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L’attesa.: Autobiografia di un amore
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L’attesa.: Autobiografia di un amore
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L’attesa.: Autobiografia di un amore

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About this ebook

Luana è una bella ragazza di diciannove anni che vive a Rieti per gran parte dell’anno e che l’estate torna nel paesino dove è nata, per trascorrere le vacanze dai suoi zii. Lì è tutta una festa. A differenza che in città, nel paese l’atmosfera è più rilassata e meno rigida, le ragazze possono uscire, vanno al cinema con le amiche, ascoltano i successi del momento al jukebox. E poi c’è il Dancing “La Conchiglia”, luogo deputato al ballo e alle nuove conoscenze. È lì che Luana, inizialmente a disagio e poco propensa a favorire gli approcci dei giovani, incontra per la prima volta Pier Luigi. Lui ha ventiquattro anni, è un artigliere in servizio militare a Milano, ed ora è giunto in paese per una breve licenza. Qualcosa tra loro accade subito. È il 1959 e l’Italia è in pieno boom economico. L’ottimismo pervade gli animi di molti e Luana e Pier Luigi non vogliono rinunciare, seppur lontani, a mantenere vivo quel sentimento che sentono crescere ogni giorno di più. L’attesa. Autobiografia di un amore è il racconto di una storia iniziata per gioco e poi trasformatasi in un destino comune. L’autrice ha messo insieme oltre sessanta lettere che Pier Luigi le ha inviato in quegli anni, testimonianza preziosa di un amore vissuto a distanza, con tutte le difficoltà e il coacervo di emozioni che ha comportato. Sembra una storia d’altri tempi, e forse lo è davvero, tempi in cui le parole scritte avevano un loro significato ben preciso, ed erano soprattutto meditate, ragionate ed espressione di stati d’animo sinceri.
LanguageItaliano
Release dateMar 31, 2019
ISBN9788855082440
L’attesa.: Autobiografia di un amore

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    Book preview

    L’attesa. - Luana G. Lorenzi

    Prefazione

    Sono stata inghiottita dalla frenesia della lettura alla ricerca di ciò che oggi è raro e quasi introvabile. Sono pagine dalle quali fuoriescono calore, odori e atmosfere delicate, vere e diverse tra loro. Si riesce a percepire persino l’odore delle lettere e talvolta il freddo pungente delle sere d’inverno, la sensazione di vuoto nello stomaco per la lontananza e il desiderio, la gioia e l’emozione di rivedersi e abbracciarsi.

    Un mondo incantato, sparito, scomparso per sempre?

    Parrebbe di no:

    Non esiste esperienza più mistica e più terrena di ballare abbracciato con te al chiaro di luna così canta oggi Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.

    Atmosfere di festa così lontane e semplici, quando i valori non erano commerciali, ma ricchi di profondità e amore, quando tutto si scaldava con la magia dell’estate.

    Era un momento storico nel quale c’era da ricostruire, la guerra aveva spazzato via ogni progetto futuro, vite umane, affetti, quotidianità e voglia di vivere.

    Nel piccolo paese, le ragazze potevano uscire più facilmente sentendosi protette dalla comunità paesana, così si andava a ballare al Dancing, unico luogo per conoscere e per prendere in mano la propria vita, oppure al cinema, per sognare mondi sconosciuti e condividere desideri.

    A Rieti l’approccio era più culturale, si poteva frequentare la biblioteca, discutere nella saletta del bar di un libro o un film e organizzare piccole feste in casa. L’atmosfera era sicuramente più austera.

    Manoscritti impensabili oggi, parole scritte a penna sentite e ripensate, al contrario di ciò che accade clickkando furiosamente un messaggio sullo smartphone che annienta l’opportunità di riflettere a lungo e calibrare il senso delle parole.

    Luana e Pierluigi li ho incontrati la prima volta mentre accompagnavano la loro figlia, una bravissima danzatrice, per uno spettacolo nel quale anche io prendevo parte. Subito mi ha colpito la cura, la delicatezza e l’entusiasmo nel sostenere, pur senza invadere, tutti noi danzatori. Li ho subito sentiti empaticamente molto vicini.

    Da quel giorno non ci siamo più persi e sono diventati per me un’appendice della mia famiglia.

    Dopo la perdita di Pierluigi, Luana ha iniziato a sentire un forte desiderio di mantenere vicina la sua presenza ed ha scritto alcuni ricordi del loro amore in modo semplice, spontaneo e dettato dal cuore. Più volte l’ho invitata a condividere questa bellissima storia con gli altri e sono felice che lo abbia fatto.

    Ha raccolto i suoi scritti e le lettere ritrovate ed ecco che come per incanto è nato… L’attesa.

    Sono stata testimone del loro amore, vissuto con complicità, ricchezza e intensità che ha permesso a entrambi di condurre una lunga vita insieme, basata sulla fiducia e la stima, che non è mai stata noiosa e piatta ma piena di amicizie, viaggi e molte soddisfazioni.

    Un amore lungo… una vita intensa!

    L’amica

    Monica Mariti

    Prologo

    Ciò che è destinato a te

    troverà il modo di raggiungerti

    Hester Browne

    Un artigliere di ventiquattro anni, una studentessa di quasi diciannove, in ritardo con gli studi, le vacanze estive di luglio e agosto, una licenza militare straordinaria per una diagnosi errata, un dancing e un ballo: questi i protagonisti della storia.

    In quell’estate del 1959 lei, la studentessa, era in vacanza dagli zii al suo paese. Vi tornava tutte le estati dopo la scuola spesso in compagnia della madre e delle due sorelle più piccole. Erano vacanze lunghe, allora, perché la scuola finiva a giugno e ricominciava a ottobre. Per lei erano anche vacanze bellissime. Era nata in quei luoghi, ma all’età di sette anni la sua famiglia si era trasferita nel Lazio, a Rieti, una cittadina carina, ma governata da regole e tradizioni molto rigide. Dagli zii Giustina e Giulio (lei era sorella di sua madre) e in paese c’era un’atmosfera diversa, più libera, più gioiosa, meno austera di quella che viveva a Rieti. Tutte le sere, o quasi, andava al cinema all’aperto che era la sua grande passione, girava in motorino con la cugina Marisa, insieme andavano a sentire la musica al jukebox. Spesso l’accompagnava con piacere a fare la spesa nelle piccole botteghe sature di profumi piccanti e dolciastri, dove lo zucchero e la pasta sfusi venivano raccolti con maestria in involti di carta gialla e dove anche il caffè veniva macinato al momento dell’acquisto. Andavano anche a gustare qualche gelato al «Bar Milano» o «Dal Gamboni» i luoghi più rinomati e molto frequentati. Sapeva che in paese guardavano con curiosità quella studentessa che ogni estate veniva a trascorrere le vacanze dai parenti che abitavano in campagna e che, nonostante fosse nata lì, la consideravano una forestiera. I suoi cugini le riferivano di apprezzamenti che alcuni giovani facevano al suo passaggio, ma lei non li conosceva, sentiva fare dei nomi che non le dicevano niente, non avevano volto. Più volte aveva chiesto che glieli indicassero, anche da lontano, era incuriosita e lusingata, ma non ne aveva mai incontrato alcuno. A lei importava poco, era giovane, spensierata e tutta presa dalla gioia di sentirsi libera e in vacanza. Solo una volta, a 17 anni, quando era tornata in autunno per una cerimonia importante, le avevano indicato un ragazzo che aveva parlato di lei. Era affacciata alla finestra del ristorante e lui passava ignaro in bicicletta. Le era sembrato bello!

    Poi era cresciuta, aveva cominciato a vestirsi elegante e a frequentare il Dancing che allora era molto di moda. Proprio il Dancing per lei era la nota dolente, non c’era abituata e all’inizio non le piaceva proprio.

    Non possedeva nemmeno molti abiti eleganti da sfoggiare come facevano le ragazze di lì. Questo per lei non era un problema, lo era per i suoi parenti che ritenevano una cosa impensabile che alla sua età non andasse a ballare e non tenesse all’abbigliamento elegante.

    Lei amava tantissimo il ballo, ma era abituata ad ambienti più familiari, più chiusi, come le feste in casa, organizzate dagli studenti, circoli privati e così via. Il Dancing la imbarazzava, si sentiva in mostra, quasi in vendita. Provava anche un forte disagio nel ballare con degli sconosciuti che, a volte, tentavano approcci anche un po’ pesanti. Sceglieva con cautela, e quando qualcuno si presentava a chiedere un ballo, indugiava sempre e molti erano i rifiuti. Sembrava un atteggiamento antipatico, presuntuoso, ma era dettato solo dalla paura. La prima volta c’era andata dopo tanta insistenza e accompagnata dalla zia. Era stato un disastro! Stava male, sentiva salire la nausea e una morsa di ferro stringerle lo stomaco. La zia la incoraggiava, le diceva di non avere paura, era carina, avrebbe fatto amicizie, conosciuto qualche ragazzo e sarebbe stato bello. Vedeva le altre ragazze disinvolte, ridere, scherzare, ballare e parlare tra loro. Lei era sola, non aveva amici, ed era proprio intimorita. Non accettò di ballare con nessuno.

    Non capiva che il Dancing, oltre a un luogo di divertimento, era un’occasione d’incontro per molti giovani. Poi, con fatica, si era abituata e ora riusciva anche a divertirsi.

    Lui, l’artigliere, era un ragazzo che viveva in paese da quando era nato. Aveva ventiquattro anni, era geometra ed era in servizio militare a Milano. Per una diagnosi errata, la «parotite», che aveva già avuto da bambino, era stato rinchiuso per quaranta giorni in infermeria in un ospedale militare e poi mandato in licenza. Era il mese di luglio del 1959. La licenza durò poche settimane. L’artigliere era felice di essere fuori da caserme e divise almeno per un po’ e poter riassaporare la vita normale in tutte le sue sfumature. Aveva molti amici che lo aspettavano, le sue abitudini, i suoi divertimenti. Uno di questi era frequentare il Dancing la domenica sera. Una domenica di luglio appunto, l’artigliere e la studentessa s’incontrarono.

    Fu proprio il Dancing «La Conchiglia» e un ballo a far nascere la loro storia. Lei era tornata a sedersi al tavolino dopo un ballo con chissà chi, quando lui si presentò e le chiese di ballare. Lei rispose di no, perché era già impegnata; lui si girò per andarsene, ma con stupore lo riconobbe, era il ragazzo che un giorno aveva visto passare in bicicletta, quello che aveva parlato di lei e che le era piaciuto. Allora quel «no» rimase sospeso nell’aria, si sentì il pentimento, si sentì che lei tentava di riprenderlo, di cancellarlo. Lui capì??!! Tornò indietro e chiese un altro ballo. E io dissi: Sì.

    1° Capitolo

    Una lettera è gioia terrestre negata agli dei.

    Emily Dickinson

    Iniziammo a ballare e fu piacevole, mi cercò più volte quella sera e io risposi sempre sì. Nacque, improvvisa, un’attrazione reciproca. Mi piaceva ballare con lui, anche parlare, scherzare. Per stare insieme dovevamo attendere la domenica sera e io ero impaziente. I giorni non passavano mai. Ero rimasta profondamente colpita da questo incontro. Durante la settimana ci vedevamo di sfuggita al cinema all’aperto, lui sedeva due file dietro o davanti, sentivo la sua voce, se si alzava, incrociavo il suo sguardo. Altro! Le domeniche successive ballavamo quasi tutta la serata assieme, mi offriva da bere al bar, mi accompagnava ogni tanto al mio tavolo per brevi pause. Cosa ci dicemmo in quelle ore passate su una pista da ballo? Sicuramente parlammo di noi delle nostre esperienze di vita. Del servizio militare , ricordo, parlammo parecchio, perché non solo era legato al nostro incontro, ma decideva anche del tempo che avremmo trascorso insieme. Anche la musica contribuì a rendere i nostri incontri speciali, scoprimmo canzoni che poi entrarono nella nostra vita. La prima che ci procurò un piacevole turbamento, fu «Petit fleur» di Sidney Bechet. Un clarinettista, anche bravo, la suonava tutte le domeniche e ci rapiva il cuore. Allora la musica era dal vivo, suonata da piccole orchestre. Scoprimmo di essere romantici entrambi, come forse usava a quei tempi. Ci piacevano le serate calde e profumate, il lume di luna, il cielo stellato, il silenzio della notte e il canto dei grilli. Ballavamo stretti su un mattone e lì iniziò il nostro amore. Poi lui dovette ripartire, la licenza era finita, ma tutti e due speravamo in un prolungamento. Trascorse alcuni giorni a Firenze, e poi, quando non speravo più, lo vidi tornare un pomeriggio: era in divisa. Lui non mi vide. Fu un’emozione forte! Ci ritrovammo a ballare felici. Lui diceva che era un segno del destino, forse saremmo stati insieme per sempre. Non ci credevo, ma mi piaceva sentirglielo dire! Cominciò a corteggiarmi con più insistenza ed io ne ero felicissima. Questo idillio ancora acerbo, si nutrì di poco: volti che si sfioravano, mani che si stringevano, un abbraccio più intenso parole sussurrate nella musica. I miei ricordi sono confusi, sento le emozioni.

    Intorno a quelle serate trascorse con lui, mi pongo tante domande alle quali la memoria non riesce a trovare risposte. Vorrei sapere chi mi accompagnava al Dancing, quali erano i commenti e se io parlavo di lui e cosa dicevo. Allora, se una ragazza ballava spesso con un ragazzo, voleva dire che era nata una storia. Noi ballavamo sempre insieme! Mi piacerebbe ricordare com’ero vestita al nostro primo ballo, se indossavo il vestito bianco un po’ da educanda, se avevo i tacchi o calzavo le ballerine, Chissà! Lui ricordo aveva un abito grigio chiaro con camicia e cravatta e lo vedevo molto alto. Dopo poco partì. Ci lasciammo con la promessa di scriverci senza nemmeno scambiarci gli indirizzi.

    Io continuai ad andare a ballare, avevo altri corteggiatori, ma non m’interessavano; la sua partenza aveva spento un po’ la luce di quell’estate. Pensavo di non sentirlo più e mi dispiaceva. Il 24 agosto del 1959 ricevetti una sua cartolina, era partito dopo ferragosto allora!

    «Ricordandoti con viva simpatia Pier Luigi».

    Art. Lorenzi Pier Luigi

    3° Reparto Specialisti (R.C.R.) 27° R.g.t. Artiglieria Milano

    Miracolosamente era arrivata, perché l’aveva inviata presso mio cugino Ora avevo il suo indirizzo! Era arrivata una seconda cartolina, dove mi chiedeva quando sarei partita, lui sarebbe venuto di nuovo in licenza alla fine di settembre, ma io partii prima e non ci vedemmo più. Devo avergli risposto, perché lui mi scrisse così.

    Cara Luana    13 settembre 1959

    Scusami tanto per il ritardo con cui ti scrivo, non è per negligenza, ma per una serie di circostanze sfavorevoli. Ti scrissi una cartolina per sapere quando saresti partita ed ho ricevuto la tua risposta con un po’ di ritardo, perché con il mio reparto sono stato in esercitazione fuori sede per cinque giorni. Non potrò venire in licenza che alla fine del mese. Sono molto dispiaciuto, perché tu sarai già partita e per vederci di nuovo dovremmo attendere l’anno venturo. è domenica e per me oggi è una giornata triste. Sono di servizio con cinque compagni in un aeroporto militare a circa venti km. dalla città. Abbiamo le tende e dovremo stare qui tutta la notte e tutto domani. Il posto è magnifico, ma c’è tanta solitudine e malinconia, anche se laggiù in fondo, sulla strada che porta in paese c’è la vita: un andirivieni continuo di giovani che si divertono. Con la radiotrasmittente abbiamo intercettato una stazione che trasmette musica da ballo, questo porta una nota di sollievo e un sacco di ricordi: Le belle serate trascorse alla «Conchiglia» (molto diverse da questa) cullati in dolce intimità da questa musica, che mi riempie il cuore di nostalgia, sotto una romantica luna al cui chiarore nacque un meraviglioso idillio. Sono stati quelli, momenti bellissimi che hanno lasciato nel mio intimo uno strano effetto, qualcosa di diverso dalle altre volte, forse anche per l’improvviso ritorno alla luce dopo un anno di segregazione. Comunque staremo a vedere e col tempo avrai spiegazioni più esaurienti, perché io ho l’abitudine di dire ciò che veramente sento. Spero che tu abbia fatto un buon viaggio. Ora ti lascio, perché sta facendo buio e poi manca lo spazio. T’invio i miei più cordiali saluti e se mi permetti anche un bacio.

    Pier Luigi

    Io cosa risposi? Senz’altro avrò risposto subito, avevo una gran fame di sue notizie e aspettavo la posta con tanta ansia. Speravo scrivesse ancora! Anche a me era successo qualcosa di bello che non sapevo spiegarmi. Ne parlavo con le mie amiche e loro dicevano che mi ero innamorata. Mi sembrava troppo! Però lui entrò nei nostri discorsi. Vittoria mia carissima amica, viveva un amore lontano con un carabiniere, attendeva con ansia le sue lettere e mi capiva. Pina e

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