AMO TE... starò con lei per sempre
By Camilla Ghedini and Brunella Benea
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«Ora, vi chiedo un atto di coraggio. Istituiamo la Giornata dell’Amante! Rendiamo merito alle amanti di esistere, di tenere in piedi i matrimoni, di fare girare l’economia».
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AMO TE... starò con lei per sempre - Camilla Ghedini
AMO TE...
starò con lei
per sempre
Camilla Ghedini – Brunella Benea
Copyright © 2014 Giraldi Editore
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
commerciale@giraldieditore.it
info@giraldieditore.it
www.giraldieditore.it
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ISBN 978-88-6155-573-0
Proprietà letteraria riservata
© 2013
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.
«Siete disposti, seguendo la via del Matrimonio,
ad amarvi e ad onorarvi l’un l’altro per tutta la vita?»
Sarebbe più onesto chiedere siete disposti a provarci
cercando semmai ogni giorno la forza per riuscirci.
«Nessuno osi separare ciò che Dio ha unito».
Una domanda: vale anche quando l’unione è basata
sulla menzogna?
«Chi è contrario a questa unione,
parli ora o taccia per sempre».
Va bene, noi parliamo, nessuno però si offenda!
Dedicato a chi ha capito che nell’amore
non può esserci giudizio.
Premessa
Questo scritto è frutto dell’autoironia e della capacità di saper ridere delle proprie disavventure, di ammettere i propri sbagli, di riconoscere le proprie responsabilità, compresa quella di bissare
i propri errori. A chi in fondo non è capitato di tradire o essere tradita? Di essere o avere l’amante? Noi vogliamo rivalutare
la figura dell’Amante al di là dei tabù e dei luoghi comuni. La storia tutta è piena di donne talentuose e di successo che hanno scelto la verità di un amore sbagliato
secondo il comune sentire, ma giusto
secondo il loro sentire. Il punto è unico e universale: PUÒ CAPITARE. E certe volte, va bene così.
Introduzione
Il guaio è che quando lo si è non si capisce di esserlo. Il delirio di onnipotenza è tale da scambiare i residui in un distillato di puro sentimento. Così da ruote di scorta ci si autopromuove regine di cuori e si vive nel limbo dell’illusione: in fondo la storia ci ha tramandato icone come Madame Pompadour nell’alcova del Re Sole. E di favorite dei potenti si sono nutriti romanzi, film, arti di ogni genere. Perché loro sì e noi no? Perfino i Pooh hanno reso immortale la figura dell’Altra Donna, quella importante. Che non deve però lasciare tracce di mozziconi, perché parlerebbero di lei nell’auto dove dovrebbe esserci posto solo per la sacra famiglia. E che all’alba resta sola. E le va pure grassa. Perché non appena si fa strada un barlume di lucidità ci si accorge che l’epopea è a malapena una squallida clandestinità nutrita di bugie e di inganni che durano lo spazio delle poche ore riservate allo strappo alla regola. Preferibilmente il pomeriggio perché la sera richiede scuse meglio architettate di una banale cena di lavoro. Il trionfo del sotterfugio galvanizza e trasforma la sfiga in eroismo, ma il risveglio è amaro quanto i primi forfait angosciati che sopraggiungono il più delle volte sotto forma di sms o mail dal BBerry (magari aziendale, perché così il telefonino di casa resta immacolato e non ci si mette neppure la voce che potrebbe far trapelare la grande finzione che si sta inscenando). E nemmeno l’inevitabile e più o meno repentino tracollo della relazione extraconiugale talvolta basta a far rinsavire la sventurata che spesso diventa amante seriale, convinta che quella precedente sia stata una prova generale e che la successiva parentesi da batticuore e basta sarà gestita così furbescamente da addivenire a conclusione indubbiamente favorevole. «B. non è mica un cretino come quell’imbecille di A.». Come se di fedifraghi e traditori di professione ne esistessero più razze... Basterebbe a tal proposito soffermarsi sulle varie poste del cuore che offrono dal loro osservatorio lo spaccato di un’Italia che sembra davvero marciare a ritmo di corna. E fa bene la sacerdotessa Aspesi a predicare che si deve godere senza interrogarsi. Il problema è che trattasi di teoria più facile da enunciare che non da trasformare in metodo applicativo quando si è nella scomoda posizione del ritaglio, non contemplata come favorente l’appagamento nemmeno dal Kamasutra mordi e fuggi. Così di sconfitta in sconfitta e di mortificazione in mortificazione si nutre una categoria che per le ragioni molto ben spiegate e argomentate nel libro merita tutt’altra dignità di quella infamante loro riservata da una pubblica opinione codina che sciorina pubbliche virtù ma in privato pratica proprio quei vizi di cui le amanti sono riconosciute vestali.
La proposta di dare vita alla Giornata Nazionale dell’Amante risulta perciò pienamente condivisibile: serve infatti un’occasione ufficiale che inviti a riflettere vittime e carnefici e aiuti, con iniziative di vario genere, chi ancora si trova in mezzo al guado. Florinda e Anita ovviamente sono già approdate all’altra riva, quella che assicura una distanza di sicurezza dal coinvolgimento tale da consentire una narrazione perfino ironica delle loro sventure che da particolari diventano universali, così umanamente diffuse da rendere la loro vicenda paradigmatica e capace di suscitare empatia in chiunque, almeno una volta, si sia trovata relegata nello scomodo ruolo.
Lo stile leggero e ironico non deve tuttavia trarre in inganno, perché la dissacrazione e la disinvolta trattazione nascono da una macerazione profonda e dall’interiorizzazione dolorosa di un percorso che meglio sarebbe definire calvario
. Chi ne esce tuttavia davvero a pezzi è la pusillanime figura dei maschi che popolano le pagine e che nemmeno la redenzione del ritorno alle domestiche funzioni di fuchi riesce a riscattare. Perché la dignità sembra appartenere davvero solo alle deprecabili rovina famiglie... Che poi non rovinano mai un bel niente: tutt’al più scalfiscono un tran tran di scialba quotidianità senza mai approdare ad alcunché perché la promozione da seconda a prima scelta è evento talmente raro da dover essere catalogato come miracolo.
Difficile immaginare quali strade abbiano intrapreso Anita, Florinda e Penelope (e tutte le loro più o meno consapevoli emule) una volta vinta la loro battaglia di civiltà per far riconoscere l’Amante come motore dell’economia e della società. Si può solo formulare loro un augurio: che non abbiano trovato un uomo libero che le tratti però da amanti. Sì, esistono anche questi tipi umani che pur senza fede al dito relegano la partner a optional. E neanche appellarsi a un San Secondo apposta dedicato potrebbe forse garantire l’emancipazione da tale degradante condizione. Probabilmente bisognerebbe salire un ulteriore gradino e scomodare direttamente la Madonna di Lourdes.
Lorella Bolelli
Ill.mo Ministro Sviluppo Economico
Illustrissimo Signor Ministro,
con la presente le sottoscritte sono a chiederLe che venga istituita la Giornata Nazionale dell’Amante.
In un’Italia che fa della famiglia il proprio motore economico, sociale e morale, si ritiene che il ruolo dell’Amante debba essere riconosciuto nel suo valore istituzionale. Secondo studi e ricerche, emerge infatti che il 70 per cento degli uomini ha o ha avuto una o più amanti e che quasi il 100 per cento delle donne, dalla medesima statistica, si sia pertanto imbattuta in questa situazione.
Ciò premesso, si fa presente che:
1. Esistendo, l’Amante contribuisce al mantenimento – non alla divisione – della famiglia stessa, la cui continuità è dalla stessa Amante, suo malgrado, garantita.
2. Il ricorso dell’Amante a terapie psicologiche, per affrontare e superare la condizione di svilimento in cui vive, dà linfa all’industria farmaceutica e omeopatica competente nella realizzazione di ansiolitici e psicofarmaci.
3. Il ricorso delle mogli al prete per confidare la presenza di un’Amante offre alla Chiesa nuove opportunità per condannare i facili costumi.
4. Il ricorso delle mogli ad agenzie di investigazione privata dà enfasi alle professioni del futuro.
5. Il ricorso dei mariti fedifraghi all’acquisto di nuovi cellulari – da tenere rigorosamente occultati – incrementa l’industria delle telecomunicazioni.
6. Il ricorso dell’Amante alle vie legali, perché incapace di togliersi di dosso lo stalker sposato, offre agli avvocati consistente mole di lavoro.
7. Il ricorso dell’Amante al compulsivo acquisto di cd strappalacrime mantiene un mercato discografico altrimenti in crisi.
8. Il ricorso dell’Amante al compulsivo acquisto di dvd strappalacrime alimenta l’industria cinematografica.
9. Il ricorso dell’Amante allo shopping compulsivo, nel tentativo di gratificarsi, fa volare
tutte le nuove tendenze di moda.
10. Il ricorso dell’Amante ai centri estetici, per essere sempre in forma smagliante, a differenza della moglie, fa tirare il wellness.
In sintesi, in un’Italia ancora lontana dal superamento della crisi economica, dove il Governo punta al rilancio dei consumi famigliari, l’Amante ha un ruolo sociale, perché per vocazione allo svilimento compra.
Tutto ciò premesso, le sottoscritte ritengono sia giunto il momento di superare ogni forma di ipocrisia bipartisan e stabilire una giornata in cui celebrare questa figura, che da sempre esiste, da sempre tace, per sempre esisterà e rappresenta per le ragioni sopraddette un indiscusso volano economico. Dando un fattivo contributo al benessere di questa nostra Italia tutta.
Anita e Florinda
Sabato
Florinda si era diretta in libreria sperando di non incrociare nessuno. E invece, porca miseria, quella sera fuori c’era mezza città. Colpa della bella stagione primaverile, riesplosa di colpo come i suoi ormoni, e colpa del sabato sera di fine aprile, quando le coppie escono felici, o fingono di esserlo, e allora il giretto in centro storico dopo la pizza con tanto di passeggiata romantica per mano è d’obbligo. Ci si era messa anche l’apertura dei negozi fino alle 24, concessa dal Comune per aiutare i commercianti piegati dalla crisi e speranzosi di guadagnare così qualche euro in più. Fatto sta che, invece che le 21.30, pareva l’ora dell’aperitivo. Florinda aveva appena oltrepassato la porta elettronica – temeva sempre non si aprisse e cominciasse a suonare l’allarme – e già si era imbattuta in almeno cinque conoscenti. E le frasi di rito si erano sprecate: «Ciao, ma che piacere vederti!», «Ciao, ma cosa fai qui?», «Ehi ciao, anche tu qui… ah ma sei sola… tutto bene?». Sì, tutto bene pensava Florinda tra sé e sé. Capiva che i suoi tratti somatici tradivano il fastidio. Quando parlava con gli altri, riusciva a vedere come a distanza la sua stessa espressione. Gli zigomi, già sporgenti, sembravano voler uscire dal volto per la contrattura nervosa; gli occhi guardavano altrove, e non per strabismo; le labbra si chiudevano in una smorfia, la testa si inclinava. Era inutile anche millantare ritegno.
Florinda sapeva di non essere diplomatica, di non essere tagliata per i convenevoli. Ci aveva anche provato ma una volta, dal parrucchiere, fingendo partecipazione per la vicenda di una cliente che raccontava di essere stata lasciata dal marito, lei aveva commentato che uno che molla una signora di mezza età per una ragazza più giovane è un porco! Si era così guadagnata l’eterna antipatia della vedova, che semplicemente non amava la parola morte. Si era vergognata come un cane e aveva cambiato parrucchiere. Da allora, aveva deciso che di fingere non aveva voglia, meglio passare per irriverente che ipocrita. Ecco perché quando le chiedevano come stava, rispondeva sempre «bene grazie» senza neppure proseguire col più educato «e tu?». Tanto la verità è che non me ne frega niente, diceva tra sé e sé.
Quel sabato, dopo aver cenato con svizzera di tacchino e insalata verde cotta in acqua, era uscita in quattro e quattr’otto seguendo l’impulso. Aveva trascorso l’intero pomeriggio sul divano, in casa, a leggere «Vanity Fair» e a tentare di guardare dvd. Dopo pranzo aveva messo su Gesù di Nazareth di Fellini, che sosteneva di voler vedere, o rivedere, a seconda dell’interlocutore, ma poi si era detta che la Bibbia e il caldo non erano un buon connubio e aveva ripiegato sul settimanale che lei amava di più. La solita inquietudine tuttavia la tormentava. Non riuscendo a concentrarsi sulle vite glamour dei vip, cominciò a fare zapping. Verso le 16 si sintonizzò a colpo sicuro sul canale locale in cui il mago Ermete, ogni sabato alla stessa ora, con un mazzo di carte da briscola, nella trasmissione Gli astri vi parlano
, rispondeva ai quesiti dei telespettatori, soprattutto telespettatrici. Era un cinquantenne biondo platino, giacca nera lucida e voce metallica, di cui si vedeva solo il tronco perché era seduto a un tavolo di legno scuro. Per quanto ne sapeva Florinda, poteva essere un nano o un paraplegico. Preconizzava in diretta il futuro ai disperati che componevano il numero verde in sovraimpressione. Florinda era a casa da sola, ma quella vergogna che fin da bambina la assaliva quando era di fronte al non razionale riemerse con forza e così si voltò, verso la finestra, per avere la certezza che nessuno sapesse cosa stava facendo. Non ancora tranquilla abbassò quasi completamente la persiana, per timore che i dirimpettai potessero vedere dentro.
Abitava al secondo piano di una palazzina di tre, c’erano sei appartamenti in tutto, famiglie discrete che si facevano i fatti loro. Di fronte, c’era uno stabile speculare. Florinda si comportava come se tutti potessero osservarla, senza neppure valutare la possibilità che se anche fosse stato, a nessuno sarebbe importato dei fatti suoi. Rise di se stessa pensando che lì dentro, nel suo regno, come lo definiva lei, era sola con i suoi oggetti. Rasserenata, si lasciò sprofondare nei segreti dell’astrologia e della cartomanzia, a cui da che mondo è mondo si ricorre nei momenti difficili. «Uno felice mica si fa fare le carte», commentò a voce alta. Non che lei sapesse che rappresentazione dare della felicità. Conoscere qualcuno di nuovo? Dimenticarsi di qualcuno di vecchio? Sì, questa le sembrava la prospettiva migliore, ma non poteva fare tutto da sola. Devi avere pazienza, ci vuole tempo, devi elaborare il lutto, ogni separazione è come una morte, si ripeteva. Questo le avrebbero detto le amiche, se lei soltanto avesse parlato. Erano chiose che lei stessa aveva pronunciato mille volte, almeno una per ogni loro storia finita male. Florinda però aveva scelto di non confidarsi e, ora che tutto era finito, non aveva la minima voglia di raccontare le cose dall’inizio. Non avrebbe avuto senso e poi come avrebbe potuto cominciare? «Sapete, anni fa ho conosciuto… sì, ho dimenticato di parlarvene… è durata solo sei anni… non eravamo ancora tanto in confidenza, volevo aspettare… poi pensavo non fosse importante…». Si sarebbero imbestialite, minimo. E non avrebbero accettato giustificazioni per essere state tagliate fuori. In un modo o nell’altro, poi, non avrebbe potuto essere sincera, quindi tanto valeva evitare questa pena.
Come le mancavano però quelle confidenze con le amiche. Quel piangere fino a sfinirsi, seguito da quel ridere a crepapelle, quel sentirsi prima sul punto di morire per amore poi per la stupidità! A chiunque le chiedesse, da anni continuava a ripetere che no, non aveva nessuno, stava bene così, qualche storia ogni tanto, tutti aborti spontanei. Però la cosa, in fondo, la rammaricava. Perché lei era sempre stata trasparente, possibile che chi le stava attorno non si accorgesse che aveva un segreto?
Una volta Mara, una del gruppo con cui ogni tanto usciva, si era lasciata sfuggire un non tanto sibillino «dovremmo fare come te, che ci tieni gli uomini nascosti», ma lei aveva risposto con un sorriso. Quel loro rispetto quasi la infastidiva, avrebbe preferito l’invadenza, di cui si sarebbe lagnata, ma almeno avrebbe avuto un motivo per svuotare il