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Viaggio alla fine del Mondo
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Viaggio alla fine del Mondo

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Il 26 febbraio del 1915 segna l'inizio di due storie: una scandita da politica, guerra e sangue un'altra fatta di distacco, illusione e affermazione. In entrambe si assisterà alla fine di un mondo e all'inizio di uno nuovo.
La storia della famiglia Voegel rappresenta un riflesso degli accadimenti occorsi nella prima metà del '900 in Germania e l'ultimogenito, Ludwig, si ritroverà ad affrontare in prima persona il secondo conflitto mondiale dovendo combattere non solo contro i nemici sul campo ma anche contro i propri demoni interiori.
Il giovane soldato entrerà in guerra come un ragazzo e ne uscirà come un uomo scoprendo, al termine del suo viaggio, per cosa è valso la pena combattere.
 
LanguageItaliano
PublisherMM
Release dateSep 29, 2019
ISBN9788834191187
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    Viaggio alla fine del Mondo - Federico Zei

    1959

    LE ORIGINI

    26 Febbraio 1915

    Rudolf Vogel era a terra, praticamente immerso nel fango.

    Accanto a lui sentiva i mugolii dei compagni feriti, alcuni gridavano aiuto, altri chiedevano perdono a Dio, altri ancora, più semplicemente, piangevano mormorando frasi senza senso.

    Rudolf cercò di mantenere la calma, afferrò prima la gamba destra e poi quella sinistra, tirando con tutta la forza per estrarle dalla fanghiglia. Sembravano funzionare, riuscì lentamente a sollevarsi da quel terreno fradicio. Ma per poco.

    Si avvertì il sibilo di un altro colpo di artiglieria, che cadde più indietro, verso le trincee. L'esplosione lo ributtò a terra ma stavolta riuscì a non affondare. Puntò le braccia e cercò di abbassarsi il più possibile. Poi riprese a muoversi.

    Il fischio che gli risuonava nella testa era orribile, assordante, ma Rudolf avanzò ancora. Davanti a lui, a una decina di metri, c’era il corpo di un uomo: immobile, adagiato su un fianco. Rudolf riuscì a raggiungerlo e tese la mano per toccarlo: tirandolo, strattonandolo, cercando di girarlo.

    E quello era vivo, lo fissava, con gli occhi sbarrati e il volto pieno di terra e sangue. Rudolf cercò di urlargli allora, di urlargli qualche cosa, ma l’uomo non si mosse. Stava usando le ultime forze per tenersi dentro le budella.

    E allora esitò, Rudolf esitò e si guardò intorno ancora, cercando con lo sguardo, qualcuno, un medico magari, ma chiunque sarebbe andato bene. E ciò che vide fu solo desolazione, solo colonne di fumo e terra bruciata e altri corpi che si agitavano nell'ultimo barlume di vita.

    A quel punto cercò di alzarsi nel modo migliore che poteva, era ancora frastornato e ci mise un po’ per mettersi diritto. Poi la sua mano scivolò lungo il sul fianco, fino ad arrivare alla pistola che teneva nella fondina. Fu un attimo; rivolse la Luger verso la testa dell'uomo, chiuse gli occhi e premette il grilletto. Quando riaprì gli occhi l'uomo era morto.

    Rudolf era solo.

    28 Gennaio 1919

    Quella gelida sera d’inverno non era una come le altre per Fanni Knopp.

    Aveva diciannove anni e se ne stava in piedi davanti alla porta chiusa della sua stanza: una mano sul pomello e le orecchie tese per sentire sua madre fuori.

    Doveva essere agitata, almeno quanto lei.

    Amanda Knopp si chiamava sua madre; una femmina devota alla famiglia e alla Chiesa, ma non certo stupida. E quando alla fine Fanni si decise a venir fuori lei era proprio lì dove l’aveva immaginata: impettita, con le braccia incrociate e quei capelli morbidi e biondi che si gonfiavano ad ogni respiro.

    ‹‹Finalmente!›› gli abbaiò, sgranando gli occhi.

    ‹‹Finalmente cosa?››.

    ‹‹Vedi di non rispondere Franziska!›› sentenziò Amanda, poi fece una pausa, per dare un tocco di drammaticità:

    ‹‹Piuttosto, va giù e accendi le luci. Così, per far vedere che stai in negozio fino a tardi. Chiaro?››

    La ragazza aggrottò le sopracciglia, sapeva bene che sua madre era avvezza a queste sceneggiate, ma lei no. Tentò di protestare:

    ‹‹Perché questa commedia?››.

    Amanda non le rispose subito, scrollò la testa come a togliersi quelle obbiezioni di dosso, poi: ‹‹Bisogna dare un’immagine, un’immagine buona, lo capisci o no? Laboriosità, sacrificio›› le disse.

    ‹‹Ora fila!›› concluse battendo le mani. E Fanni obbedì: imboccò le scale ripide, imprecando ad ogni gradino e si ritrovò nel salotto di casa.

    Lì c’era Oskar, suo padre. Se ne stava al suo tavolo, col suo gilet e la sua cravatta, curvo su una tovaglia verde smeraldo con sopra sparpagliati alcuni ritagli di giornale. E finse di non notare la figlia fino a quando non gli fu sotto il naso. Lo faceva sempre:

    ‹‹Già pronta quindi, dove te ne vai?›› chiese all’improvviso, senza voltarsi.

    La ragazza si fermò ‹‹Da nessuna parte, in negozio›› rispose seccata, poi sfiorò la spalla destra del padre: ‹‹Così posso far finta di essere una donna da sposare››.

    E a quella frase Oskar fu costretto ad alzare gli occhi: ‹‹Ma non ci badare Fanni, non ci badare›› commentò con quella sua voce calda, rilassante ‹‹Stai con me adesso non ci badare…››.

    Lei annuì e gli si mise accanto ma, poco dopo, dei passi inconfondibili rintoccarono sulle scale.

    Fanni saltò su sistemandosi il vestito e, senza rendersene conto, si ritrovò sulla porta. Davanti a lei, sul ciglio, c’era Rudolf: in piedi, dritto, con un bel completo nuovo a nascondere quel suo aspetto trasandato. Sotto la giacca, abilmente nascosta sotto il risvolto, c’era la Croce di Ferro che si era guadagnato in Francia. Dal giorno in cui gliel’avevano appuntata sul petto - tre anni, ormai, erano passati - aveva deciso che non l’avrebbe tolta più.

    Mai più.

    Non che ai genitori di Fanni importasse qualcosa di quel tipo di Croce. Al contrario si sentivano buoni e pii cattolici con l’orrore per la guerra e il biasimo per chi la combatteva. Rudolf l’aveva capito presto e ci si era adattato; a malincuore aveva deciso di nascondere la sua medaglia, almeno durante le visite ai Knopp.

    Gli sembravano persone oneste e a Fanni non avrebbe rinunciato comunque.

    Per questo era lì. Franziska lo prese per il braccio e lo portò all’interno della casa. Il ragazzo tese prima la mano al vecchio Knopp, poi fece lo stesso con Amanda che volle abbracciarlo invece, baciarlo e coprirlo di elogi del tutto immotivati.

    Oskar fu costretto ad accomiatare i due giovani: ‹‹Andate e divertitevi!›› poi sussurrò a Rudolf in un orecchio: ‹‹Leggi i giornali, vero? Con la sconfitta sono usciti fuori tutti i pazzi e i balordi. Non fidarti: Berlino non è sicura››.

    Così i due se ne andarono a mangiare in un posto tranquillo, in centro, poi al cinema. Finito il film Rudolf chiese a Fanni di sposarla.

    Era da una settimana che i Knopp conoscevano le sue intenzioni, da quando si era recato in negozio per chiedere a Oskar la mano della figlia. Il vecchio lo aveva fatto accomodare, lo aveva ascoltato con attenzione, poi si era alzato in piedi e dopo aver acceso la pipa:

    ‹‹So che sei stato sposato una volta›› gli aveva detto ‹‹ed è andata male: non dico sia stata colpa tua certo, ma non dovrai fallire stavolta.

    Giuramelo, giuramelo adesso, è l’unica cosa che ti chiedo››.

    E Rudolf glielo giurò, senza esitare.

    Anche Fanni non ebbe esitazioni a dire il vero, neanche una, nonostante di quel giovane sapesse poco, quasi niente. Doveva essere per ciò che sua madre le diceva quando da bambina, la rimproverava: col suo caratteraccio non avrebbe mai trovato marito e sarebbe morta sola. Quella frase la colpì così tanto che, per anni, pensò davvero che quello sarebbe stato il suo destino.

    Ora, finalmente, poteva rassicurarsi.

    Franziska non era più sola.

    11 Maggio 1919

    Il matrimonio fu degno del buon nome della famiglia Knopp.

    Prima la cerimonia, in una parrocchia a Heinserdorf, vicino casa. Poi a mangiare in un bel posto che conosceva Oskar, dove servivano di tutto e si poteva ballare il valzer di Strauss.

    Tutti quanti apprezzarono. Tutti, tranne uno.

    Rudolf se ne stava in disparte, poggiato con la schiena al muro come se non gli importasse. I suoi pensieri erano distanti chilometri e chilometri da quel luogo. Era ancora al fronte con i suoi amici, i soldati. Quanti di loro avrebbero voluto sposarsi, ridere e stare lì, proprio dove lui si trovava in quel momento.

    A quanti di loro questa gioia era stata negata per sempre.

    Lui invece si era salvato per miracolo. E se quella cannonata fosse caduta qualche centimetro più a destra? Franziska avrebbe sposato una bara con sopra la bandiera del Reich.

    Rudolf rise immaginandosi Frau Amanda che assisteva a quella scena.

    Poi alzò il bicchiere, come a brindare con l’aria, bisbigliò qualcosa tra sé e sé e bevve tutto d’un fiato. Ma il filo dei suoi pensieri fu interrotto bruscamente: qualcuno gli aveva poggiato una mano sulla spalla, ridendo stupidamente e sonoramente:

    ‹‹Eccoti qua! Finalmente si può ballare, si balla!›› Herbert Knopp, fratello maggiore di Franziska, primogenito di Oskar e Amanda, era ubriaco.

    ‹‹Non ballo Herb, non fa per me. E poi tuo padre oggi deve fare bella figura››.

    Ed Herb rise ancora:

    ‹‹Sempre simpatico il nostro Rudi non è vero? Si, ma tuo figlio? Non l’ho visto in chiesa e neanche qui mi pare. Non starà male, spero››.

    ‹‹Nient’affatto ho solo preferito che Lucas non venisse, non oggi comunque. Non deve mettersi in testa che sto rimpiazzando sua madre››.

    ‹‹Beh, ma se sua madre è morta!›› gli gridò Herb e qualcuno si girò anche a guardarli. ‹‹Che cosa c’è di male allora? Non capisco››.

    ‹‹Lo so, non è questione di male Herb›› gli rispose Rudolf, stizzito ‹‹Me ne sto occupando io comunque, e nel miglior modo possibile››. Detto questo scivolò lontano dai tavoli, lontano dalla musica e dagli invitati, cercando un posto dove poter pensare in pace.

    In una stanza vuota, intanto, Fanni stava parlando a bassa voce con una ragazza, Emma Landgard, una sua amica. Lei si era sposata qualche anno prima con un medico di Colonia, Baldur Lehmann, e se ne era andata a vivere con lui fuori città.

    Non si vedevano da allora.

    ‹‹C’è una cosa, vedi, una cosa importante che è successa. Ma se te la dico dovrai tenerla per te. Giura!››.

    Emma spalancò la bocca per risponderle sì ma Fanni non la fece iniziare. ‹‹Aspetta lo so. Lo so cosa vuoi chiedermi prima›› le disse col tono colpevole ‹‹e so che mia madre ti avrà già raccontato qualcosa, qualche frottola sul perché non ti ho mai scritto in questi anni, ma la verità…›› poi fece un’altra pausa, sforzandosi di dire ciò che sentiva nel cuore:

    ‹‹Io ero invidiosa›› le confessò tutta seria, stringendo i pugni quasi si aspettasse di essere colpita. Ma Emma ne rise, prima cercando di trattenersi e poi, invece, senza alcun freno. Alla fine scosse la testa, le prese la mano e glie la strinse per darle coraggio.

    ‹‹Sono …›› balbettò Fanni allora ‹‹Io aspetto un bambino››.

    Dall’altra parte il silenzio, questo la spinse a proseguire: ‹‹E tu la conosci mia madre no? Mia madre no, io non posso dirglielo, non posso dirgli che io e Rudi… allora hai capito? Diamine! Ma cosa…che devo fare? Anche se non glielo dico adesso poi mi crescerà la pancia, e sarà peggio. Sarà molto peggio!››.

    ‹‹Sei ridicola›› la freddò Emma.

    Allora Fanni balbettò qualcosa, sentì gli occhi inumidirsi e la testa pulsare: ‹‹Vuoi dire che…tu c-credi che dovrei dirglielo? Dirglielo, ora, subito?››.

    ‹‹No. Io credo che tu debba dirlo a tuo marito›› concluse Emma.  Entrambe risero di quella risposta. Poi Franziska si asciugò gli occhi e corse fuori da quell’anticamera, fuori, dritta verso la sala da ballo.

    Ma Rudi non c’era.

    Vedendola tornare molti degli invitati cercarono di avvicinarsi, di fermarla, di parlarle. Herbert, ormai ubriaco fradicio, cadde quasi per terra nel tentativo di alzarsi per acchiappare la sorella.

    Ma lei non si fermò, lasciò indietro tutti, parenti, amici, genitori, sgattaiolò fra i tavoli e uscì fuori, in strada. Rudolf era là, sotto un albero tutto solo, a fissare il vuoto. Ma si accorse subito di lei:

    ‹‹Che fai? Sei troppo leggera, con questo freddo prenderai una polmonite››.

    E si tolse il cappotto verde che portava, lo poggiò delicatamente sulle spalle della moglie. Dal taschino della camicia però, Fanni vide sbucare il laccetto della Croce di ferro.

    ‹‹Non l’hai tolta. Nemmeno oggi, lo sapevo. Ma perché?››.

    Rudolf chinò la testa: ‹‹Mi dispiace non lo so, non ho potuto, non la toglierò mai. Così come non smetterò mai di amarti›› continuò sornione rialzando la fronte ‹‹Alla fine lo vedi però? È un bene che io sia un uomo di idee così radicali!››.

    I due risero poi Franziska si fecce più seria: ‹‹C’è qualcosa››.

    ‹‹Cosa?››.

    Lei deglutì, poi gli disse secca: ‹‹Sono incinta Rudolf ora non dispiacerti per favore››.

    Ma il volto di Rudi si era già illuminato: la prese per i fianchi e la sollevò in aria, fin quasi a fargli quasi toccare i rami con la testa.

    ‹‹Una meraviglia, è una meraviglia›› ripeté ‹‹Non preoccuparti. No, non preoccuparti piccola Fanni tuo figlio sarà il più amato di tutta Berlino, anzi no, il più amato di tutto il Reich. E vedrai, quando sarà grande farà grandi cose, sì!

    Ne sono sicuro grandi cose››.

    Franziska e Rudolf si abbracciarono, si sentivano felici, lasciarono che per un attimo i loro sogni prendessero del tutto il sopravvento sulla realtà. E non c’era più niente: niente invitati, niente festa, niente di niente. C’erano solo loro due, anzi, loro tre insieme.

    Il resto del Mondo era solo.

    PRIMI PASSI

    19 Dicembre 1919

    Quando il bambino nacque era venerdì, un freddissimo venerdì di dicembre.

    Fu in una clinica a Spandau e Rudolf aspettò che arrivasse suo figlio tutta la notte. Solo alle cinque si accucciò sulle scomode panche di ferro della sala d’attesa e crollò, quasi subito, in un sonno tormentato.

    Due ore dopo venne svegliato da un’infermiera:

    ‹‹Herr Vogel! Sì, proprio lei, venga››.

    Lui si era alzato in piedi, ancora stordito, l’aveva seguita fino alla camera di Fanni. Poi era entrato: sua moglie era distesa sul lettino, quasi perfettamente immobile, e con la fronte piena di sudore. Ma lo sguardo di Rudolf indugiava più in basso, qualcos’altro attraeva la sua attenzione.

    Franziska aveva in grembo il suo bambino.

    E lui volle prenderselo subito, tenerselo stretto, vicino, più vicino che poteva. E lei gli era accanto, pallida, stanca senza forze per parlare ma con uno sguardo, un’espressione: una luce negli occhi che diceva molto più di qualsiasi parola umana.

    Alla fine Rudolf accostò il viso del bambino al suo. Era il momento e gli bisbigliò un nome. Ma piano piano, per non spaventarlo:

    ‹‹Ludwig››.

    19 Dicembre 1929

    Oskar e Amanda erano fermi davanti a un portone della Bierbaumstraße.

    E stavano bisticciando: ‹‹Andrà bene Amanda. Ti dico che andrà bene!›› diceva lui

    ‹‹Spiegami come allora? Come si fa regalare ad un bambino di dieci anni questo tuo librone polveroso?›› gli chiese Amanda guardandolo in cagnesco ‹‹Non è adatto ti dico! Quello si aspetta un pupazzo magari, o una di quelle automobiline da corsa che ho visto all’emporio di Körbin. Ma tu no! Tu gli tiri fuori quel coso!››.

    Oskar sfiatò, roteando gli occhi e cercando qualcosa da dirgli: ‹‹Ludwig è un ragazzo intelligente saprà apprezzare››.

    ‹‹Come vuoi…come vuoi Oskar ma tu rovinerai il compleanno di quella povera creatura!››.

    Frau Knopp concluse così, spingendo stizzita il portone d’ingresso, e il marito a testa bassa la seguì. Non appena varcata la soglia però, si sentì strattonare il lembo della giacca. Oliver Knopp si girò di scatto; pensò ad un ladro, ad un malintenzionato. Ma ai suoi piedi c’era solo un uomo: magrissimo, coperto da un lungo cappotto scolorito e niente più. Aveva il viso scavato, rigato da due grossi baffi neri.

    I due si guardarono negli occhi per un istante, un singolo istante colmo di imbarazzo.

    Poi l’uomo cominciò, parlava lento e stridulo con una voce simile al belato di un agnello: ‹‹Signore mi scusi. Signore non avrebbe qualche pfenning da darmi, signore? Le mie figlie non mangiano niente da giorni signore, la prego. La prego, sono senza lavoro, non sono un accattone!››.

    Oskar ci provò a ignorarlo, a fuggire dallo sguardo di quel vagabondo. Cercò anche di chiudergli la porta in faccia mentre quello continuava a gemere inutilmente:

    ‹‹No! La prego, la prego! La imploro! Non ci lasci morire abbia pietà, fa troppo freddo stanotte!››.

    Sentite quelle parole Frau Knopp bloccò il portone e afferrò il mendicante con una mano mentre con l’altra si frugava nervosa la borsetta. Di colpo poi ne estrasse le monetine, prese la mano lurida di quel poveraccio e glie le mise tutte nel palmo:

    ‹‹Santa! Lei è santa!›› la ringraziò quello con un grido strozzato, provando pure a baciargli la mano. Amanda non rispose, offrì solo il braccio a suo marito;

    ‹‹Andiamo, su›› lo richiamò, avviandosi con lui verso le scale.

    Quel vagabondo restò fuori invece, a fissare i due vecchi solo un altro istante. E poi corse via, il più forte che poteva, e scomparve tra le vie innevate di Berlino.

    II

    Era passata qualche ora e il piccolo Ludwig stava giocherellando in cucina.

    Per la sua festa avevano tutti mangiato e bevuto abbondantemente ma ora, mentre gli uomini della famiglia si erano spostati in salotto per fumare, le donne erano rimaste ad ubriacarsi in sala da pranzo.

    Solo una mancava: Fanni.

    ‹‹Meglio che starnazzare con quelle oche›› aveva pensato, e si era chiusa in cucina con la scusa dei compiti da correggere. Fanni era diventata insegnate: un buon lavoro dopotutto, che le faceva apprezzare di più gli altri, la spingeva a cercare un contatto con le persone. Ma quella sera no. Non c’è l’aveva poi tanto con quelle brave femmine in realtà, quanto con Rudolf.

    Che tipo d’uomo aveva sposato? Non lo sapeva neanche lei.

    Solo col figlio stava bene e se lo teneva con sé, sempre vicino anche quando doveva lavorare. Da qualche minuto tuttavia, aveva notato nel bambino una strana inquietudine:

    ‹‹Ludwig, perché non vai di là, con gli altri? Va’ tesoro, oggi è la tua festa››.

    Il bambino si girò di scatto, come si aspettasse quella domanda. Chiuse il grosso tomo polveroso appoggiato sul pavimento poi le disse:

    ‹‹Ti posso chiedere una cosa?››.

    E a quel punto Fanni si interruppe, appoggiò lo strofinaccio sull’acquaio, pronta a rispondergli ma il bambino fu più veloce:

    ‹‹Mamma, perché papà non mi vuole bene quando c’è Lucas?››.

    La donna ebbe un sussulto, si avvicinò al piccolo, si mise alla sua altezza: ‹‹Che intendi, perché dici questo?››.

    ‹‹Perché quando c’è Lucas, papà non mi vuole più bene. Vuole bene solo a Lucas›› gli disse Ludwig tutto d’un fiato

    ‹‹Non dire sciocchezze adesso›› lo rimproverò Fanni ‹‹tuo padre avrà i suoi difetti ma vuole bene a tutti e due. Lo sai, è solo che può passare molto meno tempo con Lucas e quindi deve starci il più possibile, almeno quando è qui da noi. Mi capisci?

    Allora capisci non è vero?››.

    ‹‹Sì, certo›› ribatté il bambino sconsolato ‹‹Ma oggi è il mio compleanno però››.

    Fanni si sentì stringere il cuore: ‹‹Dimmi un po', ti è piaciuto l’Atlante, quello che ti ha regalato il nonno?››.

    Era la domanda giusta perché in quell’istante il volto di Ludwig s’illuminò: il solo pensiero di quel libro pieno di nomi di posti e popoli strani poteva fargli dimenticare tutto il resto, tutto.

    ‹‹È il più bel regalo che abbia ricevuto in vita mia›› disse alzandosi in piedi saltellando. E ancora pieno di euforia abbandonò la cucina, precorse il lungo corridoio che attraversava tutta la casa e arrivò fino in fondo, fino alla porta a vetri del salone. Poi entrò.

    Il paralume in un angolo diffondeva una luce arancione, l’aria era densa di fumo. C’era Rudolf, seduto sulla poltrona di mogano con in mano un sigaro e anche Oskar, con la sua pipa, mentre lo zio Herb stava stravaccato sul divano con una sigaretta mezza spenta tra le labbra.

    Lucas invece era in piedi, accanto a suo padre.

    Ludwig cercò di intromettersi allora, senza far rumore, provò a confondersi tra loro. Gli piaceva sì, origliare quelle conversazioni di politica, di soldi, di guerra, sebbene non capisse ancora tutto di quello che i grandi dicevano. Ma si acquattò lo stesso accanto al padre:

    ‹‹Guardate! Guardate quanta maledetta neve!›› sbottò lo zio Herb voltando leggermente la testa verso il finestrone del salotto.

    ‹‹Eh già…›› gli fece eco il vecchio Knopp, grattandosi la testa un po’ in imbarazzo.

    ‹‹Non è certo della neve che dovresti preoccuparti!›› intervenne Rudolf, rimproverandolo.

    ‹‹Come? Lo so, ma io… con le strade così sarà difficile anche rincasare››.

    ‹‹Finché ce l’avrai una casa…›› fu la risposta. Ed Herbert cercò di tirarsi su:

    ‹‹Tutto sotto controllo.

    Coi soldi che mi ha dato papà sono in grado di durare altri sei mesi. Sei: poi si vedrà. Meglio non pensarci comunque, magari intanto mi trovo un nuovo lavoro. E la casa me la compro pure nuova!›› aggiunse ridendo.

    Ma Rudolf non ne fu felice, si imbizzarrì: ‹‹Che? Cosa? Ma dove vivi?

    Se le cose continuano così tra tre mesi saremo tutti quanti a chiedere le elemosine come quel poveraccio. Quello qua sotto lo avete visto no? Io…›› stava per continuare ma Oskar lo fermò:

    ‹‹Forse stai esagerando››.

    ‹‹No, non lo credo Signore, e con tutto il rispetto…›› Rudolf prese un bel respiro ‹‹Avete notato quanto sono lunghe le file per i pasti agli ostelli di carità? C’è mezza Berlino, famiglie intere, dei nostri vicini anche››

    ‹‹Ma la situazione…›› balbettò Oskar ‹‹La situazione deve migliorare abbi un po’ di fiducia››

    ‹‹Non ne ho affatto››.

    ‹‹E quindi, che vuoi fare?››.

    ‹‹Ho aderito ad un partito politico››.

    ‹‹Che partito?›› intervenne Herb, incuriosito.

    ‹‹Il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi›› annuì Rudolf, soddisfatto. Ma lo zio Herb si stravaccò di nuovo, era deluso: ‹‹Mai sentito›› gli disse.

    ‹‹Sono solo altri fanatici: quell’Hitler e tutti gli altri›› commentò Oskar invece, corrugando la fronte.

    ‹‹Fanatici, sì!›› gli occhi di Rudolf si illuminarono ‹‹Sì, è proprio il fanatismo quello che serve. Solo con quello ci libereremo dai porci politicanti che ci governano, quei maledetti, quei traditori, quei… quante volte ci faremo tradire ancora? È una nostra responsabilità vi dico! E per Dio non permetterò che i miei figli un giorno mi chiedano papà, perché mentre il Mondo stava andando a rotoli tu non hai fatto niente?››.

    ‹‹D’accordo, Rudi, d’accordo›› Oskar cercò di ammansirlo, gli mostrò i palmi bianchi delle sue mani ‹‹Evita solo di farti arrestare se puoi››.

    ‹‹Fate pure sonni tranquilli: è tutto perfettamente legale››.

    Dopo un po’ Ludwig si alzò in piedi. Era assonnato, non aveva avuto la forza di dire nemmeno una parola. Corse fuori dal salone verso la sua cameretta e si sdraiò sul letto. Sua madre era già nella stanza:

    ‹‹Sei stanco?››.

    ‹‹Un po’›› rispose il bimbo.

    ‹‹Bene, dà la buonanotte allora››.

    E così fece: salutò tutti alla svelta e solo sua zia Frida volle tormentarlo coi baci prima di lasciarlo andare. Ma a parte questo se andò a dormire eccitato, confuso, dentro sentiva che quel compleanno era stato importante per lui. Perché aveva scoperto qualcosa di importante sì, anche se ancora non sapeva cosa realmente volesse dire.

    Quella sera Ludwig aveva scoperto che suo padre era un nazista.

    4 Marzo 1931

    Era mattina e Ludwig era accanto al padre.

    Pioveva quel giorno, il cielo era grigio, e intorno a loro alti cipressi frusciavano al vento. Davanti invece, una lunga coda di persone seguiva una bara ricoperta di fiori.

    Più lontano Franziska aspettava nella cappella dei Knopp: una cascina bianca col tetto spiovente nero e ripido. E Frau Amanda era in ginocchio proprio accanto a lei, col volto nascosto tra le mani. Stava piangendo. Dopo poco il corteo le raggiunse, la bara venne spinta nel loculo: l’ultima casa di Oskar Knopp chiusa con una lastra di marmo.

    Era finita, i presenti cominciarono ad andarsene.

    Solo Fanni, Amanda e lo zio Herb rimasero davanti all’uscita per ricevere le condoglianze di chi, a mano a mano, oltrepassava il cancello nero del cimitero di Heimland.

    Fu una scena triste sì, ma Ludwig e Rudolf avevano deciso di risparmiarsela.

    Sgattaiolarono abilmente fuori, scavalcando il muretto di cinta del cimitero e imboccando una via secondaria piena di ciottoli e ghiaia, che dal campo santo li avrebbe condotti direttamente alla casa di campagna dei Knopp. Lì era nato Oskar e lì aveva stabilito che il suo corpo dovesse riposare: nel cimitero di quel piccolo paese.

    Ludwig e suo padre avrebbero dovuto camminare a lungo per raggiungere quella casa, attraversando i campi coltivati e le fattorie lungo il percorso. Nonostante il terreno fradicio per la pioggia percorsero parecchia strada così, senza dirsi niente, poi Rudolf all’improvviso si rivolse al figlio:

    ‹‹Io non amo i cimiteri Ludwig, anzi, penso sia assurdo limitarsi ad un certo luogo per ricordare le persone amate. Se qualcuno ti è stato caro, fino in fondo nella vita, il suo ricordo non ti lascerà mai.

    Non c’è bisogno di una lapide››.

    Ma Ludwig non rispose, cercò solo e con tutta la forza di non piangere. La scomparsa del nonno era stata la sua prima, vera esperienza a contatto con la morte. E ne era rimasto sconvolto.

    In lacrime si rivolse al padre:

    ‹‹Perché le persone muoiono, papà! Io non lo capisco. Perché tutto quanto deve avere sempre una fine? Tu dici sempre che uno si deve battere nella vita.

    Ma che senso ha battersi, che senso ha se tanto poi si deve morire?››.

    Ludwig singhiozzava e suo padre si fermò. Si mise davanti a lui e lo prese per le spalle. Lo guardò dritto negli occhi;

    ‹‹È triste lo so: la vita è dura, è triste figlio mio.

    Ma voglio che consideri questo; quante vite ci sono volute per arrivare alla tua? Quante per portarci qui, qui dove siamo adesso? Quanti sforzi, quanto dolore? Erano vite di donne e di uomini come te Ludwig, e nessuno di loro si è mai arreso. Nessuno e per questo tu sei qui. Loro si sono battuti affinché questo non finisse››.

    Poi gli ripeté quelle parole ‹‹Non finisse mai››.

    E il ragazzo si asciugò le lacrime con il lembo della camicia.

    ‹‹Allora lo capisci Ludwig. Lo capisci perché è così importante battersi per vivere?››.

    1 Agosto 1932

    Rudolf era chino sullo scrittoio in camera da letto.

    Da qualche tempo aveva bisogno degli occhiali per leggere, i capelli avevano cominciato a farglisi grigi. Eppure si sentiva ancora così forte dentro, concentrato, nonostante il caldo che soffocava la città. Doveva esserlo.

    Il giorno precedente il Partito nazista era divenuto il primo della Germania.

    E Rudolf sapeva che il momento era delicato. Certo, non avevano ancora i numeri per imporsi in parlamento, ma i progressi fatti dai nazisti erano a dir poco strabilianti. Solo quattro anni prima Herr Hitler era considerato ancora un semi-sconosciuto e il suo partito aveva raccolto meno del tre per cento dei voti totali.

    Ora ne aveva raccolti quasi un milione e mezzo.

    Ma non era un miracolo dopotutto, molti fatti erano accaduti durante quei quattro anni: crisi economica, a milioni senza lavoro e povertà, criminalità, sfiducia totale nella repubblica, nella democrazia.

    ‹‹Non faranno mai la cosa giusta perché scelgono di farlo›› rimuginava Rudi ‹‹Solo fame e miseria possono spingerli a prendere una decisione come si deve.

    Umanità di merda!›› pensò poi, e per un attimo fu nauseato dall’idea stessa dei suoi simili. E immaginò una vita diversa: lui, solo, sulle montagne, a vivere di caccia e di quello che avrebbe raccolto nei boschi. Lontano da tutti, completamente irraggiungibile.

    Il rumore di passi nel corridoio lo riportò alla realtà.

    Franziska aprì la porta bruscamente, diede una rapida occhiata alla stanza, poi si diresse verso l’armadio senza neanche fare caso al marito.

    ‹‹Che fai?›› chiese Rudi distrattamente, ancora immerso nei suoi pensieri.

    ‹‹Faccio le valigie›› gli rispose lei senza mostrare alcuna emozione.

    ‹‹Ah sì le valigie certo›› Rudolf allora si grattò la fronte, si schiarì la voce preparandosi per una delle sue tirate:

    ‹‹Spero che tu mi capisca tesoro. Vorrei venire anche io a Heimland, e stare con te e Ludwig, e Amanda ma…non posso lasciare Berlino proprio adesso. Bisogna riprendere immediatamente la campagna, forse ci saranno nuove elezioni già in autunno e allora…››.

    ‹‹A me non frega Rudolf›› lo interruppe lei ‹‹Non me ne frega niente se c’è qualche altra elezione, o chi, come, e cosa ha vinto.

    Io sono già due anni che parto per Heimland senza di te.

    E in paese mi hanno chiesto se ti era capitato qualcosa. Capisci? Pensavano che fossi morto! Certo una cosa del genere non sembra normale a nessuno!››.

    ‹‹Mi dispiace Fanni tesoro, davvero mi dispiace ma…›› gli disse Rudolf squittendo, giungendo le mani involontariamente, come a pregarla: ‹‹Ma tu devi renderti conto, guarda, guarda cosa sta succedendo! C’è l’abbiamo fatta! Ci manca tanto così›› continuò euforico mimando la distanza con le dita. ‹‹In autunno si voterà di nuovo e allora vedrai, la nostra vittoria sarà schiacciante.

    Costruiremo il Mondo che abbiamo sempre sognato››.

    ‹‹Il Mondo che TU hai sempre sognato Rudolf, non coinvolgermi nelle tue follie››

    ‹‹Ma se faccio questo IO la faccio per voi Fanni!›› si giustificò lui alzando la voce ‹‹Per te Ludwig e Lucas, non per altro.

    E questa è la verità, la pura verità tu lo sai benissimo!››.

    Franziska non gli rispose. Prese la grossa valigia di pelle marrone che gli aveva regalato sua madre, cominciò ad infilarci dentro vestiti alla rinfusa. Ma era troppo seccata per rimanere in quella stanza e se ne andò prima di aver terminato, lasciando il marito seduto, attonito, davanti allo scrittoio.

    Dopo qualche secondo però rientrò in camera da letto:

    ‹‹Rudolf, dov’è Ludwig?›› gli chiese.

    ‹‹Non lo so, in camera sua?››.

    ‹‹Ma non c’è››.

    ‹‹Forse è uscito. Che ore sono?›› si chiese Rudi guardando l’orologio da taschino che teneva sullo scrittoio. Le otto in punto.

    ‹‹È impossibile che non sia ancora tornato›› concluse con l’aria preoccupata.

    I due cominciarono subito a setacciare bene tutta la casa. Guardarono dappertutto, si affacciarono anche alla finestra del salone che dava sulla strada, per cercare di scorgere il ragazzo nell’oscurità. Ma niente.

    Allora Rudi si infilò la camicia.

    ‹‹Resta qui, io vado a cercarlo. Se torna almeno troverà qualcuno che lo aspetta››.

    Fece per aprire il portone di casa, ma sentì che qualcuno stava già cercando di aprirlo dall’esterno. Lasciò immediatamente la maniglia e la pesante porta si aprì poco a poco. Sull’uscio c’era Ludwig.

    Aveva la faccia ricoperta di sangue.

    II

    Molto prima, quel pomeriggio, il ragazzino era uscito di casa senza far rumore.

    Aveva chiuso la porta, accuratamente, ed era sceso di corsa giù per le scale. Doveva recarsi al numero quattro di König-Erikstrasse dove un suo compagno di scuola, Theo Bauer, lo aveva invitato per la proiezione di un film.

    Il padre di Theodor, Arno, era un brav’uomo: faceva da anni il macchinista per un cinema di Lichtenberg e gli piaceva il suo mestiere, così tanto che negli anni si era costruito una specie di cinematografo personale sistemato in cantina. Lì, una o due volte al mese, si riunivano i compagni comunisti per guardare un film e parlare di politica.

    Ludwig sapeva benissimo cosa pensava suo padre del comunismo.

    Una volta gli aveva detto che quell’idea era la più temibile di tutte, perché non c’è più grande offesa alla natura che mettere gli uomini tutti sullo stesso piano. E proprio per questo era lì: non certo per guardare il film, a lui interessava il dibattito che sicuramente sarebbe cominciato una volta riaccese le luci.

    Perché a quel punto avrebbe potuto dire a tutti come la pensava. Avrebbe difeso la Germania, come faceva suo padre, facendo a quei poveracci gli stessi discorsi che suo padre faceva a lui, usando le sue stesse parole che gli sembravano così convincenti.

    E sarebbe divenuto un eroe.

    Aveva più volte aveva immaginato come quei docili compagni - ormai convertiti all’amore per la patria - si sarebbero uniti a lui cantando l’inno nazionale. Quello sarebbe stato il suo banco di prova.

    Ma le cose non andarono come immaginava.

    Quando il dibattito ebbe inizio Ludwig prese la parola, timidamente anche se per primo. E cominciò subito ad elencare tutti i difetti che aveva trovato nel film, poi, si lanciò in un discorso lungo e confuso, in cui denigrava il comunismo, Lenin, Stalin, Trozky e quanto altro.

    All’inizio furono solo risate, ma metà dei compagni nella cantina cominciarono ad innervosirsi. Un vecchietto si alzò dall’ultima fila di sedie: aveva degli spessi occhiali neri e iniziò ad interrogare Ludwig, lo tempestò di domande sul bolscevismo, sugli spartachisti, sul vero significato della lotta operaia.

    Il ragazzino non poté far altro che ripetere sempre le stesse parole, quelle che aveva appreso da suo padre, ma non dovette essere molto convincente perché dopo qualche altro minuto fu costretto ad abbandonare la cantina, tra gli ululati dei presenti.

    E corse via, il più lontano possibile da quel posto.

    ‹‹Ma che è successo?›› continuava a chiedersi, e quella domanda sembrava inseguirlo per le vie della città. Non era stato in grado di tenere testa neanche ad un vecchio: un fallimento totale. E quando ormai pensava di essere salvo sentì delle voci che lo chiamavano:

    ‹‹Cagasotto! Ehi tu cagasotto fermati!››.

    Ludwig non si voltò, fece finta di niente, non voleva altri problemi. Ma:

    ‹‹Piccolo bastardo, pensi di scappare?›› ripeté la voce. Poi una mano gli agguantò i capelli.

    Aveva già capito a chi apparteneva, un tizio coi denti marci seduto qualche fila avanti a lui nella cantina dei Bauer. E si girò istintivamente cercando di colpirlo, ma riuscì solamente a farlo arrabbiare di più. Subito

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