Un mare senza
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Come dice la protagonista: “forse è una rappresentazione simbolica di quanto rappresenti il mare per noi. Nel mare c’è tutto ciò che ci trasmette energia, tutto ciò che ci appartiene e dentro il mare tutto ciò che sappiamo di essere. Come se ci lasciassimo andare alla sua immensità, come se ci lasciassimo accogliere in un abbraccio. Pensa… senza tutte le nostre sensazioni, la tristezza, i pensieri, le lacrime, la gioia, le speranze, le emozioni sarebbe solo un mare. Un mare senza”.
In questo mare navigano forti sentimenti, annaspano, si cercano, si abbandonano, si ritrovano fino a ricongiungersi dopo un lungo viaggio interiore.
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Un mare senza - Stefania Lastoria
Stefania Lastoria
UN MARE SENZA
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
commerciale@giraldieditore.it
info@giraldieditore.it
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ISBN 978-88-89435-98-4
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2017
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.
Immagine di copertina di Adolfo Valente
Alla mia mamma,
fonte di un amore incondizionato,
sempre attenta e presente.
A lei che sa guardarmi e comprendermi,
a lei che osserva i moti dell’anima.
Se oggi sono quella che sono,
è grazie a te mamma.
Prefazione
Ci sono occhi che riescono a guardare quel lontano che non sappiamo percepire. Altri invece che, al contrario, sanno come affondare la curiosità negli interstizi minimi della vita. Ci sono poi occhi capaci di scendere nel profondo dell’anima, nei suoi strati più imperscrutabili ad osservare, e trasformare in linguaggio, le ataviche sfumature che l’occhio comune, oberato da superflui input su macro banalità, non riesce più a percepire. Sono proprio questi a saper offrire, ai recettori di chi vi si affida, codici di lettura carichi di un sentimento così puro e antico, da farsi scegliere per sciogliersi in intimo appagamento sensorio, quasi assoluto.
Così Stefania Lastoria riesce, attraverso pagine cariche di sanguigna sensibilità, a farci percepire la sua intima ed introspettiva versione della faticosa normalità di una vita pronta sempre a rapirci in rivoli forieri d’abbandono e di dolore, mai fini a se stessi però. Una lettura che ti lascia padrone di questa particolare capacità descrittiva, reale dono narrante della scrittrice, rendendoti parte sostanziale del racconto capace sempre di sedurre e combattere un non improbabile, personale, viaggio interiore nelle vive asperità di quel mare icona, così comune quanto impervio da sentirsi cullati nel fluttuare dell'anima tra ondate di memoria ed il grande abbraccio della vita.
Roma, 7.12.2015
Paolo Simoncini
1
Camminava lenta, per le strade umide di quella piccola cittadina di provincia. I suoi passi sull’asfalto risuonavano come a scandire un tempo che si stava lasciando alle spalle, anni da cancellare, sbagli da dimenticare, affetti da archiviare. Le nubi all’orizzonte si affacciavano minacciose, nere e cupe come la sua anima. Cominciò di nuovo a piovere e all’improvviso i tuoni e i lampi che appena riusciva a scorgere furono accompagnati da un violento temporale.
Elena non si affrettò, lasciò che l’acqua le cadesse sulla pelle come una carezza, come quelle carezze mai ricevute e mai date… lasciò che le lacrime del cielo si sostituissero alle sue perché adesso sapeva che non avrebbe più pianto. Non aveva più lacrime da versare.
Il suo cuore sembrava essersi pietrificato e non aveva ancora un posto in cui rifugiarsi.
Risuonavano sull’asfalto bagnato i suoi passi ed il rumore di una piccola valigia che si trascinava dietro. Lì dentro tutto ciò che aveva e dentro di lei tutte le assenze. Rivoli d’acqua le lambivano le caviglie senza che lei ci facesse caso mentre lentamente e sotto la pioggia scrosciante raggiunse la stazione.
A quell’ora del mattino non c’era nessuno, qualche viaggiatore assonnato che si stava recando al lavoro. Vide un gatto che frugava astutamente tra i rifiuti in cerca di qualche prelibatezza da gustare.
La desolazione del luogo acuì la sua tristezza.
Non sapeva ancora dove andare, non sapeva ancora cosa ne sarebbe stato della sua vita.
Di sicuro da lì doveva scappare, allontanarsi dai ricordi, allontanarsi da ciò che era stata e forse l’unica soluzione era scegliere una grande città, una metropoli che le avrebbe permesso di ricominciare una nuova vita lontana dalle chiacchiere, dai pettegolezzi, dalla gente che sa tutto di te e che sapendo si permette di giudicare e condannare.
Si avvicinò alla biglietteria.
Un signore insonnolito le chiese dove voleva andare.
Elena rimase un attimo a pensare. Dove, dove poteva andare?
– Mi dia un biglietto per…
Vuoto. Vuoto assoluto. La sua mente rispolverò quelle poche città che aveva visitato in qualche raro viaggio con gli amici. Niente. Non le veniva in mente niente.
Il signore della biglietteria la osservò con curiosità e impazienza.
– Allora? Un biglietto per dove signorina? Non ho tempo da perdere io.
Elena si riprese da quel torpore che sembrava avvolgerla. Doveva decidere e in fretta.
– Mi dia un biglietto per Roma… solo andata.
Pagò e stava per allontanarsi quando il bigliettaio le disse:
– Si asciughi, è tutta bagnata, così le verrà un malanno!
– Sì certo, grazie.
– Scusi se mi sono permesso, signorina. È che potrebbe essere mia figlia!
Lei lo ringraziò con un cenno del capo. Poi si avvicinò al binario ed aspettò il suo treno.
Aveva vent’anni Elena ed un biglietto solo andata per Roma.
2
15 anni dopo
– Dai Paolo, sbrigati, siamo maledettamente in ritardo. Lo spettacolo comincerà tra meno di mezz’ora!
– Non è colpa mia stavolta. Hai fatto tardi tu.
– Non mi è mai capitato, solo questa sera ho ritardato di appena dieci minuti perché ho ricevuto una telefonata.
– Appunto, hai fatto tardi tu e ora se siamo imbottigliati sul Lungotevere non è certo colpa mia. Odio questa città, traffico ovunque, a tutte le ore… E poi lo sai che andare a vedere gli spettacoli di Gianni non mi entusiasma affatto. Lo faccio solo per te.
– Dai, cerca di essere gentile con lui. In fondo siamo amici da tempo e lui ama il teatro. Ci tiene alla nostra presenza.
– Certo, se non ci andiamo noi non ci va nessuno… E ribadisco mia cara, che come sempre lo faccio solo per te.
Elena sorrise passandosi una mano tra i folti capelli corvini.
Girandosi vide Paolo che sospirava, sapeva benissimo come la pensava su Gianni. Quarantenne che ancora recitava con passione in attesa della grande occasione. Si dilettava a fare piccoli spettacoli con attori e registi minori sperando che qualcuno prima o poi lo notasse.
Secondo Paolo, bancario serio e affidabile, avrebbe dovuto arrendersi all’evidenza e trovarsi un lavoro serio per vivere, cosa che gli avrebbe permesso di dedicarsi al teatro come hobby, come passione da coltivare in via secondaria.
Non si poteva vivere con il teatro, non a quei livelli dilettantistici. E sì che era un uomo e non un ragazzino di vent’anni.
Arrivarono appena in tempo. Parcheggiarono e subito Elena scese dalla macchina cominciando a correre.
– Dai Paolo, sbrigati altrimenti non ce la facciamo!
– Ehi, un attimo. Non solo ti vengo a prendere ma poi te ne scappi da sola? Guarda che sono più veloce di te.
La raggiunse in un attimo e la superò come un fulmine gridandole dietro:
– Dai Elena, sbrigati altrimenti non ce la facciamo!
– Sei odioso quando fai così.
Poi lui l’aspettò, le afferrò la mano e ripresero insieme la corsa.
Arrivarono trafelati ma appena in tempo.
Si sedettero alla sesta fila di un piccolissimo teatro che poteva contenere al massimo una sessantina di posti.
– Mi sembra di stare al teatro dell’oratorio – le sussurrò Paolo all’orecchio.
– Ma smettila va’ – rispose Elena con una sonora risata. L’ironia di Paolo l’aveva sempre affascinata e lei spesso aveva bisogno del suo modo scanzonato di vedere la vita, della sua capacità di farsi scivolare i problemi addosso. Sapeva ridere, scherzare, vivere alla giornata. Sapeva sorridere sempre ed il suo buonumore era così contagioso!
Si abbassarono le luci e si aprì il sipario.
La scenografia, piuttosto scarna, lasciava un po’ a desiderare. Era stato riprodotto un piccolo monolocale all’interno del quale si svolgeva tutto lo spettacolo. Si trattava di una commedia brillante in cui veniva messa in luce la crisi di una coppia dopo anni di matrimonio, il tutto condito da equivoci esilaranti e situazioni comiche.
Elena era sempre ammirata dallo stile di recitazione di Gianni. Lo trovava bravo al di là del loro rapporto di amicizia che poteva rendere poco obiettivo il suo giudizio.
Essendo lei una giornalista, aveva più volte cercato di aiutarlo, mandando colleghi che si occupavano di spettacolo affinché potessero in qualche modo rendere più gradevole anche una piccola recensione menzionando i vari attori e dando a lui il giusto tributo che meritava.
Di questo Gianni non seppe mai nulla ma ritagliò quei piccoli articoli conservandoli come preziosi trofei.
Finito lo spettacolo Elena applaudì e quando gli attori, a più riprese, uscirono per ringraziare, poté scorgere lo sguardo emozionato di Gianni che li guardò ed espresse la sua gratitudine con un bacio soffiato sul palmo della mano.
Paolo, sarcastico fino all’ultimo, si avvicinò ad Elena dicendole:
– Mi sembra esagerato spellarsi le mani mia cara. La manicure ti costerà più del biglietto.
Lei si girò verso di lui e gli diede una gomitata sul fianco.
– Ahi, le donne!
Aspettarono che Gianni uscisse per salutarlo e complimentarsi con lui.
Lo videro prendere la rincorsa ed abbracciarli con uno slancio che lasciò in Elena un misto di gioia e disagio. Una sorta di turbamento che provava ogni volta che le manifestazioni affettive erano, a suo giudizio, esagerate.
– Siete unici miei cari amici. Non so davvero come ringraziarvi. Come avete trovato lo spettacolo?
– Con il navigatore satellitare – disse Paolo serio.
– Sempre il solito tu eh! Volevo dire, come vi è sembrato lo spettacolo? Vi è piaciuto?
– Oh Gianni – continuò Paolo – i pezzi che ho maggiormente gradito erano quelli in cui non c’eri tu.
Elena lo fulminò con lo sguardo ma il primo a sbellicarsi dalle risate fu proprio Gianni.
– Paolo, non so mai quando scherzi o quando dici la verità.
– Io dico sempre la verità. A parte tutto mi sono talmente divertito