Lettera a Bertrand Cantat
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Book preview
Lettera a Bertrand Cantat - Francesca Mazzucato
lettera a
Bertrand Cantat
Francesca Mazzucato
Collana Protagonisti n. 1
Copyright © 2010, 2013 Giraldi Editore
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
Seconda edizione rivista e ampliata
commerciale@giraldieditore.it
info@giraldieditore.it
www.giraldieditore.it
Tumblr
ISBN 978-88-6155-551-8
Proprietà letteraria riservata
© 2013
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.
Ascoltando il mormorio delle nostre profondità
e dall’altra parte le ansie carnivore del niente.
Faccia a faccia.
Senza comprendere la scrittura
delle nostre interne ombre.
V. Huidoboro
Lui amava l’intensità, la profondità, la verità
che guardava con bramosia, disposto a scoprirle,
eccitato, coraggioso, ma [...] non ha davvero iniziato.
Christine Angot
In questa notte nuda di parole
come un angelo cancelli il mio dolore
nella grazia tremante del tuo sguardo.
Anche se questo esilio mi apparterrà per sempre
la tua dolcezza è un’anima,
un lampo acceso nel destino,
una carezza deposta nel mio cuore
più forte del vento solitario
che vi respira dentro.
Lo so che un’ombra ci separa,
che questa luce è fragile
come certi lucignoli che scuote
la brezza leggera d’autunno,
ma il tuo sorriso forse l’ha scritto Dio
nel mio destino.
Roberto Carifi
…tu che mi doni in un fragile sorriso
la vertigine
che solamente danno la bellezza e il bene
lascia che ti chiami amore…
semplicemente, così, come colui che prega
chiama amore Dio
e lo ama di più perché assente.
Mi basterebbe la linea del viso
accarezzarti lo sguardo, anche per poco
poterti dire quanto somiglia alla morte la tua assenza...
Roberto Carifi
This is not a tale of forgiveness and redemption.
It’s the story of a narcisistic killer, a master of self-pity.
Most murderers, after they’re released, just want to be forgotten.
Not Bertrand Cantat.
He needs to show his wounds to the people.
He’s made a career of it.
«Le Point news magazine»
editor-in-chief Franz-Olivier Giesbert
Les dégâts, les excès
Ils vont vous les faire payer
Les cendres qui resteront
C’est pas eux qui les ramasseront
Mais les esclaves et les cons
Qui n’auront pas pas su dire non
Nous on n’veut pas être des gagnants
Mais on acceptera jamais d’être des perdants
Bertrand Cantat
Prefazione alla nuova edizione
di Francesca Mazzucato
Bertrand Cantat è un cantante e un poeta, i suoi testi sono di intensità particolare, la musica anche. Nei testi echeggiano i grandi poeti francesi e non solo, ci sono continui rimandi e citazioni letterarie, più o meno evidenti, ma chiare ad un ascolto attento. Questo mi ha sempre colpito, questo mi ha coinvolto, fra note e parole. Lo seguo da sempre. Una sua canzone dedicata ai perdenti è la suoneria del mio cellulare, non riconoscerei il mio telefono se ne avesse una diversa. Non ho mai scelto suonerie, mi pare un gioco da adolescenti, un vezzo da ragazzini, questo è stato fino all’uscita di quella canzone, fino al mio approdo alle parole di Gagnants – Perdants, anni fa. Quelle parole, così intensamente vere nel loro dolore, nella loro assenza di speranza mitigata dalla creazione artistica, dalla tessitura poetica, cantate con l’inconfondibile voce strascicata e sensuale che ben conoscevo, mi hanno colpito come poche altre. Quella musica così speciale, quelle sinfonie di sensazioni... Le volevo con me, le volevo ascoltare a ogni chiamata, a ogni pausa. Mi riconoscevo.
Bertrand Cantat ha scritto di perdenti, di persone ai margini, di dolore. Ha scritto di pelle scorticata, di trafitture. Tematiche che hanno incrociato le mie, in contesti diversi, ma vicini, in varie forme persino difficili da definire (di spazio? di tempo?)
Cantat è stato la mia musica, mentre mi portava il vento, mentre mi portava l’inganno di un lago, mentre cercavo con affanno amore e verità e trovavo solo tracce storte e dolenti, mentre cercavo di non negare il mio corpo ma il mio corpo veniva negato lo stesso, mentre sfuggivo dalla realtà ricercando nel sesso la passione e drammatizzando la passione per allontanarla. Cantat era la mia musica, insieme a musica classica di vario tipo, insieme ad altra musica francese, c’era sempre.
Gli ho dedicato un romanzo, anni fa, che viene qui riproposto. Non è facile riproporre un romanzo già scritto, una storia già narrata, ma si tratta di una libera interpretazione lisergica, immaginaria, volutamente staccata dalla realtà e persa in dimensioni oniriche e fisiche e che alla realtà ritorna, in alcuni momenti. Come se compisse uno slalom.
La mia narrazione è arrivata e ha in qualche forma costeggiato
il compiersi di fatti tremendi, che sono saliti di intensità e drammaticità, come un’onda che si gonfia, una valanga che scende a valle. Questo libro non vuole in alcuna maniera giustificare, difendere o essere motivo di polemiche. Ci tengo a chiarirlo subito. Ci tengo a sottolinearlo con forza: questo libro affronta un piano diverso, o più piani, nessuno dei quali ha a che fare con la responsabilità individuale messa in discussione, con la difesa. Mai. Se così appare, è narrazione e solo narrazione. Credo che Cantat abbia scontato la pena dovuta, stabilita da un tribunale, ma credo che abbia compiuto un gesto tremendo di quelli che piegano, dai quali non ci si riprende; credo che abbia seminato un dolore infinito e che i genitori e i figli di Marie Trintignant faticosamente troveranno pace se mai riusciranno a pacificarsi con l’assenza della donna che amavano e con quel gesto che li ha privati, amputati, avvolti di un dolore senza scampo. Marie non c’è più, Marie è morta.
Anche Bertrand Cantat ha due figli, però, e anche loro hanno vissuto prove e momenti che nessun bambino dovrebbe mai vivere.
La storia si è fatta così in fretta tragedia, non l’avrei mai immaginato, osservarla è osservare la vita e osservare le maniere feroci che può avere per sorprenderti, e la vita è stata macerie, è rotolata come una valanga anche in altre diramazioni, per questo anche i figli di Cantat hanno la mia comprensione, la mia vicinanza, e ho pensato a loro quando ho seguito il ritorno sulle scene del cantante, scandito da varie fasi. Anche loro faticheranno a dimenticare, anche loro sono rimasti senza la madre. Tutto questo, se pensato scandendo i singoli accadimenti, è tremendo.
Tutto questo può diventare musica?
Io sono uno scrittore, posso farlo diventare un romanzo, o posso rivedere e rielaborare un romanzo, dando alle parole una cornice, una sfumatura diversa, oltre ad aggiornarne alcuni punti, lasciando intatto l’insieme, carnale, dolente, immaginario, simile a tratti a un quadro di Munch, a tratti a una cornice di legno da cui un quadro è stato levato, rubato, fatto a pezzi. Poi ritrovato per caso.
Un restauro.
Le vite sono un restauro? Forse. Quella di Cantat lo sembra se si seguono i fatti di cronaca, poi se si separa la figura dalla produzione artistica riesce sempre a portare lontano.
La sua storia ha lasciato stupiti molti: prima, la sua figura era una figura alternativa, riconoscibile in scelte coerenti e spesso coraggiose, un rock antisistema, sempre in prima linea lui e i Noir Désir. Non era facile, avrebbero potuto guadagnare di più, essere più popolari. Hanno rifiutato compromessi di ogni tipo. Ne è valsa la pena? Non si sa, questo è compito di chi scriverà o ha già provato a scrivere la storia del gruppo ora sciolto. Ma lui. Prima, forse, era solo un’immagine? Chi può dirlo. Certo è stato avvolto da un alone di profonda negatività. Attorno alla sua vita si sono radunate macerie, ed è stato un incredibile susseguirsi di distruzione, desolazione.
In fondo, nel narrare questa storia, all’epoca (2010) la percezione di questa negatività c’era stata (era già morta Marie, le foto del suo arresto erano su tutti i giornali, non si poteva che provare sconcerto e dolore). E inoltre, lo dico senza incertezza, fa parte di una tradizione, quella dell’artista maledetto, che ritorna insistente, che si ritrova nelle vite, nei corpi, nelle tragedie di tanti. Sono state tragiche le vite di Kurt Cobain, di Amelia Rosselli, di Dalidà, di Anne Sexton, di Marina Cvetaeva, vite terminate con il suicidio. Sono state tragiche altre vite dove non ci sono stati suicidi ma i protagonisti si sono perduti. Quindi, quando ho iniziato a scrivere, questa forza distruttrice c’era già, eccome. A volte, in qualche modo, la pulsione distruttiva cattura, avvicina. I danneggiati si riconoscono. La troverete, la sentirete nelle pieghe del racconto (che sono pieghe di pelle viva, fenditure, ferite reali), la sentirete fra le pagine, proseguendo, anche se, già allora, ho sempre cercato di distinguere i piani. L’uomo, la sua opera, la mia libera ispirazione di scrittore, le mie solitudini narrate ispirate dalla sua musica, indifferenza e lavoro incessante, polpastrelli doloranti, dita sui tasti, musica nelle orecchie, fatti di cronaca, corpi oltraggiati, rock, video, condivisioni sui social network, luci abbaglianti, neon, colori strani, incubi, vero e finto, altre notizie. Intanto, il romanzo. Una strana tessitura. La presa precaria, la caduta. Questo forse è il tema. La disperazione di Munch e quella coagulata attorno al cantante francese, e rispecchiata nelle sue canzoni, altra fonte di ispirazione. Fine 2013.
Sono contenta di questa edizione digitale