Fuga dall'Apocalisse
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Fuga dall'Apocalisse - Adriano Petta
COLOPHON
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2019 Oltre edizioni
http://www.oltre.it
ISBN 9788899932688
Collana *gialli
Titolo originale dell’opera:
Fuga dall'Apocalisse
di Adriano Petta
Sommario
Adriano Petta (note bio-bibliografiche)
I – Lunedì 9 aprile 2029
II – Venerdì 13 aprile 2029
III – Lunedì 16 aprile 2029
IV – Lunedì 16-Martedì 17 aprile 2029
V – Mercoledì 18 aprile 2029
VI – Giovedì 19 aprile 2029
VII– Venerdì 20 aprile 2029
VIII – Epilogo
Adriano Petta
Adriano Petta è nato a Carpinone (IS) nel 1945. Romanziere, studioso di storia della scienza e medievalista, ha dedicato parte degli ultimi vent’anni alle ricerche per i suoi romanzi storici. Nel 1995 ha tradotto dal castigliano il racconto di Clarín La duchessa del trionfo (EDIS, La Collanina-Classici in breve, 1995), facendolo precedere da un piccolo saggio sull’Arte del romanzo (Nel rogo del calamaio). Oltre alla produzione di romanzi, negli ultimi anni è stato collaboratore del quotidiano Il Manifesto
con articoli d’interesse storico legati soprattutto al Medioevo e all’Inquisizione. Ha collaborato con l’inserto letterario del settimanale La Rinascita della Sinistra
. Suoi racconti ed interventi di carattere storico sono stati pubblicati su svariate riviste e webzine.
A Lisa Randall, Brian Greene e Michio Kaku per aver scritto
i loro meravigliosi Passaggi curvi, Universo elegante e Mondi paralleli:
a questi tre scienziati dedico questo mio piccolo povero romanzo...
microscopico contributo all’ascesa del genere umano
verso le stelle e i misteri dell’Universo.
A tutti gli scienziati, ricercatori e tecnici del CERN di Ginevra
che stanno accingendosi alla scoperta più importante nella storia dell’umanità:
nel nostro mondo a tre dimensioni essi stanno per trovare
le impronte digitali delle dimensioni extra.
I – LUNEDÌ 9 APRILE 2029
Piove sangue. Il tergicristallo della mia utilitaria fatica a pulire il parabrezza sporco di sabbia, cenere che viene dall’Africa, sembra sangue denso. Le nuvole sono basse, è mezzogiorno ma è come se fosse notte piena; ogni tanto si produce uno squarcio tra le nubi... una specie di chiarore rossastro subito inghiottito dai neri cumuli di morte.
La stradina fiancheggia Piazza dei miracoli. Il Battistero, il Duomo e la Torre Pendente si stagliano sul cielo apocalittico. Il motorino elettrico dell’auto è silenzioso, Pisa sembra deserta da quando Livorno è stata inghiottita dal mare, anche i pisani stanno fuggendo in collina e in montagna: ormai i ghiacciai del Polo Nord e quelli della Groenlandia si sono definitivamente sciolti... ma il peggio è che quelli dell’Antartico stanno facendo la stessa fine, e il livello dei mari di tutto il mondo sta crescendo a vista d’occhio. Le città sui mari vengono inghiottite lentamente, inesorabilmente; le coste si stanno svuotando; il clima è impazzito: il mite dolce Mediterraneo è continuamente devastato da tifoni e uragani.
Da un mese sull’Italia grava una cappa di sabbia africana, su tutta la penisola... dalla Sicilia alle Alpi, giorno e notte, e di giorno sembra l’apocalisse perché il sole prova a farsi strada, ma viene inghiottito dalla cappa infernale, producendo solo squarci di sangue.
L’illuminazione della città viene tenuta costantemente accesa: la luce giallastra fatica a fendere la caligine che avvolge alberi e palazzi. Il marmo bianco della Torre Pendente è così bello che sembra resistere alla nebbia, svettando – anche se a fatica – nelle ombre. Al centro del prato davanti al Duomo e alla Torre pendente, sui gradini della colonna alla cui sommità c’è la lupa di Roma che allatta Romolo e Remo, scorgo la figura china della giovane burattinaia musicale: forse riconosce la mia auto, solleva un braccio lanciandomi un cenno di saluto. Mi fermerò al ritorno: mia figlia Neva le è affezionata, e vorrà salutarla come al solito.
Accendo lo stereo, dall’hard-disc prelevo le Quattro stagioni di Vivaldi, ma appena gli altoparlanti irradiano la cascata di primavera e di sole, mi sento male, ho paura che la mia bambina non vedrà mai più quei colori; allora cambio brano musicale, per errore inserisco la radio che ormai vomita solo bugie e stupidaggini sulla situazione meteorologica, sulle condizioni dell’Antartico, sullo stato del pianeta. Mi affretto a premere il tasto 2: le colonne sonore dei vecchi film, il grande compositore tedesco Hans Zimmer: ecco, questa musica sì ch’è adatta a quest’atmosfera di morte... dev’essere The ring two.
La città sembra deserta, una volta brulicava di turisti e di studenti, risuonava di esclamazioni e splendeva di colori, di tutto il mondo... mentre adesso ogni tanto incrocio qualche bicicletta, qualche rara auto elettrica, pochissimi autobus urbani – e solo questi sembrano ospitare un po’ di gente, volti schiacciati sui vetri, facce incupite. La gente sembra aver perso il sorriso. Quando trent’anni fa Hans Zimmer compose questa musica, probabilmente l’ispirazione gli venne leggendo qualche libro di fantascienza che descriveva un mondo in declino come questo.
Costeggio la chiesa di San Francesco, mi immetto in via Buonarroti, e raggiungo largo Bruno Pontecorvo, dove c’è il Dipartimento di Matematica dell’Università.
Inserisco il mio tesserino nel lettore, l’asta metallica si solleva mentre il giovane vigile nel gabbiotto non accenna nemmeno il solito saluto, tutto preso dal monitor TV su cui stanno scorrendo le notizie meteorologiche.
Parcheggio nel cortile sotto i pini, ci sono pochissime auto, raggiungo il corridoio con le aule. L’illuminazione è ridotta al minimo, il risparmio energetico è questione di primaria importanza, ci si vede poco, c’è scarso personale in giro.
Invece di raggiungere il mio laboratorio in fondo al corridoio, busso sulla porta del direttore, dottor Massimo Cerami... porta su cui spicca un poster gigante con un cuore rosso e la scritta Io amo gli asteroidi: una flebile risposta, un Avanti
stanco, entro.
Il volto è nascosto dal monitor, occupa la scrivania al fondo della grande sala, fa capolino, mi riconosce, una specie di sorriso, mi prega di raggiungerlo e di sedermi accanto a lui.
La vetrata dà su un fabbricato dell’Università, al di qua delle vecchie mura della città, le cui facciate sono in vetro nero su cui si riflette il cielo di sangue.
Lo raggiungo, insiste con un gesto della mano, vuole che sieda al suo fianco, lo accontento, sta leggendo le notizie in tempo reale sul monitor davanti a lui, il naso aquilino freme d’indignazione, i grandi occhi marroni sotto gli occhiali brillano di rabbia.
Maledetti! Li hanno presi quasi tutti, oltre duecento persone... tutti incensurati, tutti irreprensibili cittadini danesi.
Stacca lo sguardo dal monitor, si gira verso di me, la rabbia sembra afflosciarsi assieme ai muscoli del collo: Non era possibile una simile velocità: la Groenlandia, questo gigantesco ghiacciaio, si è sciolto in pochi anni grazie all’azione criminale di duecento onesti cittadini che hanno pompato calore sotto il ghiaccio... per liberare il terreno! Capisci, Anja? Per dare il via libero alle trivelle.
La voce bassa e possente di Massimo trema, le labbra sono piegate, non mi dà tempo di domandare: Nel sottosuolo della Groenlandia c’è l’ultimo giacimento petrolifero del pianeta terra... Maledetti.
Lo sguardo si rifugia nella vetrata, negli ammassi di cielo nero squarciati dal sangue delle nuvole e riflessi nei palazzi di fronte.
Anch’io mi sento distrutta, ascolto la mia voce sussurrare le solite cose: L’unico nostro datore di vita, il nostro pianeta... e invece di curarlo, rispettarlo, amarlo... noi gli sputiamo addosso il nostro vomito di creature che sanno di essere uno sbaglio della natura.
Lo sguardo di Massimo è sprofondato nella vetrata, incupito in volto, immobile: Questa è la più grande follia a cui ho assistito. E questa porcata non l’hanno compiuta dei disgraziati, diseredati, derelitti del terzo mondo... ma un gruppo di europei colti e civili, d’accordo con una multinazionale del petrolio con capitale russo e americano! Maledetti.
Voce accorata.
Mi manca il respiro, non ce la faccio a chiedergli nemmeno i dettagli, con gli occhi mi rifugio nella stessa vetrata da cui traspare l’apocalisse incombente.
Massimo volge il capo verso di me, i lineamenti del viso quadrato sono tesi, duri, sguardo freddo, implacabile. Questa specie bastarda a cui apparteniamo è un esperimento fallito.
Piega le labbra in una specie di smorfia. Ma tu, Anja, non la pensi così.
Mi sento ancora scossa, non riesco ad afferrarmi alle mie indomabili energie nascoste tra le pieghe del mio carattere. Neva... l’immagine di mia figlia riesce a scuotermi: Non la penso così, Massimo, lo sai. Nonostante tutto, credo che l’uomo sia una creatura unica, capace delle più orribili nefandezze, ma anche delle azioni più sublimi, meravigliose. A volte la stessa creatura è capace di entrambe. Dipende dal contesto storico in cui vive. Dipende da noi.
Da noi che possediamo il potere culturale, ma che non abbiamo saputo imporci a coloro che possedevano il potere economico e politico: è sempre questa la tua convinzione, Anja?
Cerca d’imbastire una specie di sorriso con una brutta piega d’un angolo della bocca.
È così, Massimo. Tutto è dipeso da noi scienziati e ricercatori. Per la prima volta nella storia abbiamo avuto a disposizione internet: in qualunque parte del mondo fossimo dislocati, potevamo scambiarci i dati delle nostre ricerche in tempo reale. Ma anche le nostre considerazioni sull’economia, sulle condizioni del nostro pianeta, sulla politica, sul futuro. Noi detenevamo il vero potere, se volevamo. Il potere di essere da guida. Mentre non siamo stati capaci di farlo. Ognuno ha pensato al proprio orticello, ai propri studi, senza quasi mai esporsi personalmente. Ci siamo accontentati di ottenere qualche sovvenzione, di poter proseguire il nostro lavoro e i nostri studi. E abbiamo permesso che la follia del mondo esplodesse.
Vorrei lanciarmi in una delle nostre accese discussioni, ma oggi mi sento distrutta anch’io, capisco che la rabbia e il dolore del responsabile del settore astronomico della facoltà di Matematica e Fisica dell’università di Pisa siano giustificate... davanti a questo cielo nero di sangue e alla notizia della Groenlandia.
Anche Massimo non deve aver voglia di lanciarsi in una delle nostre solite discussioni. Raddrizza la schiena: E così questa è l’ultima settimana che lavori con me.
E adesso riesce davvero ad accennare un pallido sorriso. Mi mancherà il tuo entusiasmo, la tua fiducia nell’uomo, il tuo sorriso caparbio, indistruttibile.
I grandi occhi si accendono d’improvvisa luce. Sei proprio una bella creatura, Anja. Ma sei un’eccezione... in questo esperimento fallito.
A me mancherà la tua fiducia incondizionata nei miei mezzi, Massimo. Questo mi ha aiutata molto.
E gli sfioro un braccio con un gesto di gratitudine.
Massimo apre un cassetto della scrivania, ne estrae una rivista e me la porge: Hanno pubblicato tutto il tuo studio, compresi i calcoli matematici. Senza nulla togliere a coloro che per primi vent’anni fa intuirono quello che sarebbe accaduto, nella storia resterai tu, ingegner Anja Vasselli della sezione Astrofisica dell’Università di Pisa, come colei che ha studiato e dimostrato che fra quaranta milioni di anni sulla Terra si estinguerà la vita a causa dell’impatto fra Mercurio e il nostro pianeta... impatto che produrrà l’innalzamento perenne della temperatura di migliaia di gradi.
E mentre afferro la rivista un po’ agitata, lui prosegue. Credo che queste siano state le credenziali che ti hanno schiuso le porte del CERN di Ginevra.
Mentre pronuncia il nome della città svizzera, è come se nella sua voce fosse risuonata una tonalità scordata: Mi dicesti che il tuo amico ingegner Pastor avrebbe avuto piacere di assistere qui al passaggio di Apophis. È ancora interessato?
Oltre che a lui, faresti un grande dono a Jan, il figlio, e a Neva.
E mi metto a sfogliare la rivista.
Pure tua figlia s’interessa di asteroidi? Signore iddio, cosa può l’immaginario collettivo! Naturalmente, sono a vostra disposizione! Venerdì vi aspetto qui tutti e quattro, nel laboratorio grande: seguirò io in prima persona il passaggio dell’asteroide più famoso della storia.
Sullo schermo gigante? Quanto durerà?
E sollevo il capo dalle pagine della rivista.
Apophis sarà spiato dall’osservatorio-satellite Chandra III, sarà necessario seguire la sua intera orbita di passaggio vicino alla Terra... ma diciamo che saranno determinanti tre ore: dalle ventuno alle ventiquattro.
Davvero non ti dispiace se verrò con Erich, Jan e Neva? Farò felice i due ragazzi, credimi.
E lo fisso con sincera gratitudine.
Anja, saranno le ultime ore che passeremo assieme. Porterò anche una bottiglia di spumante. E se il maledetto sassolone ci sfiorerà senza deviare la sua orbita... brinderemo a lui e ai nostri destini.
Ma traspare un velo di amarezza nella sua voce.
Massimo, quando ti trasferirai nella nuova sede di Siena?
La prossima settimana. Quelli dell’osservatorio hanno fatto il possibile, i locali erano piccoli, rimpiangerò questi spazi così ampi... ma Siena si trova a trecento metri sul livello del mare, mentre questa povera città è condannata.
E l’amarezza traspare dal suo volto e dalla sua voce.
Il Lungarno è già tutto allagato.
E una pena indicibile mi riafferra il cuore.
Occhi di nuovo torbidi, intrisi d’una rabbia furente, affronta il mio sguardo: Anja, porta via con te tutto quello che può servirti, compresi i notebook! Tutto, ti dico! Non dobbiamo lasciare nulla in mano agli sciacalli.
Mi alzo, gli chiedo se posso tenere la rivista per me, mi fa un cenno affermativo con il capo. Sto per voltarmi, quando lui mi fa, con voce scordata:
L’ingegner Pastor è vedovo, mi dicesti. Andrete a vivere assieme a Ginevra?
Solo per qualche settimana, finché non trovo una casa in affitto.
Anja, hai trentanove anni, sei troppo giovane per dedicare il resto della tua vita solo a tua figlia...
Si passa una mano sui capelli ondulati, con pochissime chiazze di grigio per i suoi 45 anni.
Massimo, gente come noi non può sprecare tempo dietro storie d’amore.
Con due dita si sistema gli occhiali sul naso, mentre negli occhi gli brilla una luce ironica: Sprecare tempo dietro storie d’amore... Certo, gente come noi...
Devo percorrere un breve tratto del Lungarno Mediceo, i pneumatici affondano completamente nell’acqua travasata dal fiume. Solo i gabbiani sembra che si siano adattati al nuovo ambiente: sono arrivati a migliaia dal mare, scorrazzano dappertutto, stridono, ormai devono sentirsi padroni di questo nuovo mondo senza sole. I pochi negozi che hanno resistito, aprono solo il mattino. Rare auto e pochi autobus si avventurano sul Lungarno, come sto facendo io. Sono le cinque del pomeriggio, sembra che la sera sia già calata, non piove più, i rari squarci sanguigni nel cielo sono diventati ancora più cupi. Mentre attraverso il Ponte di Mezzo, la luce giallastra dei lampioni crea un’atmosfera ombrosa, impregnata di solitudine.
Raggiungo la scuola di Neva: mia figlia mi sta aspettando sotto la tettoia della fermata dell’autobus. Mi vede, apre la portiera, s’infila dentro, un bacio su una guancia.
Allora? Te lo daranno questo diploma?
E riparto, mentre i suoi occhi azzurri si staccano dai miei e sprofondano nel cielo buio.
Tredici anni, viso bellissimo, sembra una madonna del Botticelli, capelli biondastri e ricci, tenuti sempre legati a coda di cavallo.
"Sì, mamma. Abbiamo già finito tutti gli esami, ed è confermato che quest’anno la scuola chiude due mesi prima. Domani è l’ultimo giorno e il preside mi