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I senza volto: La scalata a una banca può comportare certi costi
I senza volto: La scalata a una banca può comportare certi costi
I senza volto: La scalata a una banca può comportare certi costi
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I senza volto: La scalata a una banca può comportare certi costi

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Silvana Santi è un'ispettrice di polizia che indaga sulla morte di Benedetto Montone, un giornalista coinvolto nella vicenda di Credito 2000, una banca che è esposta a una scalata ostile, lasciando a bocca asciutta molti suoi soci, per lo più persone comuni. Ma durante le indagini al suo fidanzato Fabrizio Schenati, a sua volta giornalista, arrivano delle telefonate “interessanti” da parte di un sedicente informatore. Le investigazioni procedono tra associazioni di soci, movimenti politici ed economici ben informati e piazzati, e tentativi di depistaggio, oltre che attentati omicidi nei confronti di Silvana.
Si scoprirà che non tutto ciò che si vede è infine reale, e che a manovrare le leve del credito non sono esattamente delle persone specchiate, anzi... Riuscirà Silvana a scoprire i veri mandanti? Come reagirà quando le verrà affiancata la sua (ex) amica Alberta?
Un romanzo giallo di spessore per la penna affermata di Paolo Delpino, vincitore della Sezione PandaNoir del Premio Prunola 2019.
LanguageItaliano
Release dateOct 16, 2019
ISBN9788893781695
I senza volto: La scalata a una banca può comportare certi costi

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    I senza volto - Paolo Delpino

    intenzionale.

    Scalata

    Morte di un pubblicista

    Il tram su cui mi trovavo era fermo da un paio di minuti a un centinaio di metri da piazza Cordusio, dalla quale proveniva un confuso vociare.

    Alcuni passeggeri, rivoltisi al conduttore per avere lumi, si erano sentiti rispondere che causa dell’arresto era una manifestazione.

    – Di chi? – aveva chiesto uno di loro, indispettito.

    L'interpellato aveva levato un braccio per poi lasciarlo ricadere: non ne aveva idea.

    Una signora di mezza età aveva alzato le spalle.

    – Saranno i soliti operai.

    – Perché, lei ha qualche cosa contro gli operai? – era intervenuto un distinto signore che, a onta dell'aspetto, coltivava sicuramente opinioni democratiche. – Se manifestano, avranno le loro buone ragioni. Magari hanno perso il lavoro.

    A far da paciere era prontamente intervenuto un giovanotto che stava leggendo l’articolo di spalla de Il Sole 24 ore.

    – No, aspetti, non si tratta di operai. Vede? Qui c'è scritto che sono i piccoli azionisti di Credito 2000. Avevano annunciato un raduno proprio in Cordusio, davanti alla sede della banca.

    – E il motivo? – aveva chiesto il signore di opinioni democratiche, che pareva non provare troppa simpatia quella gente.

    – Qui spiega che è per difendere i loro risparmi.

    Quasi contemporaneamente era giunto via altoparlante l’annuncio che la corsa era interrotta e i passeggeri erano invitati a scendere.

    Dopo qualche protesta, questi si erano rassegnati ad abbandonare il mezzo ed erano sciamati via, chi qui e chi là.

    Quel giorno non ero di servizio, per cui avevo deciso di andare a curiosare.

    Nella piazza erano assembrate alcune centinaia di persone che gridavano e tenevano levati cartelli e striscioni conditi di improperi all'indirizzo del governo, dell'amministratore delegato di Credito 2000 Aurelio Marchi e, chissà perché, anche del sindaco e della giunta comunale.

    Girando lo sguardo intorno a me, avevo adocchiato un vigile urbano che sorvegliava la scena, più annoiato che preoccupato.

    – Posso chiederle un'informazione?

    – Prego. Azionista?

    – Veramente no. Ero sul tram, ma ci hanno fatto scendere.

    Il vigile aveva accennato alla folla.

    – A dirla com'è, gli azionisti sono pochi.

    – E gli altri che ci fanno qui?

    – Sono venuti a godersi lo spettacolo.

    Così dicendo mi aveva indicato un tizio dall'aria arruffata che era salito su un trespolo reggendo in mano un microfono e il cui arrivo venne salutato da un applauso fragoroso.

    – Ah, lui.

    – Già, – commentò il vigile.

    Conoscevo Giovanni Gicco, detto Giò, come uno dei volti più noti della TV.

    Aveva debuttato facendo cabaret per poi passare ai quiz a premi e infine si era proposto come una sorta di difensore civico, fondando un movimento cui aveva dato nome La Riscossa; da ultimo, aveva annunciato di volersi mettere in politica.

    Era un abile comunicatore, dote con la quale compensava un'ignoranza e una volgarità senza pari.

    Non provavo alcuna simpatia per lui; ciononostante mi ero sforzata di ascoltarlo mentre, mescolando oscenità e sgrammaticature, rivendicava a se stesso il merito di rappresentare gli interessi dei piccoli azionisti di Credito 2000 contro gli abusi del vertice della banca, colpevole, a suo dire, di non remunerare i risparmi.

    Non mi intendo troppo di finanza; sapevo solo che l'istituto stava vivendo una situazione finanziaria difficile.

    Credito 2000 era sorto un paio d’anni prima dalla fusione di tre importanti banche che negli anni passati avevano fatto incetta di crediti poi divenuti inesigibili e avevano di conseguenza rischiato il fallimento.

    Per fare fronte alla situazione, il governo aveva costituito uno strumento ad hoc, la Cassa di Intervento, che si era sobbarcata il compito di raccogliere tali titoli (considerati alla stregua di spazzatura) liberandone le banche che ne erano gravate.

    La Cassa di Intervento avrebbe a sua volta proceduto al recupero di tali crediti in tempi che venivano definiti ragionevoli, col che si intendeva che potevano essere biblici.

    Poiché le residue riserve dei tre istituti non erano risultate sufficienti per la ripresa dell’attività, si era resa necessaria una robusta iniezione di capitale pubblico, che il governo aveva dichiarato temporanea, in attesa che alcuni gruppi finanziari ne rilevassero le quote, rinforzando così il nucleo di controllo del neonato istituto.

    Nel frattempo il ministero del Tesoro, azionista principale, aveva nominato come amministratore delegato Aurelio Marchi, che vantava una ventennale esperienza come dirigente della Banca d'Italia.

    Sfortunatamente, alcuni mesi dopo, erano sorti nuovi problemi.

    Il budget dell’istituto era stato rivisto al ribasso: chi diceva per una diminuita fiducia nelle prospettive di mercato, chi invece perché alcuni tra i componenti del patto di sindacato esitavano a sottoscrivere gli impegni promessi.

    L’amministratore delegato, conscio della gravità della situazione, aveva varato in risposta una massiccia emissione di azioni, allo scopo di attirare capitali freschi.

    La misura, sostenuta da un incalzante battage dei media, era stata promossa anche da svariati personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, la cui popolarità aveva richiamato una vasta platea di risparmiatori, attratti dal miraggio di cospicui dividendi.

    Marchi, per la verità, al contrario di qualche dirigente che si era speso in dichiarazioni ottimistiche, non si era esposto troppo su quest'ultimo aspetto.

    I successivi sviluppi gli avevano dato ragione perché, nonostante l’apporto finanziario dovuto alla sottoscrizione, il cash flow di Credito 2000 era risultato insoddisfacente; Marchi era perciò stato costretto a dichiarare che per quell'anno la banca non avrebbe distribuito dividendi.

    Di qui era montata la protesta dei piccoli azionisti, che si erano sentiti traditi nelle loro aspettative.

    ***

    L'improvvisato comizio stava volgendo alla fine.

    Mentre mi allontanavo verso il Castello Sforzesco, avevo fatto in tempo a cogliere le ultime battute di Gicco, che aveva invitato i presenti a consegnargli le deleghe per l'assemblea degli azionisti che era stata fissata di lì a un mese.

    – Gliela faremo vedere! – aveva sbraitato, sommerso dagli applausi.

    ***

    La sera, dopo aver cenato, mi sono collegata al sito Chessdom per seguire in diretta il nono match del campionato del mondo di scacchi tra lo sfidante, Carlsen, e il detentore del titolo, Anand.

    Con mio grande disappunto, Anand, alla ventottesima mossa, ha commesso un incredibile errore (28. Cf1? anziché Af1!) e alla successiva è stato costretto ad abbandonare.

    A questo punto Anand dovrebbe vincere le ultime tre partite per pareggiare il conto e andare allo spareggio, obiettivo praticamente impossibile.

    Da un lato mi è dispiaciuto, perché tifavo per lui, ma dall'altro mi sono sentita rinfrancata: per fortuna sbagliavano anche i campioni, non solo io.

    ***

    Pochi giorni dopo, verso le sei di mattina, una delle nostre pattuglie aveva avvistato il cadavere di un uomo nelle acque del Naviglio Pavese.

    L’autopsia aveva rivelato che l’uomo, tale Benedetto Montone di anni cinquantaquattro, era ubriaco fradicio.

    La sua morte era stata attribuita ad annegamento e il caso avrebbe potuto chiudersi lì se Fabrizio non mi avesse inviato una mail, invitandomi a leggere l’articolo che aveva pubblicato su Repubblica, dove sosteneva che la faccenda presentava dei lati oscuri.

    Il morto era un giornalista che pubblicava un opuscolo intitolato Attualità e Fabrizio, che lo conosceva di persona, aveva parlato con la sua compagna, Annunziata Pasquale, la quale aveva contestato questa versione, sostenendo che Montone era astemio, per cui mai e poi mai si sarebbe preso una sbronza.

    La donna aveva perciò preso contatto con un avvocato allo scopo di far aprire un fascicolo giudiziario sul caso.

    Fabrizio ha poi insistito per parlarmi direttamente della faccenda in commissariato.

    Ho voluto che all’incontro fosse presente anche il mio collega e amico Francesco Casoria, perché, visto che Fabrizio e io stiamo insieme da qualche anno, non ero sicura di mantenere un atteggiamento imparziale nei suoi confronti.

    ***

    Fabrizio è arrivato in commissariato con sottobraccio un faldone zeppo di carte.

    – Perché ti interessa tanto questa vicenda, a prescindere dal fatto che conoscevi questo Montone? – ho chiesto.

    Lui ha levato l’indice per richiamare la nostra attenzione.

    – Bene, perché Montone non era come i tanti freelance che stampano opuscoli finanziati dalle pubblicità: il suo foglio contava diverse centinaia di lettori. Questo perché lui si presentava come una sorta di difensore civico, specie dei piccoli risparmiatori truffati dalle banche. Ecco qui.

    Così dicendo, ha squadernato sulla scrivania diversi ritagli di giornale e di foto che documentavano campagne giornalistiche e cause intentate dallo scomparso contro istituti di credito non di seconda fila, tra i quali figurava anche Credito 2000.

    Questo particolare mi ha acceso una lampadina.

    – Magari sarà solo una coincidenza, ma la scorsa settimana mi è capitato di assistere a un comizio in piazza Cordusio di un altro che si proclamava difensore dei risparmiatori, – ho commentato.

    Casoria ha accennato una smorfia.

    – Stai parlando di Gicco? Ma quello fa solo i suoi interessi, altro che risparmiatori…

    Fabrizio ha annuito.

    – Proprio lui. Bene, era Montone a passargli le notizie. E di qui a breve Credito 2000 terrà un’assemblea degli azionisti che si preannuncia infuocata.

    Casoria è apparso meditabondo.

    – Per cui tu pensi che questa morte possa avere a che fare con le vicende di quell’istituto?

    – Il sospetto è l’anima del giornalismo. Per dire come la penso, secondo me varrebbe la pena di approfondire, magari sentendo la campana dell’Annunziata.

    – Con la quale, mi pare di capire, tu hai già parlato, – ho detto.

    – Infatti, ma lei è un personaggio un po’ particolare: una napoletana verace, simpaticissima, ma con tendenza a infiorare i fatti. Però, se dovesse rendere una testimonianza alla polizia, capite, dovrebbe mostrarsi più che attendibile.

    Sono rimasta a meditare per qualche secondo, cosicché è stato Francesco a rompere gli indugi.

    – Penso che dovremmo parlarne al capo. Fabrizio ha ragione, la cosa potrebbe essere interessante. Senza contare che è stata una nostra volante a trovare Montone.

    Il giorno dopo, su Repubblica è uscito un articolo di Fabrizio che sollevava pesanti sospetti sulla versione che attribuiva la fine del pubblicista a un incidente e invitava a riaprire le indagini.

    ***

    C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine Annunziata Pasquale l’ha spuntata e il sostituto procuratore Bruno Marchesi ha aperto un fascicolo giudiziario sulla morte di Benedetto Montone.

    Marchesi, al contrario della sua collega Flavia Foschi, era un tipo pacioso, che tendeva a sdrammatizzare e si muoveva solo sulla base di indizi più che certi.

    Così, dopo avere ascoltato la testimonianza della Pasquale, ha voluto parlare con noi, per capire quanta fede prestavamo alla versione di questa.

    – Vedete, – ha spiegato mostrando il foglio che riportava la testimonianza dell’Annunziata, – la signora in questione sostiene che il suo compagno è stato assassinato e che l’alcol che è stato trovato nel suo stomaco gli è stato fatto ingerire quando era già morto. Ma l’autopsia non ha riscontrato alcuna traccia di violenza, per cui questa tesi non sta in piedi. E la causa della morte è da attribuirsi senza alcun dubbio ad annegamento, perché Montone aveva i polmoni pieni d’acqua. Certo, rimane il fatto che, sempre a detta dell’Annunziata, il suo compagno era astemio; e un astemio difficilmente si ubriaca. Ma c’è un passaggio della sua testimonianza che ha attirato la mia attenzione. Aspettate, ora ve lo leggo.

    Così dicendo, il magistrato, dopo aver inforcato un paio di occhiali, ha scorso rapidamente il dattiloscritto fino a un punto segnato con l’evidenziatore.

    – Ecco qui: ‘… Benedetto, la sera prima che l’assassinassero, mi confidò che da lì in avanti tutto sarebbe cambiato, perché aveva trovato l’occasione della vita. Doveva parlare con della gente importante. Non so a chi si riferisse e lui non me lo volle rivelare; disse solo che avrebbe parlato a cose fatte.’ Ora, dando per buona la notizia, potrebbe essere che Montone avesse voluto festeggiare, benché in un modo insolito per lui.

    Francesco e io abbiamo scambiato uno sguardo d’intesa.

    – L’Annunziata non aveva idea di chi fossero queste persone importanti?

    – No, perché in caso contrario avrebbe fatto i nomi.

    – Ma allora… – ho iniziato, – non potrebbe essere che Montone abbia incontrato della gente che prima lo ha fatto bere per poi scaraventarlo nel Naviglio, quando era…

    –… in stato di semi incoscienza, visto che non reggeva l’alcol? – ha completato Francesco.

    Marchesi ha aggrottato le sopracciglia.

    – Voi credete che sarebbe stato possibile?

    – Se si fosse trovato sotto la minaccia di una pistola, temo che Montone non avrebbe avuto altra scelta, – abbiamo risposto all’unisono Francesco e io.

    Il magistrato ha annuito un paio di volte.

    – Potrebbe essere, potrebbe essere. Non c’è dubbio, occorre indagare. Indagare a fondo.

    ***

    Il giorno dopo aver parlato con il sostituto procuratore Marchesi abbiamo chiesto ad Annunziata Pasquale di venire in commissariato per chiarire alcuni aspetti relativi alla morte del suo compagno.

    La Pasquale era esattamente come ce l'aveva descritta Fabrizio: diretta, esplicita, impetuosa.

    Era convinta che prima Montone fosse stato assassinato e in seguito gettato in acqua e abbiamo durato fatica a farle ammettere che le prove raccolte facevano pensare che fosse avvenuto esattamente il contrario.

    Lei ci ha fissato con uno sguardo di sfida.

    – Loro non mi credono, insomma. Come non mi ha creduto il giudice.

    Qui è intervenuto Francesco, che è più diplomatico di me.

    – No, signora, non ci fraintenda. Noi le crediamo quando sostiene che Montone era astemio e che era molto improbabile che volesse festeggiare il colpo di fortuna che gli era capitato prendendosi una sbronza. Possiamo sospettare anche che sia stato gettato nel Naviglio quando era ancora vivo, ma completamente ubriaco e che di conseguenza sia annegato.

    – Ma lui non beveva, ispetto'! – ha protestato la donna.

    – Lui non beveva, ma... – ha insistito Casoria.

    Qui la Pasquale ha levato una mano.

    – Aspettate, ispetto'. Ho qui il giornale dove scrive quel giornalista che era venuto a parlare con me...

    Così dicendo ha estratto dalla borsa una copia di Repubblica che in cronaca locale riportava un articolo a firma di Fabrizio Schenati, che sposava decisamente la tesi dell'omicidio: Montone poteva essere stato costretto a bere tutto quell'alcol, e i suoi assassini potevano averlo fatto cadere in acqua quando si trovava

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