo seppellito oggi nostro figlio!

    – Appunto! Cominciamo a essere a corto di eredi. I Milleow hanno impegnato la loro figlia, vedo se riesco a fargli andar bene Necolas.

    – Ma Necolas ha undici anni!

    – L’importante è strappare la parola a Farizio Milleow.

    – Lei amava Ardrigal…

    – E lui si fotteva ogni contadina nel raggio di cento getti! Abbiamo bisogno di alleati, stanno arrivando tempi bui. Ora non seccarmi più!

    La moglie ingoiò fiele, ma seppe dominarsi. Era più che allenata.

    – Certo

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