Le rime del silenzio: Poesie di vita, d'amore e libertà
By Ton Milan
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Ton Milan, nato in un ambiente contadino della Puglia, terzo di quattro figli, visse sotto la cappa religiosa che offriva il confortante Cielo per tollerare la severa vita spartana. In verde età gli fu diagnosticata una sordità parziale, che in realtà lo aveva colpito sin quasi dalla nascita, rendendogli difficile la vita, pur spensierata negli anni della fanciullezza.
A vent’anni un intervento invasivo lo rese completamente sordo, scaraventandolo nel silenzio assoluto. Per le sue gravi crisi intime la fede cattolica gli fu utile come un’ancora di salvezza, non avendo altro. La sua febbrile voglia di evadere lo sospinse infine al Nord. Per la sua sete di riscatto soggiornò nel Messico per alcuni mesi e visitò Praga e Kiev.
Dopo varie crisi religiose e decenni di riflessioni, letture ed esperienze sociali, è approdato a una riconsiderazione razionale di Dio, cioè alla sua illusorietà, trovando equilibrio, dignità e autostima nella realtà della vita e della natura, sottoposte alle leggi dell’universo.
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Le rime del silenzio - Ton Milan
Ton Milan
LE RIME DEL
SILENZIO
Ton Milan, 2019, tutti i diritti riservati
Prima edizione cartacea: settembre 2019
I diritti di elaborazione in qualunque forma ed opera di memorizzazione anche digitale su supporti di qualunque tipo (inclusi magnetici ed ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualunque mezzo, i diritti di noleggio e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. Per ogni domanda o richiesta relativa a diritti e permessi, contattare l’autore.
Prima di ritrovarci inerti nella terra,
rendiamoci utili e operosi nella vita
per elevarci con virtù e saggezza,
onde vivere in fraterna armonia.
ai miei figli
PREFAZIONE
Queste liriche costituiscono le voci del silenzio
, pertanto esprimono qualcosa che difficilmente si può avvertire, se non isolandosi in un deserto, dove è assente ogni suono.
Senza i profondi valori esistenziali l’uomo si dequalifica miseramente nell’arido materialismo, che può essere anche luccicante e seducente, ma sempre insoddisfacente. Poiché si distingue dall’animale per il suo intelletto, dovrebbe dare spazio e tempo alla propria interiorità, per renderla viva e palpitante, sì da poter trascendere anche nella solitudine, che prima o poi sperimenta, potendo conoscere gioie ineffabili.
L’autore non poteva tradirsi per cui, uscendo dal suo eremo, cui è pervenuto con notevoli difficoltà, si è reinserito nell’attualità, dove si convive rassegnati con il male e sono poco visibili le certezze che nobilitano, compromettendo la vitalità del pianeta.
Anela la convergenza dei virtuosi valori all’insegna delle verità inconfutabili.
Non si considera dovutamente la limitata esistenza, che sarebbe un pungolo per mobilitare armoniosamente il mondo, evitando così di proseguire ancora con le angosce, le follie, le distruzioni, le violenze e le guerre, del tutto inutili.
L’autore
Parte prima: ORIGINI
La casa natale
Umile e solenne ti erigevi in sella
tra due colli germani a mezzogiorno.
Un vicolo aereo e un rustico argine
ti separavano dalla vallata fluviale
e ti nascondevano gelosi un cortile,
di agile accesso con rampe e scalini;
vi era stesa una pergola di barbarossa
sotto la chioma di un maestoso pero.
Paffute mani gareggiavano festose,
piluccando tra le foglie acini dorati.
Sbilenca e solitaria, come sentinella,
occhieggiava una capanna in un angolo.
Quando occhi e orecchi ti sognano remota,
ti vedo fiabesca nei miei piccoli ricordi
con il grande universo delle nude camere,
il lavoro quotidiano e gli umili sollazzi.
Priva della tua umile vitalità, pur nobile,
reggerai ancora per poco davanti alle ruspe,
che fameliche avanzano e tutto travolgono;
ma sempre viva resterai per lunghi secoli
e nell’esilio padano mi sarai di conforto,
dileguando il freddo delle folle anonime,
che più dell’acqua intirizziscono l’anima.
Il poeta rivede intimamente la sua spartana casa natia, ricavandone conforto tra le folle anonime che lo circondano in città. Essa era lievemente sollevata rispetto al fondovalle, situata fra due colline. La fiancheggiavano un vicolo e un terrapieno, che le proteggevano un cortile interno, coperto da tralci di una frondosa vite: un maestoso pero ombreggiava e una sbilenca capanna dei carri faceva quasi da sentinella. Nonostante fosse umile ne era felice con i suoi fratelli.
Adelfia
Austera comparivi al giovine sguardo
tra mandorli ridenti e penduli ulivi,
nell’arena dorata di superbi vigneti,
sulle colline gemelle non più ostili.
Nella fucina or gelida or infuocata,
che il lavorio continuo infervorava,
non ti alitava alcun nobile lirismo,
sì che soltanto le pene ti animavano.
Ali frementi di indomito pensiero
ti negavi per il greve squallore
ed esodi biblici davano conforto
ai bei sogni dei ragazzi ribelli.
T’invasero con motori e concimi
le trivelle delle preziose acque
e tinte stonanti ti arricchirono,
senza incidere nella tua durezza,
sedimentata in tanti umili secoli.
Rivendendoti mi ripudi ancor più
e tristezza mi assale come prima,
quando alla sera, tacita e stanca,
ti apprestavi all’agognato riposo
e lacrime amare rigavano i carrubi.
Ti estranei all’invadenza dell’etere
inebriandoti con le droghe seducenti,
e il tuo seno, che mai accolse sereno,
insidia la genesi dei fecondi ideali,
ricusando della fede l’alito della vita.
Il poeta amava - odiava il suo paese, che si estendeva tra due poggi germani, sentendosene incompreso: spesso si isolava sconsolato. Il lavoro agricolo era duro, non mitigato da alcuno svago, per cui molti giovani emigravano. Dopo l’avvento dell’acqua artesiana, importante per i vigneti, che incrementò i raccolti, la terra fu invasa dai trattori che subentrarono ai cavalli: ci fu l’ondata del progresso con il suo benessere, ma non migliorò le coscienze, per cui lui, rivedendo il suolo natio durante le vacanze, se ne sentiva respingere per le sue tinte stonanti.
La nostalgia
Nostalgica perviene nella nebbia padana
la verde tavolozza di bianche pareti,
che infanzia conobbe e cemento sconvolse.
Gemono nell’incuria pensili vestigia
e con puntelli svetta torre normanna.
Porgendo l’orecchio a deschi tintinnanti,
placava lo sdegno per feudo dissolto
il marchese dell’austero e vetusto castello.
Resistono qua e là palazzi gentilizi
e antichi vignali dei borghi angusti.
Alla solitaria fontana, già orfana di gelso,
si dissetano bramosi grandi e piccini
e gioiosi salutano le locomotive sbuffanti.
Al crepuscolo gli uomini affollano le piazze
e le donne recitano nelle chiese il rosario.
Ansiosi si confortano i giovani avventurosi
e lontano vanno con sofferti diplomi,
che misero squallore respinge con dolore.
Sole restano a sospirare le fanciulle
e nell’ombra coltivano candide nozze.
Ma alla tersa campagna qualcuno provvede
con lavoro continuo e fresca rugiada,
che ogni aurora dispensa tra le aride zolle.
Pur vivendo intensamente la nuova vita cittadina, il poeta aveva nostalgia del suo paese natale, di cui gli erano cari la Torre Normanna, il castello (il marchese aveva ceduto le sue terre, contento per aver agevolato diverse famiglie), i palazzi gentilizi e gli umili vignali
dei borghi antichi. Ripensava a tanti giovani, che emigrarono come lui, e alle fanciulle rimaste a sospirare le agognate nozze; tuttavia alcuni coraggiosi non se ne allontanarono.
La malinconia
Angusta ti era la terra natale,
per cui fuggisti per lidi sicuri.
Oggi nulla sembra mancarti
tra lavoro, famiglia e svago,
ma illusoria è la tua libertà,
essendo inquieto lo spirito.
Invano aneli l’intimo ascolto
per scioglierti nell’universo,
un regno sconosciuto ai più,
che lo sfolgorio dei gioielli,
ha confinato nei monasteri.
Delusa, tolleri la tristezza
con il balsamo del tempo,
ma, quando rientri in casa
e ti abbandoni sul giaciglio,
invano tenti di rinfrancarti
sentendo musica televisiva.
Non sfugge a un veterano,
che di dolori ha varie ferite,
il tuo animo malinconico.
Un saldo ponte tra sponde,
tue e sue, ti solleverebbe
con il transito delle virtù,
pur sbiadite, ma essenziali.
Il poeta, con la sua esperienza, si presta a soccorrere una donna che ha lasciato il suo villaggio per vivere nella grande città, esponendole le virtù che motivano la vita. Lei ha tutto per soddisfarsi tra lavoro, famiglia e svago, ma qualcosa la turba: il luccichio mondano e la musica dei concerti la disturbano, mentre troverebbe pace nei conventi.
Il cantico della vita
La vita, dono felice della natura
che l’amore fecondo racchiude,
mitica perviene lungo i millenni
dalla prima alba che l’intravide.
Protegge nel suo infimo granello
la grandezza che loda il Mistero,
se timida e leale gli si inchina,
o lo delude se rea fugge lontana.
Un’altalena di lacrime e sorrisi,