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Coincidenze
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Ebook164 pages2 hours

Coincidenze

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About this ebook

Michele è un ragioniere che lavora come Maître in un locale del suo paese. Cinquant'anni, single e una vita dedicata al suo lavoro. Un giorno, un martedì “non qualsiasi”, metterà in discussione tutte le sue certezze e comincerà a seguire l'istinto e i tanti segnali che l'esistenza sembra lasciargli sul cammino. Inizierà un viaggio che non sarà casuale per rincorrere una donna misteriosa che in apparenti sincronicità lo porterà a incontrare e affrontare frammenti del suo passato. Un viaggio che lo cambierà molto. Il finale sarà una serie di rivelazioni straordinarie e scoprirà che nulla è come sembra.
LanguageItaliano
Release dateSep 30, 2019
ISBN9788855390224
Coincidenze

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    Coincidenze - Oliviero Angelo Fuina

    André)

    Un martedì non qualsiasi

    Michele Rossi era molto bravo nel suo lavoro come Maître di sala nel rinomato e famoso ristorante cittadino.

    Al di là delle sue abilità professionali, il suo maggiore talento era quello di saper tagliare l’erba di ogni prato, anche il più disastrato, trasformandolo in vera moquette naturale a pelo raso.

    Il suo peggior talento, tra talenti comunque anche minimamente posseduti, era invece quello di suonare la chitarra. Ma la musica l’amava davvero.

    Aveva un diploma di ragioniere, ma un animo di poeta: amava tanto guardare le stelle e, grazie a un’applicazione sul suo smartphone, sapeva dare un nome a ogni stella e inserirla correttamente nella sua costellazione di appartenenza. Con quell’applicazione, addirittura, riusciva a vedere anche le stelle nella loro esatta collocazione nella sfera celeste anche sotto la linea dell’orizzonte, fino al Nadir, sotto i suoi piedi e sotto tutta la Terra che stava calpestando. Sapeva esattamente anche quali stelle c’erano nel cielo di giorno e nelle notti di pioggia. Purtroppo saper indicare la stella Arturo o Vega nella costellazione del Cigno non era, al lato pratico, di nessuna utilità. Ma il ragioniere Rossi, di pratico, in pratica non aveva nulla. Nessuna pratica da sbrigare, quindi.

    Amava pure molto le parole, ma alla stregua di amanti quasi clandestine, dato che tempo prima lo avevano fatto sposare con i numeri, scolasticamente parlando. Con loro continuava ad avere sempre un buon rapporto, basato sulla fiducia e sul rispetto, ma il senso d’infinito lo provava soltanto con parole a disegnare personali universi. E di parole mai banali amava vestirsi e dispensarle.

    I conti, quindi, non sempre tornano, pensava lui. Ma va anche detto che non era mai stato un simpatizzante della nobiltà monarchica e quindi la cosa non gli dispiaceva più di tanto.

    Michele Rossi non era sposato. Non era nemmeno fidanzato, ma per sua fortuna questo non faceva molta differenza nel suo percepirsi tranquillamente single. Semplicemente lui e le relazioni affettive di un certo tipo non si odoravano più di tanto. Qualche tentativo, a dire il vero, l’aveva pure fatto ma a un certo punto le cose tendevano sempre a fermarsi inesorabilmente e non c’era verso di poterle continuare. Almeno lui non ne era capace o, come lui soleva dirsi, la faccenda non valeva tutto quel suo mettersi in gioco. Era bravo a mentire a se stesso.

    Un giorno qualsiasi, tipo martedì 11 settembre 2012, Michele Rossi uscì di casa non sapendo ancora che non ci sarebbe tornato tanto presto quanto lui dava per scontato.

    Aveva con sé, come da sua abitudine, il suo telefonino, il portafoglio con poche decine di euro, i soliti documenti personali, una carta di credito con dei brividi (essendo poco coperta) e le Illusioni di Richard Bach in formato tascabile, perché contava, quello sì!, di riuscire a leggerne un po’ tra una qualche incombenza e l’altra durante la sua giornata lavorativa. Ovviamente, con sé aveva anche il proprio borsello per contenere quanto appena elencato, oltre alle chiavi della macchina, di casa e del ristorante, che quel giorno toccava a lui aprire. Aggiungiamoci anche un pacchetto di fazzoletti di carta e un fazzoletto ben piegato di stoffa. Il fazzoletto di stoffa non mancava mai di portarlo, poi, però, solitamente usava quelli di carta per non doverlo ripiegare non intonso nello stesso borsello, perché in tasca nemmeno a parlarne!

    Media corporatura, calvizie incipiente all’altezza della fontanella, e intorno capelli corti sale e pepe bianco (perché di nero era ormai rimasto ben poco). Completa il quadro una pancetta pronunciata che curva un profilo altrimenti dignitoso e occhi castani che sanno delinearsi in profondità per chiunque finisca al loro Zenit. Insignificanti, però, solo poco di lato.

    Salito sulla sua utilitaria nero opaco, Michele si avviò per la salita verso il centro della cittadina, lanciando occhiate interessate ai prati poco curati ai lati della strada. Valutò il tempo che avrebbe eventualmente impiegato lui se avesse potuto dar loro una bella rasata come meritavano e soprattutto visualizzò con un sospiro il risultato finale di come quel lieve pendio sarebbe potuto apparire rivestito da un prato all’inglese; scrollò non solo metaforicamente le spalle e continuò l’ascesa motorizzata. Di poco. Giunto in cima, nella piazza del Municipio, come di consueto fermò l’auto per andare all’edicola a comprare il quotidiano locale. Per i clienti del bar ristorante, più che per lui, che trovava quei pettegolezzi stampati più fonte d’irritazione che di soddisfacimento di una certa curiosità che proprio lui non nutriva. Ma l’avrebbe letto, proprio perché sempre di parole si trattava.

    La metà superiore della prima pagina del quotidiano piegato, comunque, ebbe il tempo di farsi notare quasi subito dal suo sguardo inizialmente distratto. E così ebbe modo di constatare che questo giorno qualsiasi era proprio un 11 settembre. La foto che faceva inquietante mostra di sé era infatti quella inerente alle due torri gemelle già ferite mortalmente lo stesso giorno di undici anni prima. Un numero undici rinforzato.

    Benché amante delle parole, per via dei suoi studi di ragioniere i numeri li aveva a suo tempo sposati, e questo voleva ben dire ancora qualcosa. Il rispetto per la magia intrinseca degli stessi e la convinzione che i numeri, nella loro logicità, non tradivano mai, lo indussero a una estemporanea e catartica riflessione. Perché dei numeri ci si poteva fidare, questo sì.

    Inoltre, Michele sosteneva da sempre che nulla accade mai per caso.

    Secondo prevedibili associazioni di pensiero, quest’oggi, dunque, era un giorno undici amplificato. La Fine e l’Inizio di un qualcosa di energetico percepito da miliardi di persone da quell’undici settembre. Fare un parallelismo tra questo richiamo di energia e il suo attuale momento esistenziale fu quasi tutt’uno. Oggi, così sentiva, era un giorno che avrebbe apportato cambiamenti anche a lui.

    «Guarda dove vai, scemo!» fu l’altro particolare auditivo che ritenne importante, una squillante voce di donna, che gli evitò di scontrarsi con una Punto che stava sopraggiungendo dalla sua destra a tutta velocità a quel piccolo incrocio della cittadina. Si spaventò molto anche perché per un attimo tutto era diventato nero e una sensazione di spaesato stupore lo aveva sommerso. Come se qualcosa di indelebile fosse realmente accaduto, a quell’incrocio. Come se l’incidente fosse realmente accaduto. Fortunatamente, pensò, l’impatto non era avvenuto, anche se per pochi millimetri. Pochissimi, a essere sinceri, e infatti, spaventatissimo, dovette fermarsi un minuto buono, che tanto buono non gli parve davvero, ma che in qualche maniera gli permise di riprendersi, non potendo continuare a rimanere fermo ai lati della strada in prossimità di quell’incrocio a quanto pareva, e aveva constatato, pericoloso. Un avvertimento essenziale, dovette ammettere, e quindi, sull’inerzia degli ultimi suoi pensieri, si trovò a dover considerare anche questo nuovo segnale. Va bene i numeri ma la parola, il verbo, era la comunicazione per eccellenza, si disse. Quindi, dove sto andando io? Questo si chiese automaticamente e la risposta che non riuscì a darsi fu dirompente. Ecco, urgeva trovare una risposta a questo semplice e fondamentale quesito. Anche per esclusione. Quindi, dove non voglio andare, io?

    Al ristorante. Questa fu la prima istintiva risposta che gli balenò nella mente. Stupendosi lui stesso per questa risposta. Ma come?, si disse. È un bel lavoro e io lo so fare bene. Ma poi, restando focalizzato su questa sua inaspettata risposta, ammise con se stesso che non amava davvero quel lavoro; semplicemente lo svolgeva al meglio. Si chiese quindi perché mai dovesse continuare a fare qualcosa non per sé ma in funzione degli altri e la semplicità veritiera di questa più consapevole constatazione lo turbò.

    Cosa sto davvero facendo, per me? Questa fu la domanda successiva che si illuminò fastidiosamente davanti a lui. Poco o niente. Di certo nulla di ciò che potrebbe rendermi appagato, dicendomi anche chi sono, alla fine. Perché io non sono un maître, ma il maître è soltanto l’incarico lavorativo che ho, e non sono un ragioniere, perché ragioniere è solo un titolo di studio acquisito.

    Purtroppo, nemmeno lui sapeva bene cosa potesse appagarlo, al di là di gratificazioni materiali.

    Libertà! Ecco cosa istintivamente affiorò alla sua coscienza. E dai nodi di ogni suo molteplice impegno, libero di provare a essere chi davvero non era, non lo era di certo. Non era nemmeno libero di andare in un prato (ovviamente ben rasato) sulle rive del lago che tanto amava quando desiderava farlo. Né d’immergersi in una giornata della sua esistenza senza alcuna meta: semplicemente, cioè, attraversarla con spirito curioso.

    Ma ci fu un’altra cosa che attraversò la sua traiettoria quel giorno poi non così qualsiasi. Molto di più che quella signora dall’aspetto giovanile in corsa con un trolley fucsia che comunque riuscì a perdere il treno. Treno che vide ripartire dal piazzale della stazione che lei stava attraversando. Piazzale che era antistante al ristorante presso il quale Michele si stava recando, chiavi già fuori dal borsello, per iniziare la sua giornata lavorativa, nonostante i segnali numerici e verbali di pochi minuti prima. «Accidenti! Cazzo! E adesso come faccio a essere in orario per il colloquio? Merda, merda, merda merdaaa!...» Questo fu il di lei monologo dal finale scatologico in crescendo che il ragionier Rossi riuscì a sentire molto bene, avendo rallentato per tempo a evitare una possibile frenata last minute per evitare ulteriormente d’investire la ragazza che si era lanciata in un’inutile corsa verso il treno in partenza, peraltro già avvenuta.

    Ecco, io sono arrivato dove so che fondamentalmente non volevo arrivare e questa tipa qui non può arrivare dove sapeva bene di voler andare… Perché? Nulla avviene per caso! E dettosi questo, Michele fermò del tutto la vettura e dal finestrino, istintivamente, chiese alla signora, che ancora smoccolava poco elegantemente per la propria frustrazione, dove doveva recarsi. Stupendosi lui per primo di averlo chiesto.

    «Come? Dice a me? Che cosa le interessa dove devo andare io?» rispose con una certa logica da donna perplessa e con quel minimo di ovaie girate per la perdita del treno.

    «Mi scusi… Ha ragione… È che non ho potuto fare a meno di vedere il suo arrivo di corsa e di ascoltare il suo… ehm… disappunto verbale nell’osservare il treno che era già partito…»

    «Ok. Mi dica, lei parla sempre come un noioso libro per educande? E vuole dirmi sì o no come mai le interessa dove accidenti dovevo andare io?» replicò la donna.

    «Se vuole posso intercalare anch’io qualche nome di parte anatomica maschile e femminile intercalata a sua volta da funzioni corporali, ma il punto è che, vedendo la direzione presa dal treno, cioè verso Lecco, e dovendo io andare proprio verso quelle zone, forse le poteva interessare un passaggio. O no?» rispose lui con un certo tono sostenuto che lui stesso non riusciva a ritenere credibile. La signora lo guardò stranita e, dopo aver realizzato quanto lui aveva detto con troppe parole di troppo, scoppiò a ridere e poi gli disse in risposta:

    «Perché no? Va bene, grazie… Solo che da Lecco dovevo poi prendere un’altra coincidenza perché ho un colloquio di lavoro a Mandello, quindi, se possibile, mi porterebbe direttamente alla stazione di Lecco?»

    «A Mandello? Che coincidenza!» mentì Michele, ormai lanciato nell’improvvisazione. «È proprio dove devo recarmi io… per impegni personali.» E sceso dall’auto aiutò la donna a mettere il suo appariscente trolley nel bagagliaio, quindi salirono insieme in auto per andare a Mandello.

    «Piacere, Michele» si presentò lui.

    «Laura» sorrise lei in risposta. «Peccato che questo bar qui in piazza sia chiuso, se no le avrei almeno offerto un caffè» aggiunse guardando verso il ristorante che Michele avrebbe dovuto aprire quella mattina, per lui normalmente lavorativa.

    «Non si preoccupi, magari lo berremo a Mandello, se avrà ancora del tempo prima del colloquio» rispose con una punta di panico e rimorso per ciò che non stava facendo.

    In un ultimo rigurgito di buon senso, se non di senso di colpa, mandò un sms a Paolo, il proprietario del ristorante, comunicandogli la sua impossibilità ad aprire il locale in mattinata per sopravvenuti urgenti e improrogabili impegni. A suo tempo, forse, gli avrebbe spiegato qualcosa che potesse sembrare accettabile, come scusa.

    In viaggio con Laura

    Fino quasi a Lecco viaggiarono praticamente in silenzio. Non fu un grande sacrificio perché Lecco, in auto, distava poco più di dieci minuti. E di quei minuti, sette furono quelli usati da Knopfler, nel concerto di Montserrat, per emozionare Laura e Michele con la sua Brothers in arms, ma, rinchiuso nel lettore mp3 dell’auto, il talentuoso chitarrista non lo seppe mai.

    Senza alcun dubbio l’atmosfera musicale asciugava

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