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Ebook61 pages44 minutes

Rifiuti

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About this ebook

Un uomo, per caso o necessità, esce di casa al crepuscolo a portar fuori le immondizie.  Questo esodo serale cambierà, forse, la sua visione delle cose e della vita. I rifiuti sono l'emblema del benessere della società odierna e allo stesso tempo rappresentano la condizione di emarginazione che molti individui, per scelta o costrizione,  sono costretti a vivere all'interno della stessa società.
LanguageItaliano
PublisherZOREN
Release dateOct 12, 2019
ISBN9788835303411
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    Rifiuti - CAU RENZO

    Renzo Cau

    Rifiuti

    UUID: d129cb2a-3719-11ea-8265-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Renzo Cau

    Rifiuti

    In copertina:

    Le città invisibili

    40x100 - Tecnica mista su tela

    Mauro Boscarato

    www.mauroboscarato.com

    Grazie Mauro per la gentile concessione dell'immagine.

    Ai miei figli Matilde e Alessandro sempre pronti a fare il tifo per me e a spronarmi a scrivere nelle calde e indolenti sere d’estate.

    E', questo, il mio primo approccio alla scrittura. Un racconto il cui sguardo sulla città si ispira ai quadri di Edward Hopper e il cui protagonista ha la presunzione di ricordare lo spleen di Camus.

    Renzo Cau nasce a Vicenza il 15.03.1970. Vive e sopravvive a Dueville in provincia di Vicenza.

    Figlio (nel bene e nel male) del laborioso Nord Est, ha mente sarda e cuore veneto. O viceversa.

    Buona lettura.

    Intro

    I dieci minuti in cui, al crepuscolo, porti fuori le immondizie dopo un anonimo lunedì di lavoro sembrano, a volte, l'unico momento in cui riesci a godere del cielo, dell'aria e di una certa indolente e gradevole solitudine. Arrivi perfino a pensare, seriamente, di cambiare vita e lavoro; poi rimandi la riflessione e la decisione al giovedì, ‘che tocca l’umido…

    A questo e ad altro pensava Sebastian. Aveva preso l’abitudine di uscire quasi tutte le sere per approfittare di quel momento e per fare due passi. Senza un cane al guinzaglio o qualche strumento conta-passi incollato al braccio, come era per la maggior parte dei vicini di casa, il suo girovagare, sfaccendato e lento, sembrava sospetto e gettava una sorta di malcelata diffidenza in coloro che lo incrociavano. Ad est era già notte, ad occidente un chiarore ostinato illuminava la città. Sebastian aspettò che fosse completamente buio per poter rientrare: l’incantesimo, anche per quella sera, era svanito.

    11 Novembre

    Dalla stretta palazzina di mattoni a vista in cui da più di un anno abitava, occorreva percorrere quasi un chilometro e mezzo per raggiungere i cassonetti della differenziata. La signorina dell’agenzia immobiliare non si era preoccupata di dirglielo; non era un particolare da poco dal momento che pagava seicento euro al mese per tre stanze, spese escluse. E’ anche vero che era stanco di cercare e che Helèna, così si chiamava la signorina dell’agenzia, quel giorno aveva lasciato aperto anche il terzo bottone della camicetta: due circostanze che probabilmente alla fine lo avrebbero convinto ugualmente. Una sera, la pigrizia di scendere al piano interrato, di aprire il garage e accendere l’auto, lo spinse a compiere a piedi il tragitto fino ai cassonetti. Rientrato e distesosi sul letto, si rese conto che in quel breve periodo di tempo passato a camminare aveva avuto la sensazione, appagante e inusuale, di sentirsi finalmente in pace con se stesso. Questo saltuario esodo serale si trasformò pian piano in un appuntamento fisso a cui Sebastian non avrebbe più potuto rinunciare.

    Venerdì: ultimo giorno di lavoro e della settimana, giorno di San Martino e uscita dedicata al vetro: la notte incombeva più del solito, la luna era ridotta ad uno spicchio sottilissimo e i lampioni, spenti, non si erano ancora adeguati al cambio d’ora. Alle sette di sera a Novembre era ormai notte inoltrata e non rimaneva nessun segno del crepuscolo; tuttavia Sebastian aveva imparato ad apprezzare anche luci e ombre artificiali, seppure invenzioni degli uomini.

    Quella sera, a illuminare il passaggio pedonale, era solo l’insegna rossa del ristorante giapponese Dragone, le cui R e G da anni erano spente e ciondolanti. Per tutti, si andava Da One. E suonava pure bene perché il titolare era un enorme giapponese calvo e obeso. Al banco, illuminato da una flebile luce bluastra, c’era sempre la madre, un’ottantenne increspata che non

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