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Con due giri di chiave
Con due giri di chiave
Con due giri di chiave
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Con due giri di chiave

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About this ebook

Siamo in un piccolo paese di mare, che muta ogni volta che l’autore lo desidera: c’è solo un punto di incontro tra lo scrittore e i personaggi che compaiono nel racconto ed è una stanza, o meglio una porta tanto familiare agli occhi del protagonista.
Il protagonista di questa storia ha l’abitudine di disfare i fili delle tasche mentre parla e ha la necessità di scrivere quello che pensa. È uno scrittore nel bel mezzo di una crisi creativa, in continua ricerca di emozioni da trasformare in inchiostro. Più si addentra in forti emozioni e più si accorge che non riesce ad afferrarle, perché volano via con la leggerezza delle farfalle. Un personaggio oscuro renderà ancora più difficile questa caccia senza regole, e solo uno specchio potrà riflettere tutta la verità. In un viaggio che sfiora l’assurdo, l’amore e l’amicizia, lo scrittore inizia a cacciare e catalogare ogni sua singola emozione; è un uomo disposto a tutto per raggiungere il suo obiettivo, è disposto a tutto pur di concludere quel viaggio lungo quanto un libro.

«In un’ora posso scappare a un’ora di distanza, in un’ora posso cambiare idea, in un’ora posso trovarmi con le spalle al muro, in un’ora posso perdere tutto, in un’ora posso perdere la pazienza di aspettare un’ora sola, in un’ora posso gridare per un’ora, in un’ora tutto può cambiare, mentre in quel momento, in quel preciso momento in cui ti senti qualcosa dentro la pancia, devi farla perché solo l’immediato ti dà la sicurezza che vorresti in quel momento».
LanguageItaliano
Release dateJul 9, 2013
ISBN9788861555303
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    Con due giri di chiave - Marco Cavalli

    CON DUE GIRI

    DI CHIAVE

    MARCO CAVALLI

    Collana Uplit n. 5

    Copyright © 2012 Giraldi Editore

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

    info@giraldieditore.it

    www.giraldieditore.it

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    ISBN 978-88-6155-530-3

    Proprietà letteraria riservata

    © 2012

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    In copertina: foto di Maddalena Zonin

    1.

    NON MOSTRARE AL MARE LA PAURA

    "Ho conosciuto un marinaio

    che non sapeva nuotare,

    che amava l’odore del legno bagnato,

    che non riuscì mai a dire a una donna

    che l’amava.

    Mi insegnò a intrecciare tra le dita

    la pungente corda del mare.

    E io imparai a scappare con lui".

    «Ragazzo, tieniti forte!» urlava con quella sua voce roca, tipica di chi butta giù il whisky senza nemmeno presentarsi. «Non temere, il peggio è passato!» diceva, ma io non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti perché le onde, senza tregua, si infrangevano contro le barriere della barca, e l’acqua che imbarcavamo soffocava la mia vista. L’unica cosa a cui pensavo in quel momento era di tenermi stretto con tutte le forze a quella ruvida corda giallastra, che era rimasto il mio unico appiglio per non venire scaraventato su ogni spigolo della nave. Mi ero accasciato a terra perché pensavo fosse più sicuro, più riparato, e me ne stavo rannicchiato, abbracciato a me stesso per confortarmi, per piangere sulla mia stessa spalla. Cercavo invano di aprire gli occhi per rendermi conto di com’era la situazione. Mi sentivo soffocare, respiravo a denti stretti. Il sapore pungente e salato del mare era nauseante, deglutivo la saliva e mi mordevo le labbra. Le pieghe screpolate sulla mia bocca bruciavano da morire. Volevo morire. Ero completamente fradicio e i vestiti erano pesanti e appiccicati alla mia pelle infreddolita. Un vento gelido e curioso scrutava ogni centimetro del mio corpo, e si infilava in ogni fessura, in ogni varco che restava aperto. Le mani ormai non le sentivo più e volevo vedere se stavo ancora tenendo quella maledetta corda. Avrei voluto addormentarmi, rilassare i muscoli della faccia, smettere di strizzare gli occhi e asciugarmi le labbra dal sangue e dal sale.

    «Scendiamo in stiva e aspettiamo che le acque si calmino!» urlava Kilton. Facile per un marinaio raggiungere la stiva con una tempesta sopra la testa, ma io sono uno scrittore! Che per di più non era mai stato in mare.

    Non avevo nemmeno le forze per rispondergli: cercai di puntare i piedi per terra e provare ad alzarmi, ma il legno bagnato è più scivoloso di un tappeto di alghe. Un tonfo sordo, violento su quel legno viscido: non potevo nemmeno consolare le mie ginocchia massaggiandole con le mani, perché stavo ancora stringendo con forza il mio unico appiglio. Dovevo raggiungere la stiva e l’idea che mi balzò alla testa fu quella di strisciare come un soldato in guerra, che trascina il suo corpo solo con l’aiuto delle braccia, e non alza mai la testa per paura di qualche terribile sorpresa.

    Il mare mi stava dando un attimo di tregua: era il momento. Lasciai lentamente la presa di quella corda, mentre mi era quasi impossibile muovere le dita: sentivo i palmi delle mani come trafitti da un esercito di aghi appuntiti. Subito un’onda mi avvolse, mi mancava il respiro. Sembrava si fosse accorta che avevo mollato la presa. Iniziai a scivolare, cercai di afferrare qualcosa, qualunque cosa: la mia faccia scorreva per terra, sentivo con la guancia le nervature del legno. Sputavo, tossivo, pregavo Dio di sbattere le mie ossa nel modo più dolce possibile. Mi lasciai andare, chiusi gli occhi e l’ultima cosa che mi ricordo fu un forte odore di sale e vomito.

    Quando aprii gli occhi, una piccola striscia di luce si infrangeva sul mio viso. Entrava da quel finestrotto rettangolare di fronte a me, protetto da una misera tenda verde sbiadita piena di cicatrici e buchi. In un giorno qualunque avrei mandato al diavolo quello spiraglio di luce che mi aveva svegliato, ma quella mattina non lo feci, quella mattina sorrisi. Mi portai una mano al viso per riconoscere la mia fronte, il mio naso, le mie labbra screpolate. Sorrisi, feci un profondo respiro, e poi buttai fuori tutta l’aria dalle narici: ero contento di avere i piedi al caldo di una coperta e di respirare a pieni polmoni tutta l’aria che volevo.

    «Hai visto come saltava il mare, la mia Lilly?»

    Riaprii gli occhi di scatto e vidi il capitano Kilton accanto a me. Mi guardava fisso con un strano sguardo compiaciuto. Mi aveva sottratto alle insidie del mare, mi aveva svestito da quei panni umidi e mi aveva messo sulla sua unica branda a riposare. Insomma, mi aveva salvato la vita. Ed ora era lì che mi fissava con quello sguardo compiaciuto che non avevo mai incontrato prima. Forse l’unico modo per ritrovarsi stampata in faccia una smorfia di quel genere è salvare la vita a qualche disperato. E come un cane aspetta il biscottino dopo aver riportato il bastone al padrone, anche Kilton stava aspettando qualcosa in cambio… una parola, un cenno, un gesto di riconoscimento.

    Ma era la prima volta che mi salvavano la vita e quindi banalmente gli sussurrai «Grazie...» con voce fioca e tremante. Mi era rimasto solo un filo di voce, con cui dovevo cucire ogni ferita che la paura aveva aperto dentro di me.

    «Ragazzo non devi ringraziare me, devi ringraziare Lilly!» mi rispose Kilton scodinzolando.

    Scossi la testa in cenno di gratitudine mentre Kilton mi intimava: «Su, riposati un altro po’. Hai avuto una nottata niente male». Si voltò, uscì dalla stanza e chiuse la porta in maniera decisa. Quel fragore spezzò in un attimo l’atmosfera dolce e affettuosa che si era creata.

    Ormai non avevo più sonno, ma nemmeno le forze per alzarmi. Di fianco al letto c’era un comodino di legno scuro con le maniglie in ottone. Ci misi un po’ per mettere a fuoco ciò che c’era appoggiato sopra: un bicchiere di vetro talmente rovinato che aveva perso la sua trasparenza. Sorseggiai un goccio d’acqua. Non feci in tempo a mandare giù quella boccata che mi prese il bisogno di scrivere. La stessa sensazione che si prova se devi andare in bagno o se devi dormire o mangiare, era un bisogno.

    Avevo un bel pacco di emozioni da trascrivere su carta, da ricalcare e da sistemare.

    Mi appoggiai alla riva del letto e mi feci forza per raggiungere l’armadio che custodiva la mia borsa. Era di pelle marrone ed era tutta rovinata per colpa delle mie taglienti unghie: quando l’avevo in mano non riuscivo a non inciderla di piccoli graffi nervosi. Anche quello era un bisogno.

    Tirai fuori carta e penna.

    Spesso, il motivo per cui comincio a scrivere è perché una frase mi è rimasta incastrata in testa, e se non la trasformo in inchiostro difficilmente mi farà dormire.

    Aggiunsi quattro graffi alla borsa di pelle marrone e iniziai a scrivere …

    Non è facile tagliare il cielo e sfidare la notte.

    Non è facile andare contro le onde del mare,

    gli uomini lo fanno solo se c’è un nome di donna

    che li aspetta sull’altra riva.

    Non si parte per non arrivare.

    Non si torna se nessuno ti sta aspettando.

    Non si sfida un avversario che temi

    a meno che non ne valga veramente la pena, morire.

    Chiusi la carpetta piena di fogli, scarabocchi e pagine scritte, la misi nuovamente dentro la mia borsa e l’appoggiai ai piedi del letto. Mi alzai e mi infilai la maglietta stropicciata e i miei pantaloni beige senza tasche che giacevano addormentati sulla sedia. Salii sul ponte della nave, era una giornata stupenda. Il sole alto in cielo si rifletteva sul pelo dell’acqua e quella calma mi fece pensare che il mare ha uno strano carattere. È un tipo lunatico.

    Kilton stava sulla prua della nave, sembrava aspettasse qualcuno.

    Mi avvicinai e mi sedetti sulla ringhiera accanto a lui, mi guardò e disse: «Verso sera arriveremo al porto di Netwolk, così potremo dormire e mangiare qualcosa».

    «Ai suoi ordini capitano Kilton!» risposi in modo scherzoso.

    Lui mi guardò sghignazzando, poi tirò fuori il suo pacchetto di sigarette tutto ammaccato e una scatola di fiammiferi che sicuramente venivano dalla Francia, a giudicare dalla sbiadita Torre Eiffel stampata sopra. I fiammiferi mi sono sempre piaciuti perché sono imprevedibili, creano suspance. Se l’accendino è un

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