Un tumore, un padre, un fratello e... Dio
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Book preview
Un tumore, un padre, un fratello e... Dio - Nazzareno Presciutti
Youcanprint.it
dedica
Questo libro è dedicato a tutta la mia famiglia, a tutti i miei cari che hanno contribuito alla mia risalita, a chi ha accompagnato tutti i giorni ogni mio sforzo, ogni mia sofferenza e ogni mio anelito, ma un riconoscimento particolare va a mio fratello Marco, che mi ha preso per mano e ha condiviso tutto, a lui che ha portato insieme a me la mia croce, fratello e compagno di vita degno figlio di nostro padre che dal cielo avrà seguito tutta la storia e tramite lui mi ha fatto sentire il suo calore e il suo sostegno.
frontespizio
Nazzareno Presciutti
UN TUMORE, UN PADRE, UN FRATELLO E…
DIO
Prefazione
La storia narrata in questo libro è completamente vera; è il riassunto della mia vita, del mio percorso un po’ particolare che mi ha spinto a raccontarla anche col fine di riscorrerla, rituffandomi nei ricordi sempre vivi, nel passato che come un solco dietro di me, mi qualifica, mi indirizza verso sentieri lontani, mi fa ritrovare quelle radici che da sempre sono piantate nei valori più forti, all’origine della vita, in quel Cristo che sento sempre più vicino e che è l’unico che dà una risposta a tutto. Per questo ho rivisto la mia vita con gli occhi ingenui, innocenti e fantasiosi di un ragazzino nell’età dell’adolescenza al fine di intravedere un filo conduttore che sappia allacciare tra di loro tutti i vari avvenimenti che si susseguono in modo apparentemente eterogeneo e senza uno sviluppo consueto. Per rispettare il vero stato d’animo del bambino di un tempo ho ripercorso tutta la storia con gli occhi possibilisti di allora, con quello slancio e quella fantasia che rendevano possibile ogni cosa superando i limiti del reale e del senso logico. È stato comunque molto interessante e di gran lunga positivo ricercare e riscoprire parte delle sensazioni e delle motivazioni che mi hanno portato a fare delle scelte piuttosto che altre e a vederle scorrere davanti ora, alla luce della saggezza e della verità del ‘dopo’, è stato come un tuffo fin nel profondo delle radici per ritrovare i principi, le basi su cui in modo cosciente e non avevo già tracciato tutta la mia esistenza. Per una forma di particolare rispetto ai diversi componenti della mia famiglia ho cercato di riportare solo le vicende essenziali a dare al racconto scorrevolezza e legittimità, concentrandolo sui pochi familiari che più degli altri hanno avuto un ruolo particolarmente vicino a me e che in qualche modo la loro presenza è stata determinante per la mia vita. Il racconto inizia chiaramente da diversi anni fa, affonda le sue radici in un periodo triste e sicuramente duro, un tempo di prova per chi, come la mia famiglia, non ha potuto sfruttare le occasioni portate dall’avvento del progresso, non ha potuto approfittare delle situazioni vantaggiose e favorevoli per la condizione di disagio e di estrema povertà e probabilmente solo coloro che hanno alcuni anni più di me possono averne memoria e possono magari ritornare a ripensare a quei loro compagni poco più piccoli e un po’ più sfortunati, emarginati e derisi come zingari indesiderati, coinvolti in un gioco crudele che non si limitava a derisioni e dileggi, ma nelle forme più estreme arrivava a pure violenze, e se il lettore vuole entrare in modo pieno nel racconto per capire gli sviluppi reali dell’intera vicenda è legittimato a pensare il peggio. A volte non è cosa positiva descrivere e fare dei riferimenti precisi, ed io per rispetto anche ai miei familiari non scenderò nei particolari più umilianti ed infamanti, ma non si può nemmeno fare finta che non è accaduto niente, perché questo non sarebbe rendere giustizia a chi ha sofferto tantissimo e ancora adesso ne porta i segni. Comunque il seguente libro non vuole essere una vendetta verso coloro che si sono comportati male generando dolore e sofferenza. È mia convinzione che ormai il passato non ha più importanza e che altro male non risolverebbe nulla, quindi la realizzazione di questo racconto è motivata solo dal desiderio di riportare una storia vera, di rendere un servizio alla verità che non vuole e non deve essere negata. Ho cercato, quindi, di sottolineare solo alcuni fatti essenziali, evitando di accentuare ed esacerbare situazioni più cruente e imbarazzanti con la cura di non rivelare chi le ha provocate; piccole e più grandi violenze perpetuate da alcuni verso i miei familiari e me stesso solo per riproporre gli stati d’animo di quel periodo particolarmente duro. Tra l’altro chi conosce la storia di qualsiasi popolo o singolo che viene emarginato e oltraggiato sa che più o meno le violenze sono sempre le stesse, le prevaricazioni non si allontanano di molto dalle barbarie di vecchio stile, e narrarle qui non aggiungerebbe nulla di originale e non gioverebbe niente al realismo del racconto.
La vicenda è ambientata in un piccolo paese di montagna, ma una parte considerevole del racconto ha avuto come sfondo reale le piazze, le strade, i vicoli appartati della cittadina di Fossombrone che ha accolto benevola la mia permanenza sotto i suoi ridenti portici odoranti di vita, aprendo le sue capienti braccia ad un ragazzino affamato di avventure che covava nel cuore grandi sogni e grandi speranze per il domani. Era quella l’età più bella, era certamente il periodo più fecondo, propizio e fantasioso; giorni di sogni e di allegria, tempo d’amori e di poesia. Quel luogo discreto e accogliente ha offerto non poche occasioni a un ragazzino che cominciava a scoprire le gioie della vita, le prime lusinghe che si offrivano numerose ai suoi occhi ingenui, i primi amori innocenti per ragazze carine che lo ricambiavano; tutto ciò stimolò non poco quel piccolo sognatore che contemplava la sua bella vita tutta rosa sempre alla scoperta di nuove emozioni. Dentro occhi vispi di ragazze carine piene di vita sento il mio cuore ancora legato, ancorato a quei momenti felici con il rammarico e la nostalgia per l’innocenza e la purezza che ora non provo più e non vedo più. Per questo considero importante e prezioso ogni piccolo ricordo della mia permanenza in questa amena cittadina con vera gratitudine verso tutti coloro che hanno incrociato la loro vita con la mia arricchendo così il mio bagaglio di ricordi che tanto mi conforta e fornisce sempre nuove energie per il domani.
Questo libro non ha la pretesa di voler insegnare niente ad alcuno, e non ha neppure il peso di una critica sulla società moderna e il modo di pensare comune, ma realizza il desiderio di raccontare la mia storia con la stessa fierezza di chi è scampato ad un grande pericolo ed entusiasta e riconoscente verso la vita, esibisce le proprie ferite. Ho volutamente evitato di inasprire i fatti che sono accaduti realmente perché lo scopo del libro è anche quello di evidenziare come un paese può cambiare nel tempo, come una comunità può redimersi ed evolvere in bene avvalorando la mia convinzione, che le nuove generazioni in verità sono più sensibili di quelle di diversi anni fa, e che grazie alla cultura e nonostante l’effetto certamente deleterio di tutto ciò che il mondo di oggi con le televisioni e i giornali propina ai giovani, una discreta parte di essi riesce a sfuggire grazie anche ad una sensibilità maggiore; proprio per questo credo che oggi sarebbe molto difficile riproporre una situazione analoga a quella raccontata in questo libro. Certamente uno dei punti forti del libro è di evidenziare l’importanza e il ruolo di chi ci sta accanto, di chi è in grado di condizionare nel bene e nel male, tutta la nostra vita. Infatti proprio, come il libro metterà in evidenza l’ambiente con cui veniamo a contatto ogni giorno, le persone, le cose che guardiamo, ciò che leggiamo, qualsiasi cosa ci giunga all’occhio e all’orecchio sono in grado di condizionare la nostra personalità, modellandoci come statuine di creta nelle mani dell’artista, che con arte e attenzione puntigliosa definisce ogni piccolo tratto, magari ottenendo alla fine qualcosa di molto diverso da quello che ha pensato. Proprio questo particolare ci carica di una responsabilità verso gli altri, perché ho capito che la vita può dare molto di più, che Dio ci affida il compito di costruire il Paradiso in piena libertà, nel rispetto delle regole che sono il principio di base per ogni convivenza.
È grazie alla mia storia un po’ tortuosa e decisamente altalenante che sono nate in me certe idee e certe convinzioni rivelatesi poi essenziali per affrontare le avverse vicende e cambiare in bene quello che bene non era affatto; il tutto alla luce di una visione della vita illuminata da una fede ritrovata anche grazie ad una preziosa educazione religiosa ed un esempio che mi hanno permesso di guardare ben oltre il duro e deludente quotidiano. E comunque, questo libro si potrebbe considerare una voce fuori dal coro, il tentativo forse anche illusorio di non sentirmi trascinato dalla corrente, di andare oltre, di osare di più; e se vogliamo è la testimonianza di chi non accetta di soccombere, di chi ancora si sente vivo e ha bisogno di credere in un domani migliore, perché chi ha dentro il meglio, chi non ritrova nella realtà ciò che ha investito, ciò che mette in gioco ogni giorno e di cui ogni giorno ne sperimenta la bellezza non si può accontentare di una vita a metà, di una brutta copia, di una parvenza di vita che illude solo coloro che sono imbrigliati nelle sue reti d’oro, coloro che, vinti, si abbandonano illudendosi di aver raggiunto il massimo mentre la parte più eletta, quella vita che soddisfa pienamente è stata da loro stessi calpestata.
Uno dei motivi principali che mi ha spinto a scrivere il seguente libro è sicuramente quello di poter offrire un doveroso ringraziamento a chi è stato l’artefice della mia vittoria sull’incidente, di chi ha accompagnato passo dopo passo il mio lungo e faticoso cammino per tornare a credere nella vita: mio fratello Marco. Con lui voglio ringraziare anche gli altri componenti della mia famiglia che non sono nemmeno citati nel mio racconto ma che invece sono stati importanti per la mia risalita. Infine tale racconto, mi consente di accreditare il giusto merito a chi con sacrificio eroico, con umiltà e pazienza si è abbassato risollevando la statura morale della famiglia dei Presciutti; mio padre, Aldo.
Le radici
Il viandante che dalla vecchia cittadina di Cagli si incamminava verso nord ovest per raggiungere la millenaria abbazia vicino al borgo di Massa, dopo aver percorso una dozzina di chilometri dentro una vallata scavata tra due formazioni montuose coperte dalla tipica macchia mediterranea che in questa zona resa particolare dal terreno molto sassoso e povero di sostanze fertili favorisce la crescita di innumerevoli piante coperte di fiori colorati e profumati, si trovava in un accogliente paese di montagna adagiato in questo avvallamento formatosi dall’erosione di due fiumi: Pianello, la frazione più popolata del comune. All’epoca, questo ameno paesino, contava almeno cinquecento o a essere un po’ più ottimisti forse anche un migliaio di abitanti suddivisi tra artigiani, piccoli proprietari terrieri, piccoli allevatori e anche qualche negoziante; questa ultima categoria si era andata formando a seguito dell’abbandono degli allevamenti e dell’attività di boscaioli che occupava una parte rilevante della popolazione maschile e in rare eccezioni anche femminile. La nostra storia inizia negli anni sessanta, quando ancora si respirava l’aria pulita della campagna coltivata, quando si vedevano passare i birocci o le tregge trainati dai buoi e la gente voleva cancellare tutto quel mondo fatto di sacrifici e rinunce, attratti dalle lusinghe che i primi passi di una tecnologia ormai alle porte cominciava a fare capolino per cambiare gli stili di vita. Era l’epoca in cui nelle strade del piccolo paesino ogni tanto si vedevano ancora gli escrementi caldi e fumanti che i buoi lasciavano al loro passaggio e la campagna coltivata era la gioia e il sostento della gente che con fatica l’accudiva. In questo ambiente semplice e spartano viveva una famiglia estremamente povera, ma povera tra i poveri perché anche la povertà ha diverse scale, diversi strati che selezionano e contraddistinguono coloro che sono più in basso, rendendo ancor più dura l’appartenenza a questa infausta categoria. Nell’anno 1962, più precisamente il 3 Marzo, nasceva nell’ospedale di Cagli un bambino che i genitori Aldo e Delia, chiamata Iole, battezzeranno con il nome di Nazzareno. Così venni al mondo preceduto da altri tre fratelli e una sorella e seguito poi dopo due anni da un’altra sorella. Allora cominciai a crescere tra l ‘estrema miseria e la povertà infamante, che come un marchio nefasto segnavano la vita dei miei fratelli più grandi che erano già in grado di capire una forma di pressione e una diversità che come una seconda pelle li accompagnava per tutti i loro giorni. Questo clima di emarginazione lentamente cominciò a diventare cosciente anche in me un po’ più tardi, e comunque grazie al mio carattere ribelle e determinato, riuscivo a frenare ed attutire le piccole prevaricazioni perpetuate da alcuni coetanei e magari anche qualcuno più grande di me. Più o meno nell’età adulta venni a sapere che pochi giorni dopo qualcuno pianse per la mia nascita. Era mia sorella maggiore Lucia, che per motivi di lavoro si era trasferita in Lombardia e informata del fatto si sciolse in un pianto repentino e alla domanda di una sua amica che la vide in quello stato lei le fece vedere la lettera lasciando esterrefatta l’amica, che chiese; ma come, non sei contenta? È una cosa bellissima la nascita di un fratellino!
E mia sorella senza interrompere il suo pianto dirompente, rispose: ma i miei sono poverissimi e sono già tanti e non riescono a nutrirli tutti!
Lucia, precocemente responsabilizzata dalle condizioni della famiglia, fin da piccola aiutava i miei genitori a soddisfare le esigenze di tutta la famiglia e sulla scia e l’esempio di mio padre e mia madre andò a lavorare prima a Cagli e poi a Milazzo, nel comune di Milano, in un istituto per donne lavoratrici gestito da monache. Comunque ero un bambino carino; un piccolo cucciolo con i capelli castani e gli occhi lievemente scuri; lo sguardo sveglio e birichino completavano il bel gesto d’amore dei miei genitori. E davo anche soddisfazioni a tutta la famiglia perché ero sveglio e sicuramente anche un po’ birichino. Prima di frequentare a sei anni le elementari, come tutti i bambini iniziai la scuola materna e asilo nido gestiti dalle suore in un locale attiguo alla chiesa. Non sono molti i ricordi di questo ambiente sano ed accogliente; ricordo con gioia la mia precocità per le attività manuali per le recite e i giochi tra bambini. La poca coscienza del reale dei miei pochi anni mi impediva di percepire l’ostilità dell’ambiente esterno che invece era palese agli occhi dei miei fratelli più grandi. I primi ricordi che riaffiorano alla mente sono mani che venivano ritratte nei giochi classici che si facevano nei primi anni della scuola elementare quando la mia percezione della realtà non era ancora piena e di conseguenza non apportava gran dolore. Poi lentamente cominciai a prendere coscienza di questa diversità quando in compagnia di mio fratello Marco, con l’ingenuità, l’innocenza e il candore dei nostri primi anni, così impotenti e vulnerabili venivamo oltraggiati da alcuni ragazzini più grandi e cosa ancora più deleteria e pesante anche da adulti che trovavano così il loro divertimento. Ho ancora bene in memoria la determinazione di mio fratello che senza timore rispondeva alle minacce di un ragazzino un po’ più focoso e aggressivo; certo, tu puoi picchiarci, sei più grande. Ma questo non cambia niente, tu rimani sempre lo stupido che sei!
La determinazione di Marco riusciva a scoraggiare l’aggressività di qualsiasi ragazzino che voleva divertirsi a nostre spese; ma comunque non si abbassava mai al loro livello. Il fatto poi di essere più grande di me, anche se solo di due anni, lo caricava di una responsabilità che lo rendeva ancora più forte e determinato. Era l’insegnamento di nostro padre che anche per questo era deriso, anche per la sua fede genuina che non accettava compromessi. La pressione, che come una cappa gravava su tutta la famiglia da parte di molti adulti che si accanivano specialmente su mio padre, mia madre e i fratelli più grandi, veniva in qualche modo trasmessa anche a me in modo indiretto. In più i miei fratelli maggiori cercavano di proteggermi. Proprio per questo Marco ed io eravamo sempre insieme, come due amici affiatati cercando di arginare le violenze, che ci accompagnavano per tutto il tragitto. Era una cosa veramente triste vedere i propri familiari fatti oggetto di derisioni e maltrattamenti gratuiti; abbandonati da tutti. Solo negli ambienti religiosi, parrocchia e asilo gestito dalle suore mio padre e mia madre, ultimi tra famiglie anche loro esasperate dalla povertà e dall’indigenza, trovavano conforto e comprensione, sostenuti solo dalla loro fede sincera e disinteressata.
Quell’aria di rifiuto, di emarginazione, copriva la vita di tutta la famiglia fino ad arrivare a me in modo meno calzato, perché questa pressione era partita dalla generazione di mio padre e lentamente col tempo perdeva di intensità. Per questo i miei fratelli maggiori e soprattutto i miei genitori hanno portato un peso immenso: derisioni e umiliazioni, dileggiati da un paese che aveva le sembianze di uno spettro, sovrastando la vita della famiglia che si sentiva oppressa, quasi accerchiata senza possibilità di scampo. Era ormai diventato uso comune, come una moda, ma solo pochi si distinguevano per cattiveria, mentre la parte maggiore si accodava per poca personalità; alcuni riuscivano ad andare contro corrente e ad avere un atteggiamento più rispettoso e più solidale. Questo comportamento, infatti, dai più era visto come una sorta di scherzo un po’ buffo, vissuto tra